Pagine di Storia poco note. La resistenza anti comunista in Cina dopo il 1949. Di Alberto Rosselli.

Ufficiali cinesi nazionalisti.

Quando, nel 1949, in seguito alla vittoria ottenuta dalle armate di Mao Tze Tung  sulle forze nazionaliste del Kuomintang (KTM), il leader comunista dichiarò la nascita della Repubblica Popolare Cinese, le residue divisioni del generale Chiang Khai Sheck si trasferirono sull’isola di Formosa, mantenendo anche il possesso di alcuni piccoli arcipelaghi lungo la costa orientale (Penghu, Kinmen, Matsu, Quemoy) che ben  presto vennero trasformati in vere e proprie fortezze.

Vista l’impossibilità di proseguire la lotta in Cina (dove però, fino ad almeno tutto il 1950, isolati gruppi di combattenti nazionalisti continuarono ad opporre una dura anche se vana resistenza alla forze comuniste), nell’autunno del ‘49, il Comando del Kuomintang, , creò le prime formazioni militari speciali incaricate di effettuare rapidi colpi di mano lungo la costa sud-orientale cinese e di mettersi in contatto con eventuali raggruppamenti partigiani superstiti. Nel 1952, con l’appoggio della CIA, Chiang fece un ulteriore passo in avanti  costituendo ‘Il Corpo Giovanile di Salvezza Nazionale Anticomunista’, una sorta di istituzione pre-militare utile per addestrare militarmente i giovani prima del loro normale arruolamento nelle forze armate nazionaliste.

Soldati cinesi nazionalisti.
Soldati cinesi comunisti.

Sempre nei primi anni Cinquanta, in concomitanza con la Guerra di Corea, gli americani incrementarono il loro sostegno economico e militare al governo di Taipei, ed in maniera specifica aumentarono notevolmente i loro aiuti all’Esercito di Salvezza Nazionale Anticomunista. Lo scopo dei politici e degli strateghi di Washington era infatti quello di utilizzarne gli elementi migliori per effettuare operazioni offensive ai danni della Cina che, come è noto, in Corea era scesa in campo a fianco dell’esercito nord coreano. Secondo gli americani, operazioni di questo tipo avrebbero dovuto distogliere l’attenzione di Pechino dal fronte coreano, sottraendo a quest’ultimo, uomini e mezzi. A provvedere all’addestramento specifico dei soggetti cooptati ci pensò la Western Enterprises Inc., un’impresa commerciale dietro la quale operava un gruppo di ufficiali dell’esercito e della marina Usa e consiglieri della CIA.

Come base di partenza delle incursioni sul territorio cinese fu scelta l’isola di Quemoy, mentre il Comando della task force venne installato sull’isola rocciosa di Tungyin, che si trova  a 50 miglia dal litorale cinese. Questa compagine che agli inizi contava qualche migliaio di volontari cino-nazionalisti e alcune decine di soldati e mercenari americani, nel 1963 arriverà a contare ben 30.000 uomini, gran parte dei quali originari delle città e dei villaggi della costa sud orientale cinese. I reparti erano equipaggiati ed armati con materiale e armi statunitensi. Circa le operazioni condotte da questo esercito fantasma regna ancora oggi un silenzio assoluto, anche perché lo stesso governo di Pechino ha sempre voluto minimizzare la portata militare e politica delle operazioni condotte dai guerriglieri sul proprio territorio.

Ciononostante, nel gennaio 1963, Radio Pechino annunciò il fallito sbarco, avvenuto nell’autunno del 1962 presso la città di Xiamen (Kwangtung), di circa 200 guerriglieri ‘reazionari’, centosettantadue dei quali sarebbero stati eliminati dall’Esercito Popolare. I giornali di Pechino fecero, infatti, uscire in prima pagina diverse fotografie di presunti “guerriglieri fascisti” catturati, immortalati a fianco di grandi quantità carabine, granate, esplosivi e materiali prodotti negli Stati Uniti, ribadendo “il totale fallimento dell’operazione”. Tuttavia, secondo le notizie fornite dai media di Taipei, prima di arrendersi di fronte alle preponderanti forze nemiche, il reparto avrebbe impegnato per ben tre mesi quasi 100.000 tra soldati e poliziotti comunisti, eliminandone 700 perdite, abbattendo un aereo di ricognizione e portando a compimento il sabotaggio di alcune linee ferroviarie.

Chiang Kai-shek con Franklin Delano Roosevelt e Winston Churchill.
Chiang Kai-shek e sua moglie Song Meiling con il generale Stilwell (Foto del 1942).
Mao Tze Tung  nel 1949.

