John Maynard Keynes e Francesco Saverio Nitti: due oracoli  inascoltati? Di Giuseppe Moscatt.

Keynes (primo a sinistra) in occasione del Anglo-American agreement del 1945.

1. Il contesto storico: (1911-1925).

Evidenti limiti di spazio non consentono di esaminare le complesse biografie dei due economisti del ‘900 citati e che quindi tratteremo solo per circa un quarto di secolo. Ciò che li accomuna è la fulminea ed incontrovertibile previsione del Secondo Conflitto Mondiale già dopo Versailles (1919), da dove lanciarono un grido d’allarme inascoltato, tentando di illuminare i governi italiano ed inglese sui gravi errori di valutazione politica e sociale connessi in occasione del Trattato di Pace di Versailles, dove entrambi parteciparono da osservatori senza potere già durane i lavori dalla conferenza. Per Nitti,  è opportuno un breve passo indietro. 1905: nel suo saggio La conquista della forza, Nitti si era dedicato alla soluzione di ricercare risorse alternative all’energia da miniera – ferro e carbone – di cui l’Italia aveva bisogno per rilanciare il settore industriale di cui mostrava forti carenze rispetto agli altri Paesi Europei. Propose, ma con scarsa attenzione politica, la fonte idrica ed anzi suggerì la nazionalizzazione del settore idroelettrico. Una brillante prospettazione derivata dall’esperienza di economista del territorio di cui era originario – la Puglia – che solo Giolitti veramente apprezzò. Questi nel marzo del 1911 era ritornato al governo, dopo una breve parentesi del suo sodale Luzzatti, succedutogli temporaneamente come suo naturale portaborse, benché la sua idea di coprire le spese per incrementare pubblicamente la Marina Mercantile con una tasse progressiva sui redditi e le successioni non piacesse né alla destra estrema di Sonnino né  ai radicali ed ai socialisti moderati di Turati e Bissolati, le due ali che a corrente alternata  gli avevano permesso governare per più di un decennio. Per un anno, confidando nell’abilità del Luzzatti, fine ragioniere, Giolitti riuscì a risparmiare dai fondi per coprire il debito pubblico e dunque tornato al potere, sentite le potenze europee tornate in pace dopo la spartizione del Marocco; l’Italia dichiara guerra alla Turchia e comincia ad occupare le coste della Libia (29 settembre) ed il 5 novembre dichiara l’annessione della Tripolitania e della Cirenaica. Solo che il malessere sociale covava: stornata l’attenzione delle masse popolari verso una nuova quarta regione da colonizzare, ma ancora da conquistare perché le tribù interne resistevano più del previsto; l’invidia della Francia e dell’Inghilterra premeva contro l’Italia accampando una politica invasiva fatta di eccidi e massacri delle popolazioni locali fedelissime alla dominazione turca. Ed il giovane F.S. Nitti, radicale e democratico, scrutava dietro alla polemica accesa dal socialista Salvemini, contrario all’influsso politico della collaudata classe di redditieri meridionali da tempo abituata a sostenere l’esercizio del potere attraverso la corruzione. La ricerca di una colonia idonea a contenere il fermento rivoluzionario nelle campagne distraeva il consenso negativo di quelle aree costrette ad emigrare nei paesi esteri d’oltreoceano con naturali conflittualità sociali. Il pupillo Nitti, di fede liberale e democratica, già nel 1910 aveva segnalato queste criticità come limiti allo sviluppo del Sud ed aveva fra l’altro promosso una riforma delle scuole in senso agrario, perché aveva notato che la principale causa di sofferenze delle famiglie dell’agro lucano era la poca istruzione e la scarsa cultura agricola del territorio. Di qui le predette considerazioni energetiche, accolte dal Giolitti, che lo volle nel 1911 Ministro dall’agricoltura, industria e commercio, nonché fautore della istruzione elementare riservata completamente allo Stato e dell’adozione di programmi scolastici agrari. Non tanto diversa era la situazione storica della Gran Bretagna di Keynes dal lato politico e sociale. L’approvazione da parte del Parlamento Britannico di due misure normative – il sussidio di disoccupazione e l’assicurazione contro le malattie e gli infortuni sul lavoro – impediranno i frequenti scioperi di minatori e seguirà a breve anche la legge sul minimo salariale. Il giovane Keynes – figlio di famiglia alto borghese come lo stesso Nitti, peraltro meno bohémien dell’inglese e più sobrio di costumi, ma solo in gioventù – si distingue nello stesso anno invece per un tema legato al suo primo impiego di assistente di economia alla London School of Economics: rifacendosi al modello coloniale indiano, formula la tesi del valore delle monete definito sulla base del peso dell’oro ad esso convertibili presso ciascuna delle rispettive Banche Centrali emittenti. Sarà il precedente degli accordi monetari di Bretton Woods del 1944, dove il dollaro diverrà di fatto la moneta mondiale per quasi 30 anni. Indicazione, che fa già di Keynes un maestro dell’economia, in armonia al pensiero classico di Smith e Marx, che vedevano nel processo accumulativo della moneta, dell’interesse e dell’investimento il motore del Capitalismo buono, cioè del risparmio monetario. Il suo esempio del vignaiolo, non a caso un personaggio legato al mondo dell’agricoltura di Nitti, appare ancora calzante: il predetto produttore ha una scelta dopo la vendemmia: o vendere subito l’uva e pagare operai, i mezzi tecnici acquistati e le banche mutuanti il denaro col relativo interesse; oppure farlo fermentare e venderlo come vino, con una prospettiva di maggiore profitto, specie se dopo l’imbottigliamento il vino sarà più buono. Qui interviene la lunghezza del tempo d’attesa che si dovrà commisurare al prezzo dell’interesse da pagare per ogni spesa legata ai fattori produttivi. L’investimento poi dipende anche dalle fluttuazioni della moneta da restituire. Dunque, per parare anche tale incognita, ecco la sua soluzione di ancorare il valore della moneta ad una moneta generale, il dollaro e l’oro al Paese che la emette, cioè rallentare e contenere le fluttuazioni della moneta ancorate a termini più oggettivi di prevedibilità! Teoria che già prima della guerra lo rende famoso e che indurrà Lloyd George – capo della delegazione inglese a Versailles nel 1919 –  a portarlo con sè sia pure come semplice osservatore.

