Harwen Woreda
Un territorio ricco di storia, storicamente considerato la culla della vita, nella parte nordorientale caratterizzato dalla regione di Harwen Woreda, parte del territorio di Misraqawi, confina a sud con Kilte Awulaelo, a ovest con la zona Mehakelegnaw (centrale), a nord con Ganta Afeshum, e a est con Saesi Tsaedaemba. Le città di Hawzen includono Hawzen e Megab; i villaggi includono Koraro.
Le rocce ‘sante’. Regione del Tigré (Etiopia).
La parte occidentale del Woreda copre una regione conosciuta come Gar’alta, che sulle mappe geografiche indigene e locali appare nel Corno d’Africa settentrionale dal 15° secolo, parte integrante dell’ex provincia di Enderta, quando era provincia indipendente e quando faceva parte di un “Awraja”, possedimento di tipo feudale durante il periodo imperiale e fino al 1975. La Gere-alta Woreda era costituita dalle parti occidentali degli attuali distretti di Hawzen e Kilte Awulaelo. La capitale del distretto indipendente di Gere-alta era la città di Tsigereda, oggi nella parte occidentale del distretto di Kilte Awulaelo, a sud del distretto di Hawzen). In questa zona sono state scoperte, ad oggi, oltre una trentina di chiese scavate nella roccia, in un paesaggio ammantato di mistero, come scrive Philip Briggs, profondo conoscitore dell’Etiopia. Una di queste è Hawzen Tekle Haymanot, non lontano dalla cittadina di Hawzen, nel distretto orientale di Misraqawi, a un’altitudine di circa 2.200 metri. La tradizione afferma che Hawzen fu fondata dai Sadqan, un gruppo di missionari cristiani che si recarono nel regno axumita durante il regno di Kaleb di Axum. La Chiesa di Hawzen Tekle Haymanot, sebbene sia una struttura moderna, racchiude un piccolo luogo di culto scavato nella roccia, considerato uno dei più antichi del Tigrè, sulla base di studi e ricerche eseguite su un capitello e una colonna finemente scolpiti. Nel marzo 1892, Dejazmach Sebhat Aregawi si sottomise a Ras Mangesha Yohannes a Hawzen portando una pietra al collo in segno di obbedienza, alla presenza degli altri Ras del Tigrè. Nel marzo 1895, dopo che la città di Adigrat fu occupata dall’avanzata dell’esercito italiano, Ras Mangesha riunì circa 4.000 uomini nella città di Hawzen per un attacco ad Adigrat. Il generale Oreste Baratieri radunò oltre 3000 uomini vicino a Senafe, quindi giunse in supporto del governatore locale insediato dagli italiani, Ras Hagos Tafari. Quando Baratieri entrò ad Adigrat il 25 marzo, Mangesha si ritirò nell’interno del Tigrè e fece perdere le proprie tracce.Nel 1938 nella zona esistevano solo un mercato (poi diventato importante), un piccolo negozio, un ufficio postale, telefonico e telegrafico, una fontana, un ambulatorio sanitario e una scuola tecnica.
Il culto nella roccia
Abuna Yemata Guh e Debre Maryam Qorqor (vicino a Megab), Dugem Selassie, Abuna Abraham Debre Tsion e Yohannes Maikudi (vicino al villaggio di Dugem), sono i lughi più avvolti nel mistero. Abuna Yemata Guh, la cui struttura originaria risale al 5° secolo, è degno di nota anche per i dipinti sulle pareti e sulla cupola, che secondo alcuni studi e ricerche risale al 15° secolo, prima del massiccio impatto delle influenze esterne e i movimenti colonizzatori del 17° secolo. Uno dei dipinti della cupola rappresenta nove apostoli e otto dei Nove Santi, uno dei quali, Abuna Yem’ata è considerato uno dei fondatori della chiesa locale. Oggi, a Hawzen, la maggior parte degli abitanti afferma di praticare il cristianesimo ortodosso etiope, con il 99,4% che lo dichiara come religione ufficiale, con il gruppo etnico Tigrino che è il più numeroso (la quasi totalità della popolazione), con il relativo dialetto. Il tasso di alfabetizzazione risulta effettivamente basso, di poco superiore al 15% della popolazione, così come è considerato al di sotto delle condizioni essenziali, la disponibilità di acqua potabile e di accesso alle strutture sanitarie. In tutto questo, rimane tuttavia il fascino di luoghi appena accessibili, sui quali ci si one ancora numerosi “come e perché”, come Abuna Yemata Guh, chiesa monolitica situata nell’Hawzen Woredda, a un’altitudine di 2.580 metri. Una delle 35 fino ad oggi localizzate, scolpite nella roccia viva, nella concentrazione maggiore di tutta l’Etiopia, già considerata “il luogo dove è nato l’uomo”, e dove la tradizione colloca i segreti più custoditi delle grandi religioni come il Cristianesimo, in riferimento al luogo dove sarebbe custodita l’Arca dell’Alleanza. L’ingresso di Abuna Yemata Guh si raggiunge tramite una salita ripida e pericolosa, con appigli per mani e piedi scavati nella roccia. SI attraversa un ponte