Henry Lewis Stimson (1867-1950), un nome che fuori dagli Stati Uniti non dice nulla ai più e, probabilmente, anche nel suo Paese probabilmente dev’essere noto solo agli esperti di storia e geopolitica. Eppure Stimson fu una di quelle persone che con la sua opera e le sue opinioni contribuì a plasmare il futuro del mondo. Vediamo come.
Stimson nacque in una famiglia dell’alta borghesia di Manhattan, quindi nel centro di New York, nel 1867, quando la sua Nazione aveva ancora il sangue che usciva dalle ferite della quasi fatale Guerra di Secessione. La sua gioventù, pertanto, coincise più o meno con le cosiddette Era della Ricostruzione ed Era Dorata (quest’ultimo aggettivo avente nell’inglese Gilded un senso sarcastico, viste le contraddizioni del periodo). Per gli Stati Uniti si trattò degli anni in cui, superata la tremenda prova della Guerra Civile, il “bambino crebbe” in termini economici, demografici e sociali, al punto di trovarsi ad essere quasi per caso una delle maggiori potenze mondiali.
La gioventù di Stimson seguì un percorso simile a quello del suo Paese. Sebbene afflitto dalla perdita della madre a soli nove anni, il nostro non sprecò la fortuna di essere il rampollo di una famiglia facoltosa. Si diplomò a Yale e si laureò in legge ad Harvard. Questi prestigiosi titoli di studio ed il matrimonio con una discendente dei Padri Pellegrini gli aprirono le porte della leadership. Dopo l’indispensabile gavetta il Presidente Theodore Roosevelt (1858-1919), un repubblicano dell’ala progressista, quindi sui generis, lo nominò Procuratore per il Distretto Meridionale di New York. In tale veste Stimson seguì la politica presidenziale di perseguire i grandi monopoli economici.
Nel 1910 venne sconfitto dal candidato democratico nella corsa a Governatore dello Stato di New York, ma ormai la leadership repubblicana aveva deciso di investire su di lui. Pertanto quella che sarebbe potuta essere una sconfitta irrimediabile divenne, paradossalmente, un trampolino di lancio. Nel 1911 il Presidente Taft (1857-1930) nominò Stimson Segretario alla Guerra (oggi rinominato in modo più politicamente corretto Segretario alla Difesa). In tale incarico Stimson brillò, ma dovette lasciare il posto già nel 1913, a seguito della vittoria alle presidenziali del democratico Woodrow Wilson (1856-1924).
Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale Stimson iniziò ad esporre quell’idea di geopolitica che lo avrebbe contraddistinto per tutta la vita. Inizialmente favorevole alla neutralità, fu nondimeno convinto che questa possa essere mantenuta con sicurezza solo se si è in possesso di potenti forze armate che scoraggino qualunque aggressione. Inoltre in un Paese dai fortissimi sentimenti isolazionisti ed avente comunità a dir poco fredde verso la Gran Bretagna (in primis gli oriundi irlandesi, politicamente fortissimi nel Nordest e a Chicago) Stimson si spostò presto a favore del sostegno americano agli anglo-francesi. Risulta evidente quanto il nostro avesse già sviluppato quella preveggenza geopolitica che non lo avrebbe più abbandonato.
Il colonnello Henry Stimson, a destra. (Luglio 1918).
Tuttavia, fuori dai giochi dell’alta politica sotto la Presidenza Wilson, Stimson tentò la carriera militare, partecipando al conflitto mondiale e diventando colonnello d’artiglieria nel 1918 e generale di brigata nel 1922. In ogni caso, malgrado gli ottimi traguardi raggiunti anche nell’esercito, la carriera delle armi sarebbe stata solo una brillante parentesi nella sua vita.
Col ritorno del repubblicani alla Casa Bianca il Presidente Calvin Coolidge (1872-1933) decise di utilizzare le conoscenze di politica estera di Stimson. Pertanto nel 1927 prima lo inviò in Nicaragua, allora in piena guerra civile, poi lo nominò Governatore Generale delle Filippine, unica Nazione ad essere stata per breve tempo una sorta di colonia degli Stati Uniti. Nel Paese centroamericano Stimson contribuì al successo dei negoziati di pace e definì i nicaraguensi inadatti alle responsabilità dell’indipendenza ed ancor meno a quelle della democrazia. Per ragioni simili si oppose al processo di indipendenza delle Filippine. Tale processo, tuttavia, era già stato stabilito a monte dalla leadership statunitense e continuò con successo, al punto che durante la Seconda Guerra Mondiale le Filippine furono una delle regioni occupate dai giapponesi con più guerriglia a favore degli Stati Uniti e dove il collaborazionismo ebbe meno fortuna.
