Negli anni del post Concilio Vaticano II la cultura cattolica ha manifestato una energica attitudine a criticare l’ideologia consumistica e a condannare le devianze modaiole e le pratiche viziose suggerite dai messaggi lanciati dai promotori della spesa voluttuaria. La propaganda cattolica, opportunamente intesa a suscitare resistenze al consumismo e all’immoralità ad esso associata, si è purtroppo ridotta al silenzio davanti alle porte dei santuari pagani e/o neopagani, che sono dedicati a entità, nel nome delle quali si giustificano, oltre le violenze, i lussi scandalosi, gli squallidi vizi e le roventi perversioni. I nuovi teologi sognavano una radunata delle religioni finalizzata alla pax mundi e intonata alla tolleranza perfetta. La speranza contemplava una chiesa calata nella vera pace e nella messa in parentesi del qualunque giudizio discriminatorio intorno agli oscuri orizzonti contemplati dagli erranti. Gli eccessi e gli sconfinamenti dalla pastorale fecero avanzare la legittima ispirazione ecumenica fino al confine con un irenismo obbediente al categorico imperativo di non indagare sugli errori e sui canonici peccati delle false religioni. In ossequio al perfetto criterio irenistico e buonistico, alla prima adunata interreligiosa di Assisi furono invitati perfino officianti di arcaici e selvatici riti e promotori di filosfie ateistiche in veste di religiosi. L’esorbitanza del buonismo ad Assisi arrivò al punto di estendere l’invito ai tanti, i quali, per fortuna, rinunciarono ad esibirsi nei loro imbarazzanti riti. Se non che la memoria dei secoli missionari indica una via d’uscita dalla strettoia in cui versa l’eccesso ecumenico. La storia dell’evangelizzazione prima dell’infortunio ad Assisi, rammenta che il dialogo con i non cattolici fu preferibilmente indirizzato alle persone che la buona filosofia aveva allontanato dall’irrazionalismo pagano. Sant’Agostino, ad esempio, stabilì un dialogo fecondo con i platonici e i neoplatonici, perché nella loro filosofia leggeva il progetto di superare la pseudo religione panteista-monista e i suoi prolungamenti nella superstizione filosofante. Il sano criterio applicato da Sant’Agostino non è superato ma confermato dall’involuzione ultima del pensiero moderno.
Gli avanguardisti dell’ateismo, infatti, hanno ereditato le antiche avversioni alla filosofia platonica. Gli atei hanno cercato conferma ai loro pregiudizi nei poemi dell’Ellade estranea alla metafisica di Platone: si pensi al rifugio cercato da Marx nell’epicureismo, al rovente disprezzo che Friedrich Nietzsche nutriva nei confronti del platonismo, al culto quasi superstizioso che è tributato dagli heideggeriani e dagli atei d’ultima frontiera all’arcaico frammento di Anassimandro e alla fonte parmenidea cui si appella continuamente il panteista bresciano Emanuele Severino. Va da sé che la preferenza accordata dai missionari ai non cristiani, che nutrivano pensieri in qualche modo conformi alle verità di ragione, suggerisce un ordinato svolgimento del dialogo inteso al proselitismo, senza mai scadere nell’intenzione di escludere gli uomini che professano fedi superstiziose. Per nessuna ragione i missionari possono ignorare la verità sulla scala gerarchica che mette ordine nelle credenze dei popoli da evangelizzare. La rivelazione ai pagani, peraltro, non ebbe inizio dal compromesso con l’errore ma dall’appello di San Paolo alla verità oscuramente professata dagli ateniesi, che avevano dedicato un tempio al Dio sconosciuto. L’annuncio cristiano, prima che a far tabula rasa della superstizione, è inteso a perfezionare, benedire e santificare i frammenti di verità attinte dalla sapienza naturale. Di qui la necessità di conoscere seriamente, attraverso un viaggio ecumenico vedente, le luci e le ombre delle religioni e delle filosofie professate dai popoli che attendono la luce del Vangelo. Solo obbedendo al criterio collaudato dalla plurisecolare esperienza si stabilisce un dialogo seriamente finalizzato alla conversione dei non cristiani. Un importante contributo alla conoscenza di una fra le più complesse, ricche e articolate tradizioni non cristiane si deve ultimamente a un filosofo e filologo genovese, Sebastian Kunkler, che ha esplorato, con animo rivolto all’autentico ecumenismo, le numerose e contraddittorie teologie e filosofie dell’India vedica. Kunkler ha esaminato le dottrine delle scuola vediche e fra le tante ha scelto il Dvaita Vedanta o Madva Vedanta, una scolastica che ha contrastato e rovesciato il panteismo o monismo ontologico, propriamente la tendenza a riunire in un’unica sostanza i differenti aspetti dell’essere. La metafisica prevalente nell’India vedica suscita la memoria intorno alla filosofia eleatica: Samkara, che ha fondato nel secolo VIII d.C. la più autorevole scuola di pensiero indiano, può essere legittimamente paragonato a Parmenide. Madva (Sri Madvacaryas, 1238-1317) ha invece fondato la scuola della quintuplice distinzione: Dio e le anime, Dio e gli enti fisici, le anime e gli enti fisici, le anime le une dalle altre, gli enti fisici gli uni dagli altri. Per facilitare l’approccio degli italiani alla scuola che ha elaborato una dottrina che riconosce, in qualche modo, la trascendenza dell’unico vero Dio, Kunkler ha tradotto e commentato puntualmente il saggio che Swami Tapasyananda ha dedicato alla vita e al pensiero di Madva. Chiarite le differenze che corrono tra la filosofia di Madva e la filosofia di Tapasynanda, Kunkler dimostra che il suo autore è vicinissimo al realismo metafisico e non distante dalla tradizione tomista. Al proposito, Kunkler cita l’interpretazione formulata dal professore Raghavenrachar dell’università di Mysore, secondo cui Madva sostiene l’esistenza di una Causa prima creatrice, l’unica veramente increata e indipendente, mentre ogni altro ente deve essere dipendente anche al livello del suo essere creatura, cioè fondata quanto all’esistente in Altro da lei, in una ragion determinante (sufficiente) divina e non solo dipendente quanto all’operare. Le testimonianze su Madva, delle quali Marco Solfanelli annuncia la prossima pubblicazione, aprono una breccia nel muro fumoso che fu alzato dalle false convinzioni destate dai teologi intesi, al seguito di Karl Rahner, ad affondare le irriducibili differenze nel calderone di una salvezza che abolisce la responsabilità umana e l’obbligo di scegliere tra la verità e l’errore.
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