L’Inverno della Storia contemporanea. A proposito di Chiara Frugoni e del suo metodo. Di Giuseppe Moscatt.

Chiara Frugoni, Storica del medioevo.

La recente morte della medievista Chiara Frugoni (1940-2022) riapre il tema della validità, non solo didattica, della consolidata quadripartizione della Storia degli ultimi tre millenni, divenuta un dogma storiografico, vale a dire la divisione scolastica, e in date che ne dettano i limiti – in antica, medievale, moderna e contemporanea.

Gli storiografi sanno che tale suddivisione nacque all’epoca di Pierre Bayle (1647-1706), pensiamo alla sua opera Dizionario storico e critico del 1697, primo a definire la figura dello storico del pensiero, immune da pregiudizi, libero da pressioni astratte, legato alle fonti che deve preventivamente valutare, “un giudice equo, senza famiglia, al servizio della sola verità”. Tale fu il primo innovatore fra gli storici adottato da Chiara Frugoni, cioè Johan Huizinga (1872-1945). Olandese, di cultura cosmopolita, e di fede ebraica come il contemporaneo dantista Erich Auerbach (1892-1957), Huizinga, all’indomani della Grande Guerra pubblicava un libretto che scuoterà lo sviluppo della storiografia classica e contemporanea: L’autunno del Medioevo (1919). Sulla scia dell’insegnamento del Bayle, perseguiva la tradizione storicista di Jacob Burckhardt (1818-1897) quando raccolse una serie di fonti locali minori fra Francia e Olanda, dove lo splendore della civiltà medievale veniva calmierata da un sentimento di decadenza dei valori ferrei della società dei primi tre secoli del secondo millennio, quali le difficoltà del vivere quotidiano, la domanda di vita migliore già nel quotidiano, l’idea di cavalleria cortese in guerra e in politica e la stilizzazione dell’amore, l’immaginazione della morte, la revisione del Sacro, la decadenza della fede e il simbolismo sempre meno saldo, il realismo alternativo all’aldilà e la fine del misticismo benedettino e tomista. Una grandiosa sintesi di due secoli dalla peste del ‘300 alle scoperte geografiche. Qui il passato oscuro medievale e il dorato Rinascimento convivono nei fatti in un medioevo nostalgico e speranzoso, un “Autunno” che illumina un quadro storico che Chiara Frugoni prende a esempio di quella età di mezzo che qualifica tutta la storia, inducendo Umberto Eco a scrivere il suo romanzo più famoso, Il nome della Rosa, del 1980, dove ci offre un affresco storico ambientato nel Medio Evo del’300, ma vivo però come se fosse oggi. Proprio il merito della Frugoni fu quello di adottare un metodo di ricerca che andasse aldilà del testo, utilizzando figure artistiche dell’epoca medievale, aderendo pienamente all’idea dell’olandese Huizinga, non a caso fondatore della storiografa sociologica, che rinnegava la tradizionale scuola storicista che legge gli eventi del passato esclusivamente degli atti scritti di origine ufficiale (atti ecclesiastici, giudiziali, ecc. ecc.). Di qui più di un “Autunno” del Medioevo, anzi un “Inverno” che risalisse già all’anno 1000. Scopo del presente studio è allora quello di ritrovare alcune opere poco diffuse che confermino la scuola Olandese e della Frugoni, anche per convalidare uno sviluppo storiografico che non solo retrodati e modifichi la predetta quadripartizione; ma che addirittura metta in sospetto la teoria di una fissità temporale già infranta da Eco come si disse. Del resto un campione dello storicismo come Benedetto Croce nella sua Storia come pensiero e come azione del 1938, aveva concluso che “tutta la storia è contemporanea”, tesi che ci dà un’immagine non secondaria della illustre medievista scomparsa, anticipatrice di una lettura sociologica della storia, vista come un fascio di eventi ancillari ad un evento principale che trascina la società nel suo complesso verso nuovi orizzonti. Dunque, un legame sotterraneo fra i fatti della storia, come la stagione invernale che preannunzia un’estate.

