Lo sfondo su cui si svolge la vicenda, è la Francia occupata durante la seconda guerra mondiale, ma da un puto di vista molto inedito: ciò che si muoveva dietro la facciata dell’occupazione militare, traffici e contrabbando, lotte di potere, corruzione, sesso, tradimenti e omicidi.
Un capitolo poco conosciuto di molte realtà segrete, che ha origine da quattro ritagli di giornale. Il primo è del “Journal Officiel”, ovvero, la Gazzetta Ufficiale di Francia, che annotava la lista dei beni intestati a un certo Mandel Michel Szkolnikoff (1895-1945), messi sotto sequestro nell’estate 1945, confiscati per collaborazionismo con l’occupante tedesco. Fra le diverse proprietà, ne figuravano alcune che destarono particolare attenzione: la Societè de l’Hotel Windsor a Monte Carlo; l’Hotel du Louvre a Parigi; titoli e quote del Plaza e del Savoy di Nizza; del Martinez a Cannes; del St.James, Mirabeau, Littoral, Bristol Majestic, Victoria, e molti altri in diverse località della Costa Azzurra e della capitale. Inoltre, un centinaio di palazzi privati a Monaco, ristoranti, locali notturni, pensioni e alberghi di varie categorie; stabili in genere, mercati, magazzini e depositi, edifici a Biarritz, aziende e società minerarie e del settore tessile, carbone industriale, proprietà terriere, tenute di lusso con parchi e giardini, castelli e altro ancora. Un patrimonio immobiliare immenso, con rendite da capogiro. Con gioielli, valuta nazionale e straniera e altri elementi, un patrimonio stimato in oltre 2,5 miliardi di franchi dell’epoca, ovvero più di 12 miliardi di euro attuali, accumulati fra il 1941 e il ‘44.
Il secondo articolo è del giugno ’45 tratto dal quotidiano parigino “Combat”, riferito al ritrovamento di un corpo carbonizzato, in un oliveto, da alcuni contadini a una trentina di chilometri da Madrid, identificato come un certo Michel Szkolnikoff, oggetto di mandato di cattura da parte della polizia francese con l’accusa di collaborazionismo economico con i tedeschi.
Il terzo ritaglio è del luglio 1949, dal giornale “Parisien Liberé”, e riportava la condanna di un certo Joseph Joanovici o Joinovici (1905 –1965), condannato dal presidente della Corte di Giustizia a 5 anni di carcere, e alla confisca dei beni fino a 50 milioni di franchi dell’epoca, e alla decadenza a vita dei diritti civili.
Il quarto e ultimo ritaglio, è del marzo 1952, del giornale “France Soir”, a firma del giornalista Marc Lambert, ed è un’intervista a un tale Monsieur Joseph in esilio a Mende, il quale parlava anche di un debito con lo Stato, ammontante a circa 4,5 miliardi di franchi (dell’epoca).
Due personaggi, quindi, noti come “M.Joseph” e “M.Michel”, erano gli imperatori di quel mondo che, durante l’occupazione nazista in Francia, cominciava da traffici illegali e si diramava fra potere, ambizione, soldi, doppio o triplo gioco politico, mercato nero e criminalità.
In effetti, un “sotto-mondo” che era il prodotto della società dell’estate 1940, esteso anche a Belgio e Paesi Bassi, con un giro di soldi che producevano soldi, con la possibilità di comprarsi bella vita, favori, conoscenze, contatti, protezioni…
La divisione della Francia in Zona Occupata e Zona Libera di Vichy, nel giugno ’40, favorì il nascere di numerose organizzazioni clandestine, dedite soprattutto al mercato nero, con 2/3 del Paese sotto controllo tedesco e il resto affidato all’amministrazione collaborazionista. Fra le due parti, il limite era valicabile senza eccessive difficoltà, specialmente se si disponeva di Ausweis (lasciapassare), acquistabile a prezzo di numerose e complicate formalità e “bustarelle”. Chi veniva sorpreso senza Ausweis era immediatamente arrestato, come prevedevano le leggi di occupazione.
In Provenza, Zona Libera, si produceva vino, frutta, sapone, generi alimentari di vario tipo, carbone e altro, e i vari governi che si alternarono nel territorio di Vichy, cercarono sempre di ottenere una certa “morbidezza” nel lasciar passare merci e derrate, come materie prime necessarie all’industria. Da parte tedesca, era richiesto un pagamento differente, a seconda delle concessioni.
La situazione cambiò ancora quando la Germania entrò in possesso diretto di zone come Alsazia e Lorena, annettendole al territorio nazionale del Reich, e la stessa cosa avvenne con il Dipartimento di Calais, posto sotto amministrazione militare tedesca. In pratica una nuova frontiera doganale lungo la Somme e fino alla Manica. Le conseguenze furono prevedibili: nuovi prezzi maggiorati, povertà, contrabbando, mercato nero e, naturalmente, la Resistenza.
