Premessa.
Per decenni, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino agli albori degli anni Novanta, buona parte della storia e delle vicissitudini dei popoli dell’Europa orientale e balcanica sottoposti ai regimi comunisti sono rimaste avvolte da un alone di mistero. Anche se dei molteplici disastri prodotti, tra il 1917 e il 1989, in tutto il mondo, dalle dittature marxiste ortodosse e no, si era avuta una notevole messe di informazioni e notizie, grazie soprattutto alle testimonianze dei molti profughi che riuscirono ad evadere dai vari “paradisi del popolo”, e grazie alle opere pubblicate da illustri scrittori e scienziati scampati miracolosamente alle persecuzioni e ai gulag e poi fuggiti o emigrati in Occidente. Ciononostante, bisognò attendere il definitivo collasso del sistema sovietico per venire a conoscenza di alcuni particolari fenomeni del dissenso manifestatisi oltre cortina nel secondo dopo guerra, come ad esempio quello della lotta armata clandestina che, tra il 1945, la metà degli anni Cinquanta ed oltre, si sviluppò e diffuse nei Paesi Baltici, in Ucraina, in Polonia, Ungheria, Bulgaria e Romania e, con caratteristiche e modalità diverse, anche in alcuni paesi balcanici, come la Iugoslavia e l’Albania.
Quello della lotta armata contro le dittature facenti capo a Mosca (evento che interessò anche diverse regioni caucasiche tra cui l’Azerbaijgian e l’Armenia russa) è stato un fenomeno sostanzialmente negletto, anche perché i regimi marxisti hanno provveduto con successo ad occultarne e minimizzarne la portata, attribuendone l’origine non tanto alla oggettiva violenza e impopolarità del sistema socio-economico comunista, ma alla supposta matrice “reazionaria” dei vari movimenti ribelli e alla concomitante azione destabilizzatrice esercitata su questi ultimi dalle potenze occidentali interessate “a minare l’integrità e la solidità. del mondo socialista”.
La Lituania contemporanea.
Il Movimento partigiano lituano.
In Lituania il movimento partigiano risultò sotto certi aspetti più frammentato rispetto a quello lettone ed estone, anche se nel suo complesso assunse dimensioni e capacità operative molto superiori. Grazie anche all’attivismo del generale Motiejus Peciulionis (ultimo rappresentante del Consiglio di Guerra del VLIK – Vyriausias Lietuvos išlaisvinimo komitetas o Comitato Supremo per la Restaurazione dell’Indipendenza Lituana) che, il 9 luglio 1944, diede vita al primo nucleo combattente: delle Squadre Speciali di Difesa o Samogitian, sezione formata da circa 35 suoi uomini, avente il compito di creare in ogni distretto territoriale un sottocomando distaccato dell’organizzazione. In breve tempo, questi ufficiali riuscirono a mettere insieme un esercito composto da parecchie decine di migliaia di combattenti.
Soldati sovietici a Vilnius, capitale della Lituania (1944).
All’inizio dell’estate del 1944, l’Armata Rossa investì la Lituania che, nonostante la dura opposizione della Wehrmacht (i tedeschi riusciranno a mantenere il controllo della strategica città di Memel fino al gennaio 1945), venne conquistata nell’arco di qualche mese. Gli effetti della rioccupazione sovietica si rivelarono devastanti e probabilmente più pesanti di quelli registrati da Estonia e Lettonia. A questo riguardo, parecchi storici lituani (esclusi quelli di origine israelita che sull’argomento hanno buone ragioni per essere in disaccordo, dal momento che i nazisti sterminarono l’intera comunità ebraica lituana) appaiono propensi a giudicare questo periodo ben più terribile rispetto a quello non certo radioso dell’occupazione nazista, soprattutto per quanto concerne il drammatico computo delle vittime civili. Fonti lituane riferiscono di quasi un milione di persone uccise o deportate, mentre gli archivi di Mosca fanno riferimento ad un totale di circa 100.000 “soggetti neutralizzati”: cifra quest’ultima che non sembra corrispondere alla realtà. Anche in considerazione del fatto che nella sola notte tra il 22 e il 23 maggio 1945, ben 40.000 lituani vennero chiusi in vagoni piombati e spediti nei gulag, e senza naturalmente contare che nel solo periodo 1940-1941 (quello corrispondente alla prima occupazione russa), i sovietici neutralizzarono decine di migliaia di persone. Comunque sia, per superare una volta per tutte le evidenti discordanze ed arrivare ad un computo esatto (esercizio ragionieristico orribile, ma utile), occorrerebbe a nostro avviso recuperare quella parte di documentazione relativa alle “deportazioni” lituane (ma anche estoni e lettoni) che i sovietici ebbero l’accortezza di fare sparire nel 1990, cioè poco prima di lasciare definitivamente le regioni baltiche.
Cavalleria sovietica a Vilnius (1944).
I prodromi del martirio post-bellico lituano sono da ricercarsi nel febbraio del 1944, allorquando Stalin assegnò a Mikhail A. Suslov l’incarico di Commissario Straordinario per la Pacificazione della Lituania, nominandolo poi (l’11 novembre dello stesso anno), Responsabile dell’Ufficio Organizzativo per la Lituania (Orgburo). In pratica, Suslov ebbe l’onere e l’onore (si fa per dire) di “preparare la popolazione lituana, liberata dal giogo nazista, ad accogliere con benevolenza, e senza tentennamento alcuno, i nuovi precetti dell’ordinamento politico ed economico marxista”. Tuttavia, la spontanea, immediata e tenace opposizione del popolo lituano e delle organizzazioni partigiane impediranno al ‘govermatore’ di Mosca di realizzare in tempi brevi e soprattutto senza ostacoli questo ambizioso programma. Tanto è vero che, nella tarda estate del 1944, lo stesso Suslov sarà costretto ad ammettere il sostanziale fallimento della sua missione, riferendo in una sua relazione indirizzata a Mosca che la Lituania era ben lungi dall’essere doma, in quanto “saldamente controllata da ben 1.067 gruppi partigiani e da 839 nuclei di banditi”. Dichiarazione che farà andare su tutte le furie il dittatore georgiano.
