L’esperienza totalitaria conferma che, come la libertà esige la tutela dei diritti di proprietà, così la lotta per instaurare un illimitato potere sui cittadini esige la distruzione del loro dominio sulle cose, poiché questo consente loro di sottrarsi al controllo onnipervasivo dello stato. (R. Pipes[1]).
In questi giorni sentiamo parlare (ancora troppo poco) del Venezuela per la grave situazione politica. Ma a monte ci sta una rovinosa condizione economica e sociale. Come si può esser giunti allo stato attuale? Ecco i provvedimenti più importanti di Hugo Chàvez in politica economica.
1)Febbraio 2003: controllo dei cambi.
Il primo atto in economia fu il controllo dei cambi. Si addusse una ragione contingente, doveva essere un intervento provvisorio, invece è stato il cuore della strategia economica chavista. C’erano stati, in passato, periodi di controllo del cambio ma sempre transitori, congiunturali e per ragioni economiche (1983-1989 e 1994-1996). Stavolta si trattava di una decisione politica: controllare così il settore privato, le importazioni, il movimento dei capitali, gli investimenti, il risparmio; soggiogare e la classe media, ancorandola alle vicende della rendita petrolifera. Imbrigliare la società. Il controllo dei cambi è una misura che può essere efficace a breve termine in situazioni di crisi economica, ma a lungo termine può causare problemi se non gestito con attenzione. Cuba ha storicamente utilizzato un sistema di controllo dei cambi molto rigoroso. L’Argentina l’ha praticato per diversi periodi. Gli effetti, anche in Venezuela, furono sopravalutazione artificiale della moneta nazionale (il bolivar), distorsioni nell’economia reale, scoraggiamento della produzione nazionale, del risparmio e degli investimenti, mercato nero per la valuta, crescita della corruzione. Ma c’è un ulteriore, gravissimo danno: il controllo dei cambi ha costretto la Petróleos de Venezuela, PDVSA (pronunciano “pedevesa”, è l’Azienda petrolifera nazionale, quasi l’unica fonte di reddito in valuta estera del Paese) a operare in perdita; la quale nel corso degli anni è divenuta sempre più grande con l’aumento del divario tra il tasso di cambio ufficiale e il tasso parallelo. Come fa a coprire le spese in bolivar? Con massicce iniezioni da parte della Banca Centrale del Venezuela (BCV).
2) Luglio 2005: l’esautorazione della Banca centrale e il Fonden.
Questa riforma, approvata nel 2005, cambiò la procedura tradizionale in base alla quale i dollari della PDVSA venivano convertiti in bolivar prima di entrare nelle casse dello Stato come tasse e dividendi della compagnia statale. Da quel momento in poi, il “surplus” dei proventi petroliferi sarebbe passato direttamente al presidente e la BCV sarebbe diventata un’istituzione inutile. Nel luglio 2005 è stato creato il Fondo nazionale per lo sviluppo nazionale (Fonden), in teoria gestito dai ministeri del Potere popolare per l’Economia, le Finanze e la Banca pubblica, dal ministero della Pianificazione e dal vicepresidente esecutivo. In pratica, era controllato direttamente dal presidente Chávez, come ha ammesso più di una volta pubblicamente. Il Fonden ha gestito più di 100 miliardi di dollari provenienti dalle esportazioni di petrolio che sono stati utilizzati in diversi progetti all’interno e all’esterno del Paese, come l’acquisto di debito sovrano da Argentina, Nicaragua, Ecuador e Bolivia; sono stati investiti in strumenti di Lehman Brothers prima del suo fallimento nel 2008 e in azioni di una società di armi in Russia; hanno finanziato progetti a Cuba; e la costruzione di case incompiute da parte della Bielorussia in Venezuela, così come l’acquisto di centrali elettriche e due satelliti dalla Cina. Tutto questo senza alcun controllo o supervisione da parte del BCV.
Venezuela: qualcuno ride per non piangere. La popolazione è stremata. Le disastrose politiche socioeconomiche di Chàvez hanno ridotto il Paese allo sfascio.
3) 2007: Nazionalizzazioni ed espropri.
Nel 2007, la più grande ondata di nazionalizzazioni ed espropri di aziende private e terreni che il Venezuela abbia mai visto. Non a tutti lo stesso trattamento.
A) Con le società a capitale straniero lo Stato raggiunse un accordo di pagamento: il Banco de Venezuela (filiale della spagnola Santander), Cantv (telecomunicazioni), La Electricidad de Caracas, le imprese di cemento, Sidor (acciaio), la miniera d’oro “Las Cristinas” e gli impianti di lavorazione del riso dell’impresa statunitense Cargill, etc.
B) Le aziende di proprietà di venezuelani non sono mai state pagate: p. e. la Sidetur, la Agroisleña o la Sambil (un mega centro commerciale a Caracas).
C) L’agricoltura. Migliaia di ettari di terra appartenenti a produttori agricoli furono confiscati. Questo ha significato la disfatta del settore agroindustriale venezuelano e l’inizio della grave carenza alimentare che la popolazione sta soffrendo tutt’ora. Come si vede, c’è stato un accordo per il capitale transnazionale e uno molto diverso per il capitale nazionale. La motivazione era la stessa del controllo dei cambi: politica. Indebolire la capacità degli imprenditori privati di resistere al potere socialista. Qualcosa di freddamente calcolato che, ovviamente, ha avuto effetti economici molto negativi, distruggendo le possibilità di investimenti privati nazionali.