Alle origini del Medioevo: Franz Altheim

Da poco si è prospettato come i consolidati 15 secoli del Medio Evo scolasticamente impartiti, corrispondono a tre presunti periodi: dalla caduta dell’impero romano – il V secolo d. c. circa – all’anno 1000, il c.d. Alto Medioevo; il periodo che va dalla prima crociata – 11° secolo – alla pandemia del 1300 e della “cattività avignonese” del Papato (1306), fino alla scoperta dell’America del 1492 (terzo periodo). E questo fu Il volto della sera e del mattino. Dall’antichità Classica al Medioevo, opera innovativa di Franz Altheim (1898-1976). Se Huizinga e Bloch hanno descritto gli ultimi due periodi, quando e come l’età antica divenne medievale? Vi fu effettivamente una rottura palpabile? Forse è che tali cesure nella storia non costituiscono veramente un taglio netto, visto che le culture e le consuetudini sociali dispiegano influenza nei periodi successivo, come Braudel ebbe a proporre nella sua teoria del “lungo periodo”? E così Franz Altheim, storico di Francoforte (il volume in esame fu pubblicato nel 1954, prima edizione, e poi tradotto in italiano solo nel 2019) ha cercato di dare qui una risposta risalendo a ritroso, osservando tracce archeologiche e di biblioteche benedettine al fine di riannodare i fili rossi che la scuola degli “Annales” degli anni ’30 ritrovò nei secoli successivi già nel terzo secolo d.c. Questo sarebbe stato il momento centrale dell’Europa romana, quando accanto a tale civiltà, si facevano strada alle frontiere a Sud i Sassanidi e a Nord i Gotici. L’evoluzione dell’impero romano ebbe i suoi drammatici momenti fra i successori al soglio imperiale, da Commodo a Settimio Severo nel 1° secolo. Il 2° secolo divenne poi lo spartiacque per un normale criterio selettivo, dove il grande Marco Aurelio combatté i Persiani e i Daci a Nord est, come il famoso film “Il gladiatore” del 2000 ci ha ben mostrato nella sua prima parte, una testimonianza critica che finalmente ha interrotto la lunga sequela di film/peplum alquanto storicamente imprecisi. Seguiranno nel terzo secolo Traiano, Valeriano e Galliano e tanti altri imperatori “per un mese”, fra Galli, Goti, Daci e i Germani. Senza contare le persecuzioni sempre più dure dei Cristiani, circostanze che hanno reso sempre più difficile il lavoro degli storici, dall’illuminista Edward Gibbon (1737-1794), allo storicista Theodore Mommsen (1817-1903). Certo è che da Domiziano in poi nacquero nuove tecniche di guerra che consentiranno resistenze alle masse di invasori da Nord-Est, promosse dalle invasioni mongole che spinsero a catena verso occidente Vandali e Unni, riversando i Goti sull’Impero Romano. Ecco le invasioni barbariche del IV secolo, Romolo Augustolo e Odoacre. La fine del mondo classico? No, per Altheim fu un “lungo periodo” di sconvolgimenti sociali che tuttavia vide la resistenza culturale dell’Impero Romano d’Oriente, fino alla mediazione culturale araba dal VI al X secolo, tanto da fungere da ultima e consistente barriera alla totale caduta della memoria classica, fasi storiche che saranno un ponte obbligato da percorrere per rivalutare il Medioevo così vituperato dagli storici illuministi.

