La carriera del pugile italiano durante il Ventennio vista attraverso le carte inedite dell’intelligence di Mussolini.
Da fenomeno da baraccone con il nome d’arte di Terribile Giovanni in Francia, dove nel primo dopoguerra giovanissimo era emigrato dalla sua cittadina friulana di Sequals, Primo Carnera giunse a conquistare nel 1933 il titolo mondiale dei pesi massimi di boxe. Due metri e quattro di statura per un peso di oltre 120 chili sono misure che oggi non destano eccessivo stupore. Ma in un periodo nel quale la statura media degli iscritti alla leva si aggirava sui 167 cm., che tra i campioni di pugilato solo Jess Willard raggiungeva i 111 chili di peso per 1,98 metri d’altezza, Carnera sembrava l’incarnazione del mito classico dell’Ercole possente e vigoroso. Erano gli anni Trenta, periodo d’oro dello sport italiano. Il ciclista Binda si aggiudicava il terzo titolo mondiale e la nazionale di calcio conquistava la coppa Rimet per due volte consecutive; la rappresentanza azzurra alle olimpiadi di Los Angeles intascava 12 medaglie d’oro, 12 d’argento e altre 13 di bronzo; con i suoi idrovolanti Balbo trasvolava l’Atlantico mentre dietro una nube di polvere e gas di scarico Nuvolari e Varzi seminavano sulle piste automobilistiche i loro rivali. I campioni dello sport erano diventati gli eroi dei tempi moderni, le competizioni agonistiche fenomeni popolari, liturgie non solamente sociali ma anche politiche, capaci di aggregare le folle attorno ad eventi sportivi divenuti, nell’Italia di Mussolini, metafora e inveramento di quella rivoluzione antropologica che il fascismo ambiva a realizzare. La valenza propagandistica dell’”atletismo politico” era ben chiara al duce, che ne fece uno dei principali strumenti per l’acquisizione del consenso popolare. Ma le vittorie di Carnera non suscitarono solo l’interesse della macchina promozionale fascista, né furono limitate nell’ambito delle cronache, inizialmente polemiche, della stampa sportiva italiana. Anche le attenzioni della Polizia Politica, quella branca del ministero dell’Interno dedita al controllo della popolazione, furono attirate dal gigante friulano. Dopo il suo esordio nella noble art del 1928, Carnera aveva mietuto sui ring europei e nordamericani una serie impressionante di vittorie. Molte di esse, come raccontò in un memoriale il suo primo procuratore Léon Sée, furono tuttavia frutto di incontri truccati, necessari tanto alla spettacolarizzazione del personaggio quanto a fornirgli direttamente con la pratica sul ring quella esperienza pugilistica di cui scarseggiava. Gli orecchiuti sicofanti della Pol.Pol., come l’intelligence del regime veniva chiamata dagli addetti ai lavori, non mancarono così di riferire ai loro superiori i sentimenti che il pugile suscitava nel cuore degli italiani. Il dossier informativo su Carnera venne aperto presso il ministero dell’Interno nel 1930, all’indomani della sconfitta ai punti contro l’irlandese Maloney a Boston. La prima relazione sul pugile, che in terra d’Italia aveva partecipato a un solo deludente incontro nel ’28 a Milano, ritraeva il friulano come “un cafone che prima ha rinunciato alla cittadinanza italiana come dopo l’ha nuovamente desiderata solo per lucro”. L’informatore si riferisce qui all’ambigua nazionalità di Carnera che Oltralpe si pretendeva essere addirittura francese, provocata dalla richiesta di naturalizzazione accolta nel 1929 e inoltrata da Carnera quando ancora non si era dedicato alla boxe. Con il tempo e con le vittorie che il pugile macinava incrociando i guantoni sui quadrati internazionali, la questione si andò ricomponendo senza però dissolversi del tutto. Ancora nel 1932 L’Illustrazione Italiana lo definiva “colosso italo-francese”. E rifacendosi alla tessera del Pnf