La guerra civile che tra il 1962 e il 1967 insanguinò lo Yemen ebbe inizio allorquando nel tardo settembre 1962, l’incapace e culturalmente arretrato sovrano, l’imàm Ahmed, morì, lasciando il trono al figlio Mohammed el Bedr, uomo di idee e mentalità ben più moderne, sia in materia politica che economica. Tuttavia, appena una settimana dopo il suo insediamento un gruppo di congiurati, tra cui esponenti dell’esercito e del movimento repubblicano filo-egiziano, attaccò il palazzo reale della capitale Sanaa, proclamando decaduta la monarchia ed instaurando una Repubblica Araba dello Yemen con a capo il colonnello Abdullah al-Sallàl. Il nuovo regime si rivolse all’Egitto di Gamal Abdel-Nasser e all’Unione Sovietica per ottenere protezione politica e soprattutto un supporto militare contro le forze lealiste dell’imam che nel frattempo era riuscito a fuggire da Sanaa, guadagnando le montagne, radunando un esercito di 5.000 fedeli soldati, ed ottenendo l’immediato appoggio di Arabia Saudita, Iran e Giordania. Non essendo in grado di controllare il territorio e di debellare i reparti partigiani monarchici, che nell’arco di poche settimane salirono ad oltre 8.000 unità, il colonnello Sallàl chiese a Nasser di inviare nello Yemen non soltanto consiglieri militari e forniture militari, come in un primo tempo aveva pensato, ma un vero e proprio corpo di spedizione modernamente equipaggiato e armato. E Nasser, al quale interessava porre le basi per una futura espansione egiziana nel sud della penisola araba e in direzione dei pozzi petroliferi sauditi, non indugiò a fornire ben 80.000 soldati sostenuti da unità della Marina e soprattutto dell’Aviazione. Per l’Egitto, nazione a quel tempo molto vicina alla bancarotta, la possibilità di mettere le mani su nuovi giacimenti di oro nero arrideva alquanto. Senza considerare che l’Inghilterra aveva dichiarato di volere abbandonare la piazzaforte di Aden (altro obiettivo strategico al quale Nasser ambiva) entro il 1966. Appoggiando gli insorti repubblicani yemeniti, il dittatore del Cairo si ritrovava quindi ad un passo dal mettere una seria ipoteca su alcuni punti chiave dello scacchiere sud arabico, aumentando di molto il suo prestigio. Ma con il passare del tempo, fu proprio l’atteggiamento chiaramente imperialistico manifestato dal dittatore egiziano ad aggravare, paradossalmente, la situazione interna yemenita e a creare pericolose spaccature nel fronte governativo. Avendo intuito le mire egemoniche di Nasser, parte del movimento repubblicano yemenita (quello non filo-comunista) si staccò da Sallàl e dagli egiziani, siglando un patto di alleanza con le forze lealiste. A complicare ulteriormente la posizione dell’esecutivo di Sanaa e delle sue truppe, spesso costrette a rimanere rintanate nelle principali città dalle forze partigiane monarchiche in grado di controllare due terzi del montagnoso territorio yemenita, fu l’accanimento con il quale l’aviazione egiziana attaccò villaggi inermi e perfino località saudite di confine (incursioni, queste ultime, ordinate dallo stesso Nasser per indurre il governo di Riyadh a sospendere gli aiuti ai ribelli). Tale mossa non giovò affatto all’Egitto che viene duramente ammonito dal consesso internazionale, ad esclusione dell’Unione Sovietica e della Cina che, subito dopo il colpo di stato repubblicano, avevano inviato ai golpisti un grande quantitativo di rifornimenti, materiali e armamenti, oltre che a parecchi consulenti tecnici. Nella fattispecie, i russi si erano occupati della ricostruzione dell’aeroporto della capitale Sanaa e dell’ammodernamento del vecchio scalo di Hodeida, mentre i cinesi avevano iniziato a lavorare per allestire a Mokka una base navale, utilizzabile anche per la propria marina militare. Va ricordato inoltre che in sostegno del governo repubblicano filo-comunista intervennero anche parecchi tecnici e consiglieri militari giunti da Iugoslavia, Algeria, Cecoslovacchia, Germania Orientale e, sembra, anche dall’Italia. Sotto il profilo