Tra il 13 e il 15 febbraio del 1945, la flotta aerea del comando interalleato scaricò più di 7.000 tonnellate di ordigni esplosivi e incendiari sulla città di Dresda, una delle culle della cultura tedesca, realizzando un bombardamento a tappeto che rase al suolo il centro storico della capitale sassone e che provocò un’apocalittica tempesta di fuoco. Sul numero esatto dei morti si è molto discusso e si continua a discutere: le cifre oscillano oggi tra le 25.000 – come sembrerebbe emerso da una ricerca commissionata dalla stessa città di Dresda nel 2009 – e le 40.000 vittime, come sostenuto dagli storici Jörg Friedrich e Ian Kershaw, il quale ultimo è oggi considerato tra i massimi esperti mondiali della Germania nazionalsocialista, nonché autore di una monumentale e celebre biografia di Adolf Hitler.
Dresda dopo il bombardamento Alleato.
Si tratta ad ogni modo, com’è evidente, di numeri da apocalisse. Sebbene l’impatto distruttivo non differisca sensibilmente da quello di altri bombardamenti della seconda guerra mondiale (pensiamo ad esempio a Coventry e Amburgo, per tacere di Hiroshima e Nagasaki), tuttavia la distruzione di Dresda (che nel 1939 contava 642.000 abitanti) ha assunto un alto valore simbolico per due motivi: da una parte per la straordinaria bellezza artistica della città, soprannominata la «Firenze dell’Elba», centro meraviglioso dell’umanesimo barocco e, dall’altra, per la scarsissima valenza strategica dell’operazione. Si trattò cioè di bombardamenti indiscriminati volti quasi esclusivamente a sterminare la popolazione civile – composta peraltro da molti profughi – con lo scopo di creare terrore e arrendevolezza (nonostante la Germania fosse vicinissima alla sconfitta definitiva), senza che la città fosse però dotata di obiettivi militari e industriali di rilievo. Un massacro insensato, quindi, il quale scosse fortemente addirittura l’opinione pubblica delle potenze vincitrici. Non a caso, lo storico britannico Richard Overy, nel suo monumentale lavoro del 2013 The Bombing War: Europe 1939–1945, ha specificato come gli Alleati, con i loro bombardamenti terroristici, abbiano violato sistematicamente il diritto bellico allora vigente, perpetrando crimini di guerra che li hanno seriamente screditati da un punto di vista morale.
Eppure in Germania, un Paese che intrattiene con il proprio passato un rapporto assai problematico, la ricezione dell’evento è tutt’oggi controversa. Si va, cioè, dal ricordo commosso dei sopravvissuti e degli ambienti patriottici all’apologia sfacciata e francamente idiota di «Bomber» Arthur Travers Harris (cioè il Maresciallo dell’Aria inglese che pianificò il raid contro Dresda) la quale incontra spesso il consenso delle nutrite frange antinazionali degli antifascisti tedeschi. In più di 70 anni di «rieducazione» (il programma alleato di reeducation della popolazione post-1945, in tedesco Umerziehung), infatti, si è voluto chiaramente instillare nei giovani un vero e proprio Selbsthass, un odio di sé e della propria identità nazionale. Insomma, tutta la tradizione germanica, da Goethe a Fichte, da Novalis a Wagner, non poteva che condurre ad Auschwitz. È la nota tesi (tuttora controversa) di un presunto Sonderweg, cioè di un percorso politico-culturale della Germania considerato anomalo rispetto a quello delle altre nazioni europee. Per questo motivo, serpeggia sempre l’idea che la distruzione di Dresda, i tedeschi, se la siano in fondo meritata.
Sir Arthur Harris, il pianificatore della strage.
Un’altra istantanea della città martirizzata.
(*) Fonte: Il Primato Nazionale. Sito web: https://www.ilprimatonazionale.it
Focus a cura della Redazione.:
La particolarità della Distruzione di Dresda, sulla quale ancora non è stato detto abbastanza, è la mancanza di obiettivi strategici: la città era dichiarata “zona demilitarizzata” ed ospitava rifugiati e civili. Il bombardamento durò 14 ore e 10 minuti, e la distrusse quasi completamente. Il 13 era Martedì Grasso, le punte dell’Armata sovietica proveniente da est erano ancora abbastanza lontane (circa 170 chilometri) e la gente quindi scese per strada per festeggiare la ricorrenza; tutti erano tranquilli poiché la loro città era un centro d’arte, quasi privo di industrie e praticamente senza difese antiaeree (erano presenti pochissime batterie della flak e appena 28 bimotori da caccia Bf110): insomma, Dresda non era un obiettivo militare significativo. Alle 22 iniziò però l’attacco: 224 Lancaster della Royal Air Force (prima ondata), preceduti da nove ‘marcatori di bersaglio’ Mosquito, sganciarono migliaia di bombe incendiarie e ordigni dirompenti. Tre ore più tardi altri 529 velivoli compirono la stessa operazione utilizzando migliaia di ordigni al fosforo. Tra le 12:15 e le 12:50 del giorno successivo fu la volta dell’aviazione statunitense, che con 1350 (suddivisi in tre ondate) Fying Fortress Boeing B17 (scortati da centinaia di caccia P51 Mustang) sganciò 770 tonnellate di bombe dirompenti e un numero imprecisato, ma elevatissimo di ordigni incendiari. I roghi provocati dalle bombe provocarono una ‘tempesta di fuoco’ che, grazie anche all’incontro tra correnti calde e correnti fredde delle campagne circostanti, incenerì almeno un terzo degli edifici (e gran parte del patrimonio architettonico e artistico: danno irreparabile), volatilizzando nel contempo migliaia di persone esposte all’aperto e altrettante rinchiuse nei rifugi divenuti camere a gas. Terminato il bombardamento, i resti della città continuarono ad ardere per una settimana. Al ritorno dalla loro missione, alcuni piloti angloamericani racconteranno che perfino dai loro aerei era possibile sentire l’acre odore di carne bruciata. A guerra finita, lo stesso Primo ministro Sir Winston Churchill definì il bombardamento progettato e voluto dal suo Maresciallo dell’Aria Arthur Harris ‘uno scempio.’
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