consegnatagli solennemente a Udine in occasione del suo rientro in Italia nel 1930, l’informatore della Pol.Pol. continuava: “… oggi che è fascista, lo si porta ai sette cieli […], mentre è provato che non ha vinto che degli illustri ignoti in America”. Considerazioni caustiche e sferzanti, che compendiavano i toni con i quali tutta la stampa sportiva italiana accompagnò gli incontri di Carnera sino alla sfida contro Sharkey, che gli valse il titolo mondiale dei massimi. L’atteggiamento critico del mondo pugilistico del Belpaese si contrapponeva tuttavia con gli sperticati elogi che gli venivano tessuti all’estero, dove godeva di un vasto credito. Nel 1931 la prestigiosa rivista Time gli aveva dedicato una copertina, Walt Disney omaggiò la sua fama con il personaggio di Creamo Catnera, un gigantesco gattone che nelle strisce a fumetti era impegnato a boxare con Mickey Mouse. E non gli mancarono incontri con eminenti personalità, come il principe del Galles, futuro re d’Inghilterra con il nome di Edoardo VII, Charles Lindbergh, il presidente degli USA Herbert C. Hoover. Ma l’ostilità della stampa italiana contrastava soprattutto con il suo mito che lentamente andava prendendo forma nell’animo del pubblico italiano, suscitando un fenomeno spontaneo di psicologia collettiva mai visto prima d’allora. Obliata ormai la deludente prestazione del 1928 a Milano contro lo spagnolo Epifanio Islas, per la quale la Gazzetta dello Sport definì Carnera “un bluff gonfiato a Parigi da alcuni affaristi della boxe a scopo di speculazione”, ogni volta che il pugile faceva rientro in Italia la folla gli tributava una entusiastica accoglienza. Nonostante i due terzi degli incontri disputati dal 1928 al 1931 fossero frutto di combinèe e di loschi intrighi legati al giro di scommesse gestito dalla malavita organizzata americana, il curriculum di Carnera annoverava anche match genuini sostenuti contro avversari di elevata caratura internazionale. Dal suo esordio parigino fino al 1932 il pugile aveva disputato 80 incontri, di cui 2 persi per squalifica e 4 ai punti. Delle 74 vittorie la maggiore parte si chiuse per ko alle primissime riprese, dopo solo pochi minuti di schermaglie. Il momento della prima vera svolta avvenne nel 1933, dopo l’incontro che l’oppose all’americano Schaff. Alla tredicesima ripresa con un debole gancio sinistro il Carnera mandò definitivamente al tappeto il pugile statunitense. Il pubblico che aveva seguito la gara con scarso interesse fischiò l’afflosciarsi apparentemente esagerato di Schaaf, incapace di rialzarsi nonostante l’aiuto dei secondi. Sembrava un altro di quegli incontri truccati che avevano consentito a Carnera di farsi conoscere ed imporsi sui ring internazionali. Questa volta non era però così: Schaaf entrò in coma e tre giorni dopo spirò a causa di un’emorragia cerebrale. Non fu il colpo dell’italiano a causarne la morte ma, come stabilì un’indagine del governatore di New York, le lesioni al cervello che sei mesi prima il pugile aveva subito in un durissimo incontro contro Baer. A questo punto se non tutti, i più si convinsero che tra i pugili Carnera fosse l’unico a poter aspirare al titolo mondiale. Titolo che il friulano si aggiudicò tre mesi dopo, mandando al tappeto alla sesta ripresa con un potente uppercut destro il detentore Jack Sharkey. Salutata la vittoria con il braccio teso e sceso dal ring, Carnera dichiarò alla stampa: “Ho voluto vincere per l’Italia e per il Duce”, aggiungendo poi della sua speranza “di avere l’onore di essere ricevuto dal capo della nuova Italia”. Il desiderio del campione non rimase inascoltato. La propaganda del regime non si lasciò sfuggire l’occasione di utilizzare Carnera, la cui mascella pareva alludere simbolicamente a quella altrettanto