Nell’attuale, difficile periodo che stiamo vivendo, dove la società è messa alla prova dalla pandemia Covid-19, torna alla ribalta il pensiero del filosofo francese Alain de Benoist. Egli va oltre gli schieramenti prettamente ‘politici’ fino a toccare e ad influenzare i concetti di Etica, Sociologia, Identità e Individuo. Una soluzione?
La comunità globale, culturale e sociale, è chiamata a una prova estremamente difficile, per la quale molti la definiscono “profondamente impreparata”. A tale scopo si ripresenta una questione solo apparentemente dimenticata, che riguarda la sopravvivenza dei valori fondamentali e dello stesso insieme umano, inteso in senso comunitario, con inevitabili conseguenze sul piano sociale, culturale ed economico.
Si tratta del pensiero del “Comunitarismo Identitario”, termine coniato alla fine del secolo, che indica il funzionamento della società. Da qui, il concetto è mutato fino a essere riferito a un insieme di dottrine distinte, e tuttavia con tratti comuni che si oppongono al concetto di individualismo.
Il pensiero del Comunitarismo, non è però contrario a Liberalismo e Democrazia, ma analizza ed enfatizza in modo differente le componenti stesse delle due ideologie, spostando l’attenzione dal singolo, alla comunità nel suo insieme o, nella accezione più globale, all’intera società umana.
Il problema della priorità, fra individuo e comunità, ha un impatto molto significativo su gran parte delle questioni etiche, fra cui povertà, aborto, libertà di espressione e pensiero, e multiculturalismo.
Se vogliamo necessariamente avvicinare il concetto di Comunitarismo a un’area politica, sostanzialmente si può dire che, per certi versi, derivi dall’area marxista, più che alla Destra storica ottocentesca e pre-fascista, in quanto, pur riferendosi fondamentalmente all’ideologia di Destra, ha quasi subito analizzato la propria essenza, per giungere a una rinnovata identità politica e ideologica, per arrivare a una nuova identità, accogliendo anche motivi storicamente appartenenti alla Sinistra perfino rivoluzionaria. In pratica, quindi, il Comunitarismo si concentra sulla identificazione e comprensione delle idee “nazionalitarie” (differenti da quelle “nazionaliste” perché basate sulle identità comunitarie e non sulla nazionalità) e dell’ideologia socialisteggiante, per giungere a un’unica idea, finalizzata allo sviluppo della comunità intesa come “società” e, in ogni caso, marcatamente anti-imperialista.
Come “società” si deve infatti intendere l’insieme organizzato degli individui, che condividono comportamenti e obiettivi, e che interagiscono per formare un gruppo o una comunità. Tralasciando Sociobiologia ed Etologia Sociale, riferite esclusivamente all’analisi delle società animali, sono invece da tenere in considerazione Sociologia, Antropologia ed Economia, in quanto riferite al gruppo umano, pur essendo esso parte della società animale, ma “arricchito” della peculiarità dell’intelletto. Ultimamente, anche la Fisica si interessa ai fenomeni sociali e culturali, principalmente dal punto di vista del cosiddetto “Sistema Complesso”, fino a stabilire i principi di nuove discipline come la Sociofisica e la Econofisica.
Comunità, quindi, intesa in senso sociologico e antropologico, soprattutto dall’esponente più rappresentativo, il giornalista, saggista e filosofo francese Alain de Benoist, autore di numerose opere fra cui “Le idee a posto”, “Democrazia”, “L’impero interiore”, “Populismo, fine della destra e della sinistra”.
