Il celebre autore di «1984» fu in realtà il più intuitivo segnalatore del pericolo insito nella tentazione totalitaria che minaccia la nostra società. Orwelliana, kafkiana… Sono ben pochi gli autori che hanno dato vita ad un aggettivo che non si riferisce soltanto al loro universo, ma che in una sola parola descrive anche una «situazione archetipale». Detto ciò, Orwell ha fatto molto di più di tutti gli altri, ogni giorno che passava, fino ad arrivare a questo nostro presente che può essere senza ombra di dubbio «orwelliano»: un mondo in cui si è ostracizzati perché ci rifiutiamo di dire, di scrivere e soprattutto di crede che due + due é uguale a cinque; un mondo in cui il presente non smette di voler riscrivere il passato negli interessi di una ideologia progressista, di far «scomparire» dall’esistenza tutto ciò che non conviene alla morale attuale; un mondo in cui una «nuova lingua» riduttrice permette a tutti di «schiamazzare», di emettere parole che escono dalla laringe senza neanche prendersi il tempo di passare dal cervello, in cui il vocabolario é impoverito per impedire qualsiasi pensiero dissidente; un mondo in cui si può «annullare» un avversario ideologico, come in «1984», ultimo capolavoro profetico di Orwell, in cui il potere vaporizza coloro che hanno commesso il «pensiero criminale». Questa coincidere dell’universo da incubo descritto attraverso «1984» con l’attuale nostra società é talmente così veritiero da far emergere un nuovo e più importante interessamento nei riguardi delle opere scritte dal «profeta» Orwell, partendo anche dalla data simbolica , 1984, nella quale aveva situato l’azione del suo romanzo scritto nel 1948. Ma per comprendere Orwell é indispensabile conoscere la sua vita , dove il contatto con il reale per lui era tanto indispensabile sia per la sincerità del pensiero che per la sua veridicità. Intanto cominciamo dal nome e cognome: George Orwell. Non é il suo vero! Egli é Eric Blair, il 25 giugno 1903, nelle Indie Britanniche, da padre funzionario coloniale e da madre francese educata e cresciuta in Birmania. Tornati in Inghilterra, l’infanzia di Eric Blair non avrà niente di notevole. Intelligente, ma molto spesso pigro; riservato, non fa una grande impressione in coloro che incontrerà; deciso a diventare uno «scrittore» già dall’adolescenza, non ne dimostrerà però – dai suoi primi scritti – una disposizione particolare. Molto giovane soffrirà anche di una fragilità polmonare che diverrà tubercolosi e lo farà morire prematuramente. L’esperienza della povertà Dopo Eton College (l’Eton College è una scuola superiore privata situata a Eton, nel Berkshire ed è considerata la più famosa e prestigiosa scuola del Regno Unito, college maschile fondato da Enrico IV) entrerà nella «polizia imperiale» in Birmania («cinque anni di noia al suono delle trombe»). Questa esperienza molto poco orwelliana di «poliziotto coloniale» gli farà nascere una forte contrarietà all’imperialismo, fino a detestarlo, odiarlo. Ma gli creerà anche un senso di colpevolezza di «essere stato» un ‘’semplice ingranaggio nel maggior ingranaggio del dispotismo’’, che lo porterà a trovarsi, ormai, sempre dalla parte degli oppressi. Rientrato a Londra, decide di tentare una esperienza radicale: diventare un «barbone volontario», un senza tetto. Questa esperienza cominciata a Londra proseguirà a Parigi tra il 1928 e 1929 in cui, tra due periodi di fame assoluta, ha un periodo di «lavapiatti» e il racconto che lui ne fa vi farebbe passare la voglia di mangiare in qualsiasi ristorante…. Di ritorno in Inghilterra, fa di questo periodo il soggetto (o la materia) del suo primo libro: ‘Down and Out in Paris and London’ (1933), con lo pseudo di George Orwell. Alcuni si sono presi gioco di questa povertà dalla quale, a differenza dei suoi compagni di sventura, egli poteva uscire in qualsiasi momento grazie ai suoi contatti. Resta però «il fatto» ch’egli , Eric Blair, si é veramente tuffato vivendole realmente in quelle spaventose situazioni di miseria a differenza di coloro che le «immaginano» ; ch’egli, Eric Blair, le ha vissute realmente senza «truccarle» o «inventarle». Ed è per compassione per gli indegenti, non leggendo dei trattati marxisti, che si è convertito al socialismo: non si priverà di trattare con durezza i «socialisti da salotto» , gli «eccentrici da palazzo», e gli altri illuminati che difendono la causa operaia rimanendo persuasi che « i poveri hanno un cattivo odore». Dopo questo primo libro, Blair/Orwell, divenne un modesto insegnante poi un libraio che pubblicherà anche dei puri romanzi ma, fino a «Animal Farm» (1945), il suo nome resterà legato alle sue «recite di esperienze personali», come «Burmese Days» (1934), «The Road to Wigan Pier » (1937) o «Homage to Catalonia» (1938): libri scritti con uno stile semplice e diretto, ma che valgono meno per le loro qualità estetiche più che per il potente «odore» di vissuto. Poi una nuova «immersione» nella vita vera, questa volta nei minatori del nord dell’Inghilterra, aderisce alla guerra civile spagnola, non come osservatore ma come combattente nei ranghi della milizia marxista anti staliniana del POUM ( Partito Operaio di Unificazione Marxista) è stato un partito politico spagnolo di orientamento marxista, nato nel 1935 dalla fusione consensuale di due formazioni antistaliniste: la Sinistra Comunista di Spagna, di orientamento trockista, e il Blocco Operaio e Contadino, vicino all’opposizione