Ad oltre 35 anni dalla morte, arriva il riconoscimento al sacrificio e alle capacità di Almerigo Grilz, detto “Ruga”, giornalista e inviato di guerra indipendente, con un Premio in suo nome, presentato il 15 maggio a Milano e il 18 maggio a Trieste, sua città natale.
Un nome che non dice molto al grande pubblico, ma che significa molto per chi svolge lo stesso lavoro, con la stessa passione per la ricerca della verità, nel cui numero si contano anche alcuni fra i giornalisti di “Storia Verità” che, per principio deontologico e professionale, non poteva non definirsi “Rivista politicamente scorretta”, che oggi ha superato i 30 anni di attività e annovera, fra i numerosi collaboratori, nomi di fama fra cui Alain De Benoist, Maurizio Cabona, Luciano Garibaldi, Piero Vassallo, Mario Bernardi Guardi, nonché gli attuali direttore e vice-direttore, per diversi anni reporters di guerra a loro volta.
Amedeo Grilz è stato per troppi anni un nome obliterato dall’informazione mainstream perché personaggio scomodo, eclettico, decisamente fuori dalle righe. A questo proposito non gli fu mai perdonata la sua formazione politica e ideologica, orientata a Destra.
Alcune istantanee di Almerigo Grilz.
Dalla militanza politica al giornalismo di guerra.
Almerigo Grilz, laureato in Giurisprudenza, si appassionò all’attività politica in giovane età, e fu da qui che giunse a interessarsi alle questioni che stanno dietro ai diversi conflitti, e fino alla fondazione del Centro Nazionale Audiovisivi, prendendo spunto dal drammatico conflitto civile in Libano negli anni Settanta, fino a essere testimone di tutti i fronti di guerra fino alla fine degli anni Ottanta: dall’Afghanistan in lotta contro l’Armata Rossa, all’invasione israeliana del Libano, al conflitto fra drusi e maroniti in a Beirut, alle guerriglie dell’Etiopia contro Menghistu, al Mozambico, e altri ancora. Alle corrispondenze scritte unì prima le immagini fotografiche, poi i video, e nel 1984 documentò il conflitto in Cambogia fra i Khmer Rossi di Pol Pot e l’esercito del governo-fantoccio filo-vietnamita. Dal confine Thailandia-Birmania raccontò la guerra fra la minoranza Karen e le truppe governative di Rangoon, con immagini che fecero il giro del mondo. Seguì la guerriglia comunista filippina e le elezioni del 1986 che portarono alla caduta del presidente Ferdinando Marcos e alla vittoria delle opposizioni, guidate da Corazon Aquino. La sua firma è apparsa sulle pagine del “Sunday Times”, “Der Spiegel” e su altre autorevoli riviste. Nel 1983 fondò l’agenzia giornalistica Albatross, che produsse servizi da diverse aree di crisi del mondo.
L’ambiente studentesco triestino è sempre stato caratterizzato da una marcata attività politica, e Almerigo Grilz non ne fu esente. Divenne infatti una delle figure di riferimento del Fronte della Gioventù, per poi passare, nel 1977, al Movimento Sociale Italiano Destra Nazionale, fino alla carica di vice-segretario nazionale. Nello stesso anno entrò nell’Ordine Nazionale Giornalisti, manifestando da subito un profondo interesse non solo per la militanza politica, ma anche e soprattutto per il giornalismo indipendente, che diventa la sua principale occupazione, abbandonando l’attivismo politico.
Almerigo Grilz in zona di guerra.
Nato a Trieste nell’aprile 1953, fu ucciso il 19 maggio 1987 a Caia, in Mozambico, mentre seguiva la guerra fra la fazione filosovietica del Fronte di Liberazione (FRELIMO) e i guerriglieri anticomunisti della Resistenza Nazionale (RENAMO) sostenuti dalle autorità sudafricane pro-Apartheid. Il corpo venne sepolto nello stesso luogo dove rimase colpito, e dove fino all’ultimo secondo ha saputo documentare anche la propria morte, mentre stava seguendo i movimenti di un gruppo di guerriglieri RENAMO che improvvisamente erano stati costretti a ritirarsi. Almerigo seguì i loro movimenti, continuando a riprendere con la telecamera che spaziava a 360°, fino all’attimo in cui arrivò il proiettile fatale che lo ha colpito in pieno, facendolo accasciare a terra. Nell’ultima inquadratura si vedono le sue stesse gambe, poi il buio.
Il villaggio di Caia (Mozambico).
La morte di Grilz fu ricordata dal TG1 dal conduttore Paolo Frajese, e per la carta stampata sul settimanale “Il Sabato” da Renato Farina e da Ettore Mo, altro grande maestro del giornalismo di guerra, inviato del “Corriere della Sera”. Sulla vita e l’attività di Almerigo Grilz, nel 2002 venne realizzato, a cura di Gian Micalessin, il documentario “L’albero di Almerigo”, montato insieme alle immagini girate dall’amico e collega, fino all’ultimo istante prima di morire.
Almerigo Grilz in un momento di relax. Vogliamo ricordarlo così: serenamente conscio del proprio impegno.
L’avventura di una vita.
Desiderio di capire in prima persona, per poter divulgare e fare capire a sua volta, oltre quello che può essere definito bisogno di sentire l’adrenalina scorrere nelle vene, o il mettersi ogni giorno alla prova sfidando i propri limiti. Questa era la missione alla quale si era votato Almerigo Grils, come d’altra parte tutti i reporters che scelgono di svolgere la professione come freelance, al di fuori delle costrizioni imposte dalla linea editoriale delle grandi testate. E’ stato questo il motore che ha portato Almerigo Grilz da una parte all’altra del mondo, in mezzo spari, esplosioni, guerriglieri e popolazioni oppresse.