De Benoist tende alla realizzazione di una sorta di dizionario delle idee, riferito principalmente ai concetti base della politica postmoderna, fra i quali Ecologia, Differenza, Democrazia Partecipativa, e Comunità. Nell’ottica comunitarista, de Benoist afferma che “E’ necessario ripensare uno schema base delle correnti di pensiero politico, economico, sociale, e del loro coordinamento e interdipendenza, che fino ad oggi hanno imposto categorie culturali, spirituali e ideologiche, erroneamente basate sull’ormai storicamente anacronistico Secolo dei Lumi”. L’Illuminismo quindi è un retaggio che bisogna lasciarsi alle spalle, per procedere a un recupero del significato più puro di Socialità e Libertà e, conseguentemente, alla riscoperta del modello di Sovranità, che più si avvicina al concetto politico della Città-Stato dell’antica Grecia, dove la partecipazione popolare era il fondamento della stessa vita comunitaria. La peculiarità è però il mantenimento della proprietà privata, con l’esclusione dell’egemonia dei mercati, come metro di conduzione della Cosa Pubblica e, di pari passo, la messa al bando del capitalismo tecnocratico e della speculazione finanziaria. Se la proprietà privata fosse basata sui principi del Comunitarismo, automaticamente non esisterebbe il capitalismo nelle mani di una ristretta minoranza di tecnocrati, e le risorse economiche sarebbero disponibili a tutte le fasce sociali, proprio in virtù della stessa partecipazione comunitaria. In sintesi: dovrebbe essere il principio dell’Economia Sociale a indirizzare la gestione amministrativa, e non la politica a dettare principi e regolamenti della vita sociale.
Nei fatti, oggi stiamo assistendo all’esclusione della partecipazione popolare alla gestione politica e amministrativa, basti pensare che, in linea di principio, le sessioni del Parlamento, che dovrebbe essere formato da rappresentanti eletti, dovrebbero essere aperte al pubblico, mentre nulla è più lontano dalla realtà. Altra caratteristica è la superficialità e la deleteria autonomia di rappresentanti eletti in una determinata parte, che decidono, senza alcun diritto costituzionale, di uscire dalla compagine nella quale sono stati eletti, per dare vita a una nuova formazione, la quale, di diritto, si insedia nel Parlamento stesso. Secondo il principio etico della politica, sarebbe corretto che tale nuova formazione non fosse autorizzata a far parte di un governo, prima di essersi presentata a libere elezioni e avere ottenuto il minimo, e legittimo, consenso degli elettori, cioè di coloro che dovrebbe rappresentare.
L’esempio della Grecia antica, dovrebbe quindi essere considerato un concetto non astratto, ma un vero e proprio progetto sociale da attuare, realizzando una dopo l’altra le potenzialità ancora inespresse, o soffocate, del Liberalismo, o libera democrazia, e che non si associano allo sviluppo di una comunità nel solo senso “affaristico-mercantile”.
“La Democrazia di tipo rappresentativo – afferma de Benoist – è un punto dal quale poter sviluppare un maggior coinvolgimento popolare alla vita politica di un Paese. Il concetto di Nazione dovrebbe decadere, a vantaggio delle identità regionali, unite da un comune senso di appartenenza continentale”.
Nell’Europa odierna, il concetto di appartenenza continentale è di fatto tramontato, sempre ammettendo che sia mai nato. E’ più che mai evidente, infatti, che non si sia realizzata un’Europa degli europei, ma una sostanziale cooperazione di grandi istituti bancari, i quali movimentano enormi masse di capitali, per la maggior parte solo virtuali, influenzando la circolazione del poco capitale reale delle popolazioni.
Stando ai concetti del Comunitarismo, quindi, la popolazione è esclusa dalla partecipazione alla gestione della Res Publica, assolutamente elitaria, quindi, per associazione, la Democrazia non è realizzata in quanto, secondo alcuni analisti, consiste, a livello pratico, in una Confederazione Germanica dell’euro, pseudonimo del marco. Un’Europa da troppo tempo in bilico sull’orlo del baratro, sempre per dirla con de Benoist, che evidenzia il fallimento del progetto economico.
Il discorso sul Sistema-Europa si riflette poi sul Sistema-Italia, esclusa da ogni velleità di dirigenza a livello internazionale, e caratterizzata da una sovranità solo teorica dove i governanti da tempo non sono più eletti dalla popolazione, e dove il governo si è trasformato in una “governance senza popolo”. Nell’attuale sistema è però molto difficile, se non impossibile, operare un ritorno ai principi fondamentali, dal momento che gli Stati sono ormai sottomessi ai vincoli dettati dal mercato finanziario.
