Inutile negarlo: il rapporto tra Occidente e Islam è sempre stato contraddittorio e finanche oscuro, caratterizzato da contrasti ciclicamente ricorrenti, ma anche da momenti di fruttuosa coabitazione. Per la verità, tuttavia, noi europei di questa complessa, spesso violenta, dinamica dei comportamenti, che pure ci riguarda profondamente, sappiamo ancora poco. Molto di ‘erudito’ si è scritto, ma poco di questo confronto più che millenario si è in effetti capito poiché poco si è voluto indagare al di fuori del comodo, noioso e inutile ‘politicamente corretto’, e dei perniciosi paraocchi della religione e dell’ideologia. Se ci limitiamo al solo secolo Ventesimo, i giudizi degli storici appaiono spesso pesantemente influenzati nelle valutazioni dagli eventi più prossimi a noi: la stagione delle guerre arabo-israeliane, la questione palestinese, i conflitti del Golfo e così via. Si tende, infatti, a leggere spesso il passato alla luce del presente: e ciò non è certo il modo migliore di procedere, almeno per uno studioso. Da questa prassi deriva, infatti, l’idea, universalmente diffusa, di un Islam guerrigliero, combattivo, straccione e disordinato: una legione, polverosa e piena di rabbia, di ribelli in servizio permanente effettivo. Qualcosa a mezzo tra Al-Qaeda e Settembre Nero. Insomma, un’idea social rivoluzionaria dell’Islam, con cui il mondo Occidentale deve fare i conti. Ma non sempre è così: vi sono stati, infatti, anche momenti in cui la comunità islamica ha guardato con grande interesse e speranza a specifici modelli o movimenti politici europei, come quelli fascista e nazista, contrapponendosi con forza ai sistemi liberali e democratici e a quelli socialisti. Nel suddetto periodo, sia Hitler che Mussolini, seppure con modalità diverse, accarezzarono a lungo un vasto piano di cooperazione con il mondo arabo-palestinese che ebbe come scopo la debritannizzazione del Medio Oriente e la defrancesizzazione del Nordafrica; un piano che nel 1942 – in concomitanza con l’offensiva del generale Rommel in direzione di Alessandria d’Egitto e con quella, sempre dell’Asse, in direzione del Caucaso, avrebbe dovuto culminare nell’ambiziosa “Operazione Aida”. Facendo affidamento sulla cooperazione dei popoli musulmani che dimoravano tra il delta del Nilo, la Mesopotamia e lo stretto dei Dardanelli. “Aida” prevedeva una gigantesca manovra a tenaglia, tra l’Egitto e la transcaucasia intesa a
fracassare la resistenza sovietica e a strappare il Medioriente al controllo britannico. Ora, una prospettata e ben organizzata rivolta antinglese dell’Islam,
capeggiata dai leader nazionalisti arabo-palestinesi, che non avevano digerito le pesanti conseguenze della dottrina Balfour, avrebbe consentito alle forze dell’Asse di porre – complici i movimenti panislamisti-nazionalisti anti-occidentali e anti-democratici – una sicura ipoteca su una vittoria finale, e totale, del secondo conflitto mondiale. Oggi, a distanza di tanto tempo, tutto ciò potrebbe apparire alla stregua di uno scenario fantapolitico,
ma non è così. Se ‘Aida’ non andò in porto non fu infatti per un improvviso cedimento o ripensamento dell’Islam filo-tedesco o filo-italiano (cioè quasi tutto l’Islam degli anni Quaranta), bensì per la debolezza dell’apparato bellico italo-tedesco, e per l’intervento degli Stati Uniti che fornirono ai sovietici e ai britannici quegli aiuti che permisero a questi di vanificare il mega progetto ‘Aida’.
E’ vero che, come scrive Rosselli, la storia non si fa con i “se” e con i “ma”: qui, però, siamo in presenza, come si evincerà dalla lettura di questo libro, di qualcosa di più che una mera ipotesi ucronica. Se questo è il contesto militare, quello diplomatico e, per così dire, politico-religioso è la materia
prevalente e maggiormente documentata dall’opera dell’autore ligure, studioso di questioni geopolitiche: un lavoro – come è nel suo stile – sintetico,
puntuale ed esaustivo. In passato, anche in quello recente, sono state date alle stampe diverse pubblicazioni sui rapporti tra islam, nazismo e fascismo e, nello specifico, su quelli, complessi e controversi, tra il Gran Muftì e l’Asse, tra le dottrine statolatriche nazifasciste e la teocrazia politica islamica: rattasi, però, quasi sempre, di volumi ponderosi (taluni ottimi, altri e talvolta viziati da coinvolgimenti ideologici troppo marcati da parte degli autori), comunque difficilmente godibili a causa dell’estrema vena specialistica che spesso accompagna il lavoro di taluni eruditi ‘ad oltranza’ o ‘militanti’. Libri spesso per iniziati o per individui ‘schierati’ insomma. Rosselli, al contrario – e lo dimostrano le sue precedenti opere – è un divulgatore enciclopedista, ovviamente nel senso migliore del termine, un cronista che va al sodo in maniera cruda, senza però eludere, di tanto in tanto, l’utile dettaglio.
