Deep e Dark Web sono termini spesso confusi e a volte demonizzati, che indicano due territori digitali diversi, con caratteristiche ben precise e, in alcuni casi, inquietanti.
Le origini
Oggi Internet viene usato per informazioni, selfie, incontri e tante altre cose che ci hanno reso la vita molto più facile (e confusa). Si è ormai abituati a usare il computer come si usa il televisore, il telefono, l’automobile, eppure non tutti sanno che ogni elemento di questo immenso mondo virtuale, oggi dato per scontato, fa riferimento a un nome: Tim Bernes Lee, e ancora prima, a un acronimo: Arpanet, sistema informatico nato per scopi militari.
Era il 1969 quando, il Dipartimento della Difesa decise di mettere a punto un sistema di comunicazione e collegamento, in grado di connettere in tempo reale i diversi computer sparsi in tutti gli States, con una banca dati che fosse resistente anche a una eventuale guerra nucleare, che a quel tempo sembrava probabile.
Questa particolare rete venne battezzata Arpanet, (Advanced Research Project Agency Network), che collegava e faceva dialogare fra loro i computer militari di tipo differente, in connessione anche con varie università.Il progetto di una rete che collegasse i calcolatori di vari centri di ricerca, era nato da un’intuizione di Dwight David Eisenhower e sviluppato dalla azienda Arpa, da lui voluta nel 1957. Il timone passò poi a due psicologi, Robert Licklider che, nel 1962, teorizzò l’Intergalactic Computer Network, e Larry Roberts, che aveva elaborato il progetto Arpanet nel 1967. Successivamente, con Leonard Kleinrock, Paul Baran e Donald Davies, nel 1965, si trovò anche il metodo per trasmettere i dati su questa rete, a livello globale ma, prima di stabilirne le regole e costruire i primi processori nel 1969 (detti IMP, Interface Message Processor), era necessario mettere a punto il metodo che avrebbe permesso a computers e reti diverse, di comunicare fra di loro.
Nel 1973 due ingegneri, Vinton Cerf e Bob Kahn, definirono i teoremi che diverranno lo standard di comunicazione per il trasporto dei dati sulla rete e fra le varie reti allora esistenti (Arpanet, Alohanet, Satnet), sviluppati dalle teorie di Kleinrock, Baran e Davies.
Il primo segnale via Arpanet venne inviato il 29 ottobre 1969, con un avvio che conteneva il codice “log-in”, ma dopo pochi secondi, e la trasmissione delle sole prime due lettere, tutto il sistema si bloccò e andò in tilt. Pochi ne erano coscienti, ma era iniziata una nuova era, ancora oggi in piena espansione. Dovettero passare vent’anni poi, nel 1989 il fisico inglese Tim Berners Lee teorizzò un sistema per la gestione di informazioni, espressamente studiato per usi scientifici e in particolare dedicato al centro sperimentale CERN di Ginevra, costruito a modello di una ragnatela (web, appunto) per la conservazione dei dati di ricerca e la loro consultazione. L’anno seguente Berners Lee annunciò la creazione del World Wide Web come oggi lo conosciamo e, nell’agosto 1991, mise online il primo sito web: http://info.cern.ch/hypertext/WWW/TheProject.html, ancora oggi attivo. L’Italia esordì nel mondo di Internet il 30 aprile 1896 (dopo Norvegia, Inghilterra e Germania), evento che non tutti oggi ricordano, ma che ha cambiato per sempre il nostro modo di concepire tempo, spazio e tutti i concetti che questi due termini comprendono. Quel giorno, venne inviato il primo segnale Internet che, da Pisa raggiunse Roaring Creek, in Pennsylvania, tramite il collegamento satellitare di Telespazio, in Abruzzo. Un evento sostanzialmente trascurato, tanto che nemmeno la stampa ne fece menzione. Eppure l’ingegno italiano diede un fondamentale contributo allo sviluppo di Internet, proprio con i tecnici del CNUCE, Centro Nazionale di Calcolo Elettronico, guidati da Luciano Lenzini e Stefano Trumpy, che trovarono il modo per interconnettere computer e reti digitali secondo le regole elaborate 13 anni prima da Vinton Cerf e Bob Kahn, e cioè grazie all’idea di impacchettare i dati come fossero dentro una busta da lettera, con tanto di mittente e destinatario. La burocrazia tutta italiana tentò di fermarli, con la motivazione di tutelare interessi strategici ed economici, ma i due ricercatori (già collaboratori della NASA) non si arresero e nell’aprile 1986 l’Italia entrò in connessione con il resto del mondo.
Il rovescio della medaglia
Quando la tecnologia informatica militare sviluppò sistemi di successiva generazione, Arpanet venne “concesso” per usi commerciali e civili, e ribattezzato come oggi lo conosciamo, cioè Internet, dando avvio a uno sviluppo di incredibile velocità e ramificazioni, sfociando anche in campi che sono andati oltre ogni immaginazione, nel bene e nel male, riducendo, o meglio, trasformando il modo in cui erano concepiti tempo e spazio. Un ulteriore sviluppo giunse con la formazione della Internet Society (Isoc), inaugurata a Kobe, in Giappone, alla quale, ancora una volta, contribuirono in modo determinante i tecnici italiani del CNR e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.
