L’Illustrazione Italiana è stata una gloriosa rivista settimanale di grande formato pubblicata ininterrottamente dal 1873 al 1962, con firme di grande prestigio, da Carducci, a D’Annunzio, Pirandello, Verga, Pascoli, Grazia Deledda, Matilde Serao, Ada Negri e poi Montale, Quasimodo, Vittorini e tantissimi altri, corredata da una grafica di altissima qualità e raffinatezza, ed illustrazioni a cui collaborarono, tra i tanti, artisti come Edoardo Dalbono, Giulio Aristide Sartorio, Paolo Michetti ed Arnaldo Ferraguti. In seguito alle leggi fasciste sulla razza, la casa editrice fratelli Treves che aveva pubblicato il settimanale fin dalla nascita, dovette cederla nel 1939 all’editore Garzanti.
Ritrovo un numero di questa rivista tra le carte lasciate da mio padre: è il numero 33 del 18 agosto 1940. Il titolo di copertina è “Plebiscito antinglese” sovrapposto ad una vignetta inglese probabilmente di fine Ottocento, che denuncia la disparità sociale mostrando sulla sinistra un gruppo implorante di gente povera ed affamata e la scritta “We want bread” (vogliamo il pane), e sulla destra un impaurito signore, ricco e panciuto, contornato da diavoli, che chiude una porta oltre la quale si intravedono cataste di sacchi di grano con sopra il cartello “Wheat kept back, to rise the Market” (grano messo da parte per aumentarne il prezzo di mercato).
All’inizio della rivista c’è una foto a tutta pagina di Mussolini in divisa con la reboante citazione da un suo discorso “E’ destino che Roma torni ad essere la città direttrice della civiltà in tutto l’Occidente d’Europa”, che prosegue dicendo che occorre “fare dell’Italia una delle nazioni senza le quali è impossibile concepire il futuro dell’umanità”.
Qualche mese prima, il 10 giugno del 1940, Mussolini, parlando da Palazzo Venezia con quelle pose che riviste oggi ci appaiono alquanto buffonesche, aveva dichiarato guerra a Francia ed Inghilterra, seguendo l’esempio di Hitler che aveva iniziato le ostilità il primo settembre del 1939. Il numero dell’Illustrazione Italiana è interamente dedicato alla denigrazione sistematica dell’Inghilterra da ogni punto di vista, con un accanimento davvero inauditi se si pensa che solo qualche anno prima, nel convegno di Stresa del 1935 e nella conferenza di Monaco del 1938 c’era stato da parte di Italia, Francia ed Inghilterra una accettabile intesa per frenare le mire espansionistiche di Hitler.
Il primo articolo, dal titolo significativo “Delenda”, a firma di Alessandro Pavolini, ministro della cultura popolare fascista, si rifà alla distruzione di Cartagine ad opera di Scipione e si conclude paragonando l’Inghilterra a Cartagine, con le parole “Delenda, delenda! E’ il grido della saggezza e dell’esperienza. Davvero fu un savio esempio quello di Roma: la quale ricostruì essa stessa Cartagine, ma solo dopo qualche decina d’anni dal giorno che comandò di raderla al suolo, di raderla al filo della sabbia e degli acquitrini”.
Segue un articolo di Joseph Goebbels, ministro della propaganda del Reich, dal titolo “Lezione all’Inghilterra”, che presenta un concetto di democrazia quantomeno singolare. Ne cito solo alcuni passi :”Il Duce e il Führer posseggono il cuore del loro popolo semplicemente perché provengono dal popolo e sempre pensano, dicono e fanno ciò che è conforme al carattere del popolo. Fra le più diffuse espressioni di questa fede sono i seguenti motti “Il Duce ha sempre ragione” e “Il Führer comanda, noi obbediamo””. Ed anche: “Il Fascismo ed il Nazionalsocialismo hanno permeato del loro spirito sino all’ultima cellula del popolo, (…….) Questo è il segreto dei successi e della inesauribile popolarità dei due regimi autoritari dell’Asse”, e conclude “Risultato della rivoluzione attuale, che libererà i popoli, non sarà solo l’Italia fascista e una Germania nazionalsocialista, ma una nuova Europa. Italia e Germania sono chiamate, in virtù della loro Idea, a dare forma al volto spirituale di questa nuova Europa”.
