LL’antica Repubblica di Genova, grazie allo sbocco verso mare, è sempre stata meta ambita da molte potenze straniere: dagli inglesi agli spagnoli, dai francesi agli austriaci e, non ultimi, i piemontesi.
Possedere il porto di Genova rappresentava il potere marittimo, militare e commerciale, sul Mediterraneo. I frequenti attacchi alla libertà della Repubblica, portarono alla realizzazione di fortificazioni e Mura difensive. Prima di quelle attuali, nel corso dei secoli, furono erette alcune fortezze, ma purtroppo le vicende storiche e la conformazione della città hanno, col tempo, cancellato i resti di quelle antiche opere, delle quali oggi rimane, a volte, solo il ricordo nei toponimi.
La più famosa di queste fortezze è senza dubbio il Castelletto, nato in tempi antichissimi come semplice Torre, successivamente ampliato, demolito ed ancora ricostruito fino a diventare un possente Castello, trasformato in “Forte” dopo l’ultima sua completa ricostruzione.
Il nucleo originario della città è stato localizzato presso Sarzano, ossia l’antica collina di Castello, circondata originariamente da una prima cerchia di mura. Nel corso dei secoli, l’abitato si sviluppò verso occidente, mentre le mura difensive erano ampliate, ossia costruite ex-novo intorno ad esso. Di conseguenza, cambiavano anche i confini della città. Rintracciare i resti delle antiche cinte murarie, è oggi impossibile. Infatti, durante l’espansione, i fabbricati civili utilizzavano spesso le strutture murarie della cinta, cancellandone, in questo modo, le testimonianze.
L’antica Genova era compresa tra le valli dei due fiumi principali che la fiancheggiano, ossia la val Polcevera a ponente e la val Bisagno a Levante. Oltre quest’ultima si estende la collina di Albaro, ove un esercito nemico poteva accamparsi e cannoneggiare la città. A nord l’abitato era protetto dal monte Peralto, sul quale già nel XIV secolo era stata eretta una fortificazione. Oltre il Peralto, il crinale ascendeva in direzione nord verso le alture denominate “Due Fratelli”. Da qui discendeva e risaliva verso il monte Diamante, per poi discendere nuovamente in direzione dell’abitato di Trensasco, nell’alta val Bisagno. Da qui passava la strada di collegamento fra le due valli, potenziale via di transito di eserciti nemici.
Delle mura più antiche si sono perse ormai le tracce; resistono brevi tratti della cinta del 1155, del 1536 e gran parte delle seicentesche Nuove Mura. Queste ultime, sono abbastanza ben conservate ed ancora oggi visibili.
La realizzazione di queste ultime, nel XVII secolo, rappresentò un’innovazione nel campo della cinta fortificata: infatti per la prima volta essa non avviluppava direttamente l’abitato, ma era costruita distante da esso; questo per tenere il più possibile distante il nemico dal cuore della città. La loro attuazione si rese necessaria nel 1625, a causa dell’invasione, da parte del Duca di Savoia, del dominio della Repubblica di Genova, In quell’occasione fu minacciato anche il centro urbano. La cinta del 1536 seguiva direttamente il perimetro della città: le artiglierie nemiche avrebbero facilmente avuto la possibilità di arrecare danni alla cittadinanza, accampandosi a poca distanza dalle mura. Inoltre, le abitazioni avevano già, in parte, superato il recinto. Per questo motivo si decise di sfruttare un ‘anfiteatro naturale con apice sul monte Peralto. Da qui si diramavano due crinali principali, i quali discendevano verso il mare fiancheggiando parte delle vallate del Polcevera e del Bisagno.
Terminavano, rispettivamente, direttamente sul mare presso il promontorio della Lanterna, e nella zona dell’attuale stazione ferroviaria di Brignole, dove andavano ad innestarsi con le mura del ‘500. Per realizzare il tracciato, si seguì l’andamento originario dei crinali.
La prima pietra per la realizzazione di quell’opera titanica fu posta, nei pressi della Lanterna, il 7 dicembre 1626 dal Doge Giacomo Lomellini, con una solenne cerimonia che prevedeva l’interramento di una medaglia coniata per l’occasione. Nel gennaio successivo fu istituito un apposito ufficio denominato Magistrato delle Mura Nuove; i lavori, subito interrotti, ripresero solo nell’autunno del 1629.
A causa dell’imponenza ed importanza dei lavori, ogni altra opera passò in secondo piano; inoltre, data l’urgenza di completare il complesso nel minor tempo possibile, le maestranze dovevano lavorare anche nei giorni festivi (eccetto Natale e Pasqua).
La cinta, sfruttava spesso, per la difesa, le asperità del terreno. Differente era il discorso sul pianoro nella zona dell’attuale Brignole. Questa, infatti, rappresentava un punto debole, trovandosi in pianura; un esercito attaccante avrebbe potuto accamparsi nella spianata antistante, od attaccare dalla collina d’Albaro. La soluzione ideata contemplava il rinforzo dei due bastioni presenti con controguardie, in modo da raddoppiarli.
La cinta fu oggetto, nei secoli successivi, di controlli di manutenzione. Ciononostante, a causa delle difficoltà finanziarie nelle quali versava la Repubblica, i lavori di ripristino erano pochi.
Lungo il recinto delle Nuove Mura furono prima decretate, poi successivamente inserite, le porte d’accesso al centro abitato. Lo spartiacque che nel XVII secolo servì di base al tracciato delle Nuove Mura, era attraversato in vari punti, da sentieri, mulattiere, provenienti dai dintorni; questi “percorsi”, discendendo, introducevano nell’abitato attraverso le Porte cinquecentesche. Con la realizzazione del nuovo recinto non era possibile mantenere tutti quei percorsi; si decise quindi di “riunire” quelli contigui in un’unica strada principale. Nel punto in cui questa intersecava la cinta, s’inseriva una Porta d’accesso.
Seguiamo adesso un percorso ideale, principiando dalle Fronti Basse, zona compresa fra le attuali piazza della Vittoria e piazza Verdi. Il primo accesso era la monumentale Porta Pila, utilizzata provenendo dai sobborghi orientali attraverso San Francesco d’Albaro. Era collocata all’incrocio fra le odierne via XX Settembre e via Fiume, in asse con quest’ultima. Secondo alcune fonti, questa porta, destinata alle fortificazioni di Porto Maurizio, fu trasportata a Genova per ordine dei Padri del Comune tra il 1647 ed il 1649. Nel 1891, durante la demolizione delle Fronti Basse, la porta fu conservata, trasferendola nel Bastione Montesano, alle spalle della stazione ferroviaria di Genova Brignole. Al termine della seconda guerra mondiale, in seguito all’espansione dello scalo ferroviario, fu nuovamente smontata e spostata di un centinaio di metri nel sito attuale, lungo via Montesano.
