In seguito alla sconfitta della Turchia nella Prima Guerra Balcanica, il 28 novembre 1912 l’ex-possedimento ottomano di Albania conquistò la sua indipendenza, poi riconosciuta a livello internazionale nel 1913 durante la Conferenza di Londra. Dopo essere stato brevemente governato da un sovrano straniero (il principe tedesco Guglielmo di Wied), nel 1914, in concomitanza con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, il paese venne occupato, fino al 1918, da forze austriache e italiane. Nel dicembre 1920, l’Albania fu ammessa nella Lega delle Nazioni e nel 1927 il suo nuovo leader, Ahmed Zogu, esponente dell’aristocrazia terriera, firmò con Mussolini un trattato di amicizia, proclamando, l’anno seguente, la monarchia. Dopo diverse vicende, il 7 aprile 1939 l’Italia occupò l’Albania, annettendola. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, le formazioni comuniste, guidate da Enver Hoxha, scesero in campo prima contro gli italiani e poi, dopo l’8 settembre 1943, contro i nuovi occupanti, cioè i tedeschi. Il 29 novembre 1944, le truppe della Wehrmacht, pressate dalle forze britanniche sbarcate in Grecia e da quelle sovietiche entrate in Serbia, abbandonarono spontaneamente Tirana e l’intero paese, consentendo di fatto alle forze comuniste di prendere il controllo del territorio e di avviare un’immediata epurazione di tutti i leader degli altri raggruppamenti politici che, facendo parte della ALNA (il movimento partigiano albanese), in qualche modo avevano anch’essi partecipato alla lotta contro l’invasore germanico.
Molti esponenti di queste formazioni (sia monarchici che repubblicani) riuscirono tuttavia a riparare in Italia e in Grecia. Il 10 novembre 1945, Enver Hoxha si impose di fatto quale unico capo assoluto del regime e primo dirigente del Partito Comunista Albanese: duplice incarico che venne poi confermato, il successivo 2 dicembre, attraverso consultazioni elettorali farsa a lista unica. L’11 gennaio 1946, l’assemblea costituente di Tirana proclamò la nascita della Repubblica Popolare di Albania, e una delle prime iniziative promosse dal nuovo governo consistette nell’applicare severe restrizioni alla libertà di movimento da parte dei pochissimi diplomatici americani e inglesi presenti nel paese e sospettati “di istigare sollevazioni anticomuniste nel paese”. Di conseguenza, nell’aprile del 1946, la Gran Bretagna – che dalla fine della guerra manteneva a Tirana un paio di rappresentanti – comunicò che avrebbe rinunciato ad inviare in Albania una sua delegazione diplomatica ufficiale. E dal canto loro, nel mese di novembre, gli Stati Uniti decisero di ritirare i propri incaricati. Poco più tardi, Londra e Washington – indignate dall’atteggiamento autoritario e vessatorio di Hoxha – dichiararono a chiare lettere di volersi opporre all’ammissione all’Onu “di uno stato palesemente antidemocratico come quello albanese comunista”. E pochi mesi più tardi, le già difficili relazioni tra l’Albania e l’Occidente, in particolare la Gran Bretagna, ebbero modo di deteriorarsi ulteriormente. Nel maggio e nell’ottobre del 1946, due gravi incidenti navali verificatisi nel canale di Corfù (che Tirana rivendicava), provocati da mine e dal fuoco di batterie costiere albanesi, causarono il danneggiamento di un paio di unità da guerra britanniche e la morte di 44 marinai (22 ottobre 1946). Ma non si era che all’inizio di una lunga contesa. Tra il 1946 e il 1949, l’Albania – dietro suggerimento di Stalin – appoggiò la guerriglia scatenata dai partigiani comunisti greci contro il legittimo governo di Atene – atteggiamento che rese a dire poco esplosiva la situazione (1). Tra il 1948 e il 1949, le relazioni tra Albania e Iugoslavia, già particolarmente difficili a causa delle molte dispute di confine (vedi la questione kossovara), si interruppero definitivamente in seguito all’espulsione di quest’ultima dal Cominform.