Circa poi la “liberazione” sovietica della Lituania dal giogo nazista, nel 1944 il famoso leader partigiano Jozas Lukša (detto Daumantas) annotò con sarcasmo: “Finora, nell’arco di pochi anni, il popolo lituano è stato ‘liberato’ ben tre volte. Nel 1940, i russi hanno marciato sulla nostra terra per ‘liberarci’ dai ‘profittatori capitalisti e fascisti’. Nel 1941, i tedeschi li hanno cacciati per ‘liberarci’ dalla ‘schiavitù bolscevica’. E ora i sovietici fanno ritorno per ‘liberarci’ nuovamente dalla ‘tirannia dei boia nazisti’. Ma da momento che rammentiamo fin troppo bene in quali condizioni i russi ci lasciarono nel 1941, cioè l’ultima volta che ci hanno ‘liberato’, riteniamo che ci sia alcun motivo di gioire per questo evento”.
Il 13 luglio 1944, il generale Ivan Cerniakovsky, comandante in capo del Terzo Fronte Bielorusso, entrò a Vilnius dove, il 15 luglio, si installò anche il Comando della NKVD (alle cui dipendenze operavano 5 reggimenti forti ciascuno di 1.500 uomini) e lo staff di Antanas Snieckus, il leader del Partito Comunista Lituano che aveva trascorso alcuni anni di esilio a Mosca. Per nulla intimoriti dal dilagare delle truppe sovietiche, i partigiani lituani si prepararono ad opporre una coriacea resistenza che, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, si avvarrà, come avremo modo di vedere, anche del parziale sostegno dei servizi segreti britannici e statunitensi (1).
Decorazione di una partigiana anticomunista lituana (1950).
Subito dopo la presa sovietica di Kaunas (1° agosto 1944), a Batakiai, nel distretto di Taurage, iniziò ad operare uno speciale reparto radio facente parte di un raggruppamento filotedesco, al comando del capitano P. Ceponis (detto “Leonas”), avente il compito di tenere al corrente il Comando della Wehrmacht circa i movimenti delle truppe sovietiche in Lituania. Il gruppo, affiancato da altri similari, lavorò bene e fino alla resa della Germania, a dimostrazione della ferrea volontà da parte lituana di contrastare in tutti i modi i russi, anche porgendo la mano ai per nulla amati tedeschi. Verso la metà di agosto, le prime azioni di guerriglia ai danni di reparti e concentramenti sovietici indussero il maggiore generale P. Petrov, alla testa della 4a Divisione fucilieri della NKVD, ad intraprendere in molte zone del paese una serie di estesi rastrellamenti. Sulle prime, i russi, che sottovalutavano le capacità organizzative dei ribelli lituani, pensarono di risolvere il problema abbastanza rapidamente. Ma con il tempo dovettero ricredersi.
Sempre nell’agosto del ‘44, il generale Peciulionis, il tenente Veverskis e l’ingegnere Snarskis fondarono il Comitato di Difesa Lituana o LGK (Lietuvos Gynimo Komitetas) con il preciso scopo di creare una più solida struttura in grado di organizzare, dirigere e coordinare gli sforzi dei vari raggruppamenti partigiani sorti spontaneamente in concomitanza con l’invasione sovietica. Va infatti ricordato che nel 1944 sul territorio agivano numerose bande indipendenti e facenti riferimento ad altrettanto numerosi partiti o movimenti politici. Il 22 ottobre 1944, venne formato il primo vero reparto combattente (chiamato “Tigras”) che nel dicembre 1944 verrà integrato da 12 paracadutisti della LLA (Esercito di Liberazione Lituano) al comando del capitano J. Basys (detto Putinas). Quest’ultimo nucleo, addestrato dai tedeschi negli attacchi a sorpresa e nella tecnica del sabotaggio, venne trasportato in Lituania da velivoli della Luftwaffe, che trasportarono anche armi e munizioni. L’unità, così composta, ebbe il compito di agire nei distretti di Zarasai, Svencionys e Utena, e venne posta agli ordini del comandante L. Vilutis. A proposito del sostegno tedesco va ricordato che, dal 1944 ai primi anni Cinquanta, non pochi soldati della Whermacht tagliati fuori dalle dilaganti offensive sovietiche contro i Paesi baltici, si arruolarono spontaneamente tra le file dei reparti partigiani lituani. Tra questi L’identificazione precisa di gran parte di questi volontari risulta tuttavia difficile poiché molti di essi adottarono “nomi di battaglia”; ciononostante gli storici lituani sono riusciti ad individuarne alcuni. Citiamo, ad esempio, tale Urach Schlitter , detto “Kaizeris” (“Kaiser”). Questi, a partire dal tardo 1944, operò del gruppo “Zemaiciai” (“Samogiziani”), Brigata “Satrija”, e cadde in combattimento, insieme a due noti partigiani, i fratelli Kacinskas, nel 1949, nei pressi del villaggio di Gaureliai, in Lituania occidentale. Sempre secondo fonti lituane, nella prima metà degli anni Cinquanta, all’interno del distretto militare di “Tauras” (che era uno dei meglio organizzati di tutta la Lituania occupata dai russi) risultavano ancora operativi circa 50 ex soldati della Whermacht, alcuni dei quail fuggiti da campi di concentramento sovietici. Altre fonti citano i seguenti volontari tedeschi: Helmut Gresser – “Garnys” – ex capitano della Luftwaffe tedesca; Peter Gorgin – “Peteris” – mitragliere; Hari Blumental – “Jonas”; Wilchelm Bach – “Vilchelmas”; Erich Weitler – “Berlynas” (“Berlino”). Di Weitler sappiamo qualcosa di più Nacque nel 1914, nel villaggio di Erlich (provincia di Nordhausen, in Turingia). Dopo essere fuggito, nel luglio del 1945, da un campo di prigionia sovietico nell’Estonia occupata, percorse a piedi, in direzione ovest, oltre 150 chilometri, riuscendo ad oltrepassare il confine lituano e ad unirsi alla brigata partigiana “Gelezinis Vilkas” (“Lupo di ferro”). Qui, Weitler incontrò diversi suoi camerati tedeschi (abbiamo soltanto il loro nomi di battaglia: “Valteris”, “Josifas”, “Jonas”, “Ervinas”, “Erichas” e “Tigras”) con I quali iniziò la sua nuova avventura. Il 10 gennaio 1947, Weitler venne nuovamente catturato dai sovietici e condannato all’impiccagione. In un suo disperato tentativo di fuga egli venne freddato dai soldati della NKVD.