Un personaggio scomodo suo malgrado, quindi, erroneamente etichettato a causa dei trascorsi di militante politico nel Fronte della Gioventù, che a tutti gli effetti, nell’Italia del secondo dopoguerra era considerato un errore “imperdonabile”, soprattutto per il fatto che lo stesso Grilz non rinnegò mai il proprio passato. Detto questo, Almerigo ebbe sempre l’accortezza e il buon senso di non mischiare il credo ideologico al lavoro, tanto che, quando decise di dedicarsi completamente al giornalismo, per correttezza professionale si dimise da Consigliere Comunale della Giunta di Trieste, incarico che svolgeva nelle liste del Movimento Sociale Destra Nazionale.
Ebbe così inizio quella carriera che lo avrebbe portato nei luoghi più remoti del mondo, in zone di crisi lontane della realtà di un’Italia ormai pacificata e sulla strada del progresso e l’industrializzazione. Dall’Afghanistan teatro di guerra fra Mujaheddin ed esercito russo, al Libano funestato dalla guerra civile interna e sottoposto all’attacco di Israele e poi da parte delle artiglierie siriane, all’Etiopia costantemente in preda a disordini e sommosse interne, e poi nel mezzo della terrificante guerra scatenata dal movimento dei Khmer Rossi del dittatore Pol Pot, e ancora Thailandia, Filippine, Angola, e altri Paesi sconvolti dalla guerra, fino al Mozambico dove trovò la morte.
Almerigo Grilz, per altro, è solo uno dei numerosi giornalisti italiani che hanno pagato con la propria vita la scelta di voler diffondere la verità di determinate situazioni, uomini e donne, “professionisti” o meno, con o senza tesserino dell’Ordine, che hanno trascorso buona parte della propria attività in prima linea, testimoni di brutalità negate, traffici di armamenti spacciati come aiuti umanitari, commercio fuorilegge con legami politici di elementi per i quali la sofferenza di intere popolazioni è considerato poco più che un “effetto collaterale”.
Almerigo Grilz, inviato di guerra freelance, ha firmato reportage di indubbio valore, ripresi dalle più importanti testate del mondo, fra cui CBS, France 3, NBC, Panorama, poi nel 1983 fonda, con i colleghi Gian Micalessin e Fausto Biloslavo fonda la Albatros Press Agency, agenzia giornalistica che produrrà servizi scritti, fotografati e filmati in aree del mondo funestate da eventi bellici o rivoluzionari.
Perché dimenticato?
Fra i purtroppo numerosi giornalisti morti durante lo svolgimento del proprio lavoro, il nome di Almerigo Grilz è stato volutamente messo nell’ombra, ma quali sono i motivi che hanno portato a questo? Per capire questo non certo anomalo processo, è necessario contestualizzare diversi elementi, tenendo presente che la politica dominante all’epoca avversava qualsiasi velleità di rinascita o ripresa della destra. Almerigo Grilz è stato usato come capro espiatorio per demonizzare l’ideologia di destra, approfittando della militanza giovanile, e del fatto che lo stesso Grilz non rinnegò mai la propria ideologia. La differenza fondamentale è che il lavoro che svolse come corrispondente di guerra indipendente non ha mai avuto a che fare con alcuna forma di politica. Nonostante la notorietà, in quel maggio 1987 furono pochi a celebrarne il ricordo, fra esempi che sono arrivati a definirlo “mercenario triestino al soldo dei ribelli mozambicani”. Perché questa indifferenza generalizzata di fronte all’uccisione di un giornalista italiano, per giunta di livello internazionale? Di certo una ragione va ricercata nell’atmosfera che si viveva in quegli anni, che risentiva degli strascichi della tensione ideologica e politica dei vicini anni ’70. In questo contesto, Almerigo Grilz apparteneva alla categoria degli “imperdonabili”. Nondimeno, come evidenziato anche dalla sua biografia, Grilz era molto lontano dallo stereotipo del “fascista nostalgico”.
Le definizioni e i racconti dei media del periodo hanno poi raggiunto eccessi notevoli, infiorettando le notizie sulla morte del giornalista con sorprendenti falsità. Si è letto che Almerigo Grilz non sarebbe morto per salvare la vita a un bambino (come i tre inviati Rai Marco Lucchetta, Sasha Ota, Dario D’Angelo a Mostar nel ’94), né ucciso come Ilaria Alpi e Miran Hrovatin a Mogadiscio nel marzo dello stesso anno. Si è addirittura detto e scritto che Grilz non si trovava in Mozambico per svolgere un servizio pubblico, ma che si era unito ai guerriglieri della RENAMO, e che ne fosse il responsabile ufficio stampa, addirittura stipendiato, o che il suo passato politico fosse passato addirittura per lo squadrismo. A monte di tutte le polemiche, rimane un fatto certo. Almerigo Grilz ha compiuto la propria educazione ideologica nei movimenti dell’attivismo politico di destra, e comunque ha dimostrato coerenza non rinnegando il passato, ma proprio per questo ha altrettanto dimostrato estrema professionalità nella scelta lavorativa, svolta in assoluta imparzialità, lasciando sempre le proprie convinzioni politiche fuori dall’ambito professionale, come dovrebbe fare ogni giornalista che voglia essere degno di definirsi tale.
Per avvalorare tale concetto, si tenga presente che l’autore del presente articolo, che svolge lo stesso tipo di lavoro, proviene da un ambito ideologico totalmente opposto a quello di Almerigo Grilz, ma ne riconosce il valore professionale, astenendosi da ogni altro, inutile giudizio.
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