Il vero balzo di carriera arrivò nel 1929, quando il Presidente Repubblicano Hoover (1874-1964) lo nominò Segretario di Stato, che nella struttura governativa a stelle e strisce rappresenta il Ministro più importante, avente, tra l’altro, la gestione della politica estera.
Henry Stimson (1929).
La Presidenza Hoover è passata alla storia per essere stata una delle più sfortunate di sempre, infatti dopo appena un anno dal trionfo elettorale fu fatta a pezzi dall’improvvisa Grande Crisi del ’29, una devastante recessione che affondava le sue radici nell’iper spesa pubblica causata dalla Prima Guerra Mondiale. Eppure fu proprio in mezzo al disastro che avrebbe azzoppato i repubblicani per i successivi vent’anni che Stimson lasciò il suo primo, e ad oggi incancellato, segno nella storia.
Approfittando della crisi mondiale i giapponesi, nel 1931, invasero la Manciuria, regione settentrionale della Cina sotto il dominio di un signore della guerra che, malgrado una teorica fedeltà al Governo centrale, dominava come un satrapo l’immensa regione. Di fronte alle moderne forze armate nipponiche le milizie mancesi e le debolissime truppe cinesi non poterono far altro che ritirarsi e darsi alla guerriglia, mentre Tokyo proclamava l’indipendenza del Manchukuò, uno Stato fantoccio del Giappone. Con il mondo impegnato ad affrontare la terribile recessione economica la comunità internazionale non andò oltre alle proteste formali. Gli Stati Uniti, in particolare, erano indecisi sul da farsi. Fu Stimson che convinse l’Amministrazione Hoover a prendere una posizione che, per quanto limitata alla diplomazia, non facesse concessioni all’espansionismo nipponico. Tale posizione si basava sul principio legale “Ex injuria jus non oritur” (Il diritto non nasce dall’ingiustizia). Ne derivò la cosiddetta Dottrina Stimson, ovvero l’assunto secondo il quale gli USA non avrebbero mai riconosciuto un’annessione territoriale attuata con la forza delle armi o la creazione di uno Stato figlia della medesima procedura. Sebbene gli Stati Uniti non facessero parte della Società delle Nazioni il loro peso geopolitico era già tale che il consesso internazionale si associò alla posizione di Washington. In seguito la Dottrina Stimson venne adottata anche dall’ONU, l’organizzazione che prese il posto della Società delle Nazioni (Walters Francis Paul “History of the League of Nations”). Da ricordare che gli Stati Uniti, coerentemente con la Dottrina, non hanno mai riconosciuto l’annessione dei Paesi Baltici da parte dell’Unione Sovietica, al punto di dare il loro riconoscimento diplomatico ai tre Governi in esilio dal 1940, anno dell’occupazione comunista, al 1991, anno del crollo dell’URSS e di ritorno all’indipendenza di Estonia, Lettonia e Lituania. Risulta evidente quanto Stimson, con la sua Dottrina, abbia plasmato la diplomazia americana ed occidentale per almeno un secolo dal suo servizio.
Con l’inevitabile vittoria democratica alle presidenziali del 1932, poi riconfermata a valanga nel ’36, Stimson tornò un privato cittadino privo di incarichi pubblici. Ma il riposo sarebbe durato poco. Al crepuscolo degli anni Trenta appariva chiaro che una nuova tempesta stava per scatenarsi in Europa e quindi nel mondo. Inoltre nel 1938 il partito repubblicano, ridotto al lumicino nei precedenti sei anni, era risorto con un ottimo risultato alle elezioni congressuali di medio termine. Alla luce di questi fatti il discusso ma geniale Presidente Franklin Delano Roosevelt (1882-1945) nell’estate 1940 decise di inserire due repubblicani nel suo esecutivo: il Paese avrebbe affrontato la sfida mondiale con un Governo di unità nazionale.