Nel libro “Paris pendant la guerre 1940-1944” edito nel 1946, il giornalista e saggista Pierre Audiat (1861-1961) parla di un mercato nero artigianale, di necessità, e di uno estremamente capillare, nella criminalità organizzata, in sostanza, quello dei professionisti, nel quale erano coinvolti impiegati della pubblica amministrazione, gendarmi, poliziotti francesi e tedeschi, autorità locali. Una struttura estremamente organizzata, che trasportava grossi quantitativi di ogni merce, dai 50 kg di zucchero in un pianoforte, a carne, liquori e altri generi di alcolici, tessuti, ricambi meccanici, benzina, tabacchi e molto altro.
In questo ambiente “stravagante” e pericoloso, a suo modo anche pittoresco, la macchina dell’occupazione tedesca pescava a piene mani, e a vari livelli. Dal commercio illegale, alla manovalanza per regolamenti di conti, “prelevamenti” o prelievi, ecc. con personaggi che, grazie ai milioni e milioni accumulati, compravano protezioni e benemerenze, per non incorrere in vendette, fino ad attestati “per servizi resi alla Resistenza” da situazioni di aperto collaborazionismo economico con l’occupante.
Nei giorni della Liberazione, e non solo in Francia, saranno numerosi i fucilati sul posto per avere indossato l’uniforme della polizia, magari solo per dare da mangiare ai figli, mentre i grandi re del mercato nero e del vero collaborazionismo, usufruirono di benefici mai meritati, vivendo senza mai essere legalmente perseguiti.
La documentazione è molto vasta, e mette in luce caratteristiche nascoste nella natura umana. Ad esempio, come i tedeschi abbiano saputo assicurarsi i più inaspettati appoggi, in un gigantesco sistema di saccheggio e movimento di denaro, potere e vizio, anche con ebrei apolidi come “Monsieur Michel” e “Monsieur Joseph”, il primo di origine russa e il secondo rumena, ovvero Michel Szkolnikoff e Joseph Joanovici.
Il principale meccanismo del contrabbando e del mercato nero fu quello allestito dagli stessi tedeschi, su tutti i materiali soggetti a razionamento: derrate di caffè, carichi di frutta, tessuti, carburante, alcol, metalli, materie di prima necessità. Solitamente, le merci contrabbandate venivano stipate in vagoni ferroviari che venivano attaccati a un convoglio o a un altro, con un sistema finemente elaborato. Naturalmente, la merce di scambio più costosa erano le informazioni, ed è a questo punto che entrò in campo la Gestapo, sia quella tedesca che, soprattutto, la famigerata Gestapo francese di Rue Lauriston, diretta dal tristemente noto Henry Lafont, o “Monsieur Henry”.
Un sistema finemente elaborato, basato su un vero e proprio meccanismo autoalimentato, con tanto di uffici, amministrazioni, magazzini, reparti di intervento, agenti infiltrati, prigioni, e tutto il necessario, seguito poi da altri della Luftwaffe, della Wehrmacht e della Kriegsmarine. E naturalmente dall’Abwehr dell’ammiraglio Wilhelm Canaris e dall’SD del generale Reinhard Heydrich.
Il misterioso Bureau Otto
Nacquero così gli “Uffici Acquisti”, in particolare sostenuti dal maresciallo Goring, che proliferarono a una velocità vertiginosa, dove si trattavano affari milionari, grazie a lasciapassare che portavano a enormi profitti, e a documenti che garantivano immunità. Il più potente di questi Uffici Acquisti fu quello organizzato da Herman Otto Brandl (1896-1947), agente dell’Abwehr dalla fine della Grande Guerra, ingegnere dalle molteplici identità, veterano del controspionaggio, con rocambolesche missioni alle spalle. Con lui, una tale Anne Marie, detta “Mary”, di origine sudafricana, donna estremamente intelligente, dalla mente organizzatrice. Nella primavera del ’41, il Bureau Otto contava circa 400 impiegati e un giro di affari in espansione, che si estendeva fino ai docks di St.Ouen, con imprese commerciali, magazzini, raccordi ferroviari privati, banchine fluviali, e altro. Naturalmente era molto viva la concorrenza. Fra i rivali vi era la Società di Commercio Materie Prime, nota con l’acronimo RoGes (Rohstoffhandels-Gesellschaft), specializzata in spedizioni di merci, dazi doganali, fondi di garanzia e altre specialità del settore.