Tre articoli a firma di Rino Alessi, sono dedicati rispettivamente a Neville Chamberlain “L’uomo con la testa di bambino”, Winston Churchill “Il dilettante pazzo” e Anthony Eden “Il capitano di guardia alla Westminster Bank”. I tre pezzi sono ferocemente dissacratori nei confronti di questi personaggi nonché della popolazione inglese nel suo insieme; ad esempio la conclusione del primo pezzo parla dell’Inghilterra come di un “ Paese incretinito dalla troppa saggezza, ubriaco di falsa virtù, pazzo di benessere, invigliacchito dalla presunzione, disfatto dalla furberia,…..dove trionfano l’ignoranza, l’ingenuità e l’offesa di una gente decrepita, incapace di un pensiero e di un atto che non nascano dal più sordido egoismo e dalla più spregevole pavidità”.
La didascalia della foto di Churchill è eloquente “Ecco il grugno di Churchill: del biondo, sorridente e femmineo bell’ufficiale del 4⁰ Ussari è rimasto soltanto il sorriso satanico e osceno che mette in mostra la orribile bocca sdentata. E questo è Churchill oratore, odiato dagli stessi inglesi per la sua maledica lingua”; nel testo viene poi così descritto “ Si sente genio, figlio di genio e invece non è che il più capriccioso dei dilettanti, il più incosciente degli improvvisatori, il dannato costruttore di sgangherate illusioni”.
Non si salva neanche Eden: “Il massimo della carriera come allievo di Eton e di Christ Church il capitano Eden lo ha raggiunto nel 1923, non quando è entrato nella Camera dei Comuni, ma quando ha sposato la figlia del ricco banchiere Becket”, alla cui morte la Westminster Bank, di proprietà del banchiere, passerà in eredità alla signora Eden. L’articolo si chiude ancora con un richiamo alla banca “Al momento dello sbarco tedesco il ministro della guerra britannico sarà al suo vero posto: nel più profondo cunicolo della Westminster Bank”.
Vi sono poi una serie di articoli sui Boeri e gli Inglesi, che all’eroismo dei Boeri contrapponevano “una selvaggia efferatezza”, su “La custodia del Santo Sepolcro e le profanazioni Anglo-Giudaiche”, ed ancora uno scritto di Argo Rampelli dal titolo “L’Inghilterra morrà” con la frase finale che vale la pena di riportare per la previsione di immancabile vittoria: “La flotta britannica deve considerarsi press’a poco paralizzata nei suoi valori essenziali: paralizzata nel nord dall’aviazione germanica, paralizzata nei fronti del sud dall’aviazione italiana: e poichè la flotta è l’elemento primordiale e basilare della potenza inglese, questa potenza è anch’essa paralizzata. Perciò l’Inghilterra morrà; e saranno ancora le aquile di Roma a darle nel fianco il colpo di rostro mortale”.
Previsione miseramente fallita quando, circa sette mesi dopo, il 28 e 29 marzo 1941, con la battaglia di Capo Matapan, si consumava una immane tragedia per migliaia di marinai italiani ed una delle più gravi disfatte della Marina Militare Italiana. C’è anche un interessante florilegio di frasi di personaggi illustri, critici sull’Inghilterra ed il suo popolo. Alcune sono ovviamente molto severe, come quelle di Napoleone, di D’Annunzio e di Federico il Grande, ma lo sono anche quelle di due grandi letterati inglesi come Lord Byron che scrive “ Per darvi un’idea di quanto essi mi siano odiosi, vi dirò che quando nei più incantevoli posti della Svizzera vedevo, anche in lontananza, un inglese, mi si rovinava il piacere del paesaggio…..Gli inglesi mi sembrano la peggiore razza che viva sotto il cielo…”, e G.B.Shaw “L’inglese è una curiosa razza. Quando egli vuole una cosa, non dice a nessuno che la vuole. Egli aspetta pazientemente fino a che gli viene, non si sa come, la cocente convinzione che sia suo dovere morale e religioso di dominare coloro che possiedono la cosa da lui desiderata. Allora egli diventa irrefrenabile…..E dà a tutto un colorito morale”.
