La vita e le gesta del genovese Giuseppe Bavastro, il famoso corsaro d’epoca napoleonica che per anni permise alla Francia di contrastare il predominio britannico sul Mediterraneo, sono poco noti, almeno al grande pubblico. Nato il 10 maggio 1760 a Sampierdarena da una famiglia dell’agiata borghesia nizzarda, fino da giovane Bavastro dimostrò un carattere indipendente e combattivo. Abbandonata molto presto la scuola (per tutta la vita rimarrà analfabeta), egli preferì infatti imbarcarsi. Nel 1782, Bavastro armò una goletta da 100 tonnellate, iniziando a trafficare con la Sicilia. E fu proprio in questo periodo che il giovane, un ragazzone alto e robusto, iniziò a farsi le ossa combattendo i pirati algerini che a quel tempo infestavano il Mediterraneo. Alle soglie dei quarant’anni, quando tutto lasciava pensare che l’ex-scavezzacolli navigasse verso una quieta ed agiata esistenza, egli cambiò improvvisamente rotta: un po’ per noia e un po’ per il gusto del rischio. Nel 1800, Bavastro – che si trovava a Genova quando la città, difesa dalle forze francesi del generale ed amico Massena, venne stretta d’assedio dalle truppe austriache e bloccata dal mare da una squadra britannica – si mise al comando della rabberciata Prima, l’unica galera da guerra presente in porto. E il 20 maggio 1800, il neo-capitano di vascello uscì in mare, riuscendo a danneggiare gravemente l’ammiraglia inglese Audacious, ma venendo messo subito dopo a mal partito dalla fregata Aurora che, una volta messo fuori combattimento il legno genovese, costrinse il suo comandante a cacciarsi in acqua e a raggiungere a nuoto la riva. Pur avendo ottenuto il grado di capitano di fregata “onorario” della marina francese, nel 1802 Bavastro si ritrovò però senza nave, ragion per cui ripristinò un malandato sciabecco da quattro cannoni, l’Intrepido, dedicandosi alla guerra di corsa contro il traffico inglese. E il 19 marzo 1803, tra Tarifa e Tangeri, l’Intrepido attaccò un convoglio di trenta mercantili, saccheggiandone diversi e lanciandosi all’inseguimento di due navi corsare inglesi di Southampton da poco entrate nel Mediterraneo per molestare il traffico francese, abbordandole e catturandole. La duplice, clamorosa vittoria del corsaro genovese non passò inosservata e Napoleone Buonaparte elevò Bavastro a capitano di fregata “ausiliario”. Nel 1805, il corsaro armò un secondo e più massiccio Intrepido, dotato di 14 cannoni e di 80 uomini d’equipaggio, riprendendo il mare. Sgominata una flottiglia di pirati nordafricani nelle acque di Gibilterra, Bavastro raggiunse l’isola di Minorca dove, con un colpo di mano, catturò la lancia con a bordo tre ufficiali e venti marinai della fregata inglese Phoenix, ingaggiando poi con quest’ultima un vittorioso combattimento. Tornato a Nizza, si concedette un breve riposo, dopodiché si trasferì ad Ancona dove armò un altro sciabecco, il Massena, e due trabaccoli, il Pino e il Verdier. La flottiglia del genovese si mise a perlustrare l’Adriatico e al largo di Lissa si scontrò con tre brigantini e due polacche battenti bandiera austriaca, abbordando il più grosso dei brigantini, le polacche e mettendo in fuga le altre unità austriache. Poi, condotte le sue prede ad Ancona, le mise in vendita ricavandone una considerevole cifra. Nella primavera del 1807, il corsaro della Lanterna è di nuovo sul ponte di una polacca da 16 cannoni, la Principe Eugenio, con la quale al largo di Barcellona cattura un vascello inglese pieno di ricche mercanzie: successo che bissa il 10 giugno, facendo suo il brigantino corsaro inglese Fanny da 18 cannoni; che una volta trasferito a Tarragona gli frutterà ben 300.000 franchi. Passano poche settimane e il Principe Eugenio viene però sorpreso nell’insenatura di Begù dalla potente fregata inglese Seahorse che ha la meglio sul legno genovese. Bavastro la scampa per miracolo