Questo atipico autore ripudia, infatti, una scienza cui non si possa accedere, se non attraverso una complicata iniziazione. Per lui la pulsione prima è che l’accesso alla storia sia concesso a tutti, e per tutti, infatti, egli scrive. Questo non significa, si badi, banalizzare o disanimare la storiografia: vuole
piuttosto dire semplificare il linguaggio ed i concetti, rendendoli comprensibili ai più. Pertanto, accanto ad un intento esegetico, Rosselli opera una sorta di traduzione, dalla complessità alla semplicità, esattamente come avveniva per le pagine più felici dell’Enciclopedia. Il modo serio, ma garbato con cui egli propone i suoi argomenti ci dimostra ogni volta come sia possibile conciliare il sapere con la linearità e la leggibilità. Senza dimenticare la sua pratica operativa, che si fonda sempre su generosi apparati bibliografici e su note molto puntuali e mai digressive. Anche in questo libro, come nei molti suoi precedenti, il tema – come si è detto – intricato e spinoso dei rapporti tra l’Islam e i due movimenti nazista e fascista, viene dipanato senza salti logici e senza troppi fronzoli accademici. Alla base dell’intesa tra Asse e galassia musulmana stavano – inutile negarlo – il comune, violento antisionismo (che, nel caso dell’Islam aveva contorni assai concreti, dato che il sionismo era l’avversario naturale dell’arabismo mediorientale) e il totale disprezzo per le democrazie occidentali, ritenute, non senza ragione, portatrici di decadenza e di lassismo morale. Si tratta, va da sé, di una questione di stretta attualità, sia sul versante dell’inevitabile confronto della nostra società con quella islamica, che su quello della decadenza (o, direbbe Russell, del declino) della civiltà occidentale. Alla vigilia della seconda guerra mondiale questi problemi parevano, in qualche modo, sovrapporsi, e trovare i propri antemurali nelle dottrine tradizionaliste ed antidemocratiche: i totalitarismi, da un lato e la religione totalizzante (se non totalitaria), dall’altro. Ne fa fede, tra l’altro, quella corposa armata ideologica e multietnica che furono le SS: autentica milizia politica, creata per combattere non una semplice guerra, ma una meta-guerra contro la decadenza del mondo occidentale capitalista, la presunta degenerazione del concetto di democrazia ed il sionismo. Con queste premesse, risultò inevitabile che cospicue porzioni dell’islamismo e gli Stati fascisti e nazisti si trovassero totalmente d’accordo, accettando addirittura una guida comune in grado addirittura di conciliare l’ateismo nazista e il fondamentalismo religioso islamico nazionalista e anti democratico. Rosselli, a questo proposito, va in profondità quando spiega, dopo le necessarie avvertenze al lettore, che Hitler venne visto da non pochi leader musulmani come un autentico ‘redentore’: il che spiega il florilegio di tanti movimenti filonazisti e nazisti tout-court nei paesi dell’Africa settentrionale e del Medio Oriente (fenomeno riscontrabile ancora oggi). Di qui, l’autore sdipana le trame di un rapporto di diplomazia segreta e di accordi sottobanco che proseguì durante, ma anche dopo la guerra, coinvolgendo personalità del mondo arabo, palestinese ed egiziano destinate a diventare famose, come Nasser, Sadat o – caso emblematico seppur particolare – Amīn al-Husaynī. Il personaggio intorno al quale ruota il libro di Rosselli è infatti quest’ultimo: Hajjī Muhammad Amīn al-Husaynī, il Gran Muftì di Gerusalemme, di cui la storiografia di nicchia ha fatto una figura eroica e quasi mitologica. Ma Rosselli non si diletta di miti: ricostruisce la vita e le azioni di questa figura essenziale dell’islamismo novecentesco, senza esagerarne il ruolo né il fanatismo, ma dandole, al tempo stesso, quell’importanza che effettivamente rivestì nella politica mediorientale di allora, insieme alla sua famiglia, cui, lo ricordiamo, appartenne anche Yasser Arafat. Si tratta, naturalmente, di una storia molto complessa e articolata, in cui, a seconda delle regioni e degli interessi, le sfumature e, talvolta, anche i dati sostanziali variano. Ci sentiamo di dire, tuttavia, che dall’osservazione sinottica degli avvenimenti, almeno una cosa risalta con forza, cioè la pesante invasività della politica britannica degli anni Trenta, cinica e spregiudicata. Nel libro di Rosselli questo dato emerge chiaramente, anche se, certamente, senz’astio per alcuno: al massimo, con secca ironia ligure. In definitiva, quel che più si fa apprezzare di questo agile lavoro è proprio la mancanza sostanziale di parzialità e di accanimento ideologico, la volontà di esprimere con chiarezza quel che accadde, senza altro scopo che cercare di capire e di far capire al prossimo. Per ultimo, non si può non aggiungere una nota di servizio: le implicazioni di questo libro sono tali e tante da renderlo uno strumento, diremmo, indispensabile per farsi un’idea della politica
mediorientale dell’Occidente e dei suoi rapporti odierni con l’Islam. Per carità, anche i libri di Benny Morris lo sono…ma sono libri di cinquecento pagine. Anche di questo possiamo essere grati a Rosselli: egli osserva e narra, da buon cronista, spiega, ma per fortuna non stordisce.