Partigiani antisovietici lituani (1949).
Ma torniamo ai reparti partigiani lituani. Fino dall’inizio della resistenza, la quasi totalità delle iniziative promosse dalla LGK, ma anche dai nuclei autonomi combattenti, poterono contare, quando ve ne fu la necessità, dell’appoggio o della connivenza della quasi totalità della popolazione lituana che, sfidando le pressioni e le rappresaglie della NKVD, continuò per molto tempo a fornire ai patrioti rifugio, viveri e informazioni. La grande affluenza di volontari nelle bande nazionaliste (nell’arco di pochi mesi l’esercito clandestino si gonfiò a dismisura, arrivando a contare circa 70.000 soldati, o addirittura 100/135.000 secondo certi autori) fu dovuta essenzialmente all’atteggiamento prevaricante dimostrato dalle forze di occupazione russe che, oltre a dimostrare un totale disprezzo nei confronti tutti i simboli culturali e religiosi del paese (in gran parte cattolico), stravolsero quest’ultimo con una radicale riforma agraria di stampo sovietico. Riforma che portò all’improvviso impoverimento non soltanto dei grandi proprietari terrieri, ma anche di quelli medi e piccoli che rappresentavano la spina dorsale del paese (2).
Il 30 agosto 1944, il neonato Soviet Supremo della Repubblica Socialista Lituana proclamò una prima ordinanza attraverso la quale vennero abolite tutte le normative in materia di lavoro agricolo adottate durante l’occupazione tedesca, riavviando il processo di collettivizzazione (iniziato già nell’estate del 1940) di tutte le proprietà private, con una riduzione degli appezzamenti pro fattoria che poteva arrivare a 12 acri e mezzo per i poderi appartenuti a soggetti anche soltanto “sospettati” di avere collaborato con l’occupante germanico. Questa clausola assai vaga e speciosa consentì alle autorità di agire con la massima disinvoltura, decretando tout court la riduzione al minimo della quasi totalità delle proprietà che, in seguito, vennero collettivizzate. Nel 1948, lo schema della tassazione terriera e quello della pre-collettivizzazione iniziò ad essere applicato con rigore ed ampiezza tali da costringere i rimanente proprietari terrieri (classificati dispregiativamente alla stregua di “culacchi”) a pagare un’imposta fissa pari all’84% della produttività lorda dei propri appezzamenti: imposizione che obbligò questi a cederli spontaneamente allo stato per evitare la rovina. Dopo avere completato la sovietizzazione dell’intera agricoltura del paese, il 26 febbraio 1947, il regime comunista poté vantare l’inaugurazione della prima azienda agricola collettiva lituana, la cui produttività tuttavia non superò mai, anche nel tempo, i livelli di puro e semplice autosostentamento.
In seguito alle pressanti richieste della Stakva (il Comando Supremo dell’Armata Rossa), ancora duramente impegnata in Polonia contro la Wehrmacht, il 3 dicembre 1944, il Partito Comunista e il Consiglio dei Commissari del Popolo della neo-Repubblica Sovietica di Lituania dovettero emanare un decreto d’urgenza per la creazione di 30/40 battaglioni di miliziani da impiegare per presidiare i distretti del paese e per sostenere le operazioni antipartigiane avviate dalla NKVD e dall’Esercito russo. Tale decreto venne imposto da Mosca per non costringere l’Armata Rossa a tenere bloccato in Lituania un eccessivo quantitativo di truppe viceversa necessarie al fronte. A questo proposito, già il 24 luglio 1944, dietro indicazione dei vertici NKVD, il Comitato Centrale del LKP (Partito Comunista Lituano) aveva già predisposto la creazione dei cosiddetti “battaglioni di distruzione” (istrebiteli) composti da elementi locali da impiegare nelle operazioni antiguerriglia al posto delle unità russe, dislocando, inoltre, in ogni centro urbano nuclei armati di pronto intervento formati ognuno da una trentina di miliziani.
Partigiani antisovietici lituani (1950 circa).