Tra il 1948 e il 1952, con lo scoppio della Guerra Fredda, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, iniziano ad appoggiare, attraverso il SIS e la CIA, diverse operazioni aeronavali che avevano come scopo l’introduzione in territorio albanese di agenti anticomunisti ex-appartenenti o simpatizzati dei partiti di opposizione precedentemente eliminati da Enver Hoxha. Tuttavia, come si vedrà, tali operazioni si riveleranno un sostanziale fallimento. Nel 1960, in seguito a vari dissapori, l’Albania arriverà a rompere i rapporti diplomatici con l’URSS, allacciando nel contempo una stretta amicizia con la Cina di Mao Tse-tung.
Dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia (1968), l’Albania abbandonerà il Patto di Varsavia e varerà un’intensa politica di autodifesa che, nel corso degli anni, porterà lo Stato alla bancarotta. Ossessionato da possibili attacchi da parte della Iugoslavia e delle forze del Patto Atlantico, il dittatore Hoxha ordinerà, tra l’altro, la costruzione di ben 750.000 tra casematte e bunker. Nel 1978, i rapporti privilegiati dell’Albania con la Cina giungeranno anch’essi al capolinea, facendo sprofondare il Paese delle Aquile in un totale isolamento politico-diplomatico che durerà fino al 1985 quando, dopo la morte di Hoxha, il suo successore, Ramiz Alia, tenterà di avviare un cautissimo ma anche confuso programma di liberalizzazione socio-economica e di apertura verso l’esterno. In seguito alla grande manifestazione di protesta studentesca di Tirana del dicembre del 1990, il governo sarà costretto a legalizzare i partiti di opposizione. Pur vincendo le elezioni del 1991, il Partito Comunista Albanese, ormai minato da profondi mali e dissidi interni, si avvierà, di lì a poco, verso il totale sfaldamento e alla metà del maggio dello stesso anno, uno sciopero generale costringerà la compagine a trasformarsi in Partito Socialista (PSS) e ad unirsi in coalizione con il partito di opposizione dei Democratici (PDS). Alla fine del 1991, l’Albania, ormai in preda al disordine più totale e ad una situazione economica disastrosa, verrà sconvolta da una serie di sommosse che l’anno seguente, dopo 47 anni di potere assoluto, porranno fine all’era comunista.
Le missioni anglo-americane in Albania 1949-1952
Contrariamente a quanto si verificò negli altri Paesi precedentemente trattati, per quanto concerne l’Albania, sottoposta al regime di Ever Hoxha, non è forse corretto fare riferimento all’attività svolta nel secondo dopoguerra da un vero e proprio movimento di resistenza effettivamente presente sul territorio (tra il 1945 e il 1952, nel paese agirono soltanto poche decine di ribelli anticomunisti che alla fine vennero tutti arrestati e condannati a morte), ma piuttosto ai diversi e spesso vani tentativi compiuti, tra il 1948 e il 1952, dai servizi segreti britannici e americani, per introdurre nel paese patrioti albanesi disposti a lottare per strappare il potere al leader Hoxha. Come si vedrà, lo scopo di queste sfortunate missioni fu proprio quello di inoculare nel paese germi insurrezionali e per creare i presupposti di una rivolta armata contro una delle più feroci dittature comuniste e atee del secondo dopoguerra. (2)
Ma come si è detto, quasi tutti i tentativi promossi dai servizi segreti anglo-americani andranno incontro ad una serie di disastri, sfociando nell’arresto e nella condanna di quasi tutti gli infiltrati. Nel 1952, i tribunali albanesi, al termine di sbrigativi processi, manderanno infatti al patibolo circa 300 tra commando, basisti e simpatizzati, inducendo Londra e Washington ad interrompere qualsiasi iniziativa. Già nel marzo 1951, con il preciso scopo di sventare qualsiasi tentativo di penetrazione da parte di “agenti reazionari al soldo dell’imperialismo occidentale”, il regime albanese renderà ancora più ferree le sue misure di sicurezza atte a garantire l’integrità del territorio nazionale. Nel settembre 1952, l’Assemblea del Popolo varerà un nuovo e (se possibile) ancora più duro codice penale contenente, tra le varie disposizioni, una legge attraverso la quale poteva essere applicata la pena capitale “nei confronti di qualsiasi cittadino di età superiore agli 11 anni ritenuto colpevole di cospirazione contro lo stato o di danneggiamento di proprietà pubbliche”.