Nascita e sviluppo dell’Occidente medievale: Jacques Le Goff e Ingmar Bergman

Una sera di settembre del 1954, in mezzo al pubblico del Konzerthaus di Berlino, in occasione della seconda esecuzione in assoluta dei “Carmina Burana” di Carl Orff (1895-1982), sedeva un trasgressivo e ormai maturo regista teatrale svedese, Ingmar Bergman (1918-2007). Aveva da poco letto la menzionata ricerca di Huizinga sul tardo Medio Evo e per curiosità aveva deciso di ascoltare quella musiche medievali che nel 1937 avevano sollevato dubbi su quella presunta esperienza della cultura nazista, per il suo tono melanconico e l’ironico rispetto ai canoni nazionalisti dell’epoca e che avevano per opera di Goebbels acquisito dalle note medievali un senso mitico e assoluto. Colpito da quei suoni meravigliosamente moderni e dalle figure rappresentate, Bergman rappresenterà prima a Malmö il dramma “Pittura in legno” (1955) e poi girerà nel 1957 “Il settimo sigillo”, ambientato in Danimarca alla fine del XIII secolo. Il cavaliere Antonius Block e il suo fido scudiero Jöns, tornando in patria dopo aver passato 10 anni in Terra Santa per le Crociate, corrono per il paese devastato dalla peste, incontrando personaggi stranieri rappresentativi delle varie figure di quel secolo. E cioè un gruppo di guitti, il fabbro, la prostituta, la strega, gli studenti e gli avventori di una osteria, dove l’angoscia dell’uomo per la morte – vista come un essere vivente vestito di nero col quale il Cavaliere intratteneva una partita a scacchi per postergare la sua fine – simboleggia il costante quanto difficile rapporto con Dio e senso dell’arte e la domanda di pace dell’uomo, l’amore e il dolore e la brevità della vita. Un percorso esistenziale che i contemporanei Bertold Brecht (1898-1956), Albert Camus (1913-1960) e Jean Paul Sartre (1905-1980) avevano sviscerato dietro le quinte del benessere nell’Europa del dopoguerra. Un Medio Evo che Bergman aveva visto nelle parole dense di nostalgia e di speranza nelle figure classiche di Huizinga e che nello stesso tempo altri storici stavano ristudiando nella scuola francese degli “Annales”, cioé Braudel, Fevre e Bloch – mostri sacri della storiografia del ‘900 –  che si  prodigheranno a rileggere, se non a revisionare,  i canoni di quel Medio Evo del Secondo Millennio non più astrattamente ostracizzato dall’Illuminismo; oppure superficialmente rivalutato dai romantici e dagli storicisti dell”800.         

Bernhard  Schimmelpfennig: Papato e Regno divino temporale

E’ noto che la fortuna di un libro gode di una maggiore o minore apprezzamento anche in ragione della velocità e della qualità di traduzione. Il titolo in esame uscì a Darmstadt nel 1884 ed è pervenuta in Italia, per le edizioni “Viella” solo nel 2006, con l’ottima traduzione di Roberto Paciocco, già distinto studioso medievalista di storia della religiosità popolare. Roland Schimmelpfennig (n.1967) peraltro è considerato un perfetto “topo di archivio” e già l’apertura di un primo lotto dell’Archivio Segreto Vaticano voluto da Papa Leone XIII nel 1881, nonché dei singoli Stati, dall’Impero di Carlo Magno per finire al trecento di Avignone e di Pisa – fra il 1409 e il 1523 – da Alessandro V a Clemente VII – sono state suoi territori  di studio di notevole pregio, anche in armonia al progressivo sostituirsi del dogma dell’infallibilità papale per le questioni centrali di fede e morale (Concilio Vaticano I, 1870) e alla ormai consunta potestà temporale della chiesa Cattolica. Ma è la dichiarazione preliminare dell’Autore – nato a Berlino nel 1938, ordinario di Storia Medievale a Ausburg e autore anche di un interessantissimo studio su Bamberga nel 1370, studio che si lega perfettamente allo spirito della Frugoni, anche qui fortemente privilegiante la teoria del lungo periodo medievale di Fernand Braudel (1902-1985) su cui si dovrà tornare. E cioè che “il Papato è l’unica istituzione che congiunge il passato dell’Europa antica e medievale con il presente”. Con questo breve riassunto – all’inizio riservato alla storia della Germania, mai poi di fatto estesa all’Europa – si è voluto segnalare come dall’anno 1000 fino al 1310, l’equidistanza e le prime lotte con l’Imperatore avevano concesso alla Chiesa Romana una certa autonomia pur nel quadro della famosa lotta delle Investiture. Poi, la nota “Cattività Avignonese” – come la chiamò il Petrarca – che terminò nel 1378 per sfociare in un profondo Scisma e in una prima “Riforma” fra il 1378 e il 1447. Iniziava cioè una nuova fase del Papato: un vero e proprio “Rinascimento delle Arti” che arriverà fino al Concilio di Trento, dopo la Riforma Luterana e la Controriforma Cattolica, stavolta gestita dalle grandi Monarchie Nazionali e dove i Borgia, i Della Rovere, i Piccolomini e i Medici hanno dato quell’impronta suprematista del Papato, croce e delizia di “laicità” in panni ecclesiali, che solo nel tardo ‘800 ebbe a mutarsi. Un panorama di Papi e di periodi storici finalmente individuati al di fuori di ideologie predefinite e da interpretazioni divisive non del tutto metabolizzate e che solo nell’ultimo ventennio sono state meglio condivise alla luce del Concilio Vaticano II.