Ma veniamo alle operazioni condotte sul continente dai partigiani cinesi anticomunisti. Nel novembre 1949, cioè dopo la vittoria delle forze di Mao, diverse migliaia di soldati nazionalisti ripiegarono in Birmania continuando ad effettuare colpi di mano in territorio cinese, dove installarono anche diverse cellule operative. Venuti a conoscenza della cosa, nell’ottobre del 1952, un raggruppamento di circa 1.200 soldati (seguito poche settimane più tardi da un secondo, ben più cospicuo, formato di 9.000) dell’Esercito Nazionalista venne trasferito da aerei americani in Birmania per dare man forte ai guerriglieri anticomunisti attivi lungo il medio alto corso del Mekong. Comandava questo contingente il generale nazionalista Li Mi che da Chiang ricevette anche il titolo di “Governatore dello Yunnan”. Nell’aprile 1951, 2.000 “partigiani anticomunisti”, tentarono, partendo dai campi base birmani di Mong Mao e Mong Hsat (Birmania), di penetrare nello Yunnan, ma la manovra non venne coronata da successo in quanto la regione risultò fortemente presidiata da truppe comuniste. Azioni simili vennero ripetute, ma con successi alterni.

il generale nazionalista Li Mi.

Nel 1953, attraverso società commerciali di comodo, la CIA incominciò a fornire a Li Mi nuove armi ed equipaggiamenti. Ma, in seguito alle proteste del governo birmano, che nel 1953 si appellò addirittura alle Nazioni Unite, Washington fu costretta a fare rallentare le operazioni dei commando nazionalisti. A tal punto che, verso la fine del 1954, , il generale Li Mi, ormai a corto di rifornimenti, si trovò costretto a sospendere l’attività dei suoi reparti e di quelli ‘partigiani’ infiltrati. Nel gennaio 1961, dopo l’ennesima protesta da parte  del governo di Rangoon, gli americani imposero a Chiang di abbandonare definitivamente la lotta e il 26 dello stesso mese i C47 statunitensi del reparto “fantasma” denominato Trasporto Aereo Civile (CAT) trasferirono dalla Birmania a Taiwan gli ultimi 4.200 combattenti, mentre altri 6.000 furono invece trasferiti nel Laos. Lungo il confine birmano-cinese e laotiano-cinese rimasero soltanto 1.500 “partigiani anticomunisti” che, grazie al sostegno segreto della CIA e del governo di Taiwan, compirono ancora (fino al 1969) un certo numero di operazioni di ricognizione nello Yunnan.

Fino dal 1962, Chiang insistette per ottenere da Washington un concreto appoggio logistico per scatenare la guerra partigiana nello Yunnan e in altre regioni cinesi. Ma l’amministrazione Kennedy, convinta che tali sforzi sarebbero falliti ma temendo che un completo rifiuto avrebbe potuto portare Chiang a lanciare un attacco suicida contro Pechino, aveva preso tempo, appoggiando piccole operazioni di disturbo e ricognizione, ma respingendo l’idea di attuare qualsiasi operazione su vasta scala. L’amministrazione Johnson dapprima continuò questa politica. E quando, nell’aprile del 1964, il segretario di Stato Rusk visitò Taiwan nell’aprile 1964, Chiang propose a questi un piano concernente una serie di operazioni offensive lungo la costa cinese: idea che tuttavia non piacque a Rusk il quale fece osservare al generalissimo che tre forze nazionaliste non sarebbero mai state in grado di raggiungere la terraferma senza un massiccio appoggio aeronavale e ‘nucleare’statunitense. Chiang fece quindi un immediato passo indietro, affermando di essere contrario all’utilizzo di armi atomiche. Il colloquio con Rusk fece comprendere a Chiang che gli Stati Uniti non sembrava no più molto inclini ad appoggiare un intervento militare nazionalista di tipo offensivo.

Nel settembre 1964, infatti, la stampa americana, pur sostenendo l’idea di non rafforzare l’alleanza con Taiwan, espresse chiaramente l’opinione della maggioranza della popolazione, contraria ad un intervento militare offensivo contro Pechino. Nel marzo 1965, James C. Thomson dello staff del NSC, di ritornò da una visita a Taiwan, dichiarò la sua preoccupazione per eventuali colpi di testa dei nazionalisti, preoccupati da un possibile attacco comunista contro l’isola. Tra il 1950 e il 1960 tra cinesi nazionalisti e comunisti avvennero molti scontri aerei e navali. Gli aerei nazionalisti bombardarono più volte obiettivi della terraferma e gruppi di commando (formati talvolta da 80 uomini addestrati da militari statunitensi) effettuarono diversi sbarchi sulla terraferma, compiendo atti di sabotaggio ai danni di strutture e infrastrutture militari. Nel 1964, i nazionalisti persero circa 150 uomini in una sola incursione. Come si è accennato, anche la Marina effettuò incursioni seppure di bassa intensità, perdendo anche alcune unità.