Seguiva Porta Romana, architettonicamente più modesta. Era situata all’imbocco dell’attuale via San Vincenzo, in asse con Porta Pila. La sua denominazione deriva dalla strada Romana la quale vi passava attraverso. Da qui, oltrepassava il Bisagno proseguendo verso levante. Il passaggio fu demolito nel 1891 insieme alle Mura circostanti.
Seguivano, a salire, le Mura di Montesano (dalle quali oggi cominciano, alle spalle della Stazione Ferroviaria), dello Zerbino, di San Bartolomeo; qui incontriamo l’omonima Porta, oggi nascosta dai servizi della stazione ferroviaria della linea Genova – Casella. Questo accesso deve il suo nome alla chiesa di san Bartolomeo degli Armeni, situata ancora oggi in corso Armellini, alla quale conduceva; questo percorso proseguiva discendendo fino alla Porta dell’Acquasola. Il sistema di chiusura del ponte levatoio, smantellato negli anni cinquanta del novecento, era provvisto di alcuni pesi sferici di metallo per catena, posti all’interno dell’atrio. I pesi, con il sollevamento del ponte, andavano a sistemarsi in due piccole fosse a livello del pavimento. Secondo un’antica usanza dei genovesi riguardante il periodo della Pentecoste, dopo la messa alla chiesa di San Bartolomeo il popolino, passata la Porta, si dirigeva sui terrapieni (zona attualmente occupata dalla stazione ferroviaria di Genova – Casella) a far pranzo sull’erba, mangiando la tradizionale frittata con l’insalata selvatica.
Presso le successive Mura di San Bernardino, era l’omonima Porta, la quale prende il nome dalla vicina chiesa dei Cappuccini. Nell’ottobre 1942 fu colpita dai bombardamenti; fino allora aveva mantenuto integro, anche se bloccato, il ponte levatoio con il suo sistema di chiusura (uguale a quello ancora oggi visibile al Forte Sperone). Nello stesso bombardamento andò distrutto l’antico Corpo di Guardia soprastante.
Proseguendo il nostro cammino lungo la cinta, le Mura prendevano il nome di Sant’Erasmo e, proseguendo, di San Simone, dove si apriva la Porta delle Chiappe. Secondo una tradizione popolare, nel 1346 da qui passò Santa Brigida, la quale profetizzò che un giorno Genova sarebbe stata ridotta ad un cumulo di rovine, ed i pellegrini passando sopra il monte ed indicando verso la valle, avrebbero detto “Là era Genova”. La porta consentiva l’accesso in città a chi proveniva da Trensasco. Il nome, secondo alcune fonti, deriva da una cappella dedicata ai SS. Simone e Taddeo, situata in epoca remota all’apice di salita San Simone.
La cinta prendeva poi il nome di Mura del Castellaccio e dello Sperone. A queste ultime, a cavallo fra la val Bisagno e la val Polcevera, seguono le Mura di Begato. Questi tratti di cinta, devono il loro nome ai Forti costruiti sopra di esse. Discendendo in direzione mare, lungo la val Polcevera, nel fianco di un bastione delle successive Mura di Granarolo, si apre l’omonima porta. Questa è sormontata ancora oggi da uno stemma marmoreo L’antica strada proveniente da Begato, attraversando la Porta, discendeva verso gli odierni quartieri di Granarolo, san Francesco da Paola e San Rocco (zona via Adua). L’antico percorso d’accesso, all’inizio del XX secolo, è stato sostituito dalla rotabile attuale (via ai Piani di Fregoso); la Porta è rimasta così abbandonata e l’antica strada cancellata da rovi e sterpi.
Dopo le Mura di Monte Moro, seguono quelle degli Angeli; qui si apre un altro accesso alla città, attraverso il quale era possibile discendere, tramite l’omonima salita, fino all’attuale piazza Dinegro.
Prima della realizzazione delle Nuove Mura, nella zona di Porta Angeli passava l’unica strada d’accesso dal ponente alla città; dobbiamo infatti ricordare che la presenza della massiccia mole del colle di San Benigno terminava direttamente con la Torre del Faro a picco sul mare, sbarrando il passo a chi, da ponente, era diretto in città. Solo con la realizzazione della cinta seicentesca si isolò la Lanterna dal resto del promontorio, scavando la principale strada d’accesso all’abitato. L’ultimo tratto delle Nuove Mura assumeva il nome di San Benigno (oggi demolite, arrivavano alla Lanterna). L’ultimo accesso alla città era la Porta della Lanterna, situata ai piedi della Torre del Faro, realizzata tra il 1633 ed il 1643 e collocata lungo la rotabile proveniente da Sampierdarena. Nel 1827 si pensò di demolirla: invece ne fu costruita una nuova a doppio fornice, un centinaio di metri prima. Con il passare del tempo e l’aumentare del traffico, l’antica Porta, a causa del suo unico accesso, era diventata d’intralcio alla viabilità della zona. Nell’autunno 1877 si procedette, quasi in sordina, allo smantellamento del monumento, del quale rimane solo la statua della Madonna e la sottostante scritta POSUERUNT ME CUSTODEM (conservati purtroppo in luoghi separati), nonostante una petizione popolare, che raggiunse numerosissime firme, ne richiedesse la conservazione.
La Porta si sarebbe potuta salvare, con una deviazione della rotabile. Sorte migliore ha avuto la Porta ottocentesca la quale, in seguito alla demolizione del colle di San Benigno, nel 1930 fu smontata e riposta lungo la cortina che la precedeva, proprio sotto la Lanterna. Oggi è accessibile, grazie ad una recente passeggiata pedonale che costeggia esternamente tratti delle seicentesche mura, e che termina proprio alla Lanterna. L’antico cammino di ronda della cinta è ancora oggi in parte attuabile, ed è anche affiancato dalla rotabile. Si può intraprendere questa lunga camminata, che si svolge nella sua prima metà in salita partendo dalle Mura di Montesano, presso via Imperia (da corso Monte Grappa). In alcuni punti, la continuità del percorso è interrotta da interventi che hanno cancellato brevi tratti di mura (si veda, ad esempio, la zona presso la stazione della Ferrovia Genova – Casella). Giunti allo Sperone, sul monte Peralto, si ridiscende lungo la val Polcevera. Qui, il percorso pedonale, è a tratti interrotto dalla vegetazione infestante. La camminata termina in prossimità di via San Bartolomeo del Fossato, sopra Sampierdarena, dove la linearità della cinta è stata interrotta negli anni ’30, dallo sventramento della collina di San Benigno.