Con Brandl, il Bureau Otto è amministrato da due tedeschi, il capitano dell’Abwehr Robert Posch, e dottor Alfred Fuchs, cognato del tristemente noto Wilhelm Radecke, vero e proprio segugio nel reclutare agenti doppiogiochisti, nel servirsi della criminalità organizzata, nel tessere ragnatele. Fu proprio Radecke a introdurre Monsieur Joseph nella cerchia d’élite, e altri del calibro di Frederic Martin alias “Rudy de Merode”, George “Masuy” Delfane, l’altrettanto tristemente celebre Henry Lafont, l’incontrastato capo della Gestapo Francese della Rue Lauriston e di Avenue Henry Martin. Naturalmente, nell’allestimento delle varie sezioni e uffici, la Gestapo poneva particolare attenzione nella repressione della Resistenza, nella caccia agli ebrei e nel fare affluire lauti guadagni. A tale scopo, lo stesso Himmler aveva ordinato la creazione del WVHA (Wirtschaftsverwaltungshauptamt), in pratica la Direzione Economica delle SS, agli ordini del generale Oswald Pohl, il quale affidò al capitano delle SS Fritz Engelke (già segretario di Himmler) la responsabilità della sezione di Parigi, al 27 di Avenue Marceau. Qui servirono altri due scaltri ufficiali, e in collegamento diretto con l’SS-Obergruppenfuhrer Karl Oberg, comandante in capo delle SS e della polizia.
Fritz Engelke conobbe Michel Szkolnikoff in questo ambiente. Un ebreo russo, nativo di Kaunas, forse di Hamel, forse polacco. La sua famiglia forniva tessuti all’armata zarista, poi dell’Armata Rossa, quindi passò in Lettonia dove fondò una piccola banca con il padre. Si traferì a Danzica negli anni Trenta, poi a Bruxelles, dove cominciarono i guai con la giustizia. Trascorse sei mesi in carcere per emissione di falsi assegni, truffe varie e, quando scoppiò la guerra, nel ’39, Szkolnikoff possedeva alcune società di commercio e magazzini in Rue d’Aboukir.
Nel marzo 1941, Monsieur Michel, o semplicemente M.Michel, prese quindi i primi contatti con l’occupante e fondò la società Textima, import-export con l’Oceano Indiano, che però finì nel mirino della polizia francese. In seguito a una irruzione (causata da una delazione) bastarono un paio di telefonate per calmare la situazione, grazie agli “amici” della Kriegsmarine, tuttavia Szkolnikoff venne schedato, e un controllo dei conti bancari rivelò un versamento di 86 milioni di franchi, fatto appunto dalla Marina tedesca. Poco dopo, M.Michel conobbe la regina del traffico e del mercato nero, Madame Elfrieda detta “Helene”, di origini tedesche e in affari con gli Uffici Acquisti della Gestapo. Fu colpo di fulmine, i due unirono i reciproci patrimoni e traffici, dando origine a una organizzazione che di certo superò quella dei gangster di Chicago. Investimenti, beni immobili, proprietà, aziende, società di trasporto, organizzazioni di ogni tipo di traffico legale o illegale, con un tenore di vita da miliardari, fra feste di lusso, mondanità, gioielli (fra cui un famoso smeraldo da 14 milioni di franchi), o perle e diamanti per altri milioni. Alle cene della coppia erano spesso presenti le massime autorità delle forze di occupazione, non di rado il generale Karl Oberg, il capo dell’SD Helmuth Knochen, i capi del Bureau Otto e, in una occasione particolare, lo stesso Reichsfuhrer Himmler. Nessuno dei campioni della razza eletta, sembrava preoccuparsi delle umili origini ebree russe di Monsieur Michel, mentre veniva servito il più raffinato champagne nelle sale di Rue Presbourg, o alla villa di Chatou, dove si compravano e vendevano anche e soprattutto informazioni, e sulle strade agivano le bande di Rudy de Merode, Henry Lafont, e altri.