Francesco Saverio Nitti.

2. Le conseguenze economiche della pace (1919) e la Pace (1925). Il pensiero dominante e le aporie nascoste.

Intanto, il gruppo Nitti entra nel gruppo radicale alla Camera assieme a Vittorio Emanuele Orlando e comincia a dissentire contro Giolitti, anche se gli vanno attribuite iniziative idroelettriche e zootecniche molto interessanti: per esempio, la sistemazione idraulica della diga di Muro Lucano che diede la luce autonoma ad imprese locali; oppure la fondazione dell’Istituto zootecnico a Biella, palestra necessaria per studi e ricerche universitarie e nazionali e perfino anglosassoni, visto che il diario di Keynes lo cita nelle sue applicazioni. Senza contare che Walther Rathenau, erede della CGE tedesca, non poche volte commissionò indagini scientifiche a tale istituzione. Ma il volto innovatore ed umanitario di Nitti emerge nel 1917, quando proprio il Partito Radicale di Orlando succede al conservatore Salandra, dimissionario dopo la strage dei militari italiani che a fortissimo prezzo di vite respinse a stento la controffensiva austriaca del maggio 1916, in adesione al piano del Generalissimo Cadorna che mandò superficialmente migliaia di soldati a riprendere l’Asiago caduta in mano austriaca. Sappiamo che il Governo Orlando gli affidò il ministero del Tesoro per contenere le spese di guerra, creando anche una polizza gratuita d’assicurazione di 500 lire per i soldati e di 1000 per i graduati. Qui emergeva la singolarità del personaggio: l’amore per il contadino in armi del sud ed il rispetto dal milite, condiviso nettamente dal Diaz, nuovo capo di stato maggiore, la cui vicinanza al combattente fu riconosciuta la principale causa della Vittoria del 1918. Ancora: Nitti fondò l’Opera Nazionale Combattenti, organo che non solo provvedeva alla categoria degli ex militari fornendo assistenza economica e morale (1917), ma anche da Capo del Governo dopo il ritiro di Orlando, promulgò la prima legge in Europa per la pensione ai mutilati ed agli invalidi di guerra, che l’inglese Beveridge – capo dei Laburisti inglesi – giudicò la migliore d’Europa. Ma il citato saggio di Keynes produsse   un certo effetto nel sistema finanziario italiano: infatti, si istituì nel 1917, l’Istituto Nazionale per i Cambi con l’Estero, al fine di limitare la speculazione e la relativa crisi finanziaria già nel 1918. Successe al governo appunto all’Orlando, la cui condotta maldestra a Versailles gli alienò una sfiducia bipartisan da destra a sinistra sul caso di Fiume. Nitti tentò allora invano di captare il consenso degli ex combattenti e di facilitare loro la concessione di proprietà delle terre incolte, anche se appartenenti ai latifondisti del Sud. I profondi contrasti col mondo operaio (il c.d. biennio rosso), la reazione degli agrari latifondisti, il risentimento degli ex combattenti divisosi dall’Opera Nazionale combattente in una formazione spiccatamente socialisteggiante, cioé l’associazione nazionale combattenti; furono circostanze che, insieme alla mancanza di iniziative incisive per riacquisire Fiume e la Dalmazia occupate dal Regno di Jugoslavia favorito dalle Potenze occidentali; furono gli ostacoli che non gli permisero di governare più a lungo. Malgrado la riforma elettorale proporzionale da lui voluta nel 1919, che produsse una maggiore rappresentanza popolare e socialista alla Camera, nel 1920 decadde dal Governo per aver respinto una proposta di legge socialista che voleva la continuazione del prezzo politico del pane, da Lui stesso favorito, ma poi non più ribassato per esigenze di pareggio del Bilancio. Da allora, chiuso in uno sdegnato silenzio, sarà uno dei pochi politici che dal 22 ottobre del 1922 farà una seria opposizione a Mussolini ed al Fascismo, fino a fuggire in Francia nel 1925, dopo un vile attentato alla sua abitazione romana. Stabilitosi a Parigi, ricevette per più di un ventennio tutti gli esuli