La scelta cadde su Frank Knox (1874-1944), che divenne Segretario alla Marina, ed ovviamente su Stimson, che tornò Segretario alla Guerra. La decisione di affidare a costoro due dei più importanti dicasteri in tempo di guerra (che ormai appariva certa anche per i momentaneamente neutrali USA) rivela tutto il genio politico di Roosevelt. Non solo Knox e Stimson erano il meglio del partito repubblicano, ma negli anni precedenti si erano distinti come acerrimi oppositori delle politiche rooseveltiane, a cominciare dalla sterzata economica statalista e semi socialista del New Deal. Con Knox e Stimson nella stanza dei bottoni Roosevelt non solo imbarcava due cavalli di razza che avrebbero reso marina, esercito ed aviazione americane quelle formidabili entità che tanto contribuirono all’annientamento dell’Asse, ma accettava che il partito repubblicano condividesse le più segrete informazioni governative. I repubblicani, dal canto loro, dimostrarono la più totale lealtà al Presidente democratico fino alla fine della guerra.
In particolare la conferma di Stimson da parte del Senato (un passaggio costituzionalmente obbligatorio) fu salutata con gioia a Londra: il Regno Unito era nel pieno della terribile Darkest Hour ed il neo Segretario era noto per essere interventista da prima di Pearl Harbor e filo britannico da sempre. L’unica perplessità era l’età di Stimson, che al momento della nomina aveva 73 anni a fronte di un compito che si prospettava mastodontico. Ma Stimson dimostrò un’energia indomita. Con lui il riamo statunitense prese un nuovo ritmo e, dopo l’attacco giapponese e la dichiarazione di guerra tedesca ed italiana, si avverò la definizione di Churchill secondo cui “Gli Stati Uniti sono come una gigantesca caldaia, una volta accesi non c’è limite alla potenza che possono generare”.
In poco più di tre anni e mezzo di conflitto Stimson supervisionò l’arruolamento, l’addestramento e l’armamento di 13 milioni di soldati di terra e cielo, oltre che la gestione di ben il 30% della produzione industriale a stelle e strisce (Herman Arthur, “Freedom’s Forge: How American Business Produced Victory in World War II”). Un compito immane, che il Segretario svolse brillantemente con l’ausilio di una poderosa macchina amministrativa avente lui come apice.
Se l’influenza di Stimson si fosse limitata all’organizzazione della vittoria già sarebbe imponente, ma l’anziano repubblicano lasciò il segno anche in questioni più prettamente politiche che passarono anche dalla sua scrivania. Vediamone alcune. Inizialmente si oppose all’internamento di gran parte dei nippo-americani che vivevano ad ovest delle Montagne Rocciose, poiché ne colse subito dei vulnus giuridici di difficile giustificazione in una democrazia. Tuttavia la giustificazione arrivò quando emersero concreti elementi di sicurezza nazionale. Da sottolineare, inoltre, che nessun nippo-americano internato morì di fame o maltrattamenti e che per gli appartenenti a tale minoranza volendo era abbastanza facile dimostrare il proprio patriottismo americano, al punto che il 100° battaglione ed il 442° reggimento di fanteria, composti da soldati di etnia giapponese, si batterono con tale onore da essere ancor oggi i reparti con più decorazioni della storia dell’esercito statunitense.
Un’altra “grana” risolta in parte grazie all’intervento di Stimson fu la sorte del generale Patton (1885-1945) dopo il cosiddetto “Incidente degli schiaffi”. Durante la Campagna di Sicilia il vulcanico ma sbruffone generale prese a sberle due soldati ricoverati per stress da combattimento e febbre alta (uno aveva anche la malaria). Con uno arrivò ad estrarre la pistola minacciando di giustiziarlo. Ne seguirono dure proteste da parte del personale medico ed un caso mediatico che mise alla gogna Patton. Dimostrando che anche in guerra una democrazia non può assumere atteggiamenti da dittatura (in Giappone, Unione Sovietica ed in parte Germania la violenza sui sottoposti era la norma) molti in America chiesero la rimozione di Patton. Ma molti lo difesero, a cominciare dal Comandate Supremo Eisenhower (1890-1969), in virtù dell’effetto trascinatore che Patton dimostrava in battaglia. Ne seguì un compromesso in gran parte dovuto all’intervento di Stimson, che di fronte al Senato spiegò che il generale era importante per lo sforzo bellico alleato: Patton fu costretto a chiedere ufficialmente scusa e venne messo da parte per undici mesi, poi fu reintegrato come comandante d’armata in Francia.