“Un chiaro esempio – prosegue de Benoist – è l’applicazione del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) che costringe i governi nazionali a non poter più decidere il proprio bilancio, il che costituisce un vero attentato alla sovranità nazionale e allo stesso principio della Democrazia. La crisi continua, ma le politiche di austerità ne scaricheranno i costi su classi medio-basse, senza essere efficaci. Generalizzeranno la miseria, senza permettere agli Stati di sdebitarsi, e sebbene i vari governi siano differenti, ovunque la crisi ha gli stessi effetti, ovunque il debito esplode e i redditi crollano. Di fatto, ci troviamo ad assistere al passaggio dalla crisi del debito privato a quella del debito pubblico. Stati già in deficit si sono massicciamente indebitati per aiutare le banche, chiedendo prestiti a privati per soccorrere altri privati”. Una situazione a dir poco surreale e in clima di terrorismo finanziario, con le grandi istituzioni che corrono ai ripari perché strutture economiche di livello divergente non possono avere la stessa moneta, specie se dal tasso troppo alto, come lo stesso euro che è stato è ricalcato sul marco”.
In sostanza, De Benoist pone l’attenzione sulla necessità di costruire un’Europa autorevole, in grado di poter competere non solo con Stati Uniti, ma anche con Cina e Russia. L’universo americano corrisponde all’incubo hegeliano, cioè all’incubo di una società che, dopo aver ucciso l’idea di patria, nega anche l’idea di una legittimità dello Stato. Nel contesto della sua riflessione politica, De Benoist sottolinea come la democrazia americana sia una “Nomocrazia”, cioè una tirannia della legge. D’altra parte, in un Paese in cui la costituzione fissa come scopo della società il perseguimento di una utopistica felicità, non poteva esistere altra aspirazione se non quella della fine della storia, e del consumismo, posto come fine a sé stesso.
Sotto il profilo geopolitico internazionale, per gli USA il mondo esterno non esiste poiché l’esistenza di una specifica cultura, dotata di valori diversi da quelli dell’American Way of life, è incomprensibile per un americano convinto che il suo modello politico ed economico sia universale, e che sia di conseguenza l’unico valido per l’intero pianeta. Per questo la politica estera statunitense non fa che oscillare perennemente fra l’isolazionismo e il sentimento profetico di una missione consistente nel diffondere, in modo forzato, i principi della democrazia.
Quanto all’ Europa, è stata un’entità atlantica la cui unificazione è consistita in una operazione di addizione fra le politiche nazionali, che concretamente ha dato una somma pari a zero. Fare l’Europa in assenza di una volontà europea, in grado di affermarsi in maniera indipendente come entità che possegga una propria personalità, o una coscienza europea equivale, da un lato, a legittimare la divisione dell’Europa stessa e, dall’altra parte, a diventare sudditi di Washington. In ultima analisi, allo stato attuale l’Europa non è altro che l’Europa degli Stati Uniti, poiché l’integrazione europea oggi consiste nell’allinearsi a decisioni unilaterali.
E’ inoltre chiaro il riferimento ai principi propugnati da Rousseau, non a caso illuminista molto atipico e, in un certo senso, precursore utopista del principio di “volontà della popolazione” come espressione più dinamica del divenire della comunità. L’utilizzo costante dell’attività sociale come caratteristica principale di base della Democrazia Partecipativa.
Cosa vuol dire quindi Comunitarismo? A quale tipo di comunità si riferisce? Fondamentalmente il concetto di Comunità è per altro ambiguo poiché, attraverso la storia, si è espresso in molte forme diverse e, non di rado, contrastanti. In questo senso, il Comunitarismo non ha la pretesa di essere una scuola di pensiero dogmatico, ma prima di tutto un orientamento culturale e sociale, che non vuole fornire formule particolari per fare funzionare la comunità, ma proporre una chiave di lettura e interpretazione critica.