italiani e manifestò ogni sorta di critiche al Regime. Nello stesso periodo, Keynes, anch’egli nondimeno disilluso dalle norme del Trattato di Versailles e dagli altri Trattati di Pace connessi, scriverà il saggio di politica economica forse più importante del ‘900, Le conseguenze economiche della Pace, dove mise in luce la sua strategia finanziaria di lungo periodo, sottolineando come i 4 Grandi ben noti difettarono di una visione unitaria e che invece mostrarono tattiche idealistiche fuori dalla realtà (Wilson); un doppiogiochismo del George più interessato ad acquisire colonie e mercati che il bene comune; la tracotanza ritorsiva di Clemenceau e la debolezza ed il vittimismo di Orlando. Caratteristiche che lo stesso Nitti aveva rimproverato al suo capo di Governo  quando questi ritornò a Roma il 23 maggio del 1919, interrompendo teatralmente la partecipazione dell’Italia, più cedendo alla piazza di D’annunzio che non assumendo una condotta responsabile, magari attivandosi direttamente per qualche compromesso con la Jugoslavia per Fiume e la Dalmazia. E poi, nel mirino di Keynes fu Wilson, il principale autore dei danni successivi e collaterali che l’adozione integrale dei suoi 14 punti produrrà nel continente già dopo qualche anno dalla firma del Trattato con la Germania (7.5.1919). Infatti la durezza delle condizioni di riparazione della Germania alla Francia, indusse il governo conservatore di Poincaré alla occupazione del bacino carbonifero della Ruhr, con la giustificazione che la Germania non aveva consegnato alla Francia per tempo 21 mila metri cubi di legno in tronchi e varie tonnellate di carbone (11.1.1923). Operazione militare che l’economista inglese aveva presagito nel saggio, quando appunto aveva sottolineato le difficoltà del Paese vinto a soddisfare la pretesa del vincitore. E questo era anche frutto di un progetto di pacificazione senza venire a patti, un guanto di sfida che Clemenceau e lo stesso Poincaré avevano lanciato senza pensare che la pace perpetua del nullo Wilson così sarebbe durata lo spazio di un mattino. Francia contro Germania; Italia contro Jugoslavia; Gran Bretagna a muso duro con l’Unione Sovietica ed alquanto critica della Francia per la questione coloniale; un periodo per l’Europa non certamente di Pace che sarebbe sicuramente terminato in una seconda mondiale altrettanto disastrosa. Scriveva profeticamente proprio il Keynes a conclusione del saggio: In questa fine estate dal 1919, quando mi accingo a chiudere queste mie note, devo dire che l’autunno dei nostri pensieri coincide con un futuro incerto. Cinque anni di dolori e sofferenze non sembrano cessare. C’è ancora quella sensazione di impossibilità e di sonnambulismo rilevata all’inizio della Guerra. I grandi eventi imprevisti, le circostanze derivate da tali leggerezze, non ci consentono di sperare in una soluzione più opportuna di quanto deliberato (traduzione dall’originale). E Nitti, nel suo analogo saggio La pace, aggiungeva a proposito dei fatti della Ruhr: Si apriva una crisi mondiale con precedenti così miserabili che solo un cinismo più inverecondo poteva giustificare… l’occupazione della Ruhr era un atto di pirateria internazionale senza precedenti, purtroppo derivato dalla inettitudine americana, dalla complicità inglese, dall’unilateralismo miope italiano e soprattutto dal revanscismo francese... La Ruhr fu la prima tappa del programma del ferro e del carbone che i padroni della siderurgia misero sulla bocca della stampa per solleticare l’imperialismo francese e per influenzare l’animo popolare nazionalista. Il suo pensiero andava alla analoga azione distorsiva e subdola dell’industria italiana che spingeva al parossismo nazionalista di D’annunzio e di Mussolini, mascherata appunto dal mito suggestivo della Vittoria mutilata, specchietto per le allodole delle grandi cordate industriali che sognavano di espandersi sui mercati balcanici.