Nel tardo autunno 1944, dopo la ritirata delle truppe tedesche dall’Albania, le varie fazioni partigiane che avevano contribuito – grazie anche all’appoggio dell’esercito e dei servizi segreti britannici – ad accelerare la liberazione del paese, entrarono subito in lotta tra di loro, e in questo breve ma cruento scontro, il movimento comunista riuscì a prevalere, anche in virtù degli aiuti forniti dall’amico-nemico Tito. La nuova situazione venutasi a creare nel Paese delle Aquile mise in serio allarme il governo inglese che, avendo avuto modo di rapportarsi con il leader marxista durante il periodo della resistenza antitedesca, si rese conto che – data la natura e i programmi del suo nuovo governo – l’Albania si sarebbe potuta trasformare in una minacciosa base avanzata sovietica sul Canale di Otranto e sul Mediterraneo. Questa considerazione, per nulla peregrina, indusse quindi la Gran Bretagna ad imbastire, attraverso il SIS, un piano per destabilizzare in qualche modo il regime di Tirana divenuto ormai troppo pericoloso. Non essendo in grado di sostenere da sola un impegno così oneroso, nel 1947 Londra decise di coinvolgere l’amministrazione di Washington che, nel frattempo, dopo essersi resa conto della vera natura dei regimi comunisti, stava anch’essa correndo ai ripari. Il 12 marzo 1947, il presidente Harry Truman aveva infatti enunciato quella che sarebbe passata alla storia come la sua Dottrina. Come è noto, con questo documento presentato al Congresso, il presidente dichiarò la ferma volontà degli Stati Uniti nell’adoperarsi per “tutelare gli interessi di tutti i popoli liberi minacciati da minoranze armate o da nemici esterni”. A dimostrazione del rapido cambiamento in corso dei rapporti tra Occidente e mondo comunista e della ferma presa di posizione americana, il 21 ottobre 1947, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite incaricò una speciale commissione per indagare circa l’attività sovversiva (denunciata da Washington e Londra) dei ribelli comunisti greci di Markos, e delle forze straniere che li appoggiavano. E abbastanza facilmente e rapidamente, la commissione poté appurare che le forze di Markos godevano effettivamente dell’appoggio dei governi albanese, bulgaro e iugoslavo. Ovviamente, L’Urss e i suoi alleati – che non avevano preso parte ai lavori della commissione – protestarono con vigore, negando qualsiasi responsabilità da parte dei governi di Tirana, Sofia e Belgrado che all’epoca manteneva ancora buoni rapporti con Mosca.
Nella convinzione che il blocco sovietico fosse comunque intenzionato a proseguire nella sua politica di espansione, nell’ottobre 1948, in Inghilterra venne creato un particolare organo dipendente dal Foreign Office: il cosiddetto “Comitato Russia”, al quale venne affidato il compito di pianificare e coordinare apposite contromisure atte a contenere la “politica aggressiva dell’Unione Sovietica e dei suoi paesi satellite”. Fino dalle prime riunioni, il Comitato si pose come obiettivo anche quello di coinvolgere direttamente i servizi segreti statunitensi, già al lavoro, dietro direttive di Truman, nell’elaborazione di una nuova strategia anti-comunista, quella della “risposta elastica”. I membri del “Comitato Russia” ebbero modo di esaminare per la prima volta del caso Albania nel corso della riunione del 25 novembre 1948, convocata per studiare i metodi e le tecniche più adatte per combattere la Guerra Fredda ormai in atto. Al termine del meeting – al quale parteciparono alte sfere del Foreign Office e della diplomazia britannica tra cui Gladwyn Jebb, Ivone Kirkpatrick, Roger Makins, William Hayter, Robin Hankey e Frank Roberts e il comandante dell’Aeronautica Lord Tedder – venne tracciata, seppure a grandi linee, una prima bozza di programma comprensiva, tra l’altro, di un piano inerente “lo studio per l’attuazione di eventuali azioni di sostegno ai movimenti politici albanesi in esilio”. Piano che avrebbe dovuto coinvolgere tutti i leader dei partiti albanesi fuggiti nel 1945 in Occidente, e che in seguito avrebbe riscontrato anche il consenso dei servizi segreti statunitensi.
