Nei libri che trattano il Risorgimento italiano, poco spazio è stato dedicato dagli autori ad un tragico avvenimento che, per la caratura dei personaggi coinvolti e per il lungo lasso temporale che ha occupato, avrebbe meritato ben altra attenzione. Un fatto che Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, hanno definito “La fine dell’innocenza dell’impresa dei Mille”. Ci riferiamo a “I fatti di Bronte”, meglio conosciuti come “La strage di Bronte”, cioè ad un episodio della impresa garibaldina in Sicilia, tutt’oggi molto controverso, accaduto fra l’1 e il 4 Agosto 1860, nella cittadina di Bronte, un paese siciliano sito sulle pendici occidentali dell’Etna che all’epoca dei fatti contava circa 11.000 abitanti, per lo più contadini.
Potremmo identificare la genesi dei fatti di Bronte, con la storia di Emily Lyon, una spregiudicata e avvenente ragazza, figlia di un fabbro del Cheshire, il quale morì giovane, lasciando la famiglia in miseria. Emily ebbe un’ infanzia difficile che la portò a trasferirsi a Londra, dove all’età di diciannove anni, conobbe il Conte Francis Greville, nipote di sir. William Hamilton (1730 – 1803), ambasciatore britannico a Napoli. Greville aiutò Emily a ricevere una educazione adeguata alla frequentazione dell’alta società londinese. Ma per un gioco del destino, Emily si trasferì a Napoli, dove ebbe modo di conoscere sir. William Hamilton; l’ambasciatore si innamorò di lei e nel 1791, decise anche di sposarla. Così Emily Lyon, passerà alla storia come: lady Emma Hamilton ( 1765-1815). Lady Emma cominciò a frequentare la corte borbonica e in breve tempo, diventò la fidata consigliera e, secondo i pettegolezzi di corte, anche l’amante di Maria Carolina d’Austria (1752 – 1814), moglie del re Ferdinando IV di Borbone (1751-1825). (1)
Nel 1793, l’ammiraglio Horatio Nelson (1758 –1805), si recò a Napoli, per chiedere al re Ferdinando , rinforzi contro i francesi. Al ricevimento tenuto a corte in onore dell’Ammiraglio, lady Emma conobbe Nelson e se ne si invaghì, venendo da lui ricambiata con lo stesso sentimento. Nelson finì per separarsi dalla moglie Frances Nisbet e ad iniziare un menage a trois con Emma e il marito William, situazione che, dato i nomi coinvolti, intrigò molto il pubblico londinese.
Grazie all’influenza che esercitava sulla Regina, lady Emma si adoperò perché Nelson ottenesse l’aiuto della corte borbonica nella guerra contro i francesi.
(1) https://vitadamuseo.wordpress.com/2017/03/13/la-straordinaria-vita-di-emma-lady-hamilton/
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Ferdinando IV di Borbone, il sovrano più longevo d’Italia.
Nel dicembre del 1798, scoppiarono i moti rivoluzionari di Napoli che sfociarono con la costituzione della Repubblica Partenopea. Re Ferdinando e consorte furono così costretti a trovare rifugio a Palermo. La fuga che li portò in Sicilia fu possibile proprio per il personale interessamento di Horatio Nelson e sicuramente sotto richiesta di lady Hamilton. Tuttavia, l’esilio siciliano non durò molto, il Comandante Generale (già Alto Prelato) del Re, Fabrizio Ruffo (1744-1827), si recò a Palermo per comunicare a Ferdinando IV la sua intenzione di riconquistare il Regno, e a tale scopo vergò un programma che presentò a Ferdinando IV : “Si domandano tutte le carte concernenti gli affari, così politici, come militari. Si richiede ancora relazione la più esatta dell’attuale stato di Napoli, le carte, i proclami colà pubblicati ed il ragguaglio dei fatti ivi recentemente seguiti”. Stima il Cardinale che debba andare seco in Calabria almeno un reggimento munito di cannoni. Sarebbe bene che allorquando si fosse formato un corpo sufficiente di truppe sua Maestà verrebbe a prendere il comando.»
L’ammiraglio inglese Horatio Nelson.