Ben più “corposo” delle intemperanze di Patton fu il dibattito che si scatenò nell’Amministrazione Roosevelt riguardo al Piano Morgenthau, così chiamato in quanto partorito dal Segretario al Tesoro Henry Morgenthau. Tale piano tra le altre cose prevedeva la deindustrializzazione forzata della Germania dopo la guerra, con la distruzione sia degli impianti militari che civili, il lavoro forzato di centinaia di migliaia di tedeschi fuori dalla Germania e giustizia sommaria per qualunque tedesco sospettato di crimini di guerra o contro l’umanità. In seguito un’indagine dell’ex Presidente Hoover stabilì che tale piano avrebbe causato la morte per carestia di 25 milioni di tedeschi (UN Chronicle “A magazine for the United Nations”, www.un.org). Inizialmente Roosevelt appoggiò l’idea, ma a tale follia Stimson si oppose fin dall’inizio. Secondo il Segretario alla Guerra il parziale genocidio del popolo tedesco e la riduzione all’indigenza dei sopravvissuti sarebbero stati un errore incalcolabile, tanto per ragioni pratiche che morali. Dal punto di vista pratico la desertificazione della Germania avrebbe creato un buco nero nel cuore dell’Europa che avrebbe impoverito un intero continente già devastato dal conflitto. Questo ulteriore carico di morte avrebbe inevitabilmente portato i tedeschi sopravvissuti ad ascoltare le sirene della propaganda comunista, che notoriamente attecchisce solo dove regna la disperazione. Dal punto di vista morale, invece, un crimine di tale folle dimensione avrebbe distrutto di fronte alla storia la causa degli Alleati occidentali, che erano scesi in guerra anche per difendere la democrazia e la civiltà del Diritto: con il Piano Morgenthau l’Occidente si sarebbe messo alla pari del nazismo e del “fascismo” nipponico, che avevano fatto del genocidio uno dei loro pilastri (i crimini comunisti, già parzialmente noti ma sottaciuti per ovvie necessità belliche, sarebbero emersi appieno solo in seguito).
Le tesi di Stimson furono talmente convincenti che Roosevelt decise di soprassedere. Infine il Piano Morgenthau venne stralciato dal Presidente Harry Truman (1884-1972), che lo sostituì con il Piano Marshall, ovvero un immenso pacchetto di aiuti da 13,3 miliardi di dollari (equivalenti a 173,8 miliardi del 2024) con il quale tra il 1947 ed il 1952 gli Stati Uniti salvarono l’Europa occidentale dalla carestia e ne avviarono la ricostruzione postbellica.
Stimson si oppose anche alla giustizia sommaria. Da buon avvocato insistette che i criminali nazisti (e di conseguenza giapponesi) fossero processati pubblicamente. Ciò avrebbe mostrato ancor di più la vastità dei loro misfatti e palesato la differenza tra le dittature e le democrazie, con queste ultime che garantiscono a chiunque un giusto processo. Il risultato furono i Processi di Norimberga e di Tokyo. Sebbene tali procedimenti siano stati viziati dalle passioni del momento, dalla stortura dei vincitori che giudicano i vinti e quello di Norimberga anche dalla farsesca partecipazione sovietica (ovvero un genocida che ne accusa un altro) restano due fatti innegabili: da quel momento fu stabilito che per determinati crimini anche le leadership nazionali possono finire al capestro, e questo è un bene, e che i suddetti procedimenti, per quanto imperfetti, sono stati molto più equi dei processi farsa sovietici, di quello inscenato dai nazisti contro i collaboratori di von Stauffemberg o, per restare in Italia, del Processo di Verona.
Piano Marshall di ricostruzione al posto del Piano Morgenthau di genocidio e processi sostanzialmente equi al posto di giustizia sommaria: a questo punto Stimson può essere definito un uomo che ha fatto la storia del suo tempo ed ha contribuito non poco a plasmare il futuro.
Ma non è finita. L’ultimo trionfo del vecchio repubblicano si chiama nientedimeno che Progetto Manhattan.
Divenuto Segretario alla Guerra Stimson prese il controllo diretto del programma nucleare statunitense, nominando personalmente i suoi sottoposti e risultando così efficiente che sia Roosevelt che Truman seguirono sempre i suoi consigli sulla materia. Quando la bomba atomica fu pronta, poco dopo le terribili battaglie di Iwo Jima ed Okinawa, Stimson fu uno dei principali sostenitori del suo utilizzo. Le ragioni di tale determinazione erano duplici. Da un lato gli analisti militari, di fronte ad un Giappone che rifiutava ogni ipotesi di resa, avevano previsto che la conquista dell’arcipelago nipponico avrebbe comportato la morte di almeno 200.000 soldati americani e di circa 4 milioni di giapponesi, questi ultimi per lo più civili. I bombardamenti atomici, invece, costarono la vita ad un massimo di 250.000 sudditi del Sol Levante e di 0 americani. Pertanto risulta evidente che Hiroshima e Nagasaki non solo abbiano adempiuto al dovere della leadership statunitense, ovvero salvaguardare la vita dei propri cittadini, ma che paradossalmente abbiano anche salvato i giapponesi da se stessi. 250.000 in loco di 4 milioni: di fronte a questi numeri non vi sono speculazioni ideologiche che tengano!