Dopo avere contattato i tecnici del SIS circa l’opportunità e la fattibilità di simili operazioni, il Comitato optò per il trasferimento, mediante mezzi navali, in territorio albanese di agenti autoctoni in modo da creare in loco un primo nucleo resistenziale. Fino dall’inizio, il programma si rivelò tuttavia molto difficile da realizzare in quanto gli esponenti dei partiti democratici e monarchici albanesi in esilio contattati allo scopo dimostrarono subito una scarsissima coesione di intenti e, come se non bastasse, un’accesa quanto perniciosa litigiosità interna. Nella primavera del 1948, la maggior parte dei leader della resistenza monarchica (fedele a re Zog a quel tempo in esilio in Egitto) e della fazione dei Balli Kombetar, risultavano inoltre disseminati in svariati paesi. Midhat Frasheri si trovava in Turchia, Abas Ermenji in Grecia, Said Kryeziu e Abas Kupi (con il quale gli inglesi avevano già collaborato durante la guerra) in Italia. Mentre al contrario, nei campi profughi della penisola italiana (Santa Maria di Leuca, Roma-Cinecittà, Barletta e Reggio Emilia), si trovavano concentrati centinaia di rifugiati albanesi, molti dei quali disposti a continuare a lottare per la libertà del proprio paese. Dopo molti, faticosi tentativi, gli inglesi – che nel frattempo avevano ottenuto l’appoggio, soprattutto finanziario, di Washington – riuscirono a stabilire un’intesa di massima tra i vari esponenti politici, potendo così dare inizio alla seconda fase del piano, quella concernente l’addestramento di un primo contingente di volontari albanesi da trasferire segretamente a Malta (base operativa prescelta dal SIS) e successivamente in Albania.
Il 23 settembre 1949, in seguito all’annuncio del presidente Truman e del primo ministro inglese Attle relativo all’avvenuto primo esperimento nucleare sovietico, la politica delle “contromisure” anglo-americane nei confronti dei paesi del blocco comunista (primo fra tutti l’Albania) subì un’improvvisa accelerazione. Anche perché i servizi segreti di Londra e Washington iniziarono a temere che Mosca fosse intenzionata ad installare proprio a Valona (dove erano già presenti alcuni sommergibili russi) alcune rampe di lancio per speciali missili (realizzati dagli scienziati russi sulla base di progetti tedeschi) dotati di testate chimiche o addirittura nucleari.
Il 14 settembre 1949, il Dipartimento di Stato presentò al National Security Council un rapporto segreto di 21 cartelle sulla politica che gli Stati Uniti avrebbero intrapreso nei confronti dei paesi satellite dell’Unione Sovietica, primo fra tutti l’Albania. E la prima operazione pianificata ed organizzata dal SIS britannico poté avere inizio il successivo 1° ottobre, quando una apparentemente innocua goletta da 43 tonnellate, la Stormie Seas, (governata dagli agenti britannici Sam Barclay e John Leatham), si spostò da Malta ad Otranto, trasferendo in Albania una decina di volontari albanesi (chiamati in gergo “i folletti”) appartenenti a svariate formazioni politiche. Il commando (che era stato precedentemente sottoposto ad un rapido ciclo di addestramento da ufficiali che avevano militato nel SOE, Special Operations Executive) venne equipaggiato con divise inglesi senza mostrine, pistole mitragliatrici MP38 e 40 tedesche, munizioni, viveri, acqua, medicinali, volantini di propaganda, fotografie di leader albanesi in esilio e una radio alimentata con un ingombrante generatore a pedali. Dopo un fortunoso sbarco notturno, svoltosi nei pressi di Durazzo, la pattuglia riuscì a penetrare nell’entroterra, avviandosi verso una zona montuosa scelta quale zona operativa. Tuttavia, dopo neanche due giorni di marcia, il gruppo venne individuato dalla polizia albanese preventivamente allertata dal controspionaggio di Mosca, a sua volta messo al corrente della missione inglese dalla spia Philby. Questa prima operazione di intruding in territorio albanese si tradusse in un quasi completo fallimento. E a stento, pochi commando albanesi, braccati dalle forze comuniste, riuscirono, al termine di una lunga e difficile fuga tra i monti, a guadagnare il confine greco. Ciononostante, gli anglo-americani non si diedero per vinti, e continuando a non sospettare circa la straordinaria permeabilità dei propri servizi segreti, intensificarono i loro sforzi. Nell’autunno 1949, Ad Hohenbrunn, presso Monaco di Baviera, venne allestito un vero e proprio centro di addestramento per i volontari albanesi destinati a nuove missioni. E al termine di un’attenta selezione, le reclute migliori (gran parte delle quali provenienti dai centri profughi italiani) vennero inquadrate in uno speciale reparto, chiamato in codice Compagnia 4000, affidato alle cure del colonnello americano F. H. Dunn.