In un primo tempo, la resistenza lituana mise in campo formazioni piuttosto consistenti, composte da alcune centinaia di uomini (alcune arrivarono a contare 600/800 individui). Tuttavia, nel volgere di non molti mesi, i comandi del movimento optarono – al pari dei loro colleghi lettoni ed estoni – per un radicale ridimensionamento dei reparti in modo da renderli più manovrieri e soprattutto autonomi sotto il profilo alimentare e logistico. Oltre a ciò, il 20 luglio 1944, per fare fronte alla riorganizzazione delle forze nemiche, l’Esercito di Liberazione Lituano subì nuove modifiche strutturali, venendo diviso in due sezioni: Una operativa (cioè composta da gruppi combattenti), la VS, e una, la OS, adibita a compiti organizzativi ed avente anche funzione di riserva. Nonostante la riforma, verso la fine del 1944, le forze della resistenza lituana risultavano distribuite sul territorio in maniera piuttosto difforme e in gruppi aventi diversa composizione. Nella parte meridionale e occidentale del paese operavano essenzialmente le bande più agili, formate ognuna da un limitato numero di uomini, e specializzate negli attacchi “mordi e fuggi”. Mentre nella parte orientale e settentrionale agivano gruppi ben più consistenti, composti ancora da parecchie centinaia di combattenti, come ad esempio quello al comando del leader partigiano Žalgiris che arrivò a contare 800 uomini e che, talvolta, ebbe anche l’ardire di scontrarsi in campo aperto con interi reggimenti della NKVD, infliggendo al nemico sensibili perdite, ma lasciando anche sul campo decine di uomini.
Nonostante i tentativi di accorpamento, per molto tempo in Lituania continuarono ad operare svariate bande partigiane autonome, tutte però strutturate e gestite secondo rigidi protocolli di comando e operativi di stampo squisitamente militare. Ogni singolo raggruppamento era infatti suddiviso in ufficiali e soldati entrambi sottoposti ad una severa disciplina. Prima di entrare a far parte di un gruppo combattente, ogni volontario doveva giurare solennemente di rispettare l’atto costitutivo della LFA (Lietuvos Laisve Armija o Esecutivo di Liberazione Lituano) dipendente dal ‘comandante’ Kazys Veverskis, e di essere disposto a combattere fino alla fine. Tutti i soldati dovevano inoltre fornire totali garanzie circa la propria discrezione e l’obbedienza alle norme di sicurezza che tutelavano l’integrità dell’esercito clandestino e dei suoi reparti. I membri di queste formazioni, che durante il giorno erano soliti vivere nei bunker e nei nascondigli situati nel cuore delle foreste o in scantinati di cascine di campagna, erano suddivisi in pattuglie composte da 7-10 uomini ciascuna, armati con pistole, fucili, mitragliatori e fucili-mitragliatori prevalentemente di preda bellica sovietica, ma anche di fabbricazione tedesca, polacca e cecoslovacca. A differenza dei guerriglieri estoni e lettoni, quasi tutti i partigiani lituani (che secondo un particolare vezzo erano soliti farsi crescere i capelli fino sulle spalle), avevano l’abitudine di indossare vecchie uniformi dell’esercito nazionale o di foggia tedesca o sovietica, con mostrine e placche regolamentari. “Essi, in questo modo, volevano dimostrare di appartenenere ad un vero e proprio esercito regolare e non ad un semplice insieme di ‘briganti’ privi di regole, come sostenevano i sovietici”. Nel 1945, si stima che nelle foreste lituane operassero dai 22.000 ai 28.000 partigiani, affiancati da altrettanti ‘ausiliari’ non armati. E a dimostrazione dei rischi concernenti l’attività dei ribelli, è stato calcolato che l’aspettativa di sopravvivenza media di un partigiano lituano non superasse mai i due anni.
Partigiani lituani (1951).
Nel vano tentativo di stanare questi gruppi, il 9 febbraio 1945, il governo della Repubblica Socialista Sovietica di Lituana decise di offrire il perdono a coloro i quali avessero accettato di deporre spontaneamente le armi: offerta che venne rifiutata dalla quasi totalità dei ribelli. Mentre, il 5 aprile 1945, attraverso la direttiva segreta n. 0033/11 della NKVD, furono date istruzioni circa le modalità di reclutamento nei ranghi del servizio segreto sovietico di quei partigiani che avessero deciso di accettare l’amnistia governativa. Anche se non risulta che la NKVD abbia mai rispettato la suddetta direttiva (i pochi ribelli che si arresero vennero infatti giustiziati). Motivo quest’ultimo che indusse anche i partigiani più incerti a proseguire la lotta ad oltranza. Non molto tempo prima della sua uccisione, avvenuta il 28 dicembre 1944 nel distretto di Kaunas, il comandante K. Veverskis passò la leadership dell’LFA ad Adolfas Eidimtas (detto Pybartas), facendo anche a tempo a creare una nuova struttura, il Comitato per la Difesa Lituana (LGK –Lietuvos gynybos komitetas): struttura che, al pari delle precedenti, avrebbe dovuto inglobare tutti i gruppi resistenziali lituani, molti dei quali continuavano ad agire per conto proprio e sotto sigle diverse.
Per cercare di stabilire una strategia che consentisse un rapido annientamento delle unità ribelli, già nel tardo autunno 1944, a Panevėžys i sovietici avevano organizzato un incontro tra i vertici delle loro forze armate e di polizia, i rappresentanti del ministero degli Interni e quelli governativi e delle organizzazioni locali comuniste. Riunione nel corso della quale il generale della NKVD, Sergej Kruglov (inviato in Lituania da Lavrentij Berja, per liquidare la “questione partigiana”) sottolineò la necessità di varare una linea molto dura sia nei confronti delle popolazioni contadine, sia nei riguardi della chiesa cattolica che, stando ai rapporti della polizia, risultavano essere i due soggetti in grado di fornire il maggiore appoggio al movimento nazionalista. Kruglov, già vicedirettore del controspionaggio sovietico (SMERSH) ed uno dei più crudeli e spietati esecutori della NKVD, creò anche uno speciale dipartimento della NKVD (OBO – Osobi banditskii otdel) specializzato nella caccia ai cosiddetti ‘banditi’.