bellico, la guerra proseguì tra alterne vicende e nonostante il forte spiegamento di truppe egiziane, i repubblicani dovettero limitarsi a brevi e limitate offensive, ma più che altro a difendersi dall’aggressività dei guerriglieri che pur mancando di aviazione e mezzi blindati e corazzati, effettuarono – armati di fucili, fucili mitragliatori mitragliatrici, mortai da 81 mm. e bazooka gran parte dei quali sottratti ai reparti repubblicani – numerosi, improvvisi e riusciti colpi di mano ai danni degli avamposti e delle colonne motorizzate nemiche. Agli egiziano non rimase quindi che impiegare i loro caccia e caccia bombardieri Mig, Ilyushin e Tupolev per cercare di disperdere gli sfuggenti reparti lealisti e soprattutto per mettere a ferro e fuoco, con bombe a frammentazione e al napalm, i centri agricoli fedeli all’imàm. Ma anche l’aviazione di Nasser non ebbe vita facile in quanto i guerriglieri disponevano di alcune decine di mitragliatrici pesanti da 12,7 e da 14 mm. di fabbricazione sovietica catturate, con le quali riuscirono più volte a danneggiare i velivoli nemici. Va notato che, subito dopo l’inizio della Guerra Civile, il generale monarchico Abu Taleb (il migliore ufficiale superiore della compagine guerrigliera yemenita) – coadiuvato da un bizzarro ma preparato militare europeo, il principe di Condé, un ex-ufficiale francese di nobili origini che, dopo essersi fatto mussulmano e mutato il proprio nome in Abdurrahman Kenda, si è schierato con i monarchici – provvide ad istituire nel villaggio di El Giof una piccola ma efficiente “scuola militare” dove molti combattenti vennero addestrati da ex ufficiali dell’esercito all’uso di armamenti moderni ed esplosivi. A fronteggiare con successo gli oltre 100.000 soldati repubblicani ed egiziani, appoggiati da artiglierie da 76, 122 e 130 millimetri e da mezzi corazzati T34/85, JS. 3 e T54 e blindati sovietici, era ormai un vero e proprio esercito: una compagine di matrice essenzialmente tribale e nomade, ma per questo molto mobile e ben insediata sul territorio. Nel 1964, essa era formata da circa 50.000 combattenti di prima linea, supportati da 300.000 uomini impegnati nei lavori agricoli per dare sostentamento alla popolazione e alle truppe. Va notato che, a rotazione, parte dei contadini venivano addestrati a El Giof all’uso delle armi ed inviati al fronte per consentire ai soldati il cambio. Le difficoltà riscontrate nell’agganciare un nemico così mobile come quello rappresentato dall’armata guerrigliera monarchica costrinse l’Egitto a dispiegare un enorme numero di mezzi, tra l’altro parzialmente utilizzabili lungo le pessime strade del nord est del paese. Tanto è vero che questa porzione di territorio, dove in antichità sorgeva l’antica capitale Marib, venne ben presto abbandonata dalle forze repubblicane. E’ stato calcolato, che la guerra nello Yemen costò a Nasser oltre un milione di dollari al giorno e la perdita di almeno 35.000 soldati e oltre 3.000 tra autoveicoli, blindati e carri armati: una vera ecatombe. Dal canto suo, l’esercito guerrigliero monarchico ebbe circa 10.000 tra morti e feriti, mentre, come al solito accade durante le guerre civili, fu però la popolazione a subire i danni e i lutti più gravi. Nel giugno del 1967, la pesantissima sconfitta dell’Egitto da parte di Israele nella Guerra dei Sei Giorni, costrinse Nasser a ritirare le sue forze dallo Yemen e ad intavolare, di concerto con l’Arabia Saudita, immediate trattative di pace che portarono lo stesso anno, a Kartoum, ad un’intesa di massima tra i contendenti. Successivamente, il cosiddetto Compromesso Politico del 1970, riportò la pace nello Yemen, trasformato in una repubblica i cui centri di potere vennero comunque assegnati a personalità vicine alla fazione ex monarchica. Anche se venne stabilito che l’imam e la sua famiglia non avrebbero mai più ricoperto alcun ruolo nell’esecutivo: decisione che costrinse l’ex sovrano ad andare in esilio in Brasile.
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