In casa Szkolnikoff, comparve anche un certo Joseph Joanovici, alias Monsieur Joseph, personaggio dalle origini altrettanto misteriose, comunque ebreo. I due furono gli assoluti imperatori del mercato nero e della collaborazione economica. Joanovici, secondo alcune fonti, sarebbe nato in Bessarabia nel febbraio 1905, territorio zarista poi passato alla Romania nel 1918. Joanovici si trasferì a Parigi in cerca di fortuna, fece lo stracciarolo, lavorò alla pavimentazione delle strade, quindi in un’officina di recupero metalli. Fondò la sua prima società nel 1929, il commercio si sviluppò, ne fondò una seconda, e il fratello Mardhar lo raggiunse a Parigi. Nel frattempo, ebbe contatti con i comunisti belgi, fondò una terza società, la Joanovici Fréres, che nel ’38 denunciò utili netti per oltre 5 milioni di franchi. Intanto, alla frontiera franco-spagnola, allacciò contatti con le Brigate Internazionali, in transito per andare a combattere nella guerra civile contro i franchisti. Qui Joanovici aveva la protezione di Raymond Guyot, fra i capi del partito Comunista Francese. Fra i principali assistenti di M. Joseph, da non dimenticare Martin Volski, agente del Komintern. Insomma, quando i tedeschi arrivarono a Parigi, i fratelli Joanovici certo sapevano a malapena leggere e scrivere, ma di certo sapevano contare…
L’ascesa
Volendo approfittare dell’arrivo dei tedeschi, intravvedendo possibilità “di carriera”, M.Joseph si fece prestare dei soldi e, grazie a un intersecato gioco politico, approfittando dell’annessione della Bessarabia all’URSS, ottenne la cittadinanza sovietica, per poi ridiventare rumeno quando Hitler attaccò a Est il 22 giugno 1941. M.Joseph si tutelò anche contro i provvedimenti antiebraici in vigore in Francia, intestando parte dei suoi beni a un ex ispettore di polizia di nome Garget, uomo di fiducia che finirà fucilato dai tedeschi, e a un vice-direttore della Prefettura di Parigi, un certo Verdier. Costituì la società APIC (Association Parisienne Industrielle et Commerciale, con un capitale dichiarato di 350mila franchi, e iniziò la collaborazione economica, in un primo contatto con l’azienda berlinese WIFO (Wirtschaftliche Forschungsgesellschaft) specializzata in metalli.
Nel settembre ’41 M.Joseph ebbe dei guai con la Gestapo, per traffico illecito e fraudolento di metalli. Non si sa come, riuscì a uscirne illeso, e sei settimane dopo era nuovamente in pista come primo fornitore del Bureau Otto, per quanto riguardava metalli e generi di vario tipo, con tanto di autorizzazioni firmate e timbrate con l’aquila germanica, e amico intimo del già citato Fritz Engelke, e degli uomini ai posti chiave, fra cui il dottor Fuchs e il suo vice, il polacco Krasnik, detto “Nivelle”. Naturalmente strinse contatto diretti con Hermann Brandl, capo del Bureau Otto.
Durante i primi cinque mesi del ‘42, M.Joseph spedì metalli per 18mila tonnellate, con un giro di affari stimato in cinque miliardi di franchi, e un guadagno netto personale di almeno due. Nel loro genere, M.Joseph e M.Michel furono un esempio unico. Pagavano i tedeschi con stracci e metalli, i quali li ripagavano con denaro sonante, a ciclo continuo.
Nel frattempo nascevano e morivano anche molte relazioni sentimentali che, nel mondo della malavita, sono legate in particolare all’interesse e alla convenienza (do ut des), così come quelle fra M.Michel e Helene (ex amante dello stesso Herman Brandl), M.Joseph e Mary, il dottor Fuchs e l’attrice Dita Parlo, tutti intimi amici di Henry Lafont (Monsieur Henry) che dirigeva la Gestapo francese in Rue Lauriston, diventato più temuto degli occupanti tedeschi.
Le molte donne che gravitavano in questo ambiente, sono a loro volta personaggi da romanzo. Fra di loro, soprannominate le “contesse della Gestapo”, da ricordare Magda Fontanges (1905-1960), avventuriera che si era dichiarata amante di Mussolini, esule in Francia, poi in Spagna, al servizio dell’Abwehr come agente 7027, amante di Henry Lafont, e informatrice dei servizi segreti alleati. Scaricata dallo stesso Lafont continuerà a ricevere un vitalizio che le consentirà di gestire i propri traffici, ma alla fine della guerra finirà alcolizzata e tossicodipendente. Vi era poi Natasha Kolnikov, nata nel 1915 a Mosca, cresciuta in Turchia, giunse a Parigi dove lavorò come commessa, poi indossatrice per Coco Chanel, e attrice con Jean Pierre Aumont e Simone Simon, si trasferì in Brasile come amante di un ricco industriale locale. Tornò a Parigi nel ’41, bella e ricca, e diventò l’amante di Henry Lafont, ma fu un’avventura breve, seguita da altre nel ristretto giro degli Uffici Acquisti della Gestapo, che le fecero accumulare un vero patrimonio. La relazione con Hans Lammers, coinvolto nel complotto del 20 luglio ’44 contro Hitler, ne causò anche l’arresto, la deportazione e l’internamento in campo di concentramento, fino alla liberazione da parte degli americani nel ’45.