Fra gli aspetti meno positivi, e non di rado negativi del mondo virtuale, si sono sviluppati quelli che oggi conosciamo come Deep Web e Dark Web che, essendo poco noti, sono solitamente confusi, ma in realtà sono due manifestazioni differenti, e che utilizzano software grazie ai quali è possibile acquisire copia testuale di qualunque documento online, inserendolo in un indice con relative informazioni. Quella parte di Internet che, invece, non è indicizzata dai vari motori di ricerca, è detta Deep Web e, secondo alcune fonti, corrisponderebbe ad almeno il 90% dell’intero universo web. Ciò che è visibile, quindi, sarebbe solo una piccola punta di iceberg, rispetto al tutto. Ogni elemento non indicizzato dai motori di ricerca, va a finire nell’immenso contenitore invisibile, ad esempio email, messaggi di vario tipo, documenti, immagini, transazioni bancarie, pagine Internet a cui per accedere è necessario autenticarsi, come, per esempio, i forum o gli indirizzari universitari e i contenuti dinamici, i siti appena messi online, quelli privati, o le pagine da poco pubblicate. A questo materiale, se è noto l’indirizzo, è possibile accedere.
Il discorso sul Dark Web è più particolare e complicato. Un mondo virtuale parallelo, dove in genere i numerosi elementi sono definiti dal dominio “.onion” posti su server che utilizzano un particolare protocollo di metodo sviluppato, guarda caso, sempre dal Dipartimento della Difesa americano, con lo scopo di criptare le comunicazioni per rendere sicure e anonime, e rilasciato al pubblico utilizzo nel 2004, dando inizio a uno sviluppo parallelo, oltre a quello per la protezione della privacy. In pratica, un illimitato mercato nero di ogni possibile merce, dalle informazioni sensibili, alla droga, agli armamenti, alle persone, traffico di organi, e fino all’opportunità, sempre nel totale anonimato, di usufruire dei servizi di hackers, il cui prezzo varia in base alla frode che dovrà commettere, o sicari per omicidi a pagamento.
A differenza di quanto succede con il Deep Web, al Dark Web si arriva solo tramite specifici software che consentono agli utenti la navigazione anonima, proteggendo la propria identità e la cronologia dei collegamenti effettuati. Digitando un qualunque dominio “.onion” su un normale motore di ricerca, il sito corrispondente non sarà raggiungibile, tuttavia il software che può permettere l’accesso, noto come “Tor”, è per altro scaricabile gratuitamente.
Oggi si contano diversi milioni di download del software “Tor”, fra attivisti, dissidenti politici, fino ai commercianti di materiale pedopornografico, o dei cosiddetti “snuff movies” o chi vive in Paesi sotto regimi autoritari, per aggirare la censura. Naturalmente, e per ovvie ragioni, gli indirizzi dei siti “.onion” cambiano molto spesso, anche da un giorno all’altro.
Che cosa si può trovare, quindi, nel Dark Web? Effettivamente di tutto, compresa la versione “.onion” dei siti di notizie, siti non esattamente autorizzati per lo scambio di criptovaluta, o la versione criptata di Facebook, ma anche mercati illegali che funzionano su modello eBay.
Secondo alcune ricerche, pare esistano oltre un migliaio di domini “.onion” divisi per contenuti. Fra i siti considerati illegali, il 45% ha a che fare con il traffico di droga, il 12% con il commercio illegale di materiale farmaceutico, il 5% sarebbero dedicati a truffe di vario genere e un altro 5% per operazioni di hackeraggio.
Il capitolo pedopornografia è un altro punto dolente, perché nel Dark Web si trovano anche materiali di questo tipo. Nel 2014 la Polizia Postale Italiana ha condotto un’inchiesta, battezzata “Sleeping Dogs”, che ha portato all’arresto di dieci persone, fra cui professionisti, operai, impiegati, alcuni sposati, e diversi con figli. Poche settimane dopo sono stati scoperti una trentina di gruppi di pedofili.
Il caso Silk Road
Fra gli episodi più noti ed emblematici del Dark Web è noto come Silk Road, letteralmente “via della seta”: uno dei siti di e-commerce illegali più noti, raggiungibile solo utilizzando “Tor”, dov’era possibile comprare droga, armi, documenti falsi, farmaci, e molto altro, il tutto suddiviso in categorie, smantellato dall’FBI nel 2013.
Le indagini hanno accertato che il sito era stato aperto nel 2011 da un certo Ross Ulbricht, arrestato e quindi condannato all’ergastolo, dopo essere stato identificato come “Dread Pirate Roberts” (nome del leggendario guardiano della via dell’antica via della seta, personaggio del romanzo di William Goldman “La principessa sposa”) laureato in ingegneria, che si difese giustificando Sik Road come “esperimento economico”. In effetti, si è scoperto un notevole bottino di diversi milioni di dollari in ”Silk Road Bitcoin”, ma il successo degli investigatori ha dimostrato come Tor, I2P, FreeNet, e il Dark Web non siano uno scudo che protegga da inviolabilità, atti illegali e violazioni quali condivisioni di file pirata o contraffatti, crimini informatici, protezione di dissidenti da ritorsioni politiche, protezione della privacy di cittadini soggetti a sorveglianza di massa, vendita di beni limitati su mercati illegali, fughe di notizie, violazioni della censura di internet e dei sistemi di filtraggio dei contenuti o aggiramento di firewall. In sostanza, una lama a doppio taglio perché, se da un lato la rete Tor è affidabile per la tutela della privacy, dall’altro agevola attività criminali.
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