Volendo visualizzare il pensiero comunitarista, possiamo rintracciare, fra le varie interpretazioni, una difesa dei legami, delle relazioni, dei rapporti di prossimità, delle identità personali e collettive, e la volontà si recuperare un contratto diretto con l’Ecosistema, che è l’ambiente dove la comunità vive. Queste posizioni portano inevitabilmente a una critica dell’attuale sistema economico e sociale, e della stessa idea di crescita economica come corsa del sistema globale a produttività e consumo, a cui si contrappone non uno sviluppo sostenibile, ma decrescita e localismo.
Quella comunitarista è quindi una critica del consumismo senza limiti, e del modello antropologico da esso prodotto. Sempre secondo de Benoist, “Il Comunitarismo preferisce la qualità alla quantità, e la persona all’individuo. La comunità di cui si parla è una realtà radicata in un tempo e in uno spazio definiti, come risposta alla crisi dello Stato Nazionale, ridotto a esecutore delle decisioni di poteri finanziari e all’affermazione di vincoli e restrizioni alla solidarietà e una prospettiva comune più forte del semplice contratto sociale utilitarista fra individui. Una comunità politica che possa sostituire, dove possibile, la Democrazia Rappresentativa con forme di Democrazia Diretta, perché manca l’elemento Rappresentativo”.
In pratica, un’occasione per smascherare l’illusione di necessaria giustizia del sistema di sviluppo occidentale, costruendo un percorso fatto di partecipazione e condivisione, comportamenti individuali e azioni collettive, per ridare alla comunità il controllo del proprio destino.
Il fine della politica, dovrebbe quindi andare oltre la politica stessa. Facendo seguito a tale principio, un elemento molto significativo della filosofia concettuale di Alain de Benoist è la valorizzazione dei temi ambientali. La sensibilità ecologica si riflette sulla consapevolezza politica, in quanto basata sul rifiuto delle logiche di egemonia di mercato, in nome di più elevati valori. Solo la prospettiva comunitaria, che mette da parte l’economia per porre l’accento sui rapporti umani e sul dialogo politico fra cittadini e istituzioni, è adatta a rendere ragione della questione ecologica, vissuta prima di tutto come problema sociale, capace di coinvolgere la collettività. Si oltrepassa quindi la differenza storica fra Destra e Sinistra, fra conservatorismo e progresso, per concentrarsi su problemi e soluzioni concrete, senza velleità restauratrici, ma nemmeno accettando passivamente lo status quo, caratterizzato da una innaturale spinta al consumismo e all’economismo esasperato. Va quindi rivalutato il momento politico, a spese di quello economico-finanziario, per puntare a una concezione comunitaria fortemente anticonformista, in un’epoca dominata dalle logiche di mercato e da una globalizzazione che non dà risalto alle identità locali.
Esiste e continuerà a esistere la globalizzazione, ossia l’interdipendenza dei mercati, il villaggio globale, ma dovrebbe essere contenitore riempito di contenuti reali, non teorici. “La scommessa della nostra civiltà – dichiara ancora de Benoist – sarà affiancare alla globalizzazione economica la globalizzazione dei diritti, delle identità, della giustizia. Da una economia di mercato, non è possibile passare alla società di mercato, sarebbe un passaggio traumatico. Non si uscirà da questo sistema, trasformandolo per renderlo più accettabile, ma cambiandone il paradigma per mettere fine alla colonizzazione del pianeta da parte della forma-capitale, dell’antropologia liberale e della civilizzazione del profitto”.
Se le identità locali rispecchiano, pur su scala minore, la comunità nel suo insieme, per tale motivo sono da considerarsi anch’esse in senso sociologico e antropologico. Identità in quanto comunità si può intendere come struttura organizzativa sociale, in un territorio di estensione limitata, dove gli abitanti abbiano caratteristiche, tradizioni e abitudini condivise.
In genere, il principale elemento che accomuna individui appartenenti a una stessa comunità è il linguaggio. In tale ottica il termine “Comunità” può essere riferito ad associazioni con ideologie comuni, fino ad essere considerata estensione del concetto di “Gruppo” o “Famiglia” in senso antropologico. Una dimensione di vita comunitaria che implica la condivisione di un sistema di significati, comportamenti e valori. A questo concetto si riferisce “Comunità e Società” di Ferdinand Tonnies (1855-1936).
