IDEE E PROBLEMI DEL RISORGIMENTO

Jacques Maritain

A 150 ANNI DI DISTANZA

 

IDEE E PROBLEMI DEL RISORGIMENTO

Giovanni Gentile chiama “etico” il suo Stato e nella Genesi e struttura della società emergono i suoi cardini ideali – Dio, Patria, famiglia e lavoro – sintesi, questi, dei valori risorgimentali, oggi, purtroppo svuotati del loro significato più profondo, in nome di una retorica spiccia e priva di fondamenti storici

di Laura Varvelli

 La tradizione storiografica ci trasmette  una visione del Risorgimento densa di retorica, senza considerare che questo periodo vide il dramma di un popolo che cercava la propria identità nazionale attraverso il sacrificio e l’opera diplomatica di uomini dai grandi ideali e dal profondo spessore morale. Quest’epoca è stata vista anche  come un tentativo di realizzare  una  rivoluzione italiana  sulla scia di quella francese, ma impostandola come rieducazione  intellettuale e morale dell’Italia. Con ciò non s’intende definire in qualche modo il Risorgimento, ma individuare quali programmi di governo scaturirono da questo processo costituito non solo da fattori ideali  ma concreti come, ad esempio, l’esigenza di un libero mercato. Fu una minoranza della popolazione, formata da giovani intellettuali, a sentire maggiormente  le nuove esigenze  di libertà  ed indipendenza , mentre il popolo, specialmente delle campagne, rimase indifferente ed ostile. Si può affermare che il fatto nuovo, spirituale, che sta alla base del Risorgimento, è l’esigenza di superare  l’individualismo che per molti anni era stato la rovina dell’Italia; moderati e democratici, repubblicani  e monarchici, divisi per tanti  motivi, sentirono la necessità  di armonizzare gli interessi  individuali  con la comunità, di associare  il cittadino allo Stato, di stabilire rapporti civili, politici ed economici più vasti, più liberi. Perciò i  contrasti tra i partiti  ed i grandi protagonisti  emersero dalla diversità dei modi  ritenuti più idonei per raggiungere questa nuova coscienza morale. Mazzini, anima romantica, crede nel risveglio spirituale e religioso del popolo e parte da una premessa profondamente cristiana. Noi non abbiamo che un solo padrone nel cielo , ch’è Dio, e un solo interprete  della sua legge in terra , ch’è il popolo.(1) Gli interessi letterari e la formazione umanistica lo portarono alla lettura  dell’opera  De Monarchia  di Dante  ed al concetto di monarchia universale  a cui, secondo il poeta, era destinato da Dio  il popolo romano. Per Mazzini si trattava, in sintesi,  di riaffermare una  sovranità destinata  a porre in armonia la libertà e le individualità dei singoli popoli, in polemica  con lo spirito  della Rivoluzione francese  e con le idee che emergevano nel  Contratto Sociale  di Rousseau. Mazzini mira a ricostituire l’unità in nome di un’autorità  riconosciuta da tutti, uscente dal libero consenso, dall’affermazione del divino nella coscienza umana. Staccandosi, tuttavia,  dalle premesse del De Monarchia, La Giovine Italia, definita non setta o partito, ma credenza ed apostolato, sarà repubblicana  ed unitaria poiché uguaglianza, sovranità della nazione, democrazia  sono, secondo Mazzini, inconciliabili con la monarchia. Anche Gioberti spera nell’efficacia  dell’idea religiosa  ma, a differenza di Mazzini,  ne affida l’iniziativa alla chiesa cattolica, al papa ed ai principi. In questa teoria possiamo ravvisare le premesse del pensiero del filosofo Jacques Maritain, secondo il quale l’unico  elemento che può essere utile per la fondazione  di una società politica mondiale è un organismo superiore, privo di qualsiasi potere, ma dotato di autorità morale. (2) In entrambi i casi la visione è utopistica  e difficilmente realizzabile. Gioberti, infatti, ripropone l’antico problema  della divisione dei poteri  (temporale e spirituale) confermando il potere  politico del papa senza considerare il cristianesimo in una luce  diversa, più autentica  e vicina alla visione dei grandi  mistici e riformatori. Perciò, come  sostiene anche lo storico Omodeo,  la mentalità giobertiana è inconcepibile in un uomo che abbia una profonda fede religiosa, un’alta coscienza morale che, per se stesse, escludono  calcoli politici, tattiche, espedienti e compromessi. Dal canto suo, Maritain  