Viene poi riprodotta per intero, nell’ambito di un articolo non firmato titolato “Una profezia di Lincoln”, una lettera che il presidente degli Stati Uniti avrebbe scritto nel 1853 allo scienziato italiano Macedonio Melloni. Questi, nato a Parma nel 1798 e morto a Portici nel 1853, fu un fisico di grande valore ed un ardente patriota, amico, durante il suo esilio a Parigi, di molti rifugiati politici carbonari e mazziniani.
Scrive l’articolista “La lettera, che gli avvenimenti europei di oggi rendono di scottante attualità, fu letta dal Melloni a Giuseppe Mazzini il quale ne rimase commosso fino alle lacrime e volle farne egli stesso la traduzione italiana……La perfida, prepotente ed esosa politica dell’Inghilterra nel mondo e in particolare nel Mediterraneo, non potrebbe essere bollata più a sangue di così”.
La lettera di Lincoln inizia citando due grandi fisici dell’epoca, il tedesco Alexander von Humboldt e l’inglese Michael Faraday:” Humboldt mi fece pervenire il vostro messaggio, che per me avete consegnato a Faraday…..La vostra cortese deferenza per avere un mio giudizio sul rinnovamento politico dell’Europa mi inorgoglisce sinceramente”.
Nel seguito Lincoln esprime un giudizio entusiasta su Roma “Di quella gloriosissima Roma, o illustre amico, che ha dato la civiltà a tutto il globo terracqueo, che ci ha persino scoperti, che ci ha creati, redenti, educati, nutriti moralmente con le sue leggi indistruttibili. Di quella Roma, ripeto, che dovrà essere in un periodo di tempo, più o meno prossimo, la capitale luminosa degli Stati Uniti d’Europa in contrapposizione a quella sistematica distruzione di ogni più fondamentale principio di libera indipendenza che sta facendo ed ha fatto fin qui la presuntuosa piccola Inghilterra, la quale domina dispotica, con Malta e Gibilterra, indebitamente appropriate, in un mare , nel quale essa avrebbe nulla a che fare e pel quale è sacra affermazione di “Mare nostrum” della grande madre Roma…..Tutta la penisola italica deve essere interamente unita in un’unica nazione colle sue tre maggiori isole del Mediterraneo (Corsica, Sardegna e Sicilia) col Lombardo Veneto e colle sue due Venezie, Tridentina e Giulia, per intero….colla assoluta padronanza dell’antico lago di Venezia, da Fiume alle bocche di Cattaro, ininterrottamente, per tutta la Dalmazia, in aggiunta indistruttibile e tutta l’Albania”. E prosegue “Due imperi sono indeprecabilmente destinati a scomparire dalla terra……Ho nominato l’Impero Britannico e l’Impero Austriaco, vere incongruenze storiche…”.
La lettera di Lincoln, che si pone come risposta ad una di Melloni della quale non sembra esserci traccia, era comparsa in circostanze poco chiare, agli inizi del Novecento, con una traduzione attribuita a Giuseppe Mazzini che l’avrebbe eseguita intorno al 1862 su preghiera della contessa Fulvia Crivelli. Fu ritenuta autentica da vari intellettuali dell’epoca fra cui Carducci che la giudicò “la pagina più onesta della storia contemporanea”, e De Amicis.
Ovviamente il testo di Lincoln era musica per le orecchie di Mussolini ed in seguito per la politica fascista in quanto supportava le aspirazioni italiane nell’area dei Balcani e del Mediterraneo: il Duce pubblicò la lettera il 2 aprile del 1920 sul Popolo d’Italia. Ma nello stesso anno, il prof. Gaetano Salvemini, allora membro della Camera dei Deputati, durante il dibattito sul Trattato di Rapallo sulla sistemazione dei confini in Venezia Giulia e nello Stato libero di Fiume, spiegava, riferendosi all’articolo pubblicato sul Popolo d’Italia, che Lincoln “assegnava” all’Italia la Venezia Tridentina, la Venezia Giulia, le coste orientali dell’Adriatico da Fiume alle Bocche di Cattaro, l’Albania, la Corsica, Malta, cioè “l’intero programma nazionalistico di oggi”.