e fugge a nuoto verso la riva. Ma la batosta non lo scoraggia. Raggiunta Barcellona arma il Josephine e pochi mesi dopo Bavastro supera se stesso. Incrociata la fregata inglese Imperieus da 38 cannoni, al timone del celebre ammiraglio Lord Cochrane, inviato nel Mediterraneo per scovare il genovese e di appenderlo ad un pennone, Bavastro accetta la battaglia, giocando d’astuzia. Condotta la Josephine su bassi fondali dove la fregata nemica non può avventurarsi, abbassa le velature e si prepara all’attacco delle lance armate nemiche, che quando giungono a tiro vengono investite da micidiali bordate. Invano, alcune scialuppe si arrembano e i marinai inglesi tentano la scalata della murata. Ma inesorabili colpi d’ascia troncano infatti le mani e le dita dei disgraziati, ricacciandoli in mare. Le lance inglesi si ritirano e Bavastro urla: “Dite a Lord Cochrane che se a voi ho tagliato le mani a lui taglierò i coglioni, posto che ne sia dotato!”. Tra il 1808 e il 1812, lungo la costa iberica, Bavastro sostiene le operazioni dell’esercito napoleonico impegnato in Spagna, svolgendo anche la mansione di capitano di porto a Santarem. Al largo di Malaga, il corsaro cattura un grosso veliero carico di truppe inglesi. Al momento della resa, il capitano britannico, che aveva tentato la fuga, fa il gesto di consegnare al ligure la sua spada, ma Bavastro, gelido, la rifiuta: “Tenetela. Non mi sembra di avervi visto combattere e quindi non posso certo reputarvi un mio nemico”. Nel 1812, abbandona la Spagna al seguito delle forze francesi, ma questa ritirata gli costa il suo intero patrimonio. Prima a Nizza e poi a Genova Bavastro cerca invano qualcuno che gli anticipi dei soldi per armare l’ennesimo veliero con il quale rifarsi del perduto. Non riuscendovi, nel 1815 si reca a Napoli e poi in Adriatico al servizio di Murat. Ma dopo la tragica fine del generale francese, Bavastro deve cambiare aria, puntando su Algeri per cercare di fare valere alcuni suoi vecchi diritti su certe prede condotte in quel porto negli anni fortunati. Qui diventa consigliere militare del Bey, ma quando l’ammiraglio inglese Lord Exmouth bombarda Algeri con la sua squadra (27 agosto 1816), incredibilmente Bavastro non reagisce ed assiste impassibile all’episodio, senza quasi reagire, per poi svanire nel nulla. Rientrato in Europa, egli pensa di ritirarsi, ma poi noleggia un bastimento con il quale raggiunge il Venezuela dove si mette agli ordini del generale Simon Bolivar in lotta con la Spagna. Nel 1820 il ligure, ora al timone del brigantino Boyacà, sovrintende al blocco della piazzaforte spagnola di Cartagena. Ma per motivi che mai saranno chiariti, Bavastro abbandona il blocco e, raggiunta Cuba, consegna il suo brigantino alle autorità di Madrid. Quindi si trasferisce a New Orleans, facendo perdere la sue tracce. Nel 1830, rientrato in Francia, l’ormai anziano corsaro genovese riesce a farsi aggregare allo stato maggiore dell’ammiraglio Duperré impegnato contro il Bey di Algeri, in qualità di “officier practique”. E conquistata la città, egli viene nominato comandante del porto e cadì (giudice). Il suo aspetto imponente, il suo carisma e le sue sentenze equanimi conquistano gli algerini che, dimentichi del passato, iniziano a considerarlo una specie di marabutto o santone. Il 5 agosto 1832, Luigi Filippo (che gli aveva già conferito il grado di ufficiale della Legione d’Onore) accorda a Bavastro la cittadinanza francese e una degna magione. Ma ai primi del marzo 1833, al rientro da una cavalcata, il corsaro ha un improvviso malore e cade. Rientrato con le proprie forze a casa, pochi attimi prima di spirare, pare che Bavastro abbia voluto alzarsi da letto, ordinando al suo luogotenente. “Aprite la finestra, prima di crepare voglio rivedere per l’ultima volta il mare”.
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