parte dal presupposto irrealizzabile  della rinuncia alla propria coscienza nazionale, per identificarsi  in una comunità politica  mondiale che ha  come fine la realizzazione  utopistica della pace e della  fratellanza universale. Forse è stato Carlo Cattaneo che ha cercato di fornire un modello di governo che più si avvicina  all’idea  dei nostri contemporanei. Contrario al metodo insurrezionale, era convinto che il progresso sarebbe scaturito da un’evoluzione pacifica  e dalla nascita di una repubblica federale, sul tipo di quella svizzera o statunitense, con ampio spazio alle autonomie  locali  e con la presenza dello Stato al quale era necessario delegare i compiti che superavano l’interesse della singola regione. Sia ben inteso, con la presenza dello Stato, non contro lo Stato. Si tratta, pertanto, di valutare con lucidità e senza pregiudizi ideologici la struttura politica di un personaggio che crede fermamente nell’agire umano ed in quei principi di libertà che nel Risorgimento hanno guidato alla lotta contro l’Austria mantenendo intatto  il rispetto per la Patria, pur nella salvaguardia delle autonomie locali, garanti dello sviluppo e della crescita economica di ogni regione. Si mantenne pertanto promotore di un’azione di rinnovamento, portata avanti da strati  più  ampi di cittadini, convinto che un governo democratico fosse realizzabile attraverso una progressiva crescita culturale del popolo. E’ da questa prospettiva, infatti, che Cattaneo, nel 1849, sostiene: Avremo pace vera solo quando avremo gli Stati Uniti d’Europa. Analizzate con maggiore attenzione le posizioni dell’uomo sembrano contraddittorie ma non inconciliabili: egli fu un lombardo, fautore del federalismo, ma rispettoso dello Stato Al di là del profilo umano e delle caratteristiche del pensiero politico di ogni grande personalità che ha cercato d’individuare un programma di governo post-risorgimentale, è interessante rilevare  il tratto in comune che caratterizza alcune ideologie sorte in questo periodo. Diremmo che la sintesi sta nel filosofo Giovanni Gentile, il quale sottolinea  che il liberalismo del nostro Risorgimento era per la libertà che si attua nello Stato attraverso la legge che sviluppa l’universalità e razionalità dell’umano volere, e quindi dentro l’autorità incrollabile dello Stato (3). Quindi non v’è libertà senza un’autorità superiore, pena il caos  e la  fine della libertà stessa. Nell’ottica gentiliana, a nostro avviso, si pone anche il genio diplomatico di Cavour. Infatti, la sintesi  tra individuo e Stato, tra libertà ed autorità che Mazzini domanda ad una rinnovata coscienza religiosa, Cavour l’attende dall’azione dello Stato piemontese. Dallo Stato piemontese allo Stato italiano, Cavour si propose di passare  non attraverso l’azione del popolo, ma per mezzo dell’azione diplomatica, con l’aiuto della Francia. Si può dire che sull’idealismo democratico di Mazzini prevalse il realismo liberale  di Cavour, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che seguirono. Nel 1861, si fece l’Italia, ma fu l’Italia del Piemonte sabaudo; a tutte le regioni furono, infatti, imposte le leggi e l’amministrazione piemontesi. L’altra Italia, quella di Mazzini e Garibaldi, con leggi ed istituzioni volute dal popolo, era ancora da venire. Questo processo, qui appena accennato, è stato diversamente interpretato dagli storici. C’è chi ha identificato il Risorgimento con  la formazione dello Stato italiano ad opera della monarchia di Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II e chi, come Gaetano Salvemini, ha sostenuto che il Risorgimento fu il risultato di un’opera diplomatico-militare, in forza della quale i Savoia poterono annettersi le altre regioni italiane. Non è in questa sede che si vuole dare un giudizio sul Risorgimento che, sicuramente, ha dato un forte contributo alla nascita dello Stato attuale ma, come sosteneva Gentile, l’individuo  non può essere considerato un’astrazione con leggi ed amministrazione esterne ma deve pensare ed agire come se  quel suo pensare ed agire valessero universalmente. E’, pertanto, nell’imperativo categorico kantiano che si realizza lo Stato ideale, cioè in quella  legge del dovere  che non prescrive questa o quella azione ma di agire secondo quella massima  che puoi volere che divenga una legge universale  e che suggerisce all’uomo di agire in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine, mai solo come mezzo.