4) Ottobre 2011: legge organica sugli equi prezzi ed equi guadagni (Ley orgánica de precios y ganancias justas).
Doveva garantire prezzi equi e stabili per i consumatori. Per imporne il rispetto è stata creata la Superintendencia Nacional para la Defensa de los Derechos Socioeconómicos de Venezuela (Sundde), con tre sovrintendenti (“Tanto stato, tanta burocrazia; tanta burocrazia, tanta corruzione”). Ha rafforzato tra i funzionari e gli attivisti chavisti la convinzione che l’economia possa essere governata, una delle ossessioni di Maduro. È diventato un meccanismo per penalizzare il lavoro e la produzione, è stata la rovina delle piccole e medie imprese. Il sistema dei prezzi nel Paese è scomparso, è comparsa invece la penuria dei beni di consumo. Con l’entrata in vigore di tale legge, l’inflazione in Venezuela è passata da due cifre all’anno, a due cifre al mese. Dovendo cercare dei capri espiatori, i modesti e laboriosi commercianti sono stati additati come i “veri autori della guerra economica”.
La distruzione dell’industria petrolifera.
1.- Licenziamento di 20.000 dipendenti della PDVSA
Fino al 2002 PDVSA era, tra le compagnie petrolifere statali, forse la meglio gestita al mondo, al pari della norvegese Statoil e nettamente superiore a Petrobras e Pemex. Questo grazie a un accordo raggiunto dalla classe politica venezuelana al momento della nazionalizzazione del petrolio: l’industria petrolifera, ora nelle mani dello Stato, non sarebbe stata gestita come le altre aziende pubbliche ma le sarebbe stata data autonomia operativa e sarebbe stata rispettata la professionalizzazione interna. Questo garantiva la protezione dalla corruzione che aveva infettato le altre imprese statali e incentivava la permanenza nel Paese di tutto il capitale umano formato dalle multinazionali del petrolio. Questo accordo è durato fino a quando Hugo Chávez è salito al potere e ha iniziato l’assalto alla compagnia statale. Il conflitto che ne è seguito è culminato in uno sciopero di due mesi e nel licenziamento di 20.000 dipendenti. Tutti gli osservatori esterni concordano sul fatto che da quel momento in poi le prestazioni di PDVSA sono state gravemente compromesse, con un calo della produzione e un forte aumento del numero di incidenti industriali negli anni successivi. Molti dei licenziati, probabilmente la maggior parte, sono emigrati, contribuendo all’espansione della produzione petrolifera in Colombia, Canada e persino in Medio Oriente.
2.- Legge sugli idrocarburi del 2006
Nel 2006, l’Assemblea Nazionale, con una maggioranza pro-Chávez, ha attuato una riforma parziale della Legge Organica sugli Idrocarburi, al fine di modificare le condizioni in cui operavano le compagnie multinazionali partner della PDVSA in Venezuela. Total (Francia), Statoil (Norvegia), BP (Gran Bretagna) e le compagnie statunitensi ConocoPhillips, Chevron ed ExxonMobil erano arrivate in Venezuela negli anni ’90 nel quadro della cosiddetta apertura petrolifera. I loro investimenti erano riusciti ad aumentare la produzione di petrolio del Paese di 600.000 barili al giorno in un contesto di bassi prezzi del petrolio. Ma un decennio dopo, il prezzo medio annuo per barile ha iniziato a salire e il governo Chávez ha deciso di aumentare il carico fiscale su queste società. Ciò significava modificare i contratti. La maggior parte accettò, tranne due: ExxonMobil e ConocoPhillips. Con la prima è stato raggiunto un accordo, ma non con la seconda, che ha finito per vincere una causa contro lo Stato venezuelano per l’esproprio dei suoi beni nel 2007.
Nel suo stile, Chávez ha trasformato questa vicenda in un grande atto patriottico, mentre in realtà si trattava di uno scoraggiamento verso il resto del mondo a investire nello sviluppo del settore petrolifero venezuelano. Con grandi difficoltà (tra l’altro a causa delle perdite causate dai controlli sui cambi) la maggior parte di loro rimane nel Paese in attesa di un cambio di rotta. Oggi il Venezuela produce due milioni di barili in meno rispetto al 1998, mentre allo stesso tempo la produzione di petrolio è cresciuta in Colombia, Stati Uniti e Canada.
3.- Espropriazione dei fornitori della Costa orientale
Nel 2009, Chávez ha ordinato 140 espropri di aziende private della costa orientale del lago di Maracaibo, nella parte occidentale del Paese, che fornivano servizi di trasporto e manutenzione a PDVSA. Perché un tale accanimento? PDVSA, non avendo modo di pagare gli impegni presi con questi fornitori, li espropriava. Così, se da un lato ha distrutto l’economia privata per rendere la popolazione dipendente dal moloc statale di PDVSA, poi ha pure demolito lo Stato petrolifero.
Nicolás Maduro, il degno erede di Chàvez viene contestato dalla folla.
Promemoria.
Ideologia e incompetenza: il Socialismo del siglo XXI, è non meno disastroso dei precedenti perché identici sono i fondamenti teorici: «Il socialismo vuol così bene ai poveri che quando va al potere li aumenta di numero» (Indro Montanelli).
[1] R. Pipes, Proprietà e Libertà, Lindau, Torino, 2008, p. 365.
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