Le Mura sono formate da tratti di muraglioni dritti intervallati da bastioni. Questi, originariamente, possedevano un nome; per distinguerli più adeguatamente, in caso di riparazioni o per qualsiasi altra ragione, si decise di numerarli. Così, a metà ottocento, furono collocate, sui muri esterni di riservette o sul parapetto dei Bastioni, targhe in marmo, oggi scomparse, sulle quali erano indicati i dati.
Nella prima metà del ‘700 le fortificazioni di Genova comprendevano solo alcune Batterie costiere dislocate tra la Lanterna e la foce del torrente Bisagno, il Castellaccio presso il monte Peralto e la cinta muraria. Nel 1745 l’ormai decadente Repubblica di Genova si trovò coinvolta nella guerra di Successione d’Austria; si era aggregata alla Francia e la Spagna, in modo da garantirsi un appoggio contro le pretese sabaude sul territorio di Finale. In cambio la Repubblica s’impegnava a fornire diecimila uomini, artiglierie ed il libero transito, sul suo territorio, agli alleati. In campo avverso si trovavano il Regno Sabaudo, l’Austria e l’Inghilterra.
Dopo una prima fase bellica favorevole alla Repubblica, ben presto le sorti della guerra cambiarono. Genova sarà presto abbandonata dagli alleati, dopo che il 1° settembre 1746 gli austriaci avevano scatenato una grossa offensiva in val Polcevera. Il 5 dicembre il nemico entra in città, con l’intento d’impadronirsi dell’artiglieria genovese, ma sarà bloccato e scacciato dalla famosa rivolta cittadina (avviata da Balilla).
Il 10 dicembre, il generale supremo dell’esercito austriaco Antoniotto Botta Adorno, sia per il timore di rimaner bloccato dalla neve che per mancanza di uomini, decise di ritirarsi oltre il passo della Bocchetta, con l’intento di ripresentarsi in primavera munito di rinforzi.
Nei mesi di tregua i genovesi provvederanno a scavare, sulle alture cittadine, quelle trincee che ancora oggi possiamo in parte ammirare spesso vicino ai Forti, approntate distanti dalle Nuove Mura per evitare che il nemico vi si appressasse troppo. I trinceramenti erano effettuati con lo scavo, spesso nella viva roccia, di un fossato (con profondità variabili secondo il terreno) il quale seguiva un andamento zigzagante (dente di sega): questo in modo da permettere una difesa più accurata e poter colpire il nemico col fuoco incrociato. Alle spalle del fossato vi era un parapetto, formato da argini di terra, dietro il quale si riparavano le guarnigioni. Talvolta si utilizzavano “gabbie di vimini … di forma cilindrica, senza fondo, fissate al suolo con picchetti e riempite di terra; all’occorrenza erano sovrapposte in più file e sfalsate in guisa di formare una muraglia, rivestite di terra o con muri di pietra a secco”.(1)
A seguito della realizzazione, nel 1747, delle opere campali per contrastare l’avanzata degli austriaci, si comprese che le mura, da sole, non sarebbero bastate alla difesa della città. Era necessario impedire al nemico d’approssimarsi troppo a queste, espugnarle e calare in città. Per questo motivo furono ideate ed erette altre fortificazioni distaccate dalla cinta.
Una nuova linea difensiva fu ideata, parte sulle colline a levante della città e parte a nord di essa, con cinque nuovi Forti, che saranno completati, secondo i primitivi progetti, dopo anni di alterne vicende.
Durante il dominio Napoleonico (1801 – 1814), queste fortificazioni subirono in parte lavori di perfezionamento, mentre qualche altra opera fu solo ideata. Con la caduta di Napoleone, il congresso di Vienna decise l’annessione della Liguria al Regno Sardo.
Fu riconosciuta comunque a Genova importanza primaria di Piazzaforte.
L’interesse di munire Genova con numerose fortificazioni era anche motivato dal fatto che, in caso di forzato trasferimento in Sardegna da parte del governo, la Piazza poteva offrire un posto sicuro e ben difeso per coprire l’eventuale trasloco. A conferma, citiamo una relazione dell’ottobre 1817, nella quale si può leggere: “Non si debbono considerare la Città di Genova, le fortificazioni (…) che la circondano, sotto i rapporti di una semplice Piazza di Guerra, come (…) la Citadella di Alessandria (…) il Forte di Fenestrelle (…) detta città deve considerarsi sotto un punto di vista più esteso, cioè come una posizione importante di ritirata delle Regie Truppe, le quali, nel caso di guerra sia contro la Francia, o contro l’Austria (…) si trovano (…) nel caso di retrocedere, lasciando nelle Piazze forti degli Stati di S. M., i presidj necessari alla loro sicurtà, in qual caso l’armata rimanente ripiegandosi sopra Genova, ed occupandola con i fortini, posizioni e Cinta, è facile a provare che (…) può difendersi contro una forza quadrupla della sua, e (…) cangiare con facilità e vantaggio la natura della Guerra, cioè passare dalla difensiva all’offensiva” (2).
Il perfezionamento delle opere fortificate settecentesche, e la realizzazione di quelle nuove, avviene nel periodo sabaudo, con lavori che ebbero inizio nel 1816.
Un punto mai chiarito, nei vari volumi tematici, riguarda la data di costruzione d’ogni singola opera. Nella maggior parte dei casi è possibile datare con certezza l’inizio dei lavori; più complesso è stabilirne il termine. La difficoltà consiste nell’esecuzione dei lavori stessi. Questi erano preventivati ogni anno, con Bilanci molto dettagliati. Se durante una Campagna di lavori, alcune opere erano avanti con le opere, subivano un momentaneo arresto. I fondi a loro destinati erano quindi “spostati” in favore di quelle rimaste indietro coi lavori, in modo che tutte potessero essere pronte più o meno nello stesso periodo.
Le fortificazioni genovesi furono attive in rare occasioni. Genova, Piazzaforte ben difesa, durante l’assedio del 1800 da parte di inglesi ed austriaci, si arrese solo per fame, mentre durante i moti del 1849, cadde solo “grazie” alla disorganizzazione delle difese. Se tutte le fortificazioni fossero state ben guarnite, il generale Alfonso La Marmora e le sue truppe non sarebbero riuscite ad entrare in città, stabilirsi a San Benigno e da lì bombardare la popolazione. I moti di Genova del 1849 non sono molto conosciuti, il più delle volte non sono accennati neanche nei libri di scuola.