Ottenute almeno in parte le sue richieste, Ruffo salpò da Palermo e sbarcò l’ 8 Febbraio in Calabria. Di lì, Ruffo iniziò la marcia verso Napoli, raccogliendo lungo il percorso un contingente di circa 25.000 uomini che chiamò “Armata Reale e Cristiana”. Alla testa del suo esercito, il 15 Giugno 1799 sconfisse definitivamente i francesi e organizzò la ricerca dei rivoltosi filo-francesi che portò alla cattura e all’arresto di molte decine di persone che avevano partecipato alla rivolta. Dopodiché, il generale avanzò un piano per la riappacificazione della popolazione, arrivando addirittura a concedere agli odiati giacobini la libertà e la possibilità di unirsi alle truppe francesi che stavano abbandonando Napoli. Ma la regina, che non provava simpatie verso Ruffo, ritenendolo in combutta con il fratello Francesco Ruffo per sostituire il Re (Come riportato da le Memorie di Domenico Sacchinelli e in particolare la corrispondenza tra il sovrano e il cardinale Generale Ruffo), decise che Nelson fosse più affidabile; cosicché quando il 24 Giugno, l’ammiraglio giunse in rada a Napoli, fece esautorare dall’incarico il Generale Ruffo. Nelson, al momento dello sbarco, si trovò di fronte ai prigionieri, pronti ad imbarcarsi sulle navi francesi. Si narra che lady Hamilton convinse la regina e l’ammiraglio inglese circa l’inadeguatezza del patto di Ruffo (definito addirittura “infame”), ragion per cui Nelson consegnò gli insorti alla giustizia borbonica, che optò la pena di morte (124 di essi furono giustiziati).
il Comandante Generale (già Alto Prelato) Fabrizio Ruffo.
I Borbone erano nuovamente sul trono del Regno di Napoli.
In quella complicata circostanza re Ferdinando ritenne di dover ringraziare l’ammiraglio Nelson per l’aiuto ricevuto nella fuga a Palermo e per l’ottenuta riconquista del trono. Il 10 Ottobre 1799, dopo che Nelson aveva prestato nelle mani del sovrano il giuramento di fedeltà, Ferdinando concesse in ricompensa all’ ammiraglio lo stato di Bronte con annesse le abbazie di Santa Maria di Maniace e di San Filippo di Fragalà. Questa donazione, he avvenne per decreto e in “perpetuo”, prevedeva il diritto di vita e di morte su tutti gli abitanti della Ducea e la possibilità di lasciare ai propri eredi la proprietà del comune di Bronte e delle terre circostanti. Horatio Nelson, in realtà, si recò pochissime volte a Bronte, ma si dichiarò sempre fiero del titolo acquisito, tanto che continuò a firmarsi Duca di Bronte. La nomina a Duca di Bronte ebbe vasta eco in Inghilterra, dove gli ammiratori di Nelson erano molti, al tal punto che il pastore anglicano Brunty poté cambiarlo in Bronte: questi era il padre di Charlotte ed Emily Bronte (1818 –1848), scrittrice e autrice del famoso “Cime Tempestose”.
Bronte come era.
Con la cessione a Nelson della Ducea e d in virtù dei nuovi poteri conferiti all’ammiraglio, i brontesi persero tutti i diritti che avevano faticosamente riacquisito nel 1638 dietro il pagamento di una somma molto elevata, che era stata versata nell’arco di un secolo, all’Ospedale Grande di Palermo, i cui rettori avevano avuto in dono da Rodrigo Borgia, quel territorio che avevano poi governato con durezza. Per la perdita di quel feudo, l’ Ospedale di Palermo fu compensato con una rendita annua di 5.600 Onze, pari a circa 71.400 Lire dell’ epoca. Il riscatto pagato dai brontesi per la loro indipendenza restituiva al comune il diritto di esercitare la giustizia civile e penale, e ai cittadini di potere fare legna nei boschi e quello di potersi allontanare liberamente dalla città, cosa gli era stata impedita per oltre un secolo. Con la cessione al nuovo duca, quei diritti venivano annullati e paradossalmente, mentre in tutta Europa avanzavano movimenti inneggianti nuove speranze di libertà, a Bronte si tornava di fatto ad un regime di vassallaggio di stampo medioevale. Ovviamente questo stato di cose fece crescere il malumore tra gli abitanti e in particolare tra i contadini brontesi, con la conseguente nascita di forti contrasti con i “procuratori generali”, ai quali Nelson prima e i suoi eredi dopo, avevano delegato l’ amministrazione del ducato. Tali contrasti erano poi successivamente sfociati nei moti del 1820 e soprattutto in quelli del 1848, dove gli aspiranti a comandare la Ducea, erano rappresentati da un parte, dai comunisti, sostenitori del comune e dall’altra, dai Ducali, fedeli al nuovo feudatario. Quando, il 21 Ottobre 1805, nel corso della battaglia di Trafalgar, Horatio Nelson morì in seguito alla ferita riportata dal colpo di un cecchino francese, mentre si trovava al comando della HMS Victory, la Ducea di Bronte passò in proprietà del fratello di Nelson, il Rev. William Nelson, (Duca di Bronte dal 1805 al 1835) e dello scudiero William Haslewood: fatto che nella sostanza non cambiò le sorti dei cittadini di Bronte.