All’inizio del 1950, nonostante una certa riluttanza da parte dell’OPC (l’Office for Policy Coordination, organismo preposto all’organizzazione di atti sovversivi nelle nazioni europee in rapporti di non amicizia con gli Stati Uniti), il Programma Albania subì una nuova spinta, anche grazie all’elargizione di nuovi fondi statali e al conseguente inoltro in a Dachau di altri ufficiali ed esperti ai quali sarebbe spettato il compito di “svezzare” con maggiore cura e rigore gli ormai 250 volontari albanesi fatti convergere nel campo tedesco. Nel frattempo, i tecnici del SIS britannico si erano messi al lavoro anche per studiare metodi alternativi e meno rischiosi per fare giungere per via aerea e in maniera anonima in Albania (ma anche in Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania e Ucraina) materiale propagandistico anticomunista. Dopo avere valutato diverse soluzioni, gli esperti del SIS optarono per l’utilizzo di particolari palloni aerostatici, assai simili ai famosi balloon bombs adoperati, tra il novembre del 1944 e l’aprile 1945, dai giapponesi per cercare di colpire, con piccole cariche incendiarie, le coste statunitensi del Pacifico. Per la cronaca, questi singolari palloni vennero lanciati a migliaia, sfruttando le correnti di alta quota che dalle coste asiatiche orientali soffiano con regolarità verso la costa occidentale del continente nordamericano. Il primo lancio di involucri aerostatici, contenenti manifestini inneggianti alla rivolta contro Enver Hohxa, venne effettuato il 17 settembre 1950 da una piccola imbarcazione civile appartenente ai servizi segreti di Sua Maestà. L’unità salpata, almeno così sembra, dalle coste pugliesi, entrò in azione a poche miglia dalla costa albanese. Pur essendo riuscita a lanciare con il favore dell’oscurità e della brezza tutti gli involucri e sebbene buona parte dei palloni giungesse poi a destinazione, questo curioso espediente non diede i risultati sperati, in quanto nei giorni che seguirono le forze di polizia di Tirana riuscirono ad individuare ed eliminare la quasi totalità dei palloni caduti a terra.(3).
Sempre nel settembre 1950, i britannici tentarono un’altra missione di penetrazionenel Paese delle Aquile, ma anche questa volta con risultati disastrosi, sia per l’intensa sorveglianza del territorio da parte delle forze governative, sia per lo scarso coordinamento tra i gruppi impiegati, sia per il fatto che anche i cittadini albanesi più insofferenti nei confronti della dittatura di Hoxha non sembravano affatto disposti a muoversi e ad unirsi a gruppi di patrioti così esigui. Effettivamente, la sporadica comparsa di poche decine di guerriglieri, armati ed equipaggiati in modo leggero, non poteva certo indurre un popolo, già sufficientemente terrorizzato da un regime spietato come quello di Tirana, ad intraprendere una lotta che, date le premesse, appariva non soltanto pericolosa, ma addirittura disperata.
Dopo avere tentato di introdurre via terra, attraverso il confine greco nord-occidentale, altri “folletti” albanesi, gli inglesi decisero di ritornare ad agire secondo le tecniche adottate dal SOE durante la Seconda Guerra Mondiale, e cioè con mediante l’utilizzo di mezzi navali. E fu così che, grazie al sostegno finanziario statunitense, un’altra piccola imbarcazione civile (l’Henrietta) effettuò un nuovo ciclo di traghettamenti notturni. Ma anche il ritorno al vecchio sistema non fece comunque ottenere migliori e più incoraggianti risultati. A questo proposito va ricordato che già nella primavera del 1950, l’OPC aveva già preso in esame, per le stesse missioni di intruding, l’utilizzo di aerei da trasporto da fare decollare dalla Grecia. E alla luce dei modesti se non del tutto negativi risultati conseguiti, alla fine anche gli inglesi decisero di tentare, assieme ai colleghi americani, la via dei cieli. Nella fattispecie, non potendo fare conto su piloti ed equipaggi statunitensi o inglesi, i servizi occidentali optarono – come avevano già fatto per le precedenti operazioni condotte su Paesi Baltici, Polonia, Romania e Ucraina – per l’impiego di un gruppo di piloti polacchi e cecoslovacchi, tra i quali il colonnello Roman Rudkowski che – come abbiamo già avuto modo di dire – sia durante le ultime fasi del secondo conflitto mondiale, sia nell’immediato dopoguerra si era reso protagonista di brillanti operazioni in Polonia e in altre zone dell’Europa orientale sotto controllo sovietico.