fracassare la resistenza sovietica e a strappare il Medioriente al controllo britannico. Ora, una prospettata e ben organizzata rivolta antinglese dell’Islam,
capeggiata dai leader nazionalisti arabo-palestinesi, che non avevano digerito le pesanti conseguenze della dottrina Balfour, avrebbe consentito alle forze dell’Asse di porre – complici i movimenti panislamisti-nazionalisti anti-occidentali e anti-democratici – una sicura ipoteca su una vittoria finale, e totale, del secondo conflitto mondiale. Oggi, a distanza di tanto tempo, tutto ciò potrebbe apparire alla stregua di uno scenario fantapolitico,
ma non è così. Se ‘Aida’ non andò in porto non fu infatti per un improvviso cedimento o ripensamento dell’Islam filo-tedesco o filo-italiano (cioè quasi tutto l’Islam degli anni Quaranta), bensì per la debolezza dell’apparato bellico italo-tedesco, e per l’intervento degli Stati Uniti che fornirono ai sovietici e ai britannici quegli aiuti che permisero a questi di vanificare il mega progetto ‘Aida’.
E’ vero che, come scrive Rosselli, la storia non si fa con i “se” e con i “ma”: qui, però, siamo in presenza, come si evincerà dalla lettura di questo libro, di qualcosa di più che una mera ipotesi ucronica. Se questo è il contesto militare, quello diplomatico e, per così dire, politico-religioso è la materia
prevalente e maggiormente documentata dall’opera dell’autore ligure, studioso di questioni geopolitiche: un lavoro – come è nel suo stile – sintetico,
puntuale ed esaustivo. In passato, anche in quello recente, sono state date alle stampe diverse pubblicazioni sui rapporti tra islam, nazismo e fascismo e, nello specifico, su quelli, complessi e controversi, tra il Gran Muftì e l’Asse, tra le dottrine statolatriche nazifasciste e la teocrazia politica islamica: rattasi, però, quasi sempre, di volumi ponderosi (taluni ottimi, altri e talvolta viziati da coinvolgimenti ideologici troppo marcati da parte degli autori), comunque difficilmente godibili a causa dell’estrema vena specialistica che spesso accompagna il lavoro di taluni eruditi ‘ad oltranza’ o ‘militanti’. Libri spesso per iniziati o per individui ‘schierati’ insomma. Rosselli, al contrario – e lo dimostrano le sue precedenti opere – è un divulgatore enciclopedista, ovviamente nel senso migliore del termine, un cronista che va al sodo in maniera cruda, senza però eludere, di tanto in tanto, l’utile dettaglio.