Per estensione, dalla piccola comunità si arriva alla comunità umana in senso generale (quindi globale) per il fatto che, a parte le differenze di abitudine, corsi storici o religione, il genere umano condivide i valori fondamentali, o quantomeno, comuni diritti e doveri, tenendo presente come, dal punto di vista più propriamente psicologico, un individuo si rapporta prima alla comunità di appartenenza, e quindi alla società nel suo insieme. Se nel primo caso l’individuo è avvantaggiato da una sorta di “protezione” che gli consente di evitare traumi di varia natura (e che però ne limita il pieno sviluppo), nel secondo caso vi è una maggiore esposizione a diverse forme di rischio ma, al tempo stesso, una maggiore libertà nello sviluppo delle potenzialità del singolo.
Recentemente si è poi visto come sia necessario il contatto fisico o la particolare vicinanza geografica, per formare una identità comunitaria, grazie alla tecnologia che ha sensibilmente ridotto (se non annullato) le difficoltà di comunicazione, e il concetto di spazio e tempo.
Nell’idea di Comunitarismo, quindi, è possibile comprendere anche l’idea di Multiculturalismo, intesa come libertà individuale nel poter scegliere il proprio stile di vita, relativamente alla condizione socio-culturale, contrapposto al Multicomunitarismo riferito unicamente a una determinata comunità e cultura.
Secondo il sociologo polacco Zygmunt Bauman (1925-2017), “Finché Multiculturalismo e Multicomunitarismo si confonderanno, il primo servirà gli interessi della globalizzazione priva di freni politici, e le stesse forze globalizzatrici avranno gioco facile, con conseguenze devastanti, fra le quali la più diffusa è l’ineguaglianza sociale, per altro in continuo aumento. Una soluzione a tutto questo sarebbe trovare forme di coabitazione e convivenza soddisfacenti, o per lo meno accettabili. Se non appare possibile una revisione dell’ordinamento sociale, è logico che chiunque possa arrogarsi il diritto di cercare il proprio posto nell’ordine della realtà, accettando però le conseguenze di tale scelta”.
Costanzo Preve (1943-2013), eminente pensatore italiano, studioso del Comunitarismo e autore di numerosi saggi in proposito, evidenzia: “La sfida dei tempi attuali è quella di ricomporre un pensiero occidentale comunitario, o meglio, “comunistico”, specialmente con l’utilizzo della critica come principale filtro e strumento”. In pratica, ricostruire un pensiero filosofico e concettuale, lasciandosi alle spalle la pesante eredità del pensiero occidentale tradizionale, che per altro Preve non demonizza né rifiuta, ma cerca di interpretare.
I passati secoli di filosofia occidentale sono, in ogni caso, legati dalla aspirazione del singolo al vivere comunitario, contrapposto alla visione atomistica, individualista e utilitaristica, protagonista assoluta della nostra epoca.
Secondo Costanzo Preve, per costruire un qualcosa di innovativo che dal passato tragga insegnamento, è necessario prima demolire: “Attraverso una serrata critica al pensiero comunitario, che nel corso della storia si è concretizzato in ideologie politiche anche totalitarie (le quali hanno puntato all’annichilimento dell’uomo in realtà sociali e statali coercitive), e attraverso una reinterpretazione del pensiero marxista e delle successive espressioni englesiane e kaustkiane, intese come alterazioni dello stesso Marx, si arriverebbe all’intuizione che, fondamentalmente, lo stesso Marx sia stato elemento primario del concetto di Comunitarismo e che, in un certo senso, il Comunismo sia espressione troppo frettolosa e superficiale del Comunitarismo stesso”.
Va infatti sottolineato che, nonostante la critica del Comunismo storico novecentesco e dei suoi macroscopici errori di valutazione, Preve rimane convinto della necessità di un pensiero forte, e di matrice marcatamente anticapitalista ma, a differenza di altri, non ne auspica uno, qualunque esso sia.