Nella base anglo-americana di Wiesbaden, i guerriglieri albanesi vennero quindi sottoposti da ex-ufficiali del SOE e dell’OSS ad un nuovo, intenso ciclo di addestramento al lancio con il paracadute. Poi, verso la metà di ottobre del 1950, sedici “folletti” tratti da un gruppo composto da circa un centinaio di uomini, vennero trasferiti a bordo di un aereo americano su un campo situato nei pressi di Atene. E il 10 novembre, dieci commando vennero caricati a bordo di un quadrimotore statunitense (probabilmente un Boeing B29, anche se alcune fonti parlano di un bimotore Douglas C47) ai comandi del colonnello Rudkowski. Dopo un primo tentativo andato a vuoto (l’aereo non riuscì ad individuare la zona di lancio), il 19 novembre, il gruppo venne paracadutato su un’area ritenuta idonea, ma comunque molto distante da quella prestabilita. Subito dopo il lancio degli agenti, l’equipaggio polacco si premurò di “bombardare” una vasta zona con migliaia di manifestini propagandistici. Una volta atterrati, i commando si accorsero però con terrore che tutta la zona pullulava di forze di polizia governative. Svanito l’effetto sorpresa, ai “folletti”non rimase altro che tentare una rapida fuga in direzione del confine greco: ritirata nel corso della quale alcuni di essi caddero nelle mani dei gendarmi albanesi. Immediatamente trasferiti a Tirana, i patrioti vennero in seguito processati e condannati a morte. I pochi scampati al disastro riuscirono, dopo una marcia di quasi 150 chilometri, a raggiungere il confine settentrionale ellenico.
Nel 1951, gli anglo-americani si intestardirono con altri lanci, accompagnati da alcune operazioni di infiltrazione terrestre attraverso il confine greco, ma ancora una volta essi andarono incontro ad una serie di cocenti delusioni. Anche perché la spia Philby, comodamente allocata a Washington, continuava ad informare regolarmente i suoi superiori di Mosca circa tutte le operazioni in programma. Nella primavera del 1951, il battello inglese Henrietta, proveniente dalla base di Malta, sbarcò in Albania altri due gruppetti di guerriglieri, e il 20 di luglio gli americani trasferirono dal campo di addestramento di Heildelberg ad Atene un nuovo contingente di 16 commando che, tre giorni più tardi, venne paracadutato sul suolo albanese con esiti, tanto per cambiare, pessimi. La totalità degli uomini venne infatti catturata o uccisa dai poliziotti albanesi.
Il 25 ottobre 1951, i vertici dei servizi statunitensi e britannici coinvolti nelle operazioni in Albania si riunirono a Roma per discutere nuovi piani e per esaminare gli errori commessi in fase organizzativa ed operativa. E al termine del meeting venne stabilito che l’unico sistema che valeva la pena di perfezionare rimaneva quello aereo, seppure prestando una maggiore attenzione alla quota prescelta per i lanci e soprattutto all’esatta ubicazione delle zone da “centrare”. Nel febbraio 1952, i “folletti” albanesi vennero trasferiti nella base di Chagford, nel Devon, per essere sottoposti all’ennesimo ciclo di preparazione. E nel corso dello stesso anno essi vennero lanciati allo sbaraglio. Sulle prime, ai servizi anglo-americani sembrò che la nuova missione avesse finalmente ottenuto un qualche positivo risultato, anche perché per tutta l’estate del 1952 le stazioni radio del SIS e della CIA ricevettero regolari messaggi in cifrato dai gruppi paracadutati nelle zone di Shehu, Branica e Prenci, nell’Albania centrale. In seguito, però, gli americani vennero a sapere che, in realtà, tutti i commando albanesi erano stati catturati e che gli agenti del Sigurimi, coadiuvati da specialisti sovietici, erano riusciti anche a mettere le mani sulle apparecchiature radio e sui cifrari, trasmettendo in Occidente, per ben 18 mesi, notizie false e depistanti. Finì così, in maniera quasi tragicomica, il tentativo anglo-americano di fomentare una rivolta anticomunista in Albania.
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