Jean Claire Clarisse è un’altra fra le “contesse della Gestapo”. La famiglia voleva costringerla a prendere i voti, ma lei fuggì da ben sei conventi e sposò clandestinamente il conte d’Andurian, con il quale viaggiò in mezzo mondo, fra Brasile, Argentina, Egitto, Arabia, dove conobbe anche il celebre colonnello Lawrence, e il maggiore Sinclair, dell’Intelligence Service, che per altro si suicidò quando si accorse della mancanza di certi importanti documenti segreti… Jean Clarisse fugggì poi a La Mecca, commerciò in diamanti, sposò lo Sceicco Soliman, capo delle tribù meariste del Mar Rosso, quindi passò nell’harem del Re Saud. Dopo un lungo periodo, dedicato alle bellezze saffiche e ai vizi d’oriente, la determinata Jean Clarisse avvelenò Soliman, e riuscì anche a fuggire grazie alla complicità della figlia del console francese, sua “intima amica”, e si ricongiunse al conte d’Andurian, che poco tempo dopo fu trovato pugnalato nella vasca da bagno. Ereditata una notevole fortuna, la contessa si trasferì a Nizza e poi a Parigi, dove entrò nella cerchia del sedicente Mago Popov, considerato il Rasputin della Parigi-bene. Da qui al letto di Henry Lafont, il passo fu breve, mettendo a frutto le stupefacenti arti erotiche apprese negli harem d’Arabia. Jean Clarisse si dimostrò comunque notevolmente abile e intelligente, e investì notevoli cifre nei traffici degli Uffici Acquisti, ricavandone guadagno non indifferenti, in particolare con Joseph Joanovici, il quale si premunì in vista della probabile sconfitta della Germania, finanziando nel contempo sia la mafia francese che la Resistenza. Secondo alcune fonti, pare che Joanovici abbia corrotto numerosi funzionari tedeschi per ottenere il rilascio di molti ebrei destinati alla deportazione, e usasse i propri canali e contatti per trasportare clandestinamente armi per la Resistenza e che fosse il principale finanziatore dell’insurrezione che portò alla liberazione di Parigi.
Dalle stelle, alle stalle
Alla liberazione, Joanovici sfuggì all’arresto e iniziò a testimoniare contro altri collaborazionisti, in particolare Pierre Bonny e Henri Lafont, i leader della cosiddetta “Carlingue”, nomignolo con cui era nota la Gestapo francese. Per anni aveva finanziato una rete della Resistenza all’interno della Prefettura di Polizia di Parigi, chiamata “Honneur de la Police”, e quando la guerra finì, era in rapporti così intimi con la polizia che fu insignito della Medaglia della Resistenza. Fu però Roger Wybot, capo del controspionaggio della Francia Libera, a smascherare i traffici di Joanovici con la Gestapo, e a cercare in ogni modo di arrestarlo.
Dopo aver tentato di tornare in Francia, Joanovici fu arrestato nel 1947 e accusato di tradimento e Wybot accusò anche la Prefettura di polizia di Parigi di proteggerlo. Lo scandalo che ne seguì portò alle dimissioni di Charles Luizet, prefetto di polizia.
Durante il processo del 1949, almeno 27 persone testimoniarono di essere state rilasciate dalla prigionia tedesca a causa dell’intervento di Joanovici. Queste testimonianze, insieme al suo sostegno al movimento clandestino “Honneur de la Police”, al suo ruolo nella cattura di Bonny e Lafont e alla Medaglia della Resistenza, contribuirono al decadimento dell’accusa di collaborazionismo a livello di spionaggio, ma fu comunque riconosciuto colpevole di collaborazione economica per la quale fu stato condannato a cinque anni di reclusione, e alla confisca delle sue proprietà. Poiché l’annessione della nativa Bessarabia da parte della Romania, durante la guerra, aveva reso incerta la sua nazionalità, Joanovici evitò la deportazione. Inoltre, le cattive condizioni di salute lo avevano reso incompatibile al regime carcerario, così venne deciso l’arresto domiciliare, in una stanza d’albergo nella città meridionale di Mende. Da qui, l’instancabile M.Joseph, utilizzando solo il telefono, riuscì a ricostruire la sua fortuna nel commercio di rottami metallici, diventando anche notevolmente popolare come filantropo.
Nel gennaio 1957 fuggì nuovamente dalla Francia e cercò rifugio in Israele, usando un passaporto falso. Dopo che le autorità vennero a conoscenza della falsa identità e delle false motivazioni fornite per l’entrata Israele, il suo permesso di soggiorno non fu rinnovato, e fu costretto a tornare in Francia alla fine del 1958, dove venne nuovamente arrestato e sottoposto a processo, dove però venne assolto dalla maggior parte delle accuse e condannato a un solo anno di prigione. Fu rilasciato nel 1962 e si trasferì a Clichy, dove morì in relativa povertà il 7 febbraio 1965, all’età di 59 anni.