Partigiani anticomunisti lituani prima della fucilazione (1953).
A partire dall’inverno 1944-1945, i sovietici intensificarono la politica discriminatoria e vessatoria nei confronti della chiesa cattolica, proibendo cerimonie liturgiche e raduni. Nel 1946, i russi chiusero due seminari, imponendo alle autorità religiose una quota massima di 150 seminaristi, sui 350 esistenti, ed arrestarono diversi prelati. Queste misure indignarono fortemente i partigiani lituani, che nella stragrande maggioranza erano cattolici osservanti. Come raccontò il leader partigiano Lukša: “prima di ogni azione bellica, i miei soldati sono soliti riunirsi in preghiera. Molti di questi ragazzi considerano, infatti, la loro lotta alla stregua di un autentico impegno religioso”.
Partigiano lituano fucilato dai sovietici.
Va notato che, già durante la prima occupazione sovietica (15 giugno 1940-giugno 1941) i russi, attraverso il decreto del 25 giugno 1940, avevano esteso a tutto il paese la legislazione sovietica in materia religiosa. E di conseguenza erano state confiscate tutte le proprietà ecclesiastiche e sigillati 73 monasteri e 85 conventi, cioè la totalità di quelli esistenti al tempo. Dei quattro seminari presenti nel 1940, fu lasciato aperto solo quello di Kaunas. Oltre a ciò, anche le pubblicazioni, le associazioni e gli istituti scolastici gestiti da religiosi erano stati tutti soppressi o chiusi. Nulla però in confronto alle misure che vennero adottate dopo la Seconda Guerra Mondiale. Tra il 1945 e il 1953 un terzo del clero cattolico lituano venne fisicamente eliminato. E dopo un periodo di relativa calma succeduto alla scomparsa di Stalin, nel 1957 la persecuzione riprese con rinnovato vigore. Secondo i vertici moscoviti, il cattolicesimo lituano andava liquidato in quanto rappresentava l’ostacolo maggiore al processo di “russificazione” del paese. Va comunque precisato che, nonostante questa politica, in un primo tempo la sede vescovile di Lituania tentò di mantenersi fuori dalla contesa, preferendo evitare di conferire un apporto chiaro e diretto ai partigiani. Tuttavia, in seguito alla rimozione da parte sovietica di quattro dei sei vescovi (che vennero rimpiazzati da ecclesiastici più accondiscendenti) la chiesa lituana cambiò atteggiamento, avvicinandosi sempre più alle posizioni del movimento indipendentista. A dimostrazione del profondo odio con il quale si mossero i russi, basti pensare che, nel 1946, le autorità comuniste giunsero ad ordinare l’estirpazione di tutte le croci dai cimiteri della nazione (in una sola giornata ne vennero divelte 5.000). Ma questo assurdo provvedimento si rivelò tuttavia inutile in quanto la popolazione, anche a costo di severe rappresaglie, provvide sempre a rimpiazzarle. L’intensificarsi della politica antireligiosa portò all’arresto di sacerdoti, ma anche di alti prelati, come i vescovi Sladkevicius e Steponavicius. Tra gli ecclesiastici “martiri” emersero le figure di monsignor Vincentas Borisevicius, vescovo di Telsia, che nel 1946 venne incarcerato a Vilnius ed assassinato dopo lunghi interrogatori e torture; quella di monsignor Teofilus Matulionis, arcivescovo di Kaisiadorys, spentosi nel 1962 dopo avere subito una lunga prigionia e quella monsignore Mecislovas Reinys, arcivescovo di Vilnius, arrestato nel 1947 e morto in carcere nel 1953 a Vladimir.
Partigiani lituani (1952).
Nel contesto della guerra di resistenza lituana, anche i servizi segreti occidentali ebbero modo – come si è accennato – di svolgere un certo ruolo. Il 24 giugno 1948, il leader partigiano Lukša, assieme al compagno d’armi Juozas Pajaujis, riuscì a fuggire dal paese e a raggiungere, a bordo di un natante, la Svezia per poi proseguire per la Francia e la Germania. Tra il 7 e il 9 luglio, a Baden Baden, Lukša si incontrò con i vertici del Comando del VLIK in esilio con i quali discusse a lungo circa l’organizzazione resistenziale e le modalità attraverso le quali i partigiani avrebbero dovuto condurre la lotta per la liberazione della Lituania. Durante il meeting, si esaminò anche la possibilità di ottenere un concreto appoggio dagli anglo-americani e addirittura dal Vaticano che, nel frattempo, era stato messo al corrente della feroce politica anti-cattolica avviata in Lituania dai sovietici (3).
Lukša volle un incontro con i responsabili dei servizi britannici presenti in Germania e, tramite il VLIK, sempre a Baden Baden egli venne in contatto con alcuni alti esponenti del SIS dai quali il patriota venne a sapere che proprio in quel periodo il servizio segreto britannico stava organizzando una serie di missioni di intruding nei Paesi Baltici. Lukša decise di cogliere al volo l’occasione e si offrì subito volontario chiedendo di potere fare parte di una di queste operazioni che aveva come obiettivo proprio la Lituania. E fu così che, dopo avere raggiunto una caserma situata non lontano dalla città, Lukša poté aggregarsi ad un gruppo di suoi connazionali espatriati già scelti dal SIS. Successivamente, il gruppo venne trasferito presso il campo di addestramento di Katek, nel Kaufbeuren, dove gli ufficiali britannici sottoposero i baltici ad un intenso ciclo di addestramento militare e all’uso di apparecchiature radiotrasmittenti ed esplosivi.
