Era luglio 1993 quando a Mogadiscio (Somalia) l’Esercito Italiano e più esattamente un reparto scelto di fanteria del 186° Reggimento Paracadutisti «Folgore» (la XVa Compagnia Paracadutisti “Diavoli Neri”) fu coinvolto nella prima battaglia combattuta dall’esercito repubblicano dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. In Italia era l’alba di Tangentopoli e nel Mondo tramontava , seppur giovane, il Vecchio Ordine Mondiale nato a Yalta nel 1945, sostituito dal Nuovo Ordine Mondiale cresciuto sulle macerie del Muro di Berlino. La Somalia, contesa da bande jihadiste concorrenti, non era più sotto il tallone di Muhammad Siad Barre, ex ufficiale dell’Arma dei Carabinieri e addestrato a Firenze, che per vent’anni aveva imperversato nel Corno d’Africa e che nei suoi ultimi anni di potere era stato sponsorizzato dal Partito Socialista Italiano , guida Craxi e dai governi socialisti italiani. Si proprio quel Siad Barre convertito prima al marxismo di stretta osservanza sovietica e poi al craxismo. Cacciato , la Somalia fu devastata dalla «guerra civile» che proprio lui, Siad Barre, aveva provocato col suo regime. Per impedire che gli scontri tra fazioni jihadiste rivali evolvessero in una «pandemia islamista» l’ONU diede vita ad una «missione di pace» affidandola a Italia, Pakistan e Stati Uniti. Una missione militare che sarebbe finita male, malissimo. Fu a luglio , con la battaglia detta « del pastificio» (chiamato così perché lì c’era una volta uno stabilimento Barilla) che vide coinvolti i paracadutisti della Folgore compagnia Diavoli Neri al comando del capitano «Nero» , al secolo Paolo Riccò I Diavoli Neri respinsero l’attacco dei guerriglieri che obbedivano al «signore della guerra» Mohammed Farah Aidid, generale sotto Siad Barre. Non fu un attacco inaspettato perché in guerra tutto è inaspettato tranne gli scontri armati e perché è a questo che servono le «missioni militari» (anche se vengono chiamate di «pace»): a prevenire, quando é possibile e a reprimere quando é necessario gli attacchi «a sorpresa» degli eserciti – regolari e non – in campo.
A differenza degli americani gli italiani dai somali erano comunque ben visti, anche se i più giovani detestavano Bettino Craxi per il suo andare a braccetto col tiranno Siad Barre. Malgrado ciò fu contro gli italiani che la guerriglia jihadista, armata fino ai denti, scese in campo al «checkpoint Pasta» quel 2 luglio 1993. La battaglia scoppiò all’improvviso: cecchini appostati sui tetti e guerriglieri infiltrati tra la folla aggressiva. Prima volano pietre, poi cominciano a fischiare le pallottole e esplodere granate. Dal comando arrivano ordini e contrordini improvvisati, qualche reparto si defila in preda al panico e senza dare spiegazioni e quanto alle «regole di ingaggio» esse complicano più il «lavoro» che facilitarlo, fintanto a paralizzare la risposta dei corpi speciali addestrati a «rispondere». Il capitano Nero e i suoi Diavoli vengono circondati ma alla fine l’avranno vinta, da soli, malgrado gli armamenti non sempre all’altezza della situazione, la scarsità di munizioni, la problematica tenuta dei mezzi corazzati, l’irresolutezza della catena di comando alle quali vanno aggiunte le peripezie delle diplomazie relativiste e caramellose, le politiche fallimentari dell’ONU che , per un momento, convinse mezzo pianeta a credere che non ci fosse differenze apprezzabili tra terrorismo e antiterrorismo. Gli eroismi e sacrifici degli uomini e donne dei «corpi speciali», che operano per il contenimento della violenza, non impressionavano e non impressionano nessuno , neppure gli alti comandi, figurarsi allora la stampa e le tv che formano l’opinione pubblica. A ottobre del 1993, dopo la «grande battaglia di Mogadiscio» , impressa anche in un film statunitense e diversi documentari, quando si contarono 19 vittime americane e 3 italiane , tutti giovanissimi, l’allora presidente Bill Clinton (convinto fautore delle «missioni di pace») dichiarò il ritiro degli USA dalla Somalia. Allora come ora é stato per l’Afghanistan e la Siria fu un pessimo segnale incoraggiante il jihadismo. L’Italia invece è sempre presente in Somalia anzi addestra la Polizia e l’Esercito, nonostante le stesse, secondo l’ONU si siano macchiate di gravissimi crimini. Lo scorso maggio si sono concluse tutte le attività addestrative condotte dalla MIADIT (Missione Bilaterale di Addestramento delle Forze di Polizia somale e gibutiane) Somalia 16. Durante gli “oltre tre intensi mesi addestrativi – si legge nel sito del Ministero della Difesa – i qualificati istruttori dell’Arma dei Carabinieri hanno formato 80 poliziotti (di cui 12 donne) della “Somali Police”. La cerimonia conclusiva si è svolta presso l’Accademia della Polizia Nazionale gibutiana “Idriss Farah Abaneh”. A sottolineare l’importanza degli aiuti italiani dal gennaio 2013 – sempre secondo il Ministero della Difesa – sono stati formati 2.773 poliziotti dell’ex colonia. Tale attività è operativa da anni con oneri crescenti: nel 2022, secondo il provvedimento sulle missioni italiane all’estero, sono impegnati 75 carabinieri e con un costo di 4,5 milioni, rispetto ai 2,4 del 2021. La MIADIT Somalia 16, presente a Gibuti dal 22 gennaio 2022, al comando del Col. Ruggiero Capodivento, ha sviluppato – recita un comunicato del Ministero della Difesa – un percorso formativo incentrato sullo svolgimento di moduli addestrativi di polizia e tattici per i discenti somali, oltre a corsi specialistici per le Forze di Polizia gibutiane in materia di “Antiterrorismo e lotta alla Criminalità Organizzata”, “Identificazione delle impronte digitali (sistema AFIS) e di balistica forense”, “Addestramento per unità cinofile (K9)”, “Formed Police Unit (FPU)”, “Forze speciali” (GIGN della Gendarmeria e RAID della Polizia) e “Rilievi sulla scena del crimine, rilevamenti incidenti stradali e perquisizione veicoli”. Ma l’attività addestrativa non si è conclusa, dallo scorso settembre con MIADIT 17 proseguono le attività formative, “quale contributo all’impegno della Difesa italiana – afferma il Ministero della Difesa – per la stabilità della Regione del Corno d’Africa”. In Somalia l’Italia è presente anche con la missione europea EUTM Somalia, per la formazione di militari somali, comandata da un italiano, con 167 soldati e con un costo annuo di circa 15 milioni di euro, inoltre la base di Gibuti svolge da centro logistico per queste ed altre missioni, con un onere di 13 milioni.
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