Testimoni dell’epoca confermano la scarsa preparazione dei “soldati” genovesi: “Pochi in Genova erano ammaestrati nel tiro del fucile, nessuno – tranne qualche marinaio della marina mercantile – in quello del cannone. S’inviarono (…) a presidiare i forti dapprima i militi della Guardia nazionale e indi i popolani di buona volontà; ma per gli uni e per gli altri il cannone era un arnese (…) pericoloso più ad essi che al nemico. Di più – militi e popolani dopo uno o due giorni che erano rimasti nei forti, volevano ad ogni costo ritornare (…) alle loro famiglie, né v’era mezzo di trattenerli. Le loro donne assediavano l’ingresso dei forti e li trascinavano via” (3).
I notevoli progressi tecnici compiuti dall’artiglieria, l’avvento del bombardamento aereo e l’utilizzo, nelle nuove fortificazioni, del più resistente cemento armato, resero obsoleti i Forti ottocenteschi, costruiti in pietra e mattoni, nati per difendersi dalle arcaiche palle di cannone.
La condizione di pericolo per i loro stessi difensori fu sottolineata a Roma nel maggio 1913 dalla Commissione Suprema mista per la Difesa dello Stato, la quale dichiarò Genova “città aperta”, disarmando ed abbandonando letteralmente al loro destino i nostri Forti. Di conseguenza, in forza del Regio Decreto n° 835 del 6 agosto 1914, quelle antiche opere furono radiate dal novero “fortificazioni di stato”, e passate dal Demanio Pubblico Militare al Demanio Patrimoniale dello Stato.
Durante la prima guerra mondiale, qualche Forte fu ancora impiegato come prigione per i soldati austriaci.
Dall’estate 1927 molte di queste fortezze furono attrezzate e, successivamente, utilizzate dalla contraerea italiana (passata ai tedeschi dopo l’otto settembre 1943), quindi abbandonate alla fine del conflitto. Nel dopoguerra i manufatti metallici furono razziati; per questo motivo, da queste fortificazioni sparirono ringhiere, tiranti, grate, cancelli, binari per variare il puntamento dei cannoni.
Tutte queste opere sono tutelate dalla Legge n° 1089 del 1° giugno 1939: in conseguenza di ciò, teoricamente non possono subire modifiche che alterino le strutture originarie.
Oggi, gran parte dei Forti genovesi sono abbandonati,.La piazzaforte di Genova includeva anche le Mura cittadine. Delle numerose cinte murarie che hanno protetto il capoluogo nei secoli, rimangono ormai pallide tracce. Le meglio conservate sono le seicentesche “Nuove Mura”; queste, a differenza delle precedenti, furono realizzate distanti dalla città di allora (racchiusa entro l’area del centro storico).
Intorno al 1885 la cerchia cittadina aveva già perso l’importanza strategica; nel 1891 fu quindi decretato l’abbattimento delle Fronti Basse (quel tratto di cinta che sorgeva davanti all’odierna stazione ferroviaria di Brignole), demolite con un duplice scopo: permettere lo sviluppo topografico della città verso i comuni annessi qualche anno prima, e la possibilità di effettuare, nell’enorme spianata risultante, le celebrazioni Colombiane del 1892.
L’espansione verso ponente avvenne cinquant’anni dopo: questa era ostacolata, secondo gli amministratori dell’epoca, dalla massiccia presenza di quel promontorio naturale che era il colle di San Benigno; quindi piuttosto che scavare ampie gallerie stradali, si preferì radere al suolo l’intero rilievo. La grande spianata che si creò 30 anni dopo l’inizio dei lavori, è stata infelicemente usata; infatti, ancora oggi, nonostante la scomparsa del colle, non esiste continuità reale fra Genova e Sampierdarena.
Forte Quezzi è situato alle spalle del quartiere di Marassi. Uno dei primi ad essere ideato e progettato nel 1747, è stato in realtà costruito Tra il 1805 ed il 1814 durante il periodo francese, ed ultimato e perfezionato durante il periodo sabaudo. L’obiettivo era “d’impedire al nemico d’inoltrarsi nella Valle di Bisagno”. La costruzione è stata abbandonata nel 1914 e riutilizzata intorno al 1940, subendo demolizioni e radicali modifiche per sistemare le postazioni della contraerea. Nel 1945 fu completamente abbandonato. Oggi è un cumulo di rovine. Della caserma rimane solo il piano terra, inaccessibile. Il recinto bastionato è tuttora utilizzato per il ricovero delle greggi.
Torre Quezzi è un posto avanzato del vicino Forte. È una costruzione a tronco di cono, realizzata tra il 1818 ed il 1823. L’interno, oggi particolarmente degradato era ripartito su tre piani, in parte crollati. L’opera fu abbandonata dall’autorità militare all’inizio del XX secolo e trasformata, intorno al 1909, in un caratteristico ristorante. La struttura viene oggi saltuariamente utilizzata per ricovero greggi.
Forte Monteratti è composto da una lunga caserma protetta dal retrostante terrapieno. Il complesso è appoggiato alla vetta del monte. Nei secoli scorsi la posizione era considerata strategicamente importante per la difesa della città. Da qui il nemico poteva calare verso gli attuali quartieri di Sturla, Albaro e San Martino, all’epoca paesini vicini a Genova. La cima del Monte Ratti fu scelta dal Governo Sabaudo nel 1819, per l’erezione di una Torre, completata intorno al 1826, uguale a quella di Quezzi. Il Forte fu realizzato successivamente, tra il 1831 ed il 1842, inglobando la Torre.
L’ala di ponente del piano terra della caserma è interamente occupata dalle buie celle delle prigioni, che “ospitarono”, durante la prima guerra mondiale, i coatti austriaci. All’interno della caserma si scorgono le tracce della cappella. Tra il 1935 ed il 1938 fu iniziata la demolizione della Torre, la quale disturbava la visuale alle quattro postazioni contraeree che furono sistemate in quella zona del complesso. Terminato l’ultimo conflitto, l’opera fu definitivamente abbandonata. Oggi è liberamente accessibile. ancora piccole sorprese. La lunga caserma è su tre piani. Un cortile separa la caserma dal massiccio terrapieno, sul quale era sistemata l’artiglieria pesante.