Deportati lituani in Siberia (1953).
Il 1° ottobre 1950, un piccolo nucleo composto da tre commando (Benediktas Trumpys, tale Širvys in funzione di marconista e lo stesso Lukša), vennero dotati di divise militari di foggia inglese prive di mostrine, di mitragliatori tedeschi Schmeisser MP-32, di granate e di un impianto radio. Completavano l’equipaggiamento alcuni generatori di corrente, dieci orologi, tremila rubli, duemila dollari, razioni di cibo in scatola e una confezione di pasticche di cianuro da usare in caso di cattura. Dopo essersi aggiunto alla pattuglia un quarto elemento, Julijonas Butenas (un ufficiale del VLIK che aveva avuto il compito di seguire le prime fasi dell’operazione), gli inglesi caricarono i quattro lituani su un Douglas C47 dipinto di vernice nera opaca, pilotato da ufficiali cecoslovacchi, che decollò alla volta di Monaco per poi raggiungere la base di Wiesbaden, dove però dovette sostare un paio di giorni a causa delle cattive condizioni meteorologiche. Poi la missione ebbe finalmente inizio. Dopo avere sorvolato Amburgo e la costa meridionale svedese, il C47 fece rotta verso sud e approfittando delle tenebre raggiunse la costa lituana. E procedendo ad una quota di appena 300 metri per sfuggire ai radar sovietici, l’aereo si spinse poi fino alla regione di Klaipeda. A quel punto, l’apparecchio cabrò a 800 metri e i tre commando si lanciarono nel vuoto assieme ad alcuni contenitori cilindrici pieni di materiale bellico ed attrezzature. La pattuglia toccò terra a circa 100 miglia dal punto stabilito, cioè la foresta di Žygaičių,. La zona in cui erano capitati i tre uomini era nota per l’attività ivi svolta da un grosso raggruppamento partigiano (composto da circa 5.000 uomini) che tuttavia era ormai prossimo ad essere spazzato via da una poderosa offensiva concentrica scatenata in precedenza da 20.000 tra miliziani e soldati della NKVD. Lukša, che durante l’atterraggio si era ferito ad una spalla, riunì gli uomini, fece seppellire in una fossa i paracadute e si mise alla ricerca di uno dei preziosi contenitori – nei quali erano sistemati i viveri, le armi e le munizioni – andato smarrito durante il lancio. Non essendo riusciti a rintracciare l’involucro, i tre si misero in marcia, vagando per due settimane alla ricerca di un contatto amico. Il 22 ottobre, la pattuglia entrò finalmente in contatto con due Fratelli della Foresta e, dopo essersi accampati in una zona sicura, Lukša fece comunicare via radio alla base di Monaco che la prima fase della missione aveva avuto buon esito. Ma sfortunatamente, a causa di un guasto all’apparecchio, il messaggio non pervenne ai servizi segreti alleati. Accortosi dell’intoppo, il giorno seguente, il marconista Širvys rinviò, questa volta con successo, il messaggio, rimanendo in attesa di una risposta che tuttavia non sarebbe mai arrivata.
Partigiano antisovietico lituano prima della fucilazione (1953).
Nei giorni che seguirono, il gruppo Lukša perlustrò la zona e con loro grande disappunto vennero a sapere che il contenitore da essi smarrito era stato ritrovato da un contadino che lo aveva poi consegnato ad un gruppo di sedicenti partigiani che più tardi si sarebbero rivelati agenti della NKVD. Dopo alterne vicende, Lukša e i suoi compagni riuscirono infine ad unirsi ad una banda partigiana, prendendo parte in seguito a diversi combattimenti. Fino a quando, nell’ottobre 1951, in circostanze non chiare, Lukša venne catturato da una pattuglia sovietica e giustiziato. Il 19 aprile del 1951, nel tentativo di rintracciare il manipolo di Lukša – ormai dato per disperso – i britannici provveduto ad inviare nella stessa regione Butenas e un suo camerata. Tuttavia, dopo un mese di inutili ricerche, i due vennero scoperti da un reparto anti-guerriglia russo e costretti a suicidarsi, probabilmente con una capsula di cianuro.
Con il progressivo consolidarsi del potere sovietico, il movimento partigiano lituano perse gradualmente la sua forza fino ad estinguersi del tutto. D’altra parte, già nel 1950, buona parte delle componenti operative della resistenza vennero raggruppate e unificate nel LKS (Laisvės Kovų Sąjūdis, Movimento per la Lotta e la Libertà della Lituania) che, a partire dal 1952, decise di abbandonare la lotta armata per intraprendere e guidare quella della resistenza passiva, con il coinvolgimento della popolazione: strategia, quest’ultima, destinata però a non sortire alcun risultato pratico. Ormai incapaci di reggere il confronto con le preponderanti forze sovietiche e con il radicale cambiamento socio-economico imposto dai russi al paese, la maggior parte dei gruppi si adeguò quindi al programma del LKS, anche se alcune bande continuarono la lotta armata. Secondo fonti sovietiche, gli ultimi gruppi partigiani combattenti vennero neutralizzati dalle forze di polizia nel 1955. Anche se è del 1952 l’ultimo rilevante episodio bellico, al termine del quale Alfonsas Ramanauskas (detto Vanagas), l’ultimo comandante della LKS, fu costretto ad arrendersi.