Salvemini è stupito che un documento di tale importanza sia rimasto ignoto e non pubblicato fino al 1920; un bel mistero, che svanisce quando si constata che il documento, del quale finora non era mai apparso un facsimile, è un falso. Infatti, continua Salvemini, Lincoln parla nel 1853 di Venezia Tridentina e Venezia Giulia, ma questa nomenclatura fu proposta per la prima volta nel 1866 dal filologo goriziano Graziadio Ascoli ed entrò nel linguaggio comune solo negli anni seguenti.
L’ipotesi di Salvemini veniva confermata dal filologo Giuseppe Fumagalli con un articolo sul Resto del Carlino del 2 dicembre 1920 dove spiegava che non ci voleva molto a capire che si trattava di un testo scritto da una persona del nostro tempo, con la mentalità di oggi, e che riguardava le problematiche presenti nel contesto storico attuale.
Dopo un decennio di oblio il suo presunto proprietario, Nino d’Althan, alias Nino Guerzoni, parente di una contessa Guerzoni d’Althan dei conti Zuccolini, tentò di ridare credibilità alla lettera facendola pubblicare nel 1931, tramite Giuseppe Leonida Capobianco (1), sulla autorevole rivista ufficiale della storia del Risorgimento Italiano, diretta dal noto storico del Risorgimento prof. Eugenio Casanova che era anche direttore degli Archivi di Stato Italiani. L’anno dopo, nel 1932, Capobianco fu arrestato per avere falsificato un diploma universitario austriaco per suo nipote ma era già indagato con l’accusa di avere falsificato parecchi documenti medioevali (2).
Comunque la pubblicazione della lettera di Lincoln fece scalpore e negli Stati Uniti il professore americano Henry Nelson Gay, esperto di storia delle guerre di indipendenza italiane ed autore di una biografia di Lincoln, dichiarò senza esitazione trattarsi di un falso, aggiungendo che era un vero peccato che una rivista del livello della Rassegna Storica del Risorgimento ed un validissimo studioso come il professore Casanova, fossero rimasti coinvolti nella pubblicazione di uno scritto di assai dubbia autenticità. Il prof. Gay spiega che nel 1853 Lincoln, avvocato a Springfield e non ancora presidente degli Stati Uniti, non aveva le conoscenze necessarie per scrivere una tale lettera, inoltre lo stile è totalmente diverso da quello delle tante altre lettere scritte prima e dopo da Lincoln. Una attenta analisi di tutti i documenti e della corrispondenza di Lincoln non fornisce alcuna prova che egli conoscesse Macedonio Melloni e fosse in rapporti epistolari col fisico italiano (2).
Casanova in un primo tempo ammise che esistevano seri dubbi sull’autenticità dello scritto e addirittura della sua esistenza non avendo egli mai visto né l’originale né una copia fotostatica e che forse potrebbe essere stato ingannato lo stesso Mazzini che ne aveva curato la traduzione in italiano.
Circa un mese dopo però cambiò idea scrivendo in un supplemento della rivista che le obbiezioni erano prive di fondamento in quanto era in grado di pubblicare i facsimili del documento grazie alla cortesia del possessore degli originali.
Ma i facsimili erano due riproduzioni fotografiche, una delle ultime righe della traduzione italiana di quella che Mazzini diceva essere una lettera di Lincoln, l’altra di un piccolo frammento triangolare, dichiarato parte della lettera originale, che conteneva solo le parole “Yours Very Truly” e la firma di Lincoln.
La debolezza di queste prove finì per aumentare, sia in Italia che in America, la convinzione che si trattasse di un falso. Nel 1931 il sedicente proprietario degli originali, fu richiesto finalmente di mostrarli, ma rispose di averli inviati ad un suo cugino in Francia per motivi di sicurezza.
Nel 1932, probabilmente su pressione di Mussolini, Casanova fu sostituito nella direzione della rivista sul Risorgimento dal quadrumviro senatore Cesare Maria De Vecchi che, nel 1933, lo dimise anche dall’Archivio di Stato. De Vecchi, forte del giudizio di storici come Gioacchino Volpe ed altri, non consentì mai che di quella lettera si parlasse sulla Rassegna come di un documento autentico.