L’importanza strategica della posizione sulla quale attualmente si erige Forte Richelieu, si rivelò durante l’assedio austriaco del 1747. Fu il maresciallo Louis du Plessis, Duca di Richelieu a consigliare di munire con opere difensive la località. La costruzione della fortificazione iniziò nel 1747. Durante il periodo napoleonico fu ampliata con modifiche alla cinta, ed infine completata durante il periodo sabaudo. Sul portone d’ingresso spiccava lo stemma sabaudo, andato purtroppo disperso nel 1987, e la targa marmorea indicante il nome del Forte. Riutilizzata durante il primo conflitto mondiale per alloggiare alcuni prigionieri austriaci fu in seguito abbandonata, ospitando alcune famiglie di senza tetto alla fine della seconda guerra mondiale. Nel 1959 fu reso operativo il ripetitore RAI tuttora al suo interno. Da allora è chiuso al pubblico. Il degrado all’interno dell’opera non è molto accentuato: le strutture, non essendo liberamente accessibili, risentono solo dell’azione del tempo.
Il Forte Santa Tecla sorge sull’area occupata anticamente dalla piccola chiesa omonima, già esistente nel XII secolo e nel 1339 appartenente al Doge Simon Boccanegra.
Una prima parte di lavori per la realizzazione del Forte fu intrapresa nel 1747 e terminata nel 1751. I lavori di completamento ripresero intorno al 1815 e terminarono tra il 1828 ed il 1833, con l’erezione di una caserma a due piani ed alcune opere esterne. Lo scopo del complesso era di bloccare un eventuale passaggio nemico proveniente da levante. Dopo recenti lavori di risanamento alla copertura ed all’area circostante, l’opera è in parte impiegata dalla Protezione Civile.
Forte San Martino è ormai completamente circondato dal quartiere di San Martino d’Albaro. La notizia più antica su di un fortilizio in questa zona risale al 1322, quando i guelfi “battagliarono fortemente contro la torre del detto luogo (…) e (…) la debellarono con i suoi difensori devastandola a fuoco” (4). Non è accertata l’esatta ubicazione di quell’antica Torre. La costruzione del Forte attuale cominciò intorno al 1820 e terminò verso il 1832 come proseguimento di quello sbarramento fortificato che, all’epoca, si fermava al Forte Santa Tecla. L’opera si presenta come un grosso rettangolo terrapienato. La caserma su tre piani occupa solo due terzi del lato ponente. L’artiglieria pesante era posta nel retrostante terrapieno. All’interno della muratura di controscarpa che circonda l’opera corre una galleria, munita di feritoie, compiuta per meglio difendere fossato e complesso. Intorno al 1927 furono approntate le postazioni per l’artiglieria contraerea. Dopo la Liberazione il complesso fu occupato da numerose famiglie di senza tetto, e completamente abbandonato nel 1952. Le strutture storiche si presentano in pessime condizioni. Attualmente non è accessibile.
Forte San Giuliano, ultimo baluardo del levante cittadino, si affaccia sul lungomare di corso Italia. Primitiva opera fortificata della zona era la Batteria Sopranis, approntata nella tarda estate 1745. Nel 1818 fu presentato un progetto per rinforzare le strutture della vicina villa Sopranis, con lo scopo d’impedire attacchi ed approdi nemici dal mare. L’idea fu in seguito accantonata in favore del Forte, realizzato fra il 1826 ed il 1836. Questo era in parte circondato dal fossato e comprendeva due caserme. Intorno al 1937 furono realizzate alcune piazzole per la contraerea. In seguito fu assegnato alla Regione Carabinieri Liguria, che lo detiene attualmente. Recentemente ristrutturato, è ancora oggi zona militare. Con l’inaugurazione del 13 maggio 1995 è diventato sede del Comando Provinciale Carabinieri di Genova, per questo motivo il complesso non si può visitare. A causa del continuo utilizzo le strutture hanno subito, nel corso degli anni, diverse modifiche.
La prima fortificazione lungo la cinta, sul versante della val Bisagno, è la Torre San Bernardino. La costruzione di quest’opera è iniziata nel 1820 ed è terminata intorno al 1825, con lo scopo di proteggere la vicina porta San Bernardino; è affine alle Torri Quezzi e Monteratti. È composta da un vano sotterraneo, dal piano terra e da quello superiore. La porta d’accesso al terrazzo è ancora quella originaria; qui si aprono numerose caditoie protette da grate inizialmente apribili, per il lancio d’oggetti da difesa. Torre San Bernardino rimase attiva fino al 1914. Dal 1918 è in mano a privati, che la utilizzano per vari scopi. Attualmente è sede di uffici.
Il Forte Castellaccio. non è, come molti erroneamente credono, quella Torre rossa che si vede in direzione nord appena arrivati al Righi: quella e Torre Specola. Il Forte rimane infatti nascosto da un bosco impiantato intorno al 1960. L’area, racchiusa entro una cinta di mura, comprende sia la caserma del Castellaccio sia la Torre Specola. Le prime notizie riguardo opere difensive in questa località risalgono al 1319, quando i guelfi edificarono un castello con “mura e fossi”. Nel 1530 il fortilizio, rovinato dagli anni, fu ripristinato subendo alcune modifiche. Il Castellaccio settecentesco era formato da due caserme parallele, con solai in legno e tetto a doppia falda, appoggiate al recinto di una grossa polveriera. Le grandi trasformazioni ebbero inizio dopo l’annessione al Regno Sardo. Nel 1818 l’antica fortezza fu completamente demolita, per essere ricostruita, adeguata seguendo i criteri della mutata arte militare. I lavori, intorno al 1827, furono interrotti, ma ripresero subito dopo seguendo un diverso progetto. Il nuovo Castellaccio era una fortezza autonoma; aveva il duplice scopo di proteggere la città e di sedare eventuali rivolte cittadine. La caserma è composta da due piani, più un sotterraneo; all’interno di quest’ultimo si trovavano due forni da 320 razioni ciascuno.
La Torre Specola, anomalo edificio in mattoni rossi visibile da molte zone della città, è stata innalzata sullo sperone roccioso dove, fin dal 1509, erano eseguite le condanne a morte. La Torre fu edificata fra il 1817 ed il 1825. Tra il 1830 ed il 1836, durante la realizzazione del nuovo Forte, le due opere furono inglobate all’interno di un’unica cinta bastionata. L’interno è su due piani, più un sotterraneo con cisterna. La grande sopraelevazione che spicca sul tetto è stata edificata tra nel 1911 dall’Istituto Idrografico della Marina, per ospitare un Osservatorio meteorico ed aerologico ed il relativo personale. La Torre è oggi abbandonata.