squadrata e volitiva del duce stesso, come esempio visibile dell’“italiano nuovo” forgiato dal fascismo. Al di là della retorica d’occasione, il pugile diede comunque prova concreta di fede politica quando nella Capitale, il 22 ottobre dello stesso anno, per l’incontro organizzato in grande stile al Pincio contro il campione europeo Paulino Uzcudun, rinunciò alla “borsa” che gli spettava. L’incasso del match, circa 1 milione di lire dell’epoca, venne interamente devoluto a favore delle opere assistenziali del regime. “Primo Carnera – si leggerà sulle colonne della Gazzetta dello Sport – ha compiuto un gesto di nobiltà sportiva, un gesto fascista”. Il clima in Italia era ormai completamente mutato. Il colosso friulano continuava a mietere vittorie. Alla presenza di Mussolini e di 65 mila spettatori accorsi per seguire l’incontro, il “gigante di Sequals” sconfisse ai punti Uzcudun alla quindicesima ripresa. Non solo Carnera era campione mondiale dei pesi massimi, ma all’ombra dei cipressi e dei pini romani aveva ora conquistato anche la corona europea e il titolo di campione italiano. Secondo Daniele Marchesini, autore di un approfondito studio sul pugile (Carnera, Il Mulino, 2006), Carnera “esprime valori e modelli di comportamento utili a costruire un’identità collettiva e un sentimento di orgogliosa appartenenza di cui il fascismo costituisce il centro indiscusso”. Il mito Carnera aveva raggiunto il suo apogeo, ma da questo momento la sua gloria sportiva sarebbe andata scemando, per terminare nel giugno seguente quando a New York perse il titolo mondiale nell’incontro con un americano di origini ebraiche, “il sefardin” – come lo definì il cronista sportivo Gianni Brera – Max Baer, inguainato per l’occasione in pantaloncini vistosamente ricamati con una gialla stella di David. In realtà Carnera aveva iniziato l’incontro soffrendo di un notevole handicap. Durante la seconda ripresa accusò infatti una distorsione alla caviglia, aggravata da una frattura al malleolo. Per un gigante che doveva spostare rapidamente i suoi 120 chili sul ring contro un saettante e micidiale avversario che ne pesava 25 in meno, un incontro in queste condizioni era già deciso a suo svantaggio sin dall’inizio. Nonostante tutto Carnera non si diede per vinto. Baer dovette sudare per strappargli il titolo. Secondo l’arbitro, i due giudici e gli esperti internazionali di boxe, Carnera si era infatti aggiudicato parecchi round dell’incontro. Se l’italiano aveva perso il match, era tuttavia riuscito a mettere in mostra notevoli doti tecniche mai fino ad allora emerse. Il risultato negativo dell’incontro suscitò il forte risentimento del governo, che decise per una ferrea censura. In una nota l’ufficio stampa del capo del governo esortò i responsabili dell’Istituto LUCE a “contenere le impressioni relativamente al film dell’incontro Carnera-Baer, onde non dar l’impressione che la sconfitta di Carnera costituisca un disastro nazionale”. Un ostracismo seguito da una velina alla stampa che imponeva di “non pubblicare fotografie di Carnera a terra”. A questo punto i sicofanti della Polizia Politica, che dall’incontro con Maloney del 1930 erano rimasti in assoluto silenzio, si rimisero in moto per cogliere e riferire lo stato d’animo degli italiani nei confronti dell’ex campione.