Giuseppe Garibaldi.
A dare speranza in una nuova libertà per i cittadini di Bronte, arrivò nel maggio del 1860, lo sbarco dei Mille nel porto di Marsala. Garibaldi (1807–1882) era conscio che per chiudere con successo la sua impresa, avrebbe avuto bisogno dell’appoggio e della partecipazione attiva dei siciliani. Era importante che venisse accolto non solo come il liberatore dalla tirannide borbonica, ma anche come colui che avrebbe creato una nuova società, libera dalle ingiustizie e dalla miseria. Fu così che il 2 Giugno 1860 emise un decreto che prometteva aiuto ai bisognosi e soprattutto la divisione equa delle terre, tanto agognata dai cittadini siciliani. Questa nuova voglia di riscatto sociale, sviluppò fra i cittadini di Bronte e di altre città siciliane, una contrapposizione molto forte con la nobiltà latifondista, già alimentata dai moti del ’48, che avevano dato la speranza che qualcosa potesse cambiare. Ma mentre in parte della Sicilia, il decreto di Garibaldi aveva portato qualche miglioramento, ancora una volta, nella Ducea di Bronte, nulla era cambiato. I discendenti di Nelson e i notabili della città, continuavano ad esercitare gli stessi privilegi concessi dal re Ferdinando a Horatio Nelson. A Bronte le terre non venivano affatto redistribuite fra i bisognosi e i braccianti e neanche la tanto odiata e ingiusta tassa sulla macinazione del grano, era stata abolita. Fu quindi proprio a Bronte, che questa nuova istanza di riscatto cominciò ad assumere i contorni di una vera rivolta. A fine Luglio del 1860, le notti di Bronte iniziarono ad animarsi con riunioni di piccoli gruppi di cittadini che meditavano sul da farsi, indirizzando urla minacciose verso i notabili, i quali però non sembravano preoccuparsi più di tanto, ignari del reale scontento del popolo. In particolare, Nunzio Ciraldo Fraiunco, che noi oggi chiameremmo “lo scemo del villaggio”, probabilmente imboccato da qualcuno dei più accesi rivoltosi, cominciò a girare per il paese armato di trombetta, intonando questa cantilena:
“Cappelli guaddàtivi, l’ura du giudizziu s’avvicina, pòpulu non mancari all’appellu”. (I “Cappelli” erano i cosiddetti Ducali, notabili di Bronte che per diritto indossavano questo copricapo, mentre ai contadini era concesso solo l’uso della Coppola).
Questo stato di agitazione si protrasse per alcuni giorni e l’avvocato Nicolò Lombardo, che aveva partecipato attivamente ai moti del 1848, dove si era distinto per coraggio (cosa che non risultò gradita agli inglesi in quanto il Lombardo, pur appartenendo alla borghesia di Bronte, approvava le istanze dei contadini) cominciò a rendersi conto della deriva violenta che stava imboccando la protesta. E fu per questa ragione che egli tentò in ogni modo, di indirizzarla verso un dialogo pacifico con le autorità locali, ma non ottenne alcun aiuto in tal senso, né dai “Cappelli”, né dai più facinorosi, capitanati dal carbonaio Calogero Gasparazzo, il quale in quei giorni era sceso dai monti circostanti insieme ai suoi compagni, per incitare il popolino alla protesta.