Julius von Schlosser: l’arte del Medio Evo come “figura” del secondo millennio

Con L’arte del Medioevo” (edizione originale 1923), la tematica in esame prenderà il volo. Dopo tale indagine l’ausilio delle opere d’arte nella interpretazione del Medioevo rompe ogni argine critica dell’età in esame. Scritta da un abile critico d’arte del ‘900, l’austriaco Julius von Schlosser, di famiglia nobile, decaduta dopo la rivoluzione popolare  del 1919, i suoi studi crebbero nell’area intellettuale progressista nella Venezia di inizio secolo, dove visse in una famiglia molto colta con il padre funzionario d’ambasciata dell’Imperial Regio Governo, fino a ritornare a Vienna nella maturità, dove diresse varie Istituzioni Artistiche, quali la Galleria di sculture, l’Università d’arte – come assistente di Dvořák – e poi come direttore dell’istituto di Archeologia. Il primo tema che sviluppò in modo organico, da fondatore della scuola dell’arte austriaca – insieme al Wickhoff e al Riegel – fu il grande problema del metodo attributivo dell’opera d’arte. Proprio in tale ambito, Schlosser elaborò il procedimento della individuazione dell’autore e dei suoi seguaci nonché dell’epoca dell’oggettistica esposta. Inventò cioè il metodo della oggettistica d’epoca con la conseguente creazione del museo contemporaneo. Julius aveva cioè ripreso la ricerca neoclassica di Winckelmann e ne aveva sviluppato gli effetti nei tre periodi medievali, vale a dire nel 1° millennio dal 3° secolo prima all’anno 1000; nell’età successiva alle Crociate e poi alla fine dell’età comunale (1100-1300).  Erano gli ultimi decenni del’300 presi in considerazione da Huizinga, nonché il ‘400 con lo sviluppo dei commerci e la caduta dell’impero d’oriente e i primi viaggi intercontinentali, fino alla scoperta delle Americhe e i primi fermenti protestanti all’interno della formazione degli Stati Nazionali. Il suo maggior merito – ricorda l’alunno d’eccezione Otto Kurz – fu la definizione degli stili e la storia evolutiva del linguaggio artistico medievale. Codificò anche il contributo dei singoli popoli, in primo luogo della cultura italiana del ‘300 e del ‘400, con maggiore evidenza della storia del Vasari, mediando le teorie storiciste di Burckhardt e la soggettiva raffigurazione dei Maestri italiani, in particolare Giotto, Cimabue e Leonardo. Nè sottovalutò i Preraffaelliti umbri, traducendo in tedesco Vasari e l’estetica di Benedetto Croce, grande storico dell’arte, maestro di Federico Zeri e Giulio Carlo Argan.

Bibliografia

Per lo straordinario contributo critico e innovativo prodotto dalle prolifiche indagini di CHIARA FRUGONI, in via generale, vd. Una solitudine abitata, Chiara d’Assisi, collana i Robinson, Roma-Bari, Laterza, 2006.

Oltre ai testi citati, vd. FRANCO CARDINI, La società medievale, Milano Joca book, 2013 e ALESSANDRO BARBERO, Dizionario del Medioevo, Bari, 1994.

Per analoghi problemi sollevati dalla storiografia tedesca, vd. Spiegel Geschichte, nr. 3/2020, Krieg in Mittelalter Macht Ehre Blutige Felden. Die Zeit des Ritterturm.

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