John Maynard Keynes con la sua consorte.

3. Perché non furono ascoltati?

Del resto, Keynes, da esperto funzionario del tesoro inglese per le questioni economiche, aveva più volte espresso un parere di magnanimità, cioè di non aggravare le possibilità dei tedeschi di riparare  e che era molto più importante la questione finanziaria rispetto alla querelle dei confini. Si direbbe oggi che primaria era la questione della ripresa economica piuttosto che quella geopolitica, ovvero la crisi del sistema monetario ed arrestare l’inflazione galoppante. Quando nel dicembre del ’20 e nel ’21 i disoccupati inglesi raggiunsero 2 milioni, la reazione del pensiero del Keynes fu al culmine: stare piuttosto dalla parte di chi come il Rathenau si era aperto all’URSS affinché l’entrata in quel Mercato poteva aumentare la discesa dell’inflazione e quindi contenere la disoccupazione.  Ma non fu ben visto dal Times e dalla corrente conservatrice. Gli scioperi generali di quel biennio, legati all’alleanza sindacale  fra minatori e lavoratori dei trasporti per aumentare i salari e per regolare gli extraprofitti, videro la sua approvazione, non perché fosse filosocialista ed amico dei Bolscevichi, ma perché rivelava lungimiranze in politica economica, in quanto ancora non prevaleva la sua tesi macroeconomica della crescita della produzione da destinare al mercato estero come barriera dell’inflazione. Purtroppo, il Governo Conservatore inglese emise il famoso Emercency Powers Act, che per coprire i mancati profitti connessi agli scioperi richiamerà in servizio gli ex reduci. Misura che colpì la speranza di un aumento dei salari e non produsse alcun miglioramento del sistema. Conflitti economici che Archibald Cronin, nel suo romanzo E le stelle stanno a guardare, mostrò in tutto la sua virulenza sociale. Sia come sia, malgrado una certa accettazione delle sue rivoluzionarie idee che anche Churchill negli anni ’20,  non ebbe un seguito politico immediato.  Ma  l’avere plaudito alla Germania per la scelta sulla questione di intraprendere rapporti con i Bolscevichi e di avere insistito sulla questione geopolitica della  Ruhr, gli fu riconosciuto positivamente proprio dal Nitti. Lettore entusiasta delle Conseguenze, l’economista di Melfi, nelle sue pubblicazioni fra il 1920 ed il 1921, ne difese lo spirito ricostruttivo per il futuro dell’Europa. In ciò sta la croce e la delizia pensiero di Nitti. La sua antipatia per la Siderurgia, che per effetto della vicenda Ruhr era diventato obiettivo assoluto dell’economia francese, dietro la maschera della caccia alle riparazioni tedesche. I nuovi Trattati – proseguiva il Nitti – avevano sconvolto tutti i popoli, violato la solidarietà economica ed avevano reso instabile quel poco di unitario che l’Europa aveva creato dopo il Congresso di Vienna, il ’48 e l’unificazione dell’Italia e della Germania fra il 1861 ed il 1871. Il male che Nitti intravedeva era il Fascismo, la cui ideologia totalitarista insidiava la democrazia liberale,  senza contare che la tendenza autoritaria imponeva dazi ed ingiuste restituzioni ai Paesi vinti, con maggioranze politiche al servizio di interessi