Nel 1998 lo scrittore francese Alphonse Boudard ha pubblicato il romanzo “L’étrange Monsieur Joseph” basato sulla vita di Joanovici. Nel 2001 l’opera è stata adattata per un film televisivo con lo stesso nome, diretto da Josée Dayan, da una sceneggiatura di Éric-Emmanuel Schmitt, che fu criticato come una sorta di apologia ingiustificata. Fra il 2007 e il 2012 è stata pubblicata una graphic novel in sei volumi di Fabien Nury e Sylvain Vallée dal titolo “Il était une fois en France”, che tratta delle sue imprese durante la guerra. Un’edizione omnibus è stata pubblicata nel 2015 e nel 2019 è stata pubblicata una traduzione in inglese dal titolo “Once upon a time in France”.
La fine di Michel Skzolnikoff fu invece ben più misteriosa e drammatica. Dal 1942, ovvero il periodo d’oro degli affari con Fritz Engelke, direttore dell’Ufficio Economico delle SS in Francia (WVHA), fino all’evacuazione delle truppe di occupazione, nell’agosto ’44, pare che M.Michel avesse una rendita di circa due milioni di franchi al mese, ma non esisterebbero documentazioni in merito, in quanto, dalla fine del 1940, sembra che Szkolnikoff non tenesse registri contabili, anche se il volume dei suoi traffici fanno supporre che sia stato molto superiore al miliardo di franchi dell’epoca.
Nell’agosto 1943, mentre Engelke era in viaggio in Germania, Szkolnikoff e la sua amante furono arrestati dal servizio della Gestapo responsabile della repressione del mercato nero e le sue case furono perquisite14. Engelke al suo ritorno a Parigi avrà qualche difficoltà a farlo rilasciare14. Successivamente, Szkolnikoff si porrà completamente sotto l’ala di Engelke, occupandosi solo del servizio economico della SS14 e dedicandosi soprattutto all’acquisizione immobiliare14 che aveva avviato l’anno precedente.
Immobiliare e ospitalità
Ha fondato molte società immobiliari e alberghiere con sede a Monaco (il principe Luigi II di Monaco aveva mantenuto legami finanziari privilegiati con la Germania nazista dal 1936). Szkolnikoff ha anche ottenuto un titolo di residente monegasco.
Acquisterà così tanti palazzi in Costa Azzurra: 7 hotel tra cui il Louvre e il Windsor a Monaco, Le Plaza a Nizza, il Majestic ma anche ad Aix-les-Bains (il Grand Hôtel1), a Biarritz1 e un a Parigi (il Grand Hôtel de Paris, boulevard de la Madeleine). Questi acquisti sono facilitati dal fatto che la maggior parte di questi hotel di lusso erano fortemente indebitati, con la crisi del 1929, alla Foncière du Nord, azienda stessa in difficoltà di cui Szkolnikoff avrebbe preso il controllo.
Non è chiaro se in queste acquisizioni alberghiere Szkolnikoff abbia agito per i propri interessi o anche per gli interessi tedeschi. Questi ultimi erano allora molto interessati all’industria del turismo francese e volevano creare un grande gruppo alberghiero internazionale sotto il controllo di Göring2.
Szkolnikoff ha anche costruito un portafoglio immobiliare molto ampio, sempre attraverso più società guidate da candidati, acquistando una cinquantina di edifici a Parigi, principalmente nel quartiere degli Champs-Élysées9. La maggior parte di queste acquisizioni vengono effettuate tramite l’acquisizione di Société générale immobilière per 139 milioni di franchi, che possedeva molti edifici parigini, tra cui 16 nella sola rue Marbeuf15 e diverse rue Clément-Marot, rue de La Trémoille e rue du Boccador15 . Acquistò anche in Costa Azzurra, come il palazzo Bellevue1 a Nizza e anche a Monaco dove acquistò almeno 6 edifici e 7 ville, facendo salire i prezzi degli immobili monegaschi15 e diventando il principale proprietario terriero del Principato, spingendo il ministro di Stato (equivalente del capo del governo) Émile Roblot per modificare la legge monegasca per richiedere l’autorizzazione del governo per qualsiasi acquisto di beni immobili15.
Il patrimonio di Szkolnikoff era stimato a due miliardi di franchi2.