Monumento ai martiri della Resistenza lituana antisovietica.
Complessivamente, tra la fine del 1944 e il 1953, il movimento lituano ebbe dai 25 ai 30.000 caduti, per non contare i feriti e i prigionieri poi trasferiti nei campi di concentramento siberiani. Pesanti, ma non esattamente quantificabili (si parla di almeno 20.000 tra morti e feriti), risultarono anche le perdite inflitte dai partigiani alle milizie governative e alle forze di occupazione sovietiche. Va infine ricordato che, anche dopo la totale scomparsa del movimento di resistenza armato lituano, in Lituania si verificarono diversi, drammatici ma inutili episodi di resistenza passiva da parte della popolazione nei confronti di Mosca; iniziative che culminarono molti anni più tardi, nel maggio 1972, a Vilnius, nella grande manifestazione di piazza nel corso della quale lo studente Romas Kalanta, seguendo l’esempio dei monaci vietnamiti, si cosparse di benzina e si diede fuoco in nome della “libertà per la Lituania”.
* * *
Tra il 1945 e il 1947, alcuni ufficiali polacchi, sfuggiti alla repressione scatenata dal nuovo governo filosovietico di Varsavia contro gli ex-appartenenti all’esercito fedele al governo in esilio a Londra, sconfinarono in Lituania per combattere al fianco dei ribelli. Dopo la presa di potere dei comunisti, il nuovo esecutivo polacco aveva infatti avviato una vasta epurazione all’interno delle forze armate per eliminare tutti i soggetti ritenuti “politicamente inaffidabili”. Ed oltre a ciò, le forze speciali della NKVD provvidero a liquidare i leader e i membri delle organizzazioni patriottiche che, durante la Seconda Guerra Mondiale, erano rimaste fedeli al legittimo governo polacco in esilio in Gran Bretagna.
Fino a dopo le elezioni politiche del 1947, alcuni gruppi di militari polacchi anticomunisti effettuarono alcuni attentati contro sedi di partito e caserme sovietiche, attivando nel contempo contatti con i servizi segreti occidentali. Tra il 1949 e la fine del 1952, la CIA effettuerà, infatti, alcune missioni di aviolancio di agenti polacchi con lo scopo di verificare la reale esistenza di gruppi organizzati anticomunisti, tra cui l’organizzazione WiN. Nel 1952, il KGB riuscirà però a sventare la minaccia, favorendo la cattura di tutti gli agenti paracadutati e dei loro apparecchi radio che verranno utilizzati dai russi per trasmettere ai centri di ascolto statunitensi della Germania Occidentale una notevole quantità di false notizie. (4)
Note Lituania:
(1)L’11 novembre e il 22 dicembre 1944, tre aerei da trasporto provenienti dalla Germania, lanciarono nel distretto di Panevezys tre gruppi di paracadutisti lituani addestrati alla guerriglia da ufficiali tedeschi e al comando dei tenenti A. Silas, V. Jazokas e S. Girdziunas. Successivamente, queste tre unità andarono a formare il nucleo del 3° Comando della LLA operante nel nord del paese.
(2)Alcuni storici ritengono che, tra il 1944 e il 1954 non meno di 135.000 lituani abbiano imbracciato le armi o abbiano contribuito in altri modi a combattere i sovietici e il regime comunista. Secondo le stime più realistiche nel periodo in questione sarebbero stati circa 4.000 i partigiani caduti in combattimento, mentre altri 10.000 sarebbero stati feriti. Contrariamente a quanto accadde in Estonia e Lettonia, tra il 1941 e il 1944 la stragrande maggioranza il popolo lituano non fornì mai alla Wehrmacht o alle SS un alto numero di volontari o “collaboratori”. Ciononostante, secondo fonti attendibili si ritiene che, tra il 1941 e il 1945, circa 50.000 lituani (cifra tutt’altro che disprezzabile) prestarono servizio in vari modi a fianco o nell’esercito tedesco. Inizialmente, la maggioranza di questi volontari risultò composta da disertori della 29a Divisione di fanteria leggera sovietica (un’unità che nel 1940 i russi, durante la prima occupazione del paese, avevano formato in loco).
(3)Tra il 7 e il 9 luglio 1948, a Baden-Baden (Germania Ovest) si svolse un importante incontro tra gli esponenti del VLIK (il Comitato Supremo per l’Indipendenza della Lituania) ed emissari del Movimento di Resistenza Lituano. Al meeting parteciparono il professor J. Kaminskas, l’accademico Mykolas Krupavicius; Juozas Brazaitis, Vaclovas Sidzikauskas, Jozas Lukša, Jonas Deksnys e, come osservatore, Jonas Pajaujis. Nel corso della riunione fu deciso che le attività partigiane lituane avrebbero dovuto essere dirette da un’unica struttura e che tutte le attività al di fuori del paese sarebbero state coordinate dal VLIK. Il 1° agosto 1948, Desknys decise inoltre di abolire la delegazione all’estero del Movimento Generale Democratico di Resistenza (BDPS) formatasi in precedenza, fondando successivamente il Consiglio di Resistenza Lituano (LRS), organo che aspirava a rappresentare all’estero gli interessi della resistenza.