(4) Kant vuole sottolineare il carattere formale della legge, la sua universalità; il fine, cioè il rispetto della persona umana e l’autonomia della ragione pratica nella legge morale: la volontà si deve affermare come indipendente rispetto  ad ogni interesse particolare empirico perché istituisce una legislazione universale  incondizionata e conforme all’imperativo categorico. Si tratta  della realizzazione del regno dei fini  dove l’ordine morale realizza l’unione sistematica di tutti gli esseri razionali  mediante leggi comuni. Si tratta certamente di un’idea  utopistica, di un ideale che si concreta nel rispetto della persona umana, mai realizzatosi in pieno nel corso della storia. Di tale scelta coraggiosa e coerente Genesi e struttura della società, opera iniziata nel ’43, ne è il presupposto teoretico. Dello stesso anno è lo scritto La mia religione che unifica nel concetto di Dio: religione , filosofia e politica. Si tratta di un Dio cristiano presente nella storia ma in essa non esaurito, pertanto ne emerge una politica “ideale” che non realizza la volontà di potenza o gli interessi di classe, ma il bene sociale. Si può affermare che il presupposto del pensiero di Gentile  non è Machiavelli, con la separazione di morale e politica, ma Mazzini, con  il primato del dovere sul diritto. Gentile chiama “etico” il suo Stato e nella Genesi e struttura della società emergono i suoi valori ideali (Dio, Patria, famiglia e lavoro), sintesi dei valori risorgimentali, oggi, purtroppo svuotati di significato profondo, così come la lingua nazionale. In questo senso anche il Risorgimento, pur caratterizzato da  grande slancio ideale  da parte di alcune categorie di persone  e dall’impegno diplomatico  di grandi personaggi, non realizzò in pieno il suo obiettivo.  L’Italia è fatta , bisogna fare gli Italiani  diceva D’Azeglio. Fare  gli italiani significava fare nascere nel popolo una vera coscienza nazionale, che non poteva sorgere improvvisamente  dall’unità sancita solo sulla carta. Si trattava di un compito difficile, tanto più che Cavour voleva   realizzare uno Stato costituzionale ed a chi gli suggeriva che era  “cosa impossibile unificare l’Italia  col Parlamento ma fattibile  con un potere forte e quasi assoluto, egli rispose: Io non ho fiducia  alcuna nelle dittature  civili, sono convinto che  con il Parlamento si possono fare molte cose  che sarebbero impossibili con il potere assoluto. Non mi sento mai così debole come quando la Camera è chiusa”. (5) Da qualsiasi  prospettiva  si voglia, comunque, vedere il Risorgimento è fondamentale, come per ogni altra epoca,  trarne ispirazione per il presente. Il rispetto  del nostro passato  e la riscoperta dell’orgoglio nazionale  non sono vuoti esercizi di retorica, ma devono essere parte integrante  del nostro essere cittadini  anche se, spesso, purtroppo l’uomo è ossessionato  dall’idea di essere moderno  e perciò vive per l’oggi e nell’oggi, in un continuo presente, ripetitivo, privo di memoria e con la presunzione di dare giudizi di valore sulle imprese militari che hanno vissuto e sofferto quegli italiani  che hanno creduto in un ideale  o non si sono sottratti vigliaccamente al loro dovere, non semplicemente succubi di una corrente, ma in nome di un codice  morale  che oggi vede  spesso al  suo posto l’imbecillità di una contestazione vuota o strumentalizzata, la dissacrazione  di quei valori che hanno sempre costituito l’integrità della persona, l’accettazione incondizionata di ogni tipo di stravaganza , sbandierata  in nome della democrazia e del pluralismo. All’uomo comune, pertanto, rimangono ben poche alternative: contemplare con distacco  o impegnarsi  per educare i giovani al ricordo, al rispetto per le istituzioni, alla seria e utile riflessione politica.

 

Note:

(1)  Mazzini, Scritti scelti, con introduzione e commento di C. Cantimori. Ed. Vallardi  1915.

(2)  J. Maritain, L’Uomo e lo Stato.

(3)  G. Perez, Stato ed individuo in Gentile.

(4)  Kant, Critica della ragion pratica.

(5)  Carteggio D’Azeglio, II Torino 1865.

Lascia il primo commento

Lascia un commento