Vita di lusso
Con i loro affari fiorenti, Szkolnikoff e la sua amante conducono una vita sempre più lussuosa. Pierre Abramovici nella sua biografia su Skolnikoff indica che da “sontuoso” nel 1942, il loro stile di vita è diventato “stravagante” nel 194316. La coppia vive da quell’anno nella loro casa parigina, al 19 di rue de Presbourg, a due passi. di Place de l’Étoile, circondato da una dozzina di servi1. Spesso si trovano anche a Monaco, soggiornano all’Hotel Windsor che Szkolnikoff ha acquistato e dove alloggia sua nipote e sua moglie. Trascorrono i fine settimana nella loro grande villa a Chatou o nello Château d’Aine ad Azé, non lontano da Mâcon, in Saona e Loira9. Queste residenze sono state lussuosamente arredate e ristrutturate16. Il loro tavolo è aperto a pranzo e cena e acquista la reputazione di uno dei migliori di Parigi1, frequentato ogni giorno da più di dieci persone16. Troviamo regolarmente Engelke ei suoi assistenti, Otto il capo dell’ufficio di approvvigionamento dell’Abwehr o il dottor Wunderlich, il rappresentante a Parigi della polizia economica tedesca. Si dice che Himmler sia venuto lì una volta, portato da Engelke, durante una visita a Parigi1. Szkolnikoff invita anche regolarmente i suoi introduttori o fornitori di affari francesi e belgi1. Hélène Sanson abbandona gradualmente la gestione dell’attività, conducendo una vita oziosa, acquistando numerosi gioielli e frequentando le boutique dei grandi couturier, in particolare la casa Paquin dove, alla Liberation, si trovano dieci pellicce di sua proprietà1 .
Già nel gennaio 1944 iniziò a recarsi in Spagna14, apparentemente per custodire lì parte della sua fortuna, sotto forma di oro e gioielli, prima che la sua proprietà fosse sequestrata1. Sebbene fosse protetto dall’ambasciatore José Félix de Lequerica, nello stesso mese subì anche il suo secondo arresto da parte della Gestapo. L’ispettore Speck, del BDS, l’ufficio responsabile della repressione del mercato nero, lo ha arrestato a Chatou, nonostante la presenza di Engelke17. Verrà rilasciato solo dopo diversi giorni, a quanto pare dopo il pagamento di una grossa caparra. Questo episodio riflette le guerre interne all’interno delle SS e sembra colpire anche Engelke, sospettato di arricchimento personale17.
Presunta morte e controversie
Ci sono diverse voci sulla morte di Szkolnikkoff o sulla sua possibile fuga in Sud America. La tesi oggi più generalmente accettata è la sua morte accidentale durante un tentativo di rapimento in Spagna da parte dei servizi segreti francesi.
La DGER, i servizi segreti del governo provvisorio francese, avrebbe creato nel 1944 un gruppo per arrestare o uccidere i collaboratori francesi che si erano rifugiati nella Spagna franchista18,19. I membri di questo gruppo preparano un piano per catturare Szkolnikoff e infiltrarlo in Francia. Con il pretesto di rivendere gioielli, si prevede di attirarlo in una trappola a Madrid18, drogarlo e rimpatriarlo in Francia. Ma il piano non funziona come previsto, si difende Szkolnikoff. Alla fine è stato messo fuori combattimento, poi drogato con un ago e messo nel bagagliaio di un’auto diretta al confine francese18. Per strada il commando si accorse della sua morte e si sbarazzò del corpo in un campo sotto un ponte dopo averlo spruzzato di benzina e incendiato1, nei pressi del villaggio di El Molar18, una trentina circa chilometri da Madrid, sulla strada per Burgos. Successivamente è stato trovato da un contadino, parzialmente carbonizzato18.
Circoleranno diverse versioni sulla sua morte (infarto dopo un interrogatorio muscolare1, overdose del suo trattamento farmacologico iniettabile …) e sulle motivazioni del commando: riportarlo in Francia, recuperare la sua immensa fortuna per lo Stato o per loro1. Secondo il rapporto della polizia segreta spagnola, che su denuncia ha arrestato il commando18, Szkolnikoff aveva un cranio fratturato18. Il corpo parzialmente carbonizzato viene frettolosamente identificato dal fratello dalle sue tipiche scarpe, quest’ultimo viene poi rapidamente espulso dalla Spagna. Pierre Abramovici, nella sua biografia di Szkolnikoff, sottolineerà incongruenze in questo riconoscimento del corpo, rivelerà che la sua tomba nel cimitero di El Molar è in realtà una fossa comune e indicherà che un conto in banca a Buenos Aires a nome di Michel Szkolnikoff fu attivo fino al 195818. Szkolnikoff aveva ottenuto in Spagna, nell’ottobre 1944, il titolo di viceconsole presso l’Ambasciata spagnola di Argentina, tre passaporti cubani, argentini e portoricani e la nazionalità argentina18, considerando possibile emigrazione .