di destra). Con l’epurazione portata avanti dai comunisti spagnoli nei confronti del POUM, Blair/Orwell diventa il testimone della «meccanica totalitaria» all’opera: riscrittura permanente della realtà, purghe arbitrarie, false denunce, diffamazione, confisca dell’ideale per portarlo al puro servizio dell’appetito di potenza. Questa precoce presa di coscienza della natura del totalitarismo darà vita a due capolavori: una geniale favola animalista narrante la deviazione di una rivolta proletaria da una oligarchia di maiali, «La fattoria degli animali» apertamente antistaliniano, che però alla fine vede questi maiali fraternizzare così bene con i loro vicini umani tanto da non poter distinguere più gli uni dagli altri, avvertendoci circa la tentazione di riscrivere il passato a favore dei propri interessi, la manipolazione del reale in cui con palinodie attraverso i quali alcuni animali sono più uguali di altri non risparmiando le società democratiche; l’altro, «1984», allarga ancor di più la prospettiva mettendo in scena la «tentazione totalitaria» che, all’Era tecnologica, diventa quasi indissociabile da qualsiasi sistema di potere, questa volta insistendo maggiormente sulla manipolazione del linguaggio e sulla «polizia del pensiero», sulla falsificazione della storia e lo sradicamento della memoria che privano di qualsiasi «pensiero critico», sulla revisione della realtà attraverso la visuale ideologica, sulla logica delle «purghe» che permette di instaurare un clima permanente di paura e quindi di «auto sorveglianza» o ancora di più di creare capri espiatori contro cui la popolazione é invitata ad unirsi in terrificanti « minuti di odio». Morto a 46 anni, Blair/Orwell, non ha potuto osservare sino a qual punto la «realtà democratica» abbia potuto materializzare i suoi timori. Ne come una certa sinistra si sbatterà per recuperare la sua gloria e nel contempo disinnescare le sue critiche per cercare di sortirne indenne , poiché l’opera di George Orwell é diventata un campo di battaglia ideologico dove la destra lo fa suo, in ragione della denuncia del totalitarismo staliniano e della sua apologia della libertà. Ma molti, a sinistra, vorrebbero impedirglielo in nome del socialismo di Orwell e perché egli era di sinistra. Ora il socialismo di Orwell non ha niente a che vedere con ciò che viene abitualmente designato con questo termine. Lui stesso scriveva dichiarando: « Il socialismo, nella forma in cui viene attualmente presentato, attira soprattutto gli spiriti mediocri e anche inumani». E si cercherebbe invano dove il socialismo in cui egli credeva, rispettoso del passato e dei suoi radicamenti, preoccupato delle aspirazioni dell’anima e non limitante alla sola ricerca del ben essere materiale, non ha mai visto il giorno. Il solo luogo in cui Blair/Orwell dice di aver vissuto una «esperienza realmente socialista» , nella insorta Catalogna, non sembra però esser stato rispettoso delle tradizioni: non vi é stato una sola chiesa che non sia stata incendiata ed è proprio lui che lo testimonia. Ma pur restando vago nei suoi contorni, il socialismo di Blair/Orwell, porta in se degli aspetti collettivisti ed egalitaristi che non hanno niente per piacere ad un uomo di destra. Il socialismo di Blair/Orwell é, senza ombra di dubbi, una empatia per i più svantaggiati e un rispetto profondo per la «morale popolare» che non ha nulla che possa dispiacere ai sostenitori di una destra sociale che, invece, la sinistra ben vorrebbe non fosse mai esistita. Ma c’è stata e c’è! Feroce per quei socialisti tagliati fuori dal popolo, Blair/Orwell avrebbe vomitato quella «sinistra intellettuale» che ha divorato quasi tutto del «socialismo popolare». Profondamente attaccato alla classe operaia, ma non in nome di una redenzione proletaria in salsa marxista. Egli credeva che fosse la «common decency» del popolo, questa decenza comune fatta di senso morale, di attaccamento alle sue tradizioni e comunità naturali, e del suo senso istintivo della giustizia, che poteva preservare il socialismo dall’inumanità – questa decenza comune oggi odiata dalla sinistra sotto ilo nome di populismo. Infine, il socialismo di Blair/Orwell era stranamente tradizionalista: «Il suo pensiero politico era di sinistra, ma numerosi dei suoi principi erano conservatori», scrive il suo biografo Bernard Crick. Ecologista nel senso buono del termine (innamorato della natura e non idolatra del pianeta), profondamente patriota, persuaso che la libertà non poteva sbocciare pienamente che in una cultura propria ad ogni popolo. Blair/Orwell diffidava della tecnica, che tende a diventare un idolo al qual l’uomo é pronto a sacrificare la sua libertà, il suo rapporto incarnato con il mondo e la sua facoltà di pensare (ancora non conosceva gli algoritmi): «Se cominceremo a domandarci: chi é l’uomo? Quali sono i suoi bisogni? Potremo utilizzare con discernimento i prodotti della scienza e dell’industria , applicando a tutti lo stesso criterio: questo mi renderà più umano o meno umano?». La sua critica alla tentazione totalitaria prendeva di mira , prima fra tutti, l’ideologia progressista e il modernismo. Questa corsa contro il tempo tra la resistenza della natura umana e il totalitarismo, oggi vestito da trans umanismo che punta a sradicarlo, è senza dubbio la questione cruciale della modernità sulla quale Blair/Orwell ci allerta con una brillante preveggenza.
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