Fino dal 1962, Chiang insistette per ottenere da Washington un concreto appoggio logistico per scatenare la guerra partigiana nello Yunnan e in altre regioni cinesi. Ma l’amministrazione Kennedy, convinta che tali sforzi sarebbero falliti ma temendo che un completo rifiuto avrebbe potuto portare Chiang a lanciare un attacco suicida contro Pechino, aveva preso tempo, appoggiando piccole operazioni di disturbo e ricognizione, ma respingendo l’idea di attuare qualsiasi operazione su vasta scala. L’amministrazione Johnson dapprima continuò questa politica. E quando, nell’aprile del 1964, il segretario di Stato Rusk visitò Taiwan nell’aprile 1964, Chiang propose a questi un piano concernente una serie di operazioni offensive lungo la costa cinese: idea che tuttavia non piacque a Rusk il quale fece osservare al generalissimo che le forze nazionaliste non sarebbero mai state in grado di raggiungere la terraferma senza un massiccio appoggio aeronavale e ‘nucleare’statunitense. Chiang fece quindi un immediato passo indietro, affermando di essere contrario all’utilizzo di armi atomiche. Il colloquio con Rusk fece comprendere a Chiang che gli Stati Uniti non sembravano più molto inclini ad appoggiare un intervento militare nazionalista di tipo offensivo.

Nel settembre 1964, infatti, la stampa americana, pur sostenendo l’idea di non rafforzare l’alleanza con Taiwan, espresse chiaramente l’opinione della maggioranza della popolazione, contraria ad un intervento militare offensivo contro Pechino. Nel marzo 1965, James C. Thomson dello staff del NSC, di ritornò da una visita a Taiwan, dichiarò la sua preoccupazione per eventuali colpi di testa dei nazionalisti, preoccupati da un possibile attacco comunista contro l’isola. Nel settembre 1965, quando il figlio di Chiang, il ministro della Difesa Chiang Ching-kuo, visitò Washington, consegnò al segretario della Difesa McNamara un documento contenente un piano per la conquista delle cinque province della Cina sud occidentale. McNamara si dichiarò scettico circa la riuscita di tale progetto, ma Chiang  cercò di convincerlo, assicurando tra l’altro che Taiwan non avrebbe richiesto l’intervento di forze terrestri statunitensi o l’appoggio aereo con ordigni nucleari. McNamara si riservò di dare una risposta non prima di avere consultato il Presidente e il suo staff. Quattro mesi più tardi, Chiang Ching-kuo incassò il no di Washington.

Gli americani motivarono il loro “totale dissenso” in quanto un’operazione di vaste proporzioni come quella prospettata da Taipei avrebbe obbligatoriamente richiesto un sostanzioso appoggio navale, aereo e logistico statunitense. L’aviazione a stelle e strisce avrebbe dovuto non soltanto proteggere e scortare i convogli navali carichi di truppe nazionaliste destinate allo sbarco sul suolo cinese, ma avrebbe dovuto effettuare anche pesanti bombardamenti contro i concentramenti di truppe, il sistema infrastrutturali e le città del nemico: aggressioni che avrebbero scatenato una guerra diretta Cina e America, eventualità assai temuta da Washington, sicura di un intervento, a fianco dei cinesi, da parte dell’Unione Sovietica. Oltre a ciò, sulla base delle informazioni raccolte dall’intelligence, gli americani riferirono ai loro alleati taiwanesi che ben difficilmente, dinnanzi ad un tentativo di invasione, la popolazione continentale cinese si sarebbe schierata (come, al contrario, sosteneva Taipei) a fianco dei “liberatori” nazionalisti.

All’inizio del 1967, in concomitanza con il grave deterioramento dei rapporti tra Unione Sovietica e Cina, sconvolta dalla Rivoluzione Culturale e dagli eccessi delle Guardie Rosse, Chiang rinnovò a Washington la sua richiesta di appoggio per un tentativo di sbarco in Cina meridionale. Egli sollecitò personalmente il presidente Johnson, sottolineando “la grande opportunità” per liberare la terraferma dal regime comunista, distruggere la minaccia nucleare cinese, e portare a termine la guerra del Vietnam. Se fosse ritornato sulla terraferma – sosteneva Chiang – il popolo avrebbe accolto a braccia aperte l’esercito nazionalista. Chiang aggiunse che avrebbe soltanto richiesto agli Usa un appoggio logistico e nulla più. Ma il presidente rispose con un fermo messaggio, riconfermando la totale disapprovazione nei confronti di un piano che di fatto avrebbe nuociuto gravemente alla politica statunitense nel sud est asiatico. Gli americani stavano infatti lavorando per cercare di circoscrivere al massimo il lungo e logorante conflitto vietnamita, onde evitare interventi diretti, e molto sgraditi, da parte di Mosca e Pechino.

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Alberto Rosselli, Guerra civile in Cina 1927-1949 , Settimo Sigillo -Europa Lib. Ed., Roma, 2009.

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