Non solo maschilismo pugnace. Gladiatrix: le donne nell’arena. Di Tito Spina.

Raffigurazione.

Si discute molto sull’esistenza delle gladiatrici donne, all’epoca dell’impero romano, e pare che siano davvero esistite.

Secondo le testimonianze ad oggi note, la figura del gladiatore ha origine presso gli Etruschi, civiltà precedente a quella romana, nei territori nel centro Italia, fino a estremamente diventare popolari in tutto l’impero. In genere, uno scontro fra gladiatori era un sanguinoso duello all’ultimo sangue, in genere tutti schiavi, criminali o prigionieri di guerra, che combattevano per ottenere la libertà. E’ storia che i gladiatori combattessero davanti al pubblico in incontri organizzati, in grandi arene appositamente costruite, e la vita di quelli che non venivano immediatamente uccisi nell’arena, dipendeva dal capriccio dell’imperatore, con il famoso pollice verso. Le donne gladiatrici nell’antica Roma erano poche, ma le prove rinvenute nell’arte, nelle leggi e nei resoconti scritti, suggeriscono che le donne siano state coinvolte nei combattimenti di gladiatori, fino all’anno 200, quando l’imperatore Settimio Severo vietò l’accesso all’arena per le donne.

Ricostruzione fantasiosa di un combattimenti nell’arena.

Le testimonianze

La prova più tangibile che le donne abbiano partecipato ai brutali giochi di guerra, durante la tarda Repubblica Romana e l’inizio dell’Impero, è un antico rilievo del 2° secolo, in marmo, trovato ad Alicarnasso, nell’attuale Turchia, oggi al British Museum, e riguarda le imprese di due figure femminili note come Amazzonia e Achillia, due donne che combattono con scudi, spade e protezioni per le gambe. In sostanza, una versione al femminile del ben moto eroe epico Achille, e probabilmente nome d’arte per evocare la mitologia greca. Un’iscrizione sopra le loro teste indica che hanno combattuto fino a un onorevole pareggio, in uno scontro concluso con la cosiddetta “missio”, sospensione. Le due gladiatrici, con armature pesanti e “subligaculum” (attrezzatura standard dei gladiatori), sarebbero appartenute alla categoria “provocatrices”, e sono a seno nudo, come si raffigura nell’amazzonomachia). Nel 1996, gli archeologi del Museo di Londra hanno scoperto frammenti di un osso pelvico femminile carbonizzato, rinvenuti fra le ceneri cremate di un’elaborata tomba di epoca romana, nel quartiere londinese di Southwark. Venne da subito proposta l’ipotesi di una sepoltura di una gladiatrice, basata sugli oggetti decorativi e sui resti di un sontuoso banchetto, che occupavano la tomba. Fra questi, lampade a olio raffiguranti scene di combattimento gladiatorio e un gladiatore che cade. Un’altra opera d’arte che si dice raffiguri una gladiatrice, è la statua di bronzo di 2000 anni fa conservata al Museum für Kunst und Gewerbein di Amburgo, in Germania. La figura solleva una spada corta e ricurva, la cosiddetta “sica”, in segno di trionfo. La figura è poi a torso nudo, come i gladiatori tipicamente combattevano. Se questo pezzo rappresentasse davvero una gladiatrice, sarebbe la seconda raffigurazione di cui si abbia notizia.

Le gladiatrici che combattevano, e morivano nell’arena erano spesso considerate un fenomeno di “innovativa trasgressione commerciale”, una sorta di sovversione dell’ideale gladiatorio, l’opposto di ciò che dovrebbe essere la forza marziale, specialmente perché la gladiatrice era l’opposto dell’ideale della donna romana, vista come moglie e soprattutto madre. Ecco perché Settimio Severo decise che non c’era posto per una donna nell’arena. Il celebre scrittore satirico Decimo Giunio Giovenale (50/60-127) riporta una descrizione nel volume “Satire VI” raccolta di poesie satiriche una delle prime descrizioni scritte. La donna che combatte è fatta oggetto di scherno con fini denigratori, ad esempio con la citazione del collo che vacilla sotto il peso dell’elmo, e della scarsa attrattiva delle sue gambe troppo muscolose.

Dai Giochi Erei alle Amazzoni

Esistevano vere e proprie scuole dov’era possibile diventare gladiatore, o morire nel tentativo. La più famosa era quella di Pompei, ma non ci sono prove che la scuola di Pompei, o alcun’altra, sia stata frequentata da donne. Per questo, molti storici negano anche l’esistenza di donne gladiatrici, ma lo spirito agonistico dimostrato dalle donne che parteciparono ai Giochi Erei, prima competizione atletica femminile ufficiale di cui si ha notizia, contribuì sicuramente a far nascere l’immagine della gladiatrice. I Giochi Erei, che si celebravano ogni quattro anni a Olimpia, erano un’antica festa greca in cui le ragazze gareggiavano in una corsa, probabilmente nello stesso periodo dei Giochi Olimpici.