di parte ed a passioni militariste. Solo dopo la caduta di Clemenceau e di Poincaré, dopo le elezioni del 1924, nacquero i cartelli radicalsocialisti che invece perseguivano programmi economici a favore delle classi colpite da sbalzi inflazionistici causate dalle politiche protezioniste, con risentimento nazionalistico in Italia ed in Germania. Nitti alla fine  prefigurò proprio questo percorso fino al suo culmine nel 1939-1940. In realtà, le due Cassandre avevano messo il dito nella piaga: la Francia conservatrice, invece di chiedere a tamburo battente le famose riparazioni esosissime per i contribuenti tedeschi, occultamente resistevano per avere il monopolio del ferro e del carbone al fine di preparare un Secondo Conflitto Mondiale. Un imperialismo francese che non faceva bene alla Pace come si era presto visto, e come anche avvenne nel luglio del 1923 quando Mussolini ordinò alla Regia Marina di iniziare i preparativi per l’occupazione di Corfù, primo episodio di un parallelo imperialismo fra poco più evidente. Se i conservatori inglesi di Bonar Law temettero l’aumento dell’inflazione operando una politica deflattiva svalutando ogni politica monetarista e tacendo sulle iniziative di politica antiprotezioniste aperte al commercio estero; se la Francia di Poincaré attaccava il Bacino della Ruhr a conferma del suo imperialismo; allora il messaggio comune di Nitti e Keynes ci pare che andasse al di là della semplicistica risoluzione sui limiti della Pace di Bruxelles. Ciò portò anche alle osservazioni di chi ha sostenuto che i governi democratici – che proprio Mussolini disprezzava come Plutocratici – preferirono una certa crescita dell’inflazione  – e della svalutazione del marco – piuttosto che tassare i Capitali di guerra – i cc. dd. pescecani di Brecht – e lasciare in miseria i piccoli risparmiatori, gli operai e gli impiegati teutonici, il futuro elettorato nazista. Politica protezionista che Stresemann non poté mantenere  negli anni migliori di Weimar – 1924/1929 – e che generò un effimero ritorno a monopoli industriali anteriori al 1914 e che fu anche un ulteriore trampolino di lancio per il Nazismo. Insomma, gli Storici attuali dovrebbero rileggere gli scritti di Keynes e Nitti per riuscire a comprendere soprattutto le fila del tempo attuale. Vicenda che pare ripetersi alla luce del Rapporto Draghi, consegnato dall’illustre economista ai primi dello scorso settembre. In sintesi, si afferma che l’Unione Europea dovrebbe riacquisire le quote di reddito e di competitività raggiunte dai Paesi emergenti extraeuropei; lottare per la sua sopravvivenza, minacciata da una profonda crisi demografica e necessita di passare da un Sistema politico-istituzionale confederale ad una Nazione Federale, dove dovrebbe  governare una Commissione Costituzionale Sovraordinata per le materie essenziali, quali l’energia, la difesa, l’industria sostenibile ed il mondo dei diritti civili, dal Welfare alla tutela ed al rafforzamento delle Uguaglianze. Un libro dei sogni, come quelli di Keynes e Nitti? Un nuovo caso di Sindrome di Cassandra? All’Europa del dopo Maastricht e di Lisbona l’ardua sentenza.