Nella notte tra l’1 ed il 2 Agosto, scoppiò la tragedia. L’avvocato Nicolò Lombardo, insieme ai suoi seguaci, che come lui erano per una trattativa pacifica con i Cappelli, non riuscì a trattenere gli insorti. I ribelli violenti di Gasparazzo cominciarono una vera caccia all’uomo percorrendo le vie di Bronte con urla e minacce, brandendo fucili e forconi. La prima vittima fu il sindaco, il notaio Cannata, scovato in un mucchio di letame nel quale aveva cercato rifugio. La rivolta durò fino al 4 Agosto e a quella data si poté contare l’uccisione di 16 persone tra i cosiddetti Cappelli e funzionari della Ducea. Si contarono inoltre, decine di case incendiate e la stessa sorte toccò al teatro e all’archivio comunali. Tre compagnie della Guardia Nazionale non riuscirono a contenere la violenza e anche una quarta compagnia arrivata da Catania, rinunciò ad affrontare i rivoltosi, facendo ritorno alla base. Finalmente, il 5 Agosto, Nicolò Lombardo, riuscì a placare gli animi poco prima che una compagnia di 300 soldati capitanati dal Colonnello Giuseppe Poulet (1815-1889) raggiungesse il paese. L’ufficiale aveva giocato un ruolo importante durante la rivolta di Catania nel 1860. In quel periodo, la città si ribellò contro i Borboni e accolse i Garibaldini. Poulet guidò un gruppo di patrioti che si ribellarono contro i 3.000 soldati borbonici guidati dal generale Clary. Lombardo che conosceva il valore e la lealtà di Poulet, convinse i rivoltosi a consegnare le armi al Colonnello con la promessa di non subire ritorsioni.
Charlotte Bronte.
Nonostante fosse stato avvisato della situazione di calma ristabilita a Bronte, il console generale britannico in Sicilia, John Goodwin (1797-1869), su pressioni della duchessa Charlotte Nelson (Duchessa di Bronte dal 1835 al 1873), che aveva ereditato quelle terre, interpellò Garibaldi per sollecitarlo a riportare l’ordine nella Ducea per salvaguardare i diritti della Duchessa e gli interessi dell’Inghilterra, ben conscio del debito di riconoscenza che Garibaldi aveva verso il governo inglese per l’aiuto ricevuto nella preparazione e nel compimento della sua impresa. L’esecutivo britannico aveva maturato più valide ragioni per sostenere Garibaldi: la competizione con la Francia per il controllo strategico del Mediterraneo; forti interessi in Sicilia, che nel decennio 1806-1815 era diventata di fatto un protettorato britannico in seguito all’ alleanza tra Borboni e Gran Bretagna, con il conseguente arrivo nell’isola di migliaia di soldati e il formarsi di una nutrita colonia di operatori commerciali. Oltre a ciò le terre siciliane rappresentavano una grande risorsa agricola. Sull’isola erano presenti miniere di zolfo (preziose per la produzione dell’acido solforico, elemento indispensabile per fabbricare la polvere da sparo). Tutto ciò indusse Londra a promuovere una raccolta di denaro tramite il “Garibaldi Special Fund” e a sostenere il progetto dei ‘Mille’. Ricordiamo che, grazie alla notorietà e al carisma del condottiero nizzardo, si formò spontaneamente gruppo di volontari inglesi che diedero vita e forma ai “Garibaldi Excursionist”. Dal canto suo – come è noto – il governo britannico fece ancor di più inviando nel Mediterraneo una forza navale a sostegno della spedizione garibaldina, imbarcata sul Piemonte sul Lombardo (entrambe disarmate) in procinto di sbarcare a Marsala. Nella fattispecie, l’Ammiragliato inglese posizionò a protezione delle suddette unità garibaldine, due vascelli provenienti da Malta, l’Argus e l’Intrepid.