Questo atipico autore ripudia, infatti, una scienza cui non si possa accedere, se non attraverso una complicata iniziazione. Per lui la pulsione prima è che l’accesso alla storia sia concesso a tutti, e per tutti, infatti, egli scrive. Questo non significa, si badi, banalizzare o disanimare la storiografia: vuole
piuttosto dire semplificare il linguaggio ed i concetti, rendendoli comprensibili ai più. Pertanto, accanto ad un intento esegetico, Rosselli opera una sorta di traduzione, dalla complessità alla semplicità, esattamente come avveniva per le pagine più felici dell’Enciclopedia. Il modo serio, ma garbato con cui egli propone i suoi argomenti ci dimostra ogni volta come sia possibile conciliare il sapere con la linearità e la leggibilità. Senza dimenticare la sua pratica operativa, che si fonda sempre su generosi apparati bibliografici e su note molto puntuali e mai digressive. Anche in questo libro, come nei molti suoi precedenti, il tema – come si è detto – intricato e spinoso dei rapporti tra l’Islam e i due movimenti nazista e fascista, viene dipanato senza salti logici e senza troppi fronzoli accademici. Alla base dell’intesa tra Asse e galassia musulmana stavano – inutile negarlo – il comune, violento antisionismo (che, nel caso dell’Islam aveva contorni assai concreti, dato che il sionismo era l’avversario naturale dell’arabismo mediorientale) e il totale disprezzo per le democrazie occidentali, ritenute, non senza ragione, portatrici di decadenza e di lassismo morale. Si tratta, va da sé, di una questione di stretta attualità, sia sul versante dell’inevitabile confronto della nostra società con quella islamica, che su quello della decadenza (o, direbbe Russell, del declino) della civiltà occidentale. Alla vigilia della seconda guerra mondiale questi problemi parevano, in qualche modo, sovrapporsi, e trovare i propri antemurali nelle dottrine tradizionaliste ed antidemocratiche: i totalitarismi, da un lato e la religione totalizzante (se non totalitaria), dall’altro. Ne fa fede, tra l’altro, quella corposa armata ideologica e multietnica che furono le SS: autentica milizia politica, creata per combattere non una semplice guerra, ma una meta-guerra contro la decadenza del mondo occidentale capitalista, la presunta degenerazione del concetto di democrazia ed il sionismo. Con queste premesse, risultò inevitabile che cospicue porzioni dell’islamismo e gli Stati fascisti e nazisti si trovassero totalmente d’accordo, accettando addirittura una guida comune in grado addirittura di conciliare l’ateismo nazista e il fondamentalismo religioso islamico nazionalista e anti democratico. Rosselli, a questo proposito, va in profondità quando spiega, dopo le necessarie avvertenze al lettore, che Hitler venne visto da non pochi leader musulmani come un autentico ‘redentore’: il che spiega il florilegio di tanti movimenti filonazisti e nazisti tout-court nei paesi dell’Africa settentrionale e del Medio Oriente (fenomeno riscontrabile ancora oggi). Di qui, l’autore sdipana le trame di un rapporto di diplomazia segreta e di accordi sottobanco che proseguì durante, ma anche dopo la guerra, coinvolgendo personalità del mondo arabo, palestinese ed egiziano destinate a diventare famose, come Nasser, Sadat o – caso emblematico seppur particolare – Amīn al-Husaynī. Il personaggio intorno al quale ruota il libro di Rosselli è infatti quest’ultimo: Hajjī Muhammad Amīn al-Husaynī, il Gran Muftì di Gerusalemme, di cui la storiografia di nicchia ha fatto una figura eroica e quasi mitologica. Ma Rosselli non si diletta di miti: ricostruisce la vita e le azioni di questa figura essenziale dell’islamismo novecentesco, senza esagerarne il ruolo né il fanatismo, ma dandole, al tempo stesso, quell’importanza che effettivamente rivestì nella politica mediorientale di allora, insieme alla sua famiglia, cui, lo ricordiamo, appartenne anche Yasser Arafat. Si tratta, naturalmente, di una storia molto complessa e articolata, in cui, a seconda delle regioni e degli interessi, le sfumature e, talvolta, anche i dati sostanziali variano. Ci sentiamo di dire, tuttavia, che dall’osservazione sinottica degli avvenimenti, almeno una cosa risalta con forza, cioè la pesante invasività della politica britannica degli anni Trenta, cinica e spregiudicata. Nel libro di Rosselli questo dato emerge chiaramente, anche se, certamente, senz’astio per alcuno: al massimo, con secca ironia ligure. In definitiva, quel che più si fa apprezzare di questo agile lavoro è proprio la mancanza sostanziale di parzialità e di accanimento ideologico, la volontà di esprimere con chiarezza quel che accadde, senza altro scopo che cercare di capire e di far capire al prossimo. Per ultimo, non si può non aggiungere una nota di servizio: le implicazioni di questo libro sono tali e tante da renderlo uno strumento, diremmo, indispensabile per farsi un’idea della politica
mediorientale dell’Occidente e dei suoi rapporti odierni con l’Islam. Per carità, anche i libri di Benny Morris lo sono…ma sono libri di cinquecento pagine. Anche di questo possiamo essere grati a Rosselli: egli osserva e narra, da buon cronista, spiega, ma per fortuna non stordisce.
Marco Cimmino
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