(4) La WiN (Wolnosc I Niepodleglosc, Libertà e Indipendenza), organizzazione polacca fondata all’inizio di settembre del 1945, contava, alla fine dello stesso anno, circa 30.000 membri. La WiN si caratterizzò per il fatto di essere totalmente autonoma e distaccata dal governo polacco in esilio, a tal punto che il generale Tadeusz Komorowski arrivò ad ordinarne lo scioglimento. La WiN rappresentò il tentativo di trasformare un semplice strumento militare clandestino in un movimento di più ampie dimensioni e tale da coinvolgere larghi strati della popolazione, ma il suo destino fu però quello di essere schiacciata dalla reazione comunista e sovietica Occore ricordare che, tra la seconda metà del 1944 e l’inizio del 1950, oltre alla WiN, altri raggruppamenti polacchi tentarono di reagire alla rapida sovietizzazione del paese, imboccando la strada della guerriglia. Secondo i superstiti del movimento polacco anticomunista si trattò di una guerra “sotterranea, ma condotta su vasta scala e con grande ferocia da entrambe le parti”. Ad indurre molti giovani polacchi ad unirsi ai gruppi partigiani “bianchi” fu l’atteggiamento estremamente vessatorio e violento manifestato subito dopo la fine della guerra dal partito marxista spalleggiato da Mosca contro la popolazione contadina e la chiesa cattolica. Nel gennaio 1947, poco prima delle elezioni politiche, circa 60.000 tra membri e iscritti del Partito Contadino Polacco vennero infatti arrestati per impedire ad essi di svolgere propaganda e di votare. Vinte le consultazioni “farsa”, il nuovo esecutivo, totalmente dominato dai comunisti, instaurò un regime di modello moscovita, scatenando nel contempo una serie di pesanti offensive militari contro le “bande reazionarie e fasciste” e contro la popolazione, anche attraverso massicce deportazioni. E in questo contesto si inserisce l’Operazione WISLA, nome in codice di una gigantesca e mostruosa retata, decretata con tanto di legge apposita dal consiglio dei ministri polacco il 24 aprile 1947. L’Operazione WISLA, attuata tra il 28 aprile e il 31 luglio 1947, dalla polizia polacca e sovietica, portò alla deportazione di 150.000 ucraini dalle loro terre di origine (le regioni di Lemki, Sian e Kholm nella Polonia sud-orientale) verso i territori polacchi riacquisiti dalla Germania. Ufficialmente lo scopo dell’Operazione Wisla era quello di neutralizzare le unità ribelli attive nella regione di Lemko, privandole del sostegno popolare.
In seguito ad altre deportazioni, nel 1948, le forze regolari polacche riuscirono ad isolare e indebolire gravemente tutto il movimento partigiano (in questa data il governo di Varsavia, con il fattivo contributo di quello moscovita, fece deportare in Siberia 50.000 tra ribelli e semplici cittadini). Con un impeto di orgoglio, i residui gruppi di combattenti tentarono di reagire, contrattaccando ed ottenendo anche qualche importante successo militare (tra il 1945 e il 1950, le forze di polizia e le truppe governative polacche e quelle russe accuseranno 5.000 tra morti e feriti) e operando talvolta di concerto con i loro ex-nemici, cioè con i guerriglieri ucraini. Nelle regioni orientali della Polonia e in quelle di confine con la Cecoslovacchia, circa 3.000 militari polacchi e russi verranno infatti eliminati dalle formazioni dell’UPA che, il 28 marzo 1947, avevano assassinato il vice-ministro della Difesa polacco, generale Karol Swierczewski. Agli inizi del 1950, in seguito alla mobilitazione di intere divisioni dell’esercito di Varsavia e di Mosca, le ultime bande polacche furono però costrette a deporre le armi. Sei anni più tardi (giugno 1956), a Posnan, il popolo polacco tentò di ribellarsi alle autorità di Varsavia, ma questo tentativo venne soffocato nel sangue.
Bibliografia:
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- Paul Carrel, Operazione Barbarossa – 21 giugno 1941/18 novembre 1942, primo e secondo volume, Edizioni BUR RCS Libri, Milano, 2000
- Gershon Shapiro, Under Fire: Stories of Jewish Heroes of the Soviet Union, Publisher Yad Vashem Publications, Tel Aviv, 1982
- Von Rauch, Georg; Gli Stati Baltici: Gli Anni dell’Indipendenza, 1917-1940 (1996)
- W. Averell Harriman e Ellie Abel, Special Envoy to Churchill and Stalin, 1941-1946, New York, 1975
- T. Oleszczuk, Political Justice in the Soviet Union: Dissent and Repression in Lithuania, 1988
- Peter Grose. Operation Rollback: America’s Secret War Behind the Ir’n Curtain. Boston, Houghton Mifflin Company, 2000
- Alfred Bilmanis, History of Latvia, Princeton University Press, 1951
- William L. Shirer, The Rise and Fall of The Third Reich, New York, 1962
- Juozas, Pseud. Daumantas, Juozas L. Daumantas, Fighters for Freedom: Lithuanian Partisans Versus the U.S.S.R, 1944-1947, Manylands Books; 2nd edition, 1975
- I.Kavass, A.Sprudzs, Baltic States: A Study of Their Origin and National Development; Their Seizure and Incorporation into the U.S.S.R., U.S. House of Representatives, 83rd Congress, 3rd Interim Report of the Select Committee on Communist Aggression, 1954 (Wm.S.Hein & Co., Inc., Buffalo, N.Y., reprinted in 1972).
- Archives of the Soviet Communist Party and Soviet State. Parte del materiale è stato tratto dall’Archivio di Stato della Federazione Russa (GARF) creato nell’aprile 1992 dall’Archivio della rivoluzione d’Ottobre (TsGAOR SSSR) e dall’Archivio Centrale del RSFSR contenente a sua volta documenti del Commissariato del Popolo per gli Affari Interni (NKVD).
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