A questo proposito, dobbiamo segnalare un fatto a dir poco curioso: nel porto di Marsala, era ormeggiata una Corvetta, la Stromboli, della marina borbonica, che avrebbe dovuto contrastare lo sbarco dei Mille, al comando della nave c’era il capitano di fregata, Guglielmo Acton (1825-1896), nato a Castellammare, ma di origini inglesi. Acton decise di non intervenire perché a suo dire, scambiò le camicie rosse dei garibaldini, per quelle delle Giubbe Rosse britanniche. Goodwin colse nel segno, come aveva previsto. Giuseppe Garibaldi sentiva di dovere molto agli inglesi e quindi rassicurò l’ambasciatore circa un suo pronto intervento a Bronte. L’ambasciatore però non era soddisfatto e indicò a Garibaldi chi doveva essere arrestato. Il primo nome fu quello dell’ avvocato Nicolò Lombardo, che era stato additato come capo e organizzatore della rivolta, soprattutto a causa del discorso che aveva pronunciato il 31 luglio, a Bronte, con il quale prometteva alla folla una riforma agraria, seguirono quelli di altri due suoi seguaci, rei come Lombardo, di aver anche partecipato ai moti del 1848 e quindi considerati i capi della rivolta di Bronte. Ma Goodwin non si limitò solo ai nomi, ordinò anche che questi dovessero essere condannati a morte.
Garibaldi ubbidì e per occuparsi di questa spinosa faccenda, designò uno dei suoi più fedeli seguaci, il luogotenente Nino Bixio (1821-1873). Il 6 Agosto, Bixio giunse a Bronte, quando la protesta era ormai cessata; ma essendo ansioso di chiudere la faccenda al più presto. Garibaldi si stava dirigendo infatti verso la Calabria e Bixio voleva partecipare in prima persona all’impresa dei Mille. A Bronte gli insorti più violenti erano ormai già fuggiti, ma Bixio procedette all’immediato arresto delle persone indicate dal console inglese. L’avvocato Nicolò Lombardo, che era stato avvisato dell’arrivo di Bixio, decise di non fuggire e di sottoporsi a quello che lui credeva sarebbe stato un giusto processo, ma Bixio aveva già dato istruzioni perché il processo fosse rapido e la condanna, quella prestabilita. Durante il processo, durato appena quattro ore, furono ascoltati solo gli avvocati della accusa e la condanna a morte, tramite fucilazione, fu comminata a Lombardo, a tre suoi seguaci e al povero Fraiunco, “lo scemo” del villaggio.
Il generale Nino Bixio.
Truppe garibaldine a Bronte.
La sera prima dell’ esecuzione, Lombardo volle sposare la donna che lo aveva seguito negli anni più difficile della lotta di liberazione: gli fu testimone di nozze un soldato garibaldino che nelle poche ore passate con l’avvocato, ebbe modo di apprezzarne il coraggio e la lealtà. Fraiunco invece, si presentò davanti al plotone di esecuzione, stringendo fra le mani una immagine della Madonna e implorando la grazia. Dopo la scarica di fucili, solo lui rimase miracolosamente illeso ed implorò ancora a gran voce la grazia in nome della Madonna che lo aveva salvato, ma venne ucciso con un colpo di pistola alla nuca. Per gli altri 145 imputati, il processo fu trasferito a Catania e si concluse nel 1863 con 37 condanne e nessuna pena di morte: sorte che probabilmente sarebbe toccata anche ai cinque imputati di Bronte, solo se si fosse celebrato un giusto processo. Al termine della rivolta e del processo, in contrasto con l’editto di Garibaldi, ai brontesi non venne concesso nessun nuovo privilegio e in tutta la Ducea le cose non cambiarono, neppure i privilegi dei Cappelli.
Giovanni Verga scrisse una novella sui fatti di Bronte, intitolata “La libertà” e constatò che: tutti sono tornati a fare quello facevano prima, restano gli sfruttatori e gli sfruttati, “così fu fatta la pace”.
Incredibilmente, a Bronte non cambiò nulla, neanche dopo la proclamazione del regno d’Italia, né durante il Fascismo e neppure dopo la riforma agraria del 1952. Solo dopo una lotta durata due anni, nel 1965 i contadini di Bronte otterranno la redistribuzione delle terre. Ci volle poi una lunga controversia, per arrivare fino al 1981, affinché l’ultimo erede di Horatio Nelson, Alexander Nelson Hood, tutt’oggi vivente, vendesse la sua proprietà al comune di Bronte, tranne un piccolo cimitero situato accanto all’Abbazia di Maniace, dove trovano posto otto tombe dei Nelson e quella del poeta romantico William Sharp, che morì anch’egli a Bronte.
Bronte oggi.
Riferimenti bibliografici:
Dal feudo alla proprietà: il caso della Ducea di Bronte
Di Michele Palermo
Bronte. Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno mai raccontato: regia di Florestano Vancini
Sitografia:
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