Ma Stimson guardava già oltre alla guerra. Il suo appoggio all’uso delle atomiche derivò infatti anche dalla consapevolezza che ormai il mondo entrava in una nuova era che, tra armi nucleari e Guerra Fredda incombente, avrebbe potenzialmente distrutto l’umanità. L’uso delle atomiche sul Giappone, pertanto, sarebbe stato il terribile monito al mondo: lo scontro totale tra le grandi potenze non era più possibile, poiché ormai la guerra era divenuta talmente distruttiva da annullare se stessa. Se la Guerra Fredda non è mai divenuta calda (malgrado già nel 1950 tutto fosse pronto per il terzo conflitto mondiale) lo dobbiamo in gran parte alla lucida visione di Stimson.
Persino nei confronti del Giappone il vecchio repubblicano si dimostrò un abile profeta. Fin da subito fu uno dei sostenitori del mantenimento della figura imperiale, pur resa costituzionale e privata delle sue pretese ascendenze divine. Essa, rappresentando il simbolo morale della Nazione nipponica, collaborando con l’occupazione americana la rese quasi indolore, facilitando così la ricostruzione su basi democratiche del Paese (che per inciso grazie al “sistema” americano oggi è uno dei più ricchi del mondo).
L’ultimo capolavoro di Stimson che analizzeremo riguarda la città di Kyoto. Città nipponica allora di 1.428.023 abitanti, fu per circa 1080 anni, dal 794 al 1896, la residenza imperiale. Questo ha fatto sì che Kyoto sia diventata la capitale culturale del Paese, con un’incredibile concentrazione di monumenti sia laici che religiosi. Una sorta di Gerusalemme della spiritualità nipponica. Per tale ragione il Governo statunitense decise di escludere Kyoto dalle città da bombardare (subì solo 5 incursioni minori mentre le altre metropoli venivano incenerite). Sul finire del conflitto, essendo quasi intatta, entrò nei bersagli papabili per gli attacchi atomici, ma Stimson ottenne che venisse di nuovo salvaguardata. Perché scelse questa via? Perché avendo previsto di vincere la guerra Stimson e gli elementi più avveduti della leadership statunitense compresero che incenerire anche il “Vaticano nipponico” avrebbe creato un solco di odio difficile da colmare. Ebbero ragione, infatti dopo il conflitto i giapponesi riconobbero il gesto americano. Saggezza mista a cinismo? Indubbiamente, ma al netto di tutto bisogna riconoscere un fatto: considerando che a Kyoto esistevano anche delle industrie importanti per lo sforzo bellico nipponico la decisione americana fu (piaccia o no) nobile ed altruista, specie alla luce dell’orrendo comportamento giapponese verso i prigionieri (anche americani) e le popolazioni civili conquistate.
Fisicamente prostrato dal carico di lavoro, Stimson si dimise il 21 settembre 1945, pochi giorni dopo la vittoria definitiva nella seconda guerra mondiale. Fu solo l’età e la debolezza fisica a renderlo inadatto a correre per la Presidenza nelle elezioni del 1948, nelle quali i repubblicani, scegliendo un candidato eccessivamente centrista, a sorpresa vennero sconfitti da Truman. Stimson, dal canto suo, passò i suoi ultimi anni a scrivere le sue memorie e riordinare il suo diario, uno straordinario documento storico di ben 170.000 pagine (The Diaries of Henry Lewis Stimson in the Yale University Library). Morì nel 1950 all’età di 83 anni.
Chi fu Henry Lewis Stimson? Né più né meno che un gigante degno di stare accanto ai grandi statisti della storia più noti di lui al grande pubblico. Fiero rappresentante del conservatorismo classico, seppe collaborare con il Presidente più di sinistra della storia americana e diede un contributo fondamentale alla creazione della macchina economico-militare statunitense che vinse la guerra. Se la grande strategia a stelle e strisce della Seconda Guerra Mondiale fu essenzialmente frutto dell’idealismo di Franklin Delano Roosevelt, l’organizzazione della vittoria e la visione geopolitica americana che plasmò il futuro per i successivi cent’anni furono figli del pragmatismo di Stimson.
Stimson, in conclusione, non solo fu l’uomo della Vittoria, fu anche il repubblicano perfetto.
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