Bibliografia:

Per il contesto storico legato alla conferenza di pace di Versailles, vd. SERGIO ROMANO, Disegno storico della storia d’Europa dal 1789 al 1989, ed. Longanesi, Milano, 1991 e GIULIANO PROCACCI, Storia degli Italiani, volume secondo, Bari, 1983. nonché da ultimo, FRANCO CARDINI e SERGIO VALZANIA, La pace mancata. La conferenza di Parigi e le conseguenze, Mondadori, Milano, 1919.

Sulle persone di Keynes e Nitti, cfr. per il primo ALAIN MINC, Diavolo di un Keynes. Una vita di John Maynard Keynes, Utet, Torino, 1984 e vd. altresì atti del Convegno dal 6.6.2024, in margine alla presentazione del volume di MASSIMO CROSTI, Nitti interprete del Novecento, Editoriale Scientifica, Napoli, 2024.

Quanto alle due opere a confronto nel testo, vd. Le conseguenze economiche della pace, 1° ed. in Italiano, F.lli Treves, Milano, 1920 e La pace, ed. tipografia sociale di Pinerolo, a cura di  PIERO GOBETTI, Torino, 1925.

Sulle considerazioni storiografiche dei tedeschi che reagirono col favorire l’ascesa del Partito Nazionalsocialista alle versioni anglo-francesi, vd. GOLO MANN, Storia della Germania moderna, 1789-1958, ed. Garzanti, 1978.

Per l’Italia, in parallelo alle considerazioni di Mann, vd. ANGELO TASCA, Nascita ed avvento del Fascismo, a cura dei a cura di ANTONO SCURATI, ed. Corriere della sera, 2021.

Inoltre, vanno citati alcuni racconti e romanzi europei che  trattano le condizioni sociali  ed economiche dei Paesi coinvolti negli anni immediatamente dopo la fine del 1° Conflitto mondiale: di GIUSEPPE ANTONIO BORGESE, Rubè, ultima ed. Bites, 1923; di VIRGINIA WOOLF, La Signora Dalloway in Bond Street ed altri racconti, Newton Compton Editori, 1955; di JEAN PAUL SARTRE, Infanzia di un capo, all’interno della raccolta di racconti, Il muro, Einaudi, Torino, 1947 e di HANS FALLADA, E adesso pover’uomo?,ed. Italiana Sellerio, Palermo,a cura di Mario Rubino.

Infine sul recentissimo rapporto Draghi, vd. lavoce.info del 13.9.2024 perché Il rapporto Draghi non è un libro dei sogni. a cura di Massimo Bordignon.

Lascia il primo commento

Lascia un commento