Com’era prevedibile, la sconfitta aveva provocato una forte ondata di delusione, tenendo “il campo della attenzione e dei commenti della grande maggioranza del pubblico. Ieri nei pubblici ritrovi, nei negozi, negli….uffici, per la strada non si sentiva parlare animatamente d’altro che della sconfitta di Carnera come di un lutto nazionale!…” Il governo italiano annunciò anche l’apertura di un’inchiesta. Decisione che l’opinione pubblica accolse con grande favore, “perché le voci di imbrogli e di congiure ai danni di Carnera trovano credito in tutti gli ambienti, particolarmente in quelli popolari, che per il gigante hanno una particolare simpatia.” La stampa si scatenò accendendo le passioni delle folle. Il giornale satirico “Il Tifone” pubblicò addirittura un ingannevole scoop con delle “false fotografie di minaccie [sic!] con rivoltelle puntate contro Carnera da parte di gangster”. L’eccessiva e scomposta reazione giornalistica venne evidenziata da un’altra fiduciaria: “la gente seria è stomacata dalle polemiche che i giornali vanno facendo a proposito dell’incontro Carnera Baer. […] Inutile dire come i commenti meno lusinghieri vengono fatti a carico di questi giornali che pure dovrebbero mostrare una maggiore serietà, perché alla fin dei conti è sempre il buon nome dell’Italia quello che ci va per le piste.” Un altro fiduciario della Pol.Pol. registrò i commenti da parte di ambienti studenteschi genovesi, i quali ritenevano che la sconfitta di Carnera derivasse “da ragioni di reclame (Carnera vinceva sempre, ora è sconfitto, ma avrà la rivincita) e di denaro.” L’occasione non sfuggì infine agli oppositori del fascismo presenti a Barcellona che dell’incontro ne fecero, “naturalmente, una questione di propaganda antifascista, che ancora oggi non è terminata.” Dopo il match, abbandonato in solitudine, Carnera rimase convalescente per due mesi, giusto il tempo di riprendersi dalla lussazione alla gamba e tornare a incrociare i guantoni. Ma il suo astro era ormai in fase calante. Si impegnò in un tour pugilistico nel Sud America con non eccellenti risultati; poi nel 1935 venne dichiarato decaduto dai titoli europeo e italiano e affrontò in un bollente incontro il nero Joe Louis, perdendo il match. La sconfitta contro un pugile di colore dovette sembrare, nel momento della conquista dell’Etiopia, particolarmente inopportuna alla “fabbrica del consenso” di Mussolini. Un’altra occasione per interessarsi nuovamente al fenomeno Carnera venne fornita agli spioni della Polizia Politica dall’incontro sostenuto a New York, nel novembre del ’35, contro il tedesco Neusel. Carnera si aggiudicò il match alla quarta ripresa per KO tecnico, ma le dichiarazioni che rilasciò sembra avessero suscitato parecchia irritazione. “Mentre i soldati d’Italia tengono alto il prestigio del paese in A.O. [n.d.r.: Africa Orientale] – così, secondo un informatore, avrebbe detto Carnera – io cercherò di non offuscarlo sui “Ring” americani”. Nel rapporto per la polizia l’informatore, che apre ogni paragrafo della sua fiduciaria con un “si dice”, riporta come le parole del pugile “siano state accolte dagli italiani d’America come una vera e propria profanazione all’Eroismo dei nostri soldati” e che “sarebbe bene, anziché fare del patriottismo di tal genere, presentasse egli pure domanda di arruolamento volontario per l’A.O.”. La figura di Carnera si andava ormai eclissando dal pantheon degli eroi sportivi, divinità moderne utilizzate dalla propaganda politica come instrumentum regni. A causa dei titoli di campione italiano ed europeo dei massimi non più messi in palio, nel 1935 la F.P.I. (Federazione Pugilistica Italiana) si pronunciò per dichiararlo decaduto dagli stessi. Una notizia certo di non poco conto, che la stampa glissò completamente. Ci penserà invece il Popolo d’Italia a chiarire una volta per tutte la posizione del regime nei confronti del pugile in camicia nera. In un corsivo sull’organo ufficiale del Pnf del 3 agosto 1935, titolato “Una diffida a Carnera”, la stessa federazione sportiva intimava al boxeur di porre immediatamente fine, “a scanso di provvedimenti disciplinari”, alla sua polemica in merito a presunte irregolarità nell’incontro che lo aveva visto