Dal maggio 1875 al giugno 1940, da una casamatta posta sull’angolo delle mura esterne, a mezzogiorno in punto era sparato un colpo di cannone. Il cosiddetto “cannone di mezzogiorno” era così famoso che l’attore Gilberto Govi volle inserirne l’audio nel film “Colpi di timone”. La tradizione cessò nel dopoguerra.
Con gli anni il Castellaccio aveva perso il duplice scopo difensivo della Piazza e da essa. Già dal 1929 è sede di una stazione radiotelegrafica della Marina. Oggi la caserma è in parte abbandonata, in parte data in concessione a privati. Una frana, che ha coinvolto recentemente le strutture del 1818, rischia di compromettere il resto della Caserma. A tutt’oggi non è stato ancora provveduto a bloccarne il degrado.
Poco distante dal Castellaccio, sulla cima del monte Peralto, possiamo ammirare il Forte Sperone. Per la sua posizione dominante era una delle più importanti fortificazioni della Piazza di Genova. Essa sorge sull’originario punto di scissione dei due crinali, digradanti verso Genova, che nel XVII secolo si pensò di sfruttare per la realizzazione delle mura cittadine. Il “punto” d’incontro dei due rami della cinta, situato proprio sulla vetta della collina, origina un particolare bastione che dà nome al Forte, il quale sfrutta, in parte del perimetro, le murature della cinta.
Sembra che le prime notizie riguardanti una fortificazione al Peralto, chiamata Bastia o Bastida, risalgano al 1319. Il Giustiniani, nei suoi annali, scriveva: “E i guelfi (…) in la cima del monte Peraldo avevano edificato una fortezza nominata il Castellazzo, incontra dei quali i ghibellini (…) fecero una fortezza prima di legname e poi di pietre e di calcina, la qual fu domandata Bastia” (5). La posizione di quell’antica fortezza non è ben chiara; secondo alcune fonti era ad una quota inferiore rispetto quella dell’attuale. La prima notizia sicura, concerne una somma di 7.400 lire stanziata nel 1530 dal Senato per una nuova Bastia del Peralto. Probabilmente, con l’edificazione delle Nuove Mura, le sue strutture furono in esse assorbite. A quell’epoca della fortificazione attuale non esisteva nulla. Durante l’assedio del 1747 era disposta l’erezione di un Cavaliere in gabbioni sul bastione nord, in modo d’aumentare la potenza di fuoco dell’artiglieria.
Nel settembre dello stesso anno furono appaltati ed intrapresi i lavori per l’edificazione di una caserma con tetto a falde e di una rampa in muratura per accedere al cavaliere.
La fortificazione attuale, completata dal Corpo reale del Genio Sardo, si articola su tre livelli. Lungo il primo si apre l’accesso principale; sul secondo (parallelo al primo) erano uffici e camere dei graduati; nel terzo, nel quale è racchiusa la parte più antica, si trovavano gli alloggiamenti della truppa.
Nel 1842 il complesso era provvisto di 18 cannoni, 9 obici, 2 petrieri, 3 mortai, 10 cannoncini. Il complesso fu utilizzato come prigione durante la prima guerra mondiale. Nel 1958 parte del complesso è stato concesso in uso alla Guardia di Finanza, che vi realizzò una casermetta per i servizi della guarnigione e del ponte radio. Dopo 23 anni il complesso è stato nuovamente abbandonato. In questi ultimi decenni, nel periodo estivo al suo interno si sono svolte diverse manifestazioni, tra le quali anche un originale teatro all’aperto.
Abbandonando momentaneamente il nostro percorso lungo le mura, ne usciamo incamminandoci in direzione nord seguendo lo spartiacque. Il crinale che dallo Sperone si dirama per poi discendere sulla val Bisagno e sulla val Polcevera, principia dal monte denominato Spino (sede dell’attuale Forte Fratello Minore). Da qui, proseguendo verso est in direzione del monte Sellato, sede del Forte Fratello Maggiore, discende gradualmente verso sud fino a raggiungere il monte Moisé (attuale Forte Puin), ed infine il Peralto. Questo lungo crinale è contornato da solchi appena accennati, i quali si sviluppano seguendo un curioso andamento zigzagante; questi, in origine più profondi, furono scavati dai genovesi e dagli austriaci nel 1747 e rappresentano le uniche e ormai confuse testimonianze delle fortificazioni campali, trincee difensive dalle quali derivano molti dei nostri Forti.
Dallo Sperone, la seconda importante ridotta, realizzata in gabbioni, era posta dove oggi si erige il Forte Puin. I francesi, nel 1806, avevano stabilito la realizzazione di questa fortificazione e dei Due Fratelli, con lo scopo di migliorare le difese sulla dorsale tra lo Sperone ed il Forte più a settentrione, ossia il Diamante. La realizzazione dei Due Fratelli e del Puin è stata però interamente compiuta dal Corpo Reale del Genio Sardo. L’idea originaria prevedeva una grossa e tozza Torre quadrata sprovvista di cinta. I lavori furono intrapresi nel 1815. Nel Forte Puin, per prima cosa, fu cominciata la Torre. La cinta bastionata che oggi la circonda fu intrapresa in seguito con una modifica al progetto originario. Bel 1830 il complesso poteva dirsi terminato. L’opera è stata abbandonata nell’ultimo decennio dell’ottocento, e “radiata” dalle liste militari nel 1908. Nel 1963 è stata ottenuta in concessione e abilmente restaurata da un fantasioso pittore, che vi ha abitato per alcuni anni. Unica nota dolente sono gli anacronistici merli ghibellini sulla facciata principale della Torre, inseriti al posto di una caditoia, crollata a suo tempo.
Il portale della Torre immette al piano terra, composto di due ampi vani con cucinino. La scala di servizio immette ai locali seminterrati o al piano superiore. Il pavimento del terrazzo superiore è in leggera pendenza: questo permetteva di raccogliere l’acqua piovana nella bocca del canale che alimentava la cisterna.
Circa il nome della fortificazione, viene erroneamente asserito che derivi dalla “Ridotta dei Pani”, vocabolo che compare solo nella descrizione di Genova da parte di un Anonimo del 1818. In realtà il Forte deve il suo nome ad una sottostante baracca, detta di Puin.
Nell’aprile 1747, le colline occupate attualmente dai Forti Due Fratelli, furono circondate da un recinto trincerato, il quale avvolgeva completamente le due sommità; il lato Diamante era sagomato con terrapieni e merloni per ospitare le batterie. Da questa posizione si diramavano diverse trincee con funzione di sbarramento contro le truppe austriache che fossero eventualmente risalite dalla val Polcevera.