Le donne che in Grecia e non solo avevano fama di guerriere erano le spartane. Le ragazze nubili partecipavano regolarmente a competizioni molto rischiose, anche se non si allenavano per il combattimento, ma certamente prendevano parte a gare di lotta e pugilato. Fu infatti una spartana a diventare la prima donna a vincere gli antichi Giochi Olimpici, nel 396 a.C. nota con il nome di Cynisca, una ricca principessa. Secondo le cronache partecipò alla corsa dei carri, e vinse il primo premio gareggiando con una squadra di cavalli da lei stessa addestrati. Nella mitologia, la figura che però più di ogni altra evoca la donna guerriera è l’amazzone, donna combattente e cacciatrice, coraggiose quanto e più degli uomini per quanto riguarda agilità, forza, tiro con l’arco, capacità di cavalcare e le arti del combattimento. Una delle più coraggiose condottiere amazzoni fu la regina Pentesilea, selvaggia e spietata, che si schierò con Troia durante la decennale guerra, e alla fine fu sconfitta da Achille. Altrettanto nota poi la donna che guidò la rivolta contro le legioni romane in Britannia, nel 60 d.C. Budicca, o Boadicea, regina dell’antica tribù degli Iceni, pur essendo stata sconfitta, è oggi considerata un’eroina nazionale e un simbolo della lotta per la giustizia e l’indipendenza.

Nell’arena

Le gladiatrici pare combattessero nei giochi detti “munera”, o contro gli animali nelle “venationes”, per il divertimento degli spettatori, come attestato in archeologia e in letteratura, poi nel 19 l’imperatore Tiberio emanò il “Senatus Consultum Larinum”, un decreto senatoriale che, fra le altre cose, vietava a uomini e donne, legati da parentela verso senatori o equites, di apparire nell’arena, o di mostrarsi nelle vesti gladiatorie.

Il decreto, parte del quale è stato ritrovato su una tavoletta in bronzo, detta appunto Tabula Larinas, cita un precedente decreto dell’11 d.C. in cui si proibiva alle giovani sotto i 20 anni di esibirsi in un’arena, il che potrebbe portare a pensare che alcune donne si fossero già cimentate in duello. Nelle “Vite dei Cesari”, Svetonio (69-122) narra che l’imperatore Domiziano offrì giochi venatori e spettacoli notturni con gladiatorii, alla luce delle torce, comprendenti combattimenti fra uomini e anche fra donne. Cassio Dione (155-235) aggiunge che nei combattimenti notturni a volte comparivano anche nani e donne, gli uni contro le altre. Secondo le cronache e le testimonianze ritrovate, pare che le gladiatrici combattessero a torso nudo e che indossassero raramente l’elmo, come ricorda Petronio (27-66) nel “Satyricon” fa un altro, basato forse su uno spettacolo al quale assistette n prima persona: un “essedarius” donna, o una donna che ha combattuto su un carro in stile celtico.

La maggior parte degli studiosi moderni considera quello delle gladiatrici uno spettacolo originale, visti gli scarsi scritti su di esse, ma la scrittrice Amy Zoll osserva che il fatto che gli storici antichi che le menzionano lo fanno con tanta disinvoltura può suggerire che esse fossero più diffuse di quanto le testimonianze dirette potrebbero far credere, come l’iscrizione ritrovata a Ostia nella quale un tale Hostilinianus si vanta di essere stato il primo editor a portare nella città gli spettacoli con le gladiatrici. Si racconta poi, che anche durante il regno di Nerone (37-68), nell’arena combattessero uomini e donne, perfino di rango senatoriale. Lo stesso Nerone, ai giochi organizzati nel 66 dall’impresario Patrobio a Puteoli (oggi Pozzuoli) in onore di Tiridate I di Armenia, fece esibire nell’arena donne e bambini di colore, provenienti dall’Etiopia. Delle gladiatrici parla poi Marco Valerio Marziale (38-104) che riprende alcuni brani di Cecilio Stazio (220-167 a.C.).

Ulteriori ricerche hanno poi stabilito che le scuole gladiatorie non fossero luoghi idonei per le donne, che invece potevano completare la preparazione con insegnanti specializzati nei “collegia iuvenum”, scuole dedicate alla formazione nelle arti marziali, per allievi uomini di ceto elevato e di età superiore ai 14 anni. Lo storico Mark Vesley propone a tal proposito tre diversi riferimenti a donne che avrebbero frequentato i “collegia iuvenum”, e uno in particolare dedicato a una donna che sarebbe morta in duello, una iscrizione in cui si legge: “Alle divine forme di Valeria Iucunda, che apparteneva al corpo degli iuvenes, e visse 17 anni e 9 mesi”. Inoltre, nel 2001 è stato ritrovato uno scheletro, aSuthwark, periferia di Londra, identificato come quello di un gladiatore di sesso femminile, per il fatto che, sebbene benestante, sia stato sepolto come un emarginato, al di fuori del perimetro del recinto sepolcrale, con un corredo di lucerne in ceramica, una raffigurante il dio egiziano dell’Olretomba, Anubi; un’altra con inciso un gladiatore caduto, e ciotole contenenti pigne bruciate. Gli unici pini dell’epoca, in Britannia, erano quelli intorno all’anfiteatro di Londra (Londinium), e le pigne di quella particolare specie venivano tradizionalmente bruciate durante i giochi. La maggior parte degli esperti ritiene l’identificazione errata, ma il Museo di Londra ritiene probabile che lo scheletro di donna sia appartenuto a una gladiatrice.

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