battuto da Louis. Tra il 1935 e il ’36, nella pubblicazione Lo Sport fascista, non si face più il minimo cenno all’attività dell’ex campione mondiale; due anni più tardi la figura di Carnera verrà estromessa anche dalla serie di cartoline che la Gazzetta dello Sport pubblicava per gli appassionati in elevata tiratura. Su cinque match disputati nel biennio 1936-37, Carnera ne perse quattro. Il penultimo contro il marsigliese oriundo italiano Albert Di Meglio attirò nuovamente l’interesse di un informatore che, nella sua fiduciaria, lo definì “tarato e flaccido, [e che] ha dovuto subire a Parigi una sconfitta umiliante davanti a un avversario pressoché sconosciuto”. La spia del ministero dell’Interno continuava ammonendo sull’inopportunità di quell’incontro “poiché un atleta fiero non dovrebbe mai giocarsi il suo passato con tanta incoscienza; d’altro canto i poteri sportivi gli dovevano inibire il match che è stato organizzato proprio a Parigi dove il Carnera ebbe tra l’altro delle beghe per la nota questione della sua nazionalità. Il Segretario della F.P.I. presente all’incontro, ha dichiarato ai giornalisti francesi che il match sarebbe stato organizzato per risolvere la situazione finanziaria di Carnera. Pur ammettendo che ciò sia vero […] la questione finanziaria di Carnera si poteva risolvere in Italia con una serie di combattimenti o molto meglio con una sottoscrizione pubblica”. I giornali francesi diedero notizia dell’avvenimento con titoli che non lasciavano dubbi circa il futuro del pugile: “A mai più rivederlo”, “Non insistere più, Carnera!”, oppure “Tanto peggio per quelli che ci credono!”. Il definitivo colpo di grazia alla carriera del friulano venne a seguito dell’incontro sostenuto il 4 dicembre 1937 a Budapest contro Joseph Zupan, perso dall’italiano per ko alla seconda ripresa. Meno di un mese dopo, il primo gennaio 1938, la Polizia Politica inviò al prefetto di Udine un dispaccio telegrafico firmato dal capo della polizia Arturo Bocchini, in cui si disponeva il ritiro del passaporto a Carnera “adducendo se del caso in un primo tempo motivo natura amministrativa”. Più esplicito nelle motivazioni un dattiloscritto che riporta il visto di Mussolini, datato al giorno successivo: “Il Generale Vaccaro Segretario Generale del CONI – ha telefonato dopo aver preso ordini dal Presidente del CONI stesso S.E. il Segretario del Partito – chiedendo che fosse ritirato il passaporto al noto pugile Primo Carnera che si trova attualmente a Sequals. Ciò per impedire che egli possa tornare all’estero ove si è esposto a magrissime figure”. La questione sarebbe stata risolta qualche mese dopo, nel giugno del 1938. Ne dà notizia un documento del CONI firmato da Vaccaro e conservato nel dossier della Polizia Politica. La precedente disposizione che ostava all’espatrio venne infatti revocata “Poiché [Carnera] ha oggi definitivamente abbandonato il pugilato e ha chiesto di dedicarsi all’atletica pesante (lotta libera o greco romana)”. In realtà solo nel dopoguerra Carnera avrebbe calcato i quadrati dell’atletica pesante. Menomato di un rene, che gli venne espiantato proprio in quell’anno, l’ex pugile si dedicò invece all’attività cinematografica, che già aveva intrapreso al fulgore della propria carriera, aggregandosi inoltre alla compagnia d’avanspettacolo di Renato Rascel. Il regime aveva dato l’addio definitivo a Carnera, che dal ring era tornato al baraccone di varietà. Ma anche da sconfitto, e ancora oggi, la figura dell’ex campione del mondo conquista e affascina, dimostrando come il suo mito possieda una forza autonoma, in grado di suggestionare l’immaginario collettivo anche dopo che la realtà ne avrebbe dovuto decretare il definitivo epilogo.
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