Le attuali fortificazioni possono essere raggiunte solo a piedi, in circa un’ora di cammino dal Forte Puin.
Di queste due fortificazioni, quello ancora integro è il Forte Fratello Minore. La sua costruzione, opera del Genio Sabaudo, è stata oggetto di continui cambiamenti di progetto. I progettisti decisero di attenersi allo stesso schema architettonico utilizzato per le Torri del Fratello Maggiore e del Puin. La Torre edificata al Minore era più piccola rispetto le altre due. Ultimata costruzione della Torre, con una modifica al progetto, sui lati est e sud fu aggiunto un recinto bastionato.
La guarnigione era composta da 12 uomini. La fortificazione alla fine dell’ottocento era già stata abbandonata.
L’accesso all’interno della cinta avveniva per mezzo di un ponte levatoio. Da qui, una rampa conduce all’ingresso del torrione. Le parti metalliche sono state asportate alla fine dell’ultima guerra. Oggi è abbandonato.
Il Forte Fratello Maggiore, oggi non esiste più. Al suo posto troviamo un pianoro, spesso sfruttato per il pascolo. L’origine dei nomi riguarda l’altitudine e l’aspetto delle due fortificazioni. Il Fratello Maggiore era architettonicamente più grande e formato dalla sola Torre, ad un’altitudine superiore rispetto al Fratello Minore. Nel 1806, un progetto ideava una grossa ridotta sul posto. La costruzione del Forte fu iniziata nel 1815 dal Corpo Reale del Genio Sardo. L’ingresso era protetto da un breve fossato e dal ponte levatoio. L’acquartieramento era di 20 soldati. Alla fine dell’ottocento il Forte era già stato abbandonato. La demolizione del Fratello Maggiore è stata iniziata per installare una contraerea, poco dopo il 1930. Delle relative quattro postazioni, oggi si scorgono ancora le tracce. Oggi del Forte ottocentesco non rimane nulla.
Il Forte Diamante deve il nome alla collina sulla vetta del quale fu innalzato. In base ad alcune testimonianze, si suppone che originariamente sul colle sorgesse una Bastita. Lo scopo dell’opera era di controllare le valli del Bisagno e della Polcevera, potenziali strade d’accesso di eserciti attaccanti, e la via di comunicazione tra le due valli, cioè quella che dal paesino di Campi passa a quello di Trensasco. Nel 1756 il Magistrato delle Fortificazioni incaricava gli ingegneri militari di redigere un nuovo progetto: l’opera era stata finanziata dalla famiglia Durazzo con una donazione di 50.000 lire. I lavori iniziarono nel giugno dello stesso anno e si protrassero per diverso tempo. Il Forte settecentesco era leggermente dissimile da quello attuale; la differenza era rappresentata dal tetto originario, in ardesia a spiovente. Dopo l’annessione al Regno Sardo si ebbe la trasformazione del coperto da spiovente a terrazzo, oltre al rinforzo delle murature della caserma. L’ultimo episodio storico di una certa rilevanza risale al 29 giugno 1857, quando un gruppo di rivoltosi mazziniani, con un colpo di mano nottetempo si impossessò del Forte, ma lo abbandonò subito dopo in quanto la sommossa in città era fallita. Il complesso fu abbandonato definitivamente nel 1914 ed oggi è chiuso al pubblico.
A poche centinaia di metri dal Forte Sperone, in direzione sud notiamo sulla destra la lunga muraglia che racchiude l’ottocentesco Forte Begato. Nel XVII secolo, con la costruzione delle Nuove Mura, la zona, rappresentata da una vasta spianata, fu compresa all’interno del recinto. Sul posto, nel ‘700, erano presenti i resti di una costruzione, definita nelle vecchie cartografie “Posto fisso di Begato”, verosimilmente una piccola caserma a presidio della cinta. Nel 1818 fu proposto il progetto per la realizzazione dell’attuale caserma. I lavori iniziarono lo stesso anno e terminarono verso il 1830. Fra il 1832 ed il 1836 il complesso fu chiuso verso la città con quel recinto bastionato, visibile oggi dalla strada. Forte Begato si presenta come una caserma quadrangolare a due piani, situata nella grande spianata, con bastioni agli angoli e cortile centrale. Durante i moti del 1849, il complesso fu occupato da numerosi uomini della Guardia Nazionale in modo da battere la val Polcevera, strada di accesso dei nemici, rappresentati dai soldati piemontesi del Regio Esercito e dai bersaglieri. Durante la guerra del 15-18, al suo interno furono imprigionati i militari austriaci. Durante la seconda guerra mondiale, il recinto ospitò le postazioni della contraerea. I bombardamenti inglesi del 1941 colpirono uno dei quattro bastioni, demolendolo completamente. Occupato dalle truppe tedesche nel ’43, fu abbandonato alla fine del conflitto. Deposito militare dal dopo guerra e recentemente restaurato, è oggi abbandonato.
Per accedere al Forte Tenaglia, dal Forte Begato si discende lungo le Mura di Granarolo verso via Bartolomeo Bianco. Purtroppo l’opera, in concessione a privati, non è visitabile. Il nome del Forte deriva dalla sua particolare conformazione architettonica. Il sito era anticamente occupato dalla Bastia di Promontorio, una fortezza che potrebbe risalire a prima del 1478, sommariamente descritta dagli annalisti come un “bastione”.Con la realizzazione nel XVII secolo, delle Mura, l’antica Bastia fu demolita nel per la realizzazione di una “Tenaglia”. Questa, fino alla metà del ‘700 rimase una semplice batteria avanzata, collegata alla cinta da due muraglie. Durante il periodo napoleonico, l’opera. Tra il 1815 ed il 1830 iniziarono i lavori d’ampliamento, con la realizzazione di un grande terrapieno; dal 1831, a metà di questo, fu scavata la caserma che scende di due piani. Durante i moti del 1849, a causa di un tradimento, il complesso cadde in mano ai piemontesi. Verso il 1938 la Milizia modificò completamente le ottocentesche postazioni d’artiglieria, sostituendole con quattro piazzole in cemento armato per i pezzi da contraerea; un’ala della caserma è stata gravemente danneggiata da un bombardamento di quel periodo. L’opera è stata dismessa definitivamente dall’Esercito nel 1979.