Lo studio di Costanzo Preve tende quindi a chiarire ed escludere quegli equivoci interpretativi che il termine Comunitarismo genera nei vari ambienti politici, culturali, sociali, affermando: “Non può esistere Comunitarismo senza libertà fondamentali dell’uomo, e la necessaria condivisione della partecipazione alla vita della comunità”.
Soffermandoci sul significato della parola “Comunità”, ci accorgiamo che è collegabile a un duplice significato: “ciò che è in comune” ed “essere in comune”. Consideriamo “ciò che è in comune” come oggetto materiale del vissuto e del vivere, e anche la comunità stessa o, più precisamente, tutte le sue componenti che devono essere messe in comune. L’elemento “essere in comune” rappresenta invece la modalità di esistenza del libero individuo che partecipa direttamente, e insieme agli altri, a ciò che è in comune, e quindi alla gestione della Res Publica, nella quale ha importanza fondamentale l’elemento “lavoro” e tutte le sue implicazioni.
Per comprendere l’importanza dell’elemento “lavoro” nel Comunitarismo, bisogna anzitutto capire quale sia la critica alle dinamiche politico-economiche, relative all’ambito lavorativo, ed essere coscienti degli ostacoli intellettuali e materiali.
In questo caso, un aiuto è offerto dalle stesse parole di Marx: “Immaginiamo un’associazione di uomini liberi, che lavorino con mezzi di produzione comuni, e impieghino coscientemente la forza-lavoro sociale; che decidano insieme quale parte del prodotto complessivo debba servire a sua volta come mezzo di produzione, e con quali obiettivi, e quale parte vada consumata come mezzo di sussistenza dai membri della comunità stessa. Immaginiamo, inoltre, che al posto del sistema capitalista delle associazioni cooperative unite, debbano regolare la produzione nazionale secondo un piano comune”. In pratica, i produttori dovrebbero gestire i mezzi di produzione, rovesciando i concetti di economia politica e politica economica (che non sempre sono la stessa cosa), abitudine che fa apparire ovvio come i rapporti fra persone siano alla fine rapporti fra cose, e che produrre sia uguale a produrre merci. Infatti, non si produce più valore, ma valori d’uso, ovvero beni per determinati scopi.
L’abolizione della forma di lavoro che crea valore, ha immediate ripercussioni anche sul piano politico. Alla morte del valore, corrisponde la fine della gestione indiretta, della politica separata, e solo quando la produzione sarà concentrata nelle mani di individui associati, il pubblico potere perderà il proprio carattere politico e si avrà un vero sviluppo e un’autentica crescita sociale.
Per concludere con Alain de Benoist: “Le persone sono abituate a pensare che crescita e sviluppo siano fenomeni naturali mentre, nella storia, l’umanità ha ragionato diversamente. L’ideologia del progresso ha giocato, da questo punto di vista, un ruolo cruciale. Anche se oggi ha perso gran parte della credibilità, la vecchia opinione secondo cui una crescita quantitativa permanente è una cosa sempre positiva in sé, non ha ancora abbandonato le menti della gente”.
Bibliografia
alaindebenoist.com – Sito ufficiale;
“Il paradosso de Benoist” – Costanzo Preve (Settimo Sigillo, 2006);
“La politica controcorrente. Alain de Benoist oltre l’opposizione destra-sinistra” – Stefano Sissa, (Arianna Ed, 2010);
Breve sintesi del pensiero di Alain de Benoist – filosofico.net;
“Perché non mi riconosco più nella destra” Alain de Benoist – su scribd.com.
“La fine della sovranità. La dittatura del denaro che toglie il potere ai popoli” – Alain de Benoist, Arianna Ed., 2014;
“Il Trattato Transatlantico. L’accordo commerciale USA-UE che condizionerà le nostre vite” – Alain de Benoist, Ediz. Arianna 2015;
“Comunità e decrescita. Critica della ragione mercantile” – Alain de Benoist, 2006
Interviste con Alain de Benoist, 2016-2018.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.