Famiglia
Szkolnikoff è sempre rimasto molto vicino alla sua famiglia che lo seguirà in tutta Europa. Dei suoi tre fratelli e sorelle, solo Riva, un ingegnere chimico, rimase a Mosca dove si sposò e divenne insegnante in un liceo4. Sua sorella maggiore, Hana, sposò un uomo di nome David Kazakevics, dal quale aveva una figlia, Olga4, ma lui li abbandonò nel 1927 per stabilirsi in Brasile4. La madre e la figlia si uniscono quindi a Mandel, quest’ultimo tratta Olga come sua figlia. Suo fratello Gessel, nome di battesimo che in seguito trasformò in Grégoire, anche lui ingegnere chimico, seguì il fratello con il quale fondò a Parigi la loro prima azienda tessile, Textima18. Anche i genitori e la moglie di Szkolnikoff seguono l’esempio, stabilendosi ad Anversa18 mentre lavorava a Bruxelles. A Parigi, Szkolnikoff e sua moglie si separano ma lui continua a sostenere lei e il suo amante18. Ha comprato una villa a Nizza poi a Monaco per ospitare i suoi genitori.
Suites
Uno degli obiettivi prioritari del governo della Francia liberata ma incruenta è quello di recuperare il più rapidamente possibile le fortune costituite illegalmente durante l’occupazione20. Il ministro delle Finanze René Pleven e la magistratura sono particolarmente interessati al caso Szkolnikoff, che i servizi di intelligence del Comitato francese per la liberazione nazionale di Algeri monitorano dal 194320.
Alla Liberazione, sono stati istituiti comitati per la confisca dei proventi illeciti in ogni dipartimento, sei nel dipartimento della Senna in considerazione del numero di casi da trattare a Parigi20. Le ordinanze del 12 e 28 dicembre 1944 dei tribunali civili della Senna, Grasse e Nizza pongono sotto sequestro tutte le proprietà di Szkolnikkoff e quelle di persone riconosciute solidali. Il “sequestratore di Szkolnikoff” (o “sequestratore di Skolnikoff – Sanson”) è ad oggi il più grande sequestratore francese della storia21. Più di 28 persone saranno dichiarate in solidarietà con questo curatore, inclusa la sua famiglia, la sua amante e vari partner.
Seguiranno molti altri processi, alcuni per controversie sulla sua eredità, tra cui uno in Spagna che si oppone alla sua ex amante alla famiglia Szkolnikoff, quest’ultimo contestando un testamento di Michel Szkolnikoff. La corte di cassazione spagnola e un tribunale svizzero daranno loro ragione. A quel tempo, il padre di Szkolnikoff scomparve, morì nel 1948, ma suo fratello Gessel visse allora in Spagna e sua sorella in Belgio. Hélène Sanson ha vissuto per un periodo in Spagna e poi in Germania. Morì alla fine degli anni ’60.
70 anni dopo, un caso è ancora in corso, il caso Martinez, dal nome dell’hotel di Cannes acquisito da Szkolnikoff ai danni del suo fondatore Emmanuel Martinez. I suoi discendenti chiedono ancora un risarcimento (una nuova sentenza è prevista per febbraio 2014 Note 1), contestando il suo sequestro alla Liberazione, considerando che Emmanuel Martinez non aveva venduto l’albergo a Szkolnikoff22. L’albergo era stato posto in amministrazione controllata nel 1944 poi amministrato dai Domains che lo hanno posto in gestione. Alla fine è stato venduto a un gruppo alberghiero, il gruppo del Louvre nel 1981.
Ci sono stati tutti i tipi di voci su quello che è successo alla proprietà non immobiliare di Szkolnikoff. Tra questi, quella parte sarebbe stata recuperata dai servizi segreti francesi e sarebbe servita a finanziare le installazioni dell’11 ° battaglione d’assalto (allora braccio armato dei servizi speciali) e varie operazioni clandestine in Indocina18. Pierre Abramovici, nella sua biografia su Skzolnikoff, indica che nonostante gli ultimi quasi 70 anni, la DGSE ha rifiutato di aprirgli i suoi archivi e che non può quindi confermare o smentire questa voce.
Nel 1950 i tribunali francesi non erano ancora convinti della morte di Skzolnikoff e l’8 maggio lo condannarono a morte in contumacia1, alla confisca di tutti i suoi beni e alla multa di due miliardi di franchi1. Nel 1956, Hélène Sanson ha chiesto al tribunale militare di Parigi di riconoscere la morte di Skzolnikoff nel 19451 e di annullare la sentenza del 1950 che riteneva gli eredi “corresponsabili” delle somme dovute da Skzolnikoff. La giustizia spagnola fornirà quindi alla giustizia francese elementi sulla sua morte, confermando la morte accidentale a seguito del rapimento da parte di agenti francesi che saranno poi scambiati con agenti spagnoli1. La corte riconoscerà quindi ufficialmente la morte di Skzolnikoff1.
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Réédition : Grégory Auda, Les belles années du « milieu », 1940-1944 : le grand banditisme dans la machine répressive allemande en France, Paris, Michalon, 2013, 2e éd., 253 p. (ISBN 978-2-84186-678-6).
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