Il Forte Crocetta è situato sulle alture di Sampierdarena, nei pressi di corso Belvedere. Sull’area occupata dalla fortificazione si ergeva anticamente un seicentesco convento dei Padri Agostiniani, con annessa chiesa del Santissimo Crocifisso. Nell’assedio del 1747 il cenobio era completamente circondato dai trinceramenti. L’erezione dell’attuale fortino fu pianificata nel 1815. In un primo tempo, l’antico complesso religioso fu potenziato con l’artiglieria. Tre anni dopo il Corpo Reale del Genio Sardo demolì totalmente il fabbricato e cominciava la costruzione del nuovo Forte: i lavori furono interrotti intorno al 1826 e ripresero l’anno dopo la modifica del progetto, terminando poco dopo il 1830. La forma adottata era essenzialmente quella di un bastione pentagonale molto allargato, sul cui saliente era collocata l’artiglieria pesante. Sul fronte di gola è situata la caserma. Durante i moti del 1849, al suo interno furono rinchiusi sia rivoltosi che semplici cittadini catturati dai soldati piemontesi nelle zone circostanti. Dopo l’abbandono da parte dei militari nel 1914, il fortino fu trasformato in civile abitazione, funzione mantenuta anche al termine del secondo conflitto mondiale. Dopo essere rimasto in abbandono per alcuni anni, oggi non è accessibile in quanto alcuni privati vietano l’accesso.
Ritornati in corso Belvedere, proseguiamo fino al sagrato dell’omonima chiesa. Imbocchiamo alla nostra destra salita G. B. Millelire, una stradina che termina davanti al cancello d’ingresso di Forte Belvedere. L’importanza strategica rivestita dal questa altura venne sfruttata nel 1747, con la sistemazione di una linea trincerata che iniziava dall’attuale Forte Crocetta. Sull’area oggi occupata dal Forte Belvedere furono approntate due ridotte. Nonostante la minacciosa presenza dell’opera a corno della Tenaglia, la collina di Belvedere agevolava la sistemazione di una batteria nemica per l’apertura di una breccia nelle Mura. Era quindi indispensabile edificare una nuova fortificazione sul posto a difesa della cinta. I lavori per la sua erezione iniziarono nel 1815 e terminarono intorno al 1830. La fortificazione era originariamente composta da un grosso terrapieno pentagonale (tuttora esistente), denominato “Lunetta”. In direzione della foce del Polcevera fu distaccato un bastioncino denominato “Freccia”. Al centro del complesso spiccava la Torre di forma trapezoidale a due piani. La sua costruzione è stata finora erroneamente attribuita ai francesi. La fine dell’ottocento vide spegnersi l’importanza strategica delle Mura: erano presidiate solo le Porte più importanti, mentre alcune fortificazioni erano già chiuse. Cambiò quindi l’utilizzo del Forte Belvedere che fu per così dire “declassato” e trasformato in Batteria per la difesa del porto, col nome di Batteria Inferiore di Belvedere. Per adattare il complesso alla nuova funzione, verso il 1890 fu deciso di abbattere completamente la Casa-Forte in quanto ostacolava l’angolo di tiro dei 6 obici della Batteria. Alla vigilia dell’ultima guerra, sulla Lunetta furono collocati quattro cannoni della Contraerea. Oggi, su pare della fortificazione sorge il campo sportivo Morgavi, realizzato negli anni ’70. Del forte ottocentesco sopravvivono alcune feritoie in mattoni, da tempo inutili, e l’intero terrapieno della Lunetta.
Tra il 1841 e gli anni ’80 dell’ottocento non vi furono altri lavori di fortificazione nella Piazzaforte genovese, ma solo alcuni progetti mai attuati. Ma negli anni ’80 dell’ottocento si crearono tensioni con la Francia, quando l’Italia divenne parte integrante della Triplice Alleanza. Questi contrasti plausibilmente preoccupavano molto il nostro Governo, il quale si affrettò a far realizzare, intorno al 1889, delle piccole e nuove fortificazioni o ad apportare piccole modifiche in quelle già esistenti.
Vediamo quindi la nascita di piccole Batterie all’interno dei Forti San Martino e San Giuliano, oppure su posizioni particolarmente strategiche e dominanti, come sulla collina di San Benigno, a San Simone, Granarolo, agli Angeli. Obiettivo di queste nuove opere era la difesa del mare al largo e del porto di Genova. Nel ponente cittadino furono costruiti tre nuovi Forti, cioè il Monte Guano, il Monte Croce ed il Casale Erselli, i quali battevano il litorale di ponente ed alcune delegazioni della val Polcevera. I Forti Monte Guano, Monte Croce e Casale Erselli sono poco conosciuti; sono molto simili tra loro ed erano originariamente uniti da un comune percorso militare, oggi interrotto dalla spianata degli Erzelli. Strutturalmente si presentano come una batteria in scala maggiore, comprensiva di caserma sul fronte di gola.
Le Batterie avevano, invece, una guarnigione distaccata da altre caserme cittadine. Alcune di queste opere ebbero vita breve, altre invece furono utilizzate anche nella seconda guerra mondiale, con le opportune modifiche. Queste piccole fortificazioni non sono storicamente o architettonicamente importanti, quindi del tutto sconosciute; anche se, all’epoca del loro utilizzo, erano armate con cannoni considerati moderni, e hanno dato, insieme ai Forti, il loro contributo alla tanto decantata potenza militare della Genova del primo ‘900. Oggi, purtroppo, queste costruzioni non sono visitabili, perché date in concessioni a privati o perché non esistono più. Di loro rimangono solo le testimonianze nelle antiche cartoline di inizio ‘900.
NOTE
1) FENOGLIO R., “La difesa di Genova nei secoli XVIII e XIX: dalle fortificazioni campali a quelle permanenti”, in Forti di idee, Genova 1991, p. 22.
2) Archivio di Stato di Torino, Materie Militari, Direzione di Genova, ms. n° 1, Maggiore Generale Barone di Monthoux, 28 ottobre 1817, “Ricognizione militare delle fortificazioni, Fortini e Posizioni della Città di Genova”.
3) LORIGIOLA G., Cronistoria Documentata Illustrata dei Fatti di Genova, marzo-aprile 1849, con documenti inediti ricavati dagli Archivi di Genova e Sampierdarena, Ed. Editore G. Palmieri e figli Tipografo – Sampierdarena 1898, p. 188.
4) STELLA G., Annali Genovesi, Genova 1941, vol. 1, parte 1ª, p. 163.
5) GIUSTINIANI A., Annali della Repubblica di Genova di Monsignor Agostino Giustiniani. Ed. Libraio Canepa – Genova 1854. , vol. 2, libro 4°, pp. 26-27
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