Nell’ottobre del 1936 la questione dell’autenticità fu ripresa e discussa da un comitato di esperti riunitosi a Roma; la conclusione confermò la falsità del documento. I professori Henry Furst, di New York, e Matteo Bartoli di Torino dichiararono, in pieno accordo, che ad esempio lo stile ricco e fiorito del messaggio era incompatibile con quello terso e lineare di Lincoln.
Malgrado i risultati inequivocabili del convegno di Roma, il partito fascista continuò ad usare la lettera per motivi propagandistici, come dimostra la sua pubblicazione sul numero dell’Illustrazione Italiana del 1940 dedicato al “Plebiscito antinglese”, e dove quindi le affermazioni attribuite a Lincoln si inserivano perfettamente nella visione fascista dell’Europa e nella condanna dell’impero britannico.
Nel 1941 un illustre studioso di Mazzini, il professore Mario Menghini, esaminando solo in copia fotografica, fornita dall’ineffabile Nino d’Althan, la versione italiana di Mazzini, in quanto l’originale Mazziniano che si riteneva conservato nell’archivio di famiglia della contessa Matilde Zuccolini non fu mai reso disponibile, dichiarò che la calligrafia non corrispondeva a quella del patriota italiano, il che rende ancora più oscuro il contesto di tutta la vicenda, dalla lettera alla sua traduzione. Qualche dato credibile per l’inizio di questa storia, ma non per il seguito, è rintracciabile nel quarto tomo della corrispondenza di Michael Faraday (3) a cura di F.James, dove si legge: “Nella sua corrispondenza con Macedonio Melloni, quest’ultimo pregava, fra gli altri, Faraday, di supportare al meglio la causa dell’indipendenza e dell’unità d’Italia. Chiedeva anche il supporto di Lincoln e Faraday si adoperò per passare un messaggio di Macedonio Melloni a Lincoln”.
Ma nulla è stato mai trovato che comprovasse il messaggio di Melloni, la supposta ricezione da parte di Lincoln dello scritto e la risposta dello statista americano. Nel 1952 vi erano stati, sulla rivista “Il Ponte” un accenno di Gaetano Salvemini ed un articolo di Carlo Schifferer (4) che dimostravano l’inattendibilità della lettera. Tuttavia l’anno dopo, nel settembre del 1953, il ministro Pella, sicuramente mal consigliato dai suoi segretari, citò ancora in un suo discorso la lettera di Lincoln leggendone alcuni passi.
In un saggio del 1954, lo storico Alberto M. Ghisalberti chiudeva definitivamente la questione dell’autenticità del messaggio, definendolo “..una delle più sciocche e banali truffe a base di documenti falsificati”, e chiedendosi, tra l’altro, “…nel 1853, a chi mai poteva venire in testa, nel nostro continente, di andare a chiedere un parere sulle faccende di questa parte di qua dell’Atlantico a un buon diavolo di avvocato di Springfield (Ill.), il quale era stato, sì, per un breve periodo, dal 1847 al 1849, membro della Camera dei Rappresentanti, ma, prima di affacciarsi sulla scena di Washington, non era noto che come un modesto uomo politico locale?” (5).
1- Giuseppe Leonida Capobianco “L’integrale messaggio di Abramo Lincoln a Macedonio Melloni tradotto e diffuso da Giuseppe Mazzini” Rassegna Storica del Risorgimento Italiano, Aprile-Settembre 1931
2- “The Abraham Lincoln Quarterly” Vol.2, nr 8. The Abraham Lincoln Association, Springfield Ill., 1940-1952
3- “The Correspondence of Michael Faraday: January 1848 – October 1855”. Vol. 4, edited by Frank A. J. L. James. Published by the Institution of Engineering and Technology, London, 2013
4- Carlo Shifferer “Lincoln, cavallo di ritorno” Il Ponte, ottobre 1952
5- Alberto M. Ghisalberti “Lincoln, Melloni, Mazzini e Co.” Rassegna Storica del Risorgimento, Gennaio-Marzo 1954
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