1. Una vita difficile.
Il 29 settembre del 1922 partiva da Leningrado verso il porto baltico di Stettino una nave molto speciale, l’Oberbürgermeister Haken; seguita dopo qualche giorno da una seconda, di pari viaggiatori e di pari finalità, che per ordine di Lenin deportavano in Francia tutti gli intellettuali russi non comunisti, condannati dalla giustizia sovietica all’esilio. Molti fra loro erano rappresentanti più originali dell’arte e del pensiero russo, quali lo scrittore Sergej Nikolaevič Bulgakov, il critico letterario Nikolaj Onufrievič Losskij, l’accademico Abram Saulovič Kagan, nonché il filosofo esistenzialista Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev (1874-1948),personaggio unico per quello che qui si dirà. Era un piroscafo molto confortevole per l’epoca, per un viaggio verso l’occidente di esuli intellettuali processati e puniti con l’esilio, pena ancora non sostituita dall’infame detenzione dei gulag di Stalin, analoghi ai campi di concentramento nazisti di un decennio dopo, ma aree nondimeno rivoltanti ed inammissibili dopo la narrazione disperata e puntiglioso di Aleksandr Solženicyn già negli anni ’50. A bordo della nave per un viaggio di alcuni giorni, letterati, filosofi, giuristi e scienziati liberali, democratici, cristiani e perfino socialisti, anticiparono per qualche momento le riunioni segrete nei paesi di occupazione nazista e fascista degli anni a venire. Uno di loro, Berdjaev, era quasi cinquantenne. Nato vicino a Kiev nel 1874, aveva letto e commentato Marx nella versione russa di Georgij Valentinovič Plechanov, conosceva di Herzen il populismo democratico e scientifico, al di là del marxismo moderato menscevico, aveva anche letto Nietzsche e però diffidava delle letture materialiste della Storia. I viaggi in Italia fra il 1912 ed il 1914, nonché l’avida lettura di Fëdor Dostoevskij e Lev Tolstoj e la simpatia per le commedie di Anton Čechov, lo avevano portato a rivedere ed approfondire un autore moderatamente hegeliano, Vladimir Sergeevič Solov’ëv, di cui apprezzava l’attenzione allo spirito intimista che già vedeva al centro della Storia, di cui non accettava la teoria storicista determinista, evidenziata dai giovani socialisti che interpretavano materialisticamente il divenire. Neppure era, fin dagli anni dai Università di Kiev dove studiò legge, del tutto convinto delle dottrine marxiste materialiste che imperavano nell’Europa occidentale ed a Heidelberg, nel 1903 ebbe modo di ascoltare lo storico Adolf von Harnack, che lo lasciò insoddisfatto per aver perseguito dottrine storiciste cristiane e specialmente quelle del teologo Alfred Loisy troppo legate ad una interpretazione immanentista del Cristianesimo. Negli anni ’10, fino al 1916, di ritorno in Russia, è nel mirino della polizia politica. Poi accusò sulla stampa culturale la Chiesa ortodossa per i suoi legami con lo Stato assoluto Zarista, mentre perseguì le sue ricerche verso una lettura teologica filosofica di natura cattolico-sociale, aderendo alla rivista internazionale Coenobium, dove non per caso già militava un giovane sacerdote italiano, Ernesto Buonaiuti, di cui apprezzava l’analisi storiografica rivolta a ristudiare lo spirito originale del Cristianesimo. Sappiamo della repressione zarista del 1905, dopo i fatti di Odessa e di San Pietroburgo, città dove i cosacchi di Nicola II massacrarono centinaia di pacifici manifestanti che chiedevano pace – dopo le tremende sconfitte della coeva guerra col Giappone – pane – nella Russia industriale del Governo Witte che provava a raggiungere il livella economico occidentale alzando i profitti a danno della classe lavorativa – e lavoro – aumentando le ore lavorative senza alcuna difesa sociale e protezione di sicurezza. Eretico per il Santo Sinodo, rivoluzionario per il governo autoritario, troppo spiritualista per i giovani socialisti guidati da due intellettuali marxisti di cui si sentirà presto parlare, Lenin e Trockij; Berdjaev ed il solidale Bulgakov vengono deportati in Siberia, solo perché parlano di giustizia sociale. Apprezzano Dostoevskij e Tolstoj, ma anche portano nel loro zaino di pellegrino, Agostino, Vico, Fichte ed i millenaristi cattolici conosciuti in Russia dal tempo del metropolita Filotej, che difesero già nel 1914 quando alcuni monaci del Monte Athos erano stati scomunicati dal Santo Sinodo per aver solidarizzato con i contadini vittime di soprusi e di carestie spesso provocate da proprietari terrieri esosi e da industriali lontani da ogni tutela del lavoro. Era l’epoca dello scrittore Maksim Gor’kij che rappresentò il fermento sociale operaio del 1906, all’indomani dei citati fatti del 1905, prodromici alla Rivoluzione del 1917. Già nel 1904 i due giovani scrittori, ormai divenuti gli alfieri di un Cristianesimo sociale personalista, avevano fondato la rivista socio-religiosa Problemi di vita, dando alloggio ad articoli di Bergson e Péguy, padri dal personalismo spiritualista ed oppositori della guerra ormai imminente. E quando nel 1917 scoppia la Rivoluzione di Febbraio, Berdjaev rientra a Mosca ed appoggia il parlamento liberale di Kerenskij, anche se la sua contrarietà a continuare la guerra lo salverà inizialmente dagli strali di Trockij fino al 1920, quando pubblica i primi due saggi che lo renderanno subito famoso: La concezione di Dostoevskij ed Il senso della storia, naturale derivazione del suo primo scritto Il senso della creazione (1916). Dopo un biennio di assoluta opposizione al regime Leninista, la posizione accademica ed intellettuale di Berdjaev si fa insostenibile. Vittima di un continuo processo politico ed ideologico, l’accusa di nemico dell’URSS lo porterà ad abbandonare coattivamente la Patria. Girovagando per la nave, prendendo appunti sulla filosofia della storia che aveva studiato a Heidelberg, ascoltando un giovane intellettuale come Ivan Aleksandrovič Il’in – non a caso dell’attuale ispiratore della politica estera di Putin, Aleksandr Gel’evič Dugin – lo spirito pacifista gli cedette di fronte alla resistenza al male materialista. Berdjaev ha ora un colpo di fulmine che lo guiderà nel suo lungo esilio a Parigi fin dal 1922, periodo intellettuale a Lui più proficuo. Ed in una sera col mare in tempesta, il nostro Nikolaj trovò un opuscoletto di propaganda religiosa in un angolo del salottino di bordo. Era una copia sgualcita di The hymn of the conquered del sacerdote cattolico Fulton J. Sheen, appena pubblicato negli Stati Uniti, foriero di giudizi contrastanti la gerarchia vaticana, al pari di un altro saggio sullo gnosticismo dell’amico Buonaiuti già bollato dal Papa Pio X come eretico all’epoca della caccia alle streghe modernista. Scriveva il vescovo Sheen: Parla, o Storia! Chi sono i vincitori della battaglia della vita? Scorri i tuoi annali e dì: sono quelli che il mondo chiama vincitori che conquistano il successo effimero di un giorno? Sono i martiri o Nerone? Gli Spartani caduti alle Termopili? O i Persiani e Serse? I suoi giudici o Socrate? Pilato o Cristo?….. Otterranno la vittoria solo coloro che hanno combattuto la buona battaglia, che hanno sbaragliato il demone che li tentava nel loro intimo, che hanno conservato la fede rifiutando di farsi sedurre da quei beni che il mondo stima così tanto, che, per una causa superiore, hanno osato soffrire, resistere, combattere, se necessario morire! Nikolaj si sentì tale; doveva lui continuare quella buona battaglia dello spirito senza tradire la giustizia sociale, senza aderire alla truffa libertaria comunista, ora perpetrata con la conquista del Potere, domani continuata a favore di una classe dirigente tetragona e da un tiranno malefico già all’orizzonte, quello Stalin che lo stesso Lenin aveva dimostrato pericoloso per le sorti della Rivoluzione e che era in agguato nella successione al governo più burocratico mai visto nella Storia.
Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev.
2. Il suo senso della storia.
Giunto a Parigi, rielaborò gli appunti meditati fra il 1917 ed il drammatico 1922 e nel 1923 – guarda caso quando il suo affine Buonaiuti dà alle stampe una puntigliosa biografia su Gioacchino da Fiore – pubblica due saggi che lo pongono al centro della discussione del pensiero personalista e che rilanciavano la filosofia della Storia in senso escatologico, rinnovellando i due suoi maestri, Vico e Carlyle, a loro volta convinti di vivere in un’età di decadenza religiosa e morale. Era lo stesso sentimento realista di Agostino quando i Visigoti avevano depredato la Roma Imperiale, che però avevano risparmiato i luoghi di culto cristiani, considerati dal loro Re Alarico sedi di asilo inviolabili, dove non si poteva brutalizzare alcun fedele. E la famosa sua opera La città di Dio già evidenziava come quell’episodio il c.d. sacco di Roma del 410 d. c., era un evento epocale pari al Diluvio Universale ed alla venuta di Cristo sulla terra. Era la fine dl Paganesimo e dell’Impero, ma era anche l’inizio di un progetto provvidenziale caratterizzato dal ruolo storico dello Spirito. Berdjaev allo stesso modo tacciava liberali e marxisti di non avere compreso che la Prima Guerra Mondiale aveva posto il mondo in una crisi esiziale al pari della Caduta dall’Impero Romano. Inoltre nel suo secondo saggio – Il senso della storia – Berdjaev riprendeva da Agostino la differenza fra tempo della Storia e tempo dell’Essere, cioè la contrapposizione fra filosofia della storia ed antropologia, cioè fra tempo in misura umana, caotico, laico e materiale; e tempo assoluto, cioè quel Cronos superiore guidato da Dio che cade nella storia umana per salvare l’Uomo. Da qui la considerazione – ripresa da Carlyle – della memoria che continua nel presente e che va alimentata per meglio comprenderlo. Dunque, la prima autorevole conclusione, non lontana dalle parallele considerazioni dello storico più attento a lui contemporaneo, Marc Bloch, che cioè la tragicità della Storia contemporanea, o forse di tutta la Storia, spesso è derivata all’abbandono dello Spirito, lasciato inascoltato in ogni sua svolta perché troppo legaata di materialismo presenzialista. Ma Berdjaev non mancava anche di essere cauto sul ruolo del mito nella storia, malgrado la cultura occidentale – da Jung a Kerényi – ne aveva amplificato la rilevanza nella ricostruzione dei fatti storici. Piuttosto, il filosofo di Kiev riconsiderava il mito come una passo necessario ma non sufficiente. Occorreva allora un nuovo salto di qualità: la visione cristiana che puntava alla morale ed alla futura generazione di fedeli predestinati, aderendo ad una lettura protestante filoluterana. In altri termini, il Senso della Storia superava il materialismo storico fatto di vittorie e sconfitte. E qui subentrava a fare da corona una alto coevo saggio, Il nuovo Medioevo, dove auspicava il ritorno all’età di mezzo, età di altissimo valore spirituale cristiano, ivi compresa la realtà umanistica, purtroppo a suo dire interrotta dal Rinascimento e dal Razionalismo, le vere pesti per il futuro delle generazioni. Era stata una modernità aggressiva, la cui luce gli appariva nel Primo dopoguerra un crepuscolo verso la fine, una notte di sofferenza e di morte. Epoca che però non lo lascia del tutto indifferente, ché anzi è molto più vicina alla Resurrezione, visto che nella notte dei tempi medievali le stelle brillano e rivelano come l’ignoranza di un mondo piatto e prigioniero preludeva al risveglio della Fede. Infatti, sebbene nell’ultimo Medioevo la forza del Male fosse cresciuta e provocasse i dolori della separazione fra cristiani scoppiata nel lussuoso Rinascimento; tuttavia seguirà un nuovo mondo spirituale più vicino a Dio. Nel saggio successivo, maturato nel 1939, era ancora legato all’analisi luterana, in armonia allo scritto del Lutero che intravvide nella libertà del Cristiano la chiave per superare la prigionia del destino, in cui lo Storicismo materialista era precipitato. Vale a dire la libertà interiore dalla schiavitù del peccato, con la Ragione che gli appare sempre di più strumentale ed illusoria Berdjaev era rimasto folgorato dal concetto luterano di libertà, cioè di essere cristiano proprio perché al servizio dell’Uomo e del mondo. Anzi, per rompere la cappa del meccanicismo – non per caso sollevata dal coevo Jünger per spiegare la scelta del lavoro come arma di rottura della debole realtà democratica di Weimar – il filosofo di Kiev fa anche appello al concetto di creatività dell’uomo quale ulteriore difesa contro lo spirito materialista collettivizzato nella tirannia sovietica. Il personalismo cristiano occidentale invero guarderà fra poco a questa terza via, fra il prometeismo rivoluzionario del Leninismo e la società tardo Capitalista individualista, ideologie laiche che avevano espunto dalla società la Spiritualità Ortodossa più genuina del Cristianesimo. Del resto, il nemico più subdolo della Storia rimaneva il suo culto idolatrico, inteso come un’interpretazione del Progresso e non della sofferenza in un mondo secolare decristianizzato. Berdjaev, in altre parole, soffrirà negli ultimi tempi una vita di dolore e tormento, estendendo ai popoli la sua personale storia di esule prima in patria e poi all’estero. Ma il suo naturale rifiuto nel Progresso derivava – come egli stesso più volte confessa – nella scelta materialista di considerare la storia come crescita di una massa, ma di aver dimenticato il dolore del Giusto sofferente. Se pensiamo oggi alle stragi in Ucraina e diciamo che queste siano un incidente della Storia – come lo erano state le stragi e le vessazioni individuali nella storia di ogni rivoluzione, da quella Francese ed a quella Russa che lo vide vittima diretta – ricadremo nel destino immutabile e mai l’uomo sarebbe libero, neanche mai creatore del suo destino, attraverso le forche caudine della persecuzione del suo spirito libero in quanto uomo e non macchina ubbidiente al Regime di turno.
3. Il messaggio finale.
Che fare allora, credere nell’Utopia cristiana dell’evento che ha rotto il lento scorrere della Storia? Soffrire e morire, come hanno subito gli eroi del suo amato Dostoevskij? Una via egli propone proprio alla fine del suo percorso, una terza soluzione, che chiamerà l’ottavo giorno della creazione. Chiunque si immergerà nel quotidiano al servizio della religione dello Spirito, chiunque si porrà nella libertà del mondo e non nella falsa speranza della tecnica; chiunque rifuggirà dal giudizio sociale e dal mero profitto, ma anzi svilupperà la sua creatività imitando Cristo attraverso una lettura alternativa della Storia; allora sarà immune dal peccato originale, aprendo quella terza epoca dello Spirito Santo preconizzata dal suo confratello di fede vissuta, Ernesto Bonaiuti, convinto come lui che la terza rivelazione dello Spirito emergerà da una voce dall’alto, lontano da una Chiesa gerarchica o da un regime laico strutturalmente analogo. Se invece sarà perseguito l’amore nell’Uomo e nell’Umanità, la riscoperta di una antropologia di Giustizia Sociale e di Pace, allora la natura cristiana dell’Uomo sarà pienamente raggiunta. Ecco il suo messaggio sottilmente anticlericale, ma radicale e profetico, come era stato il messaggio di Buonaiuti e l’esistenzialismo cristiano di Karl Jaspers, guarda caso come Berdjaev emarginati dalle Chiese Cristiane cattoliche e protestanti.
La tomba di Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev (1874-1948).
Bibliografia:
Sulla vita e le opere di Berdjaev, vd. ANGELA GIUSTINO VITOLO e GIULIA LAMI, Storia e filosofia in Nikolaj A. Berdjaev, Milano 2000.
Sul pensiero analogo di Ernesto Buonaiuti, vd. la Sua, Apologia del cattolicesimo, a cura di DAVIDE ROMANO, Palermo, 2023, nuova edizione. Per Karl Jaspers, vd. ELENA ALESSIATO, Karl Jaspers e la politica. Dalle dalle origini alla questione della colpa, Napoli, Orthotes, 2012.
Sul nuovo Medioevo di Berdjaev, vd. altresì CARLO MORGANTI, Guardini e Berdjaev: il medioevo contro nazismo e comunismo, in Il pensiero politico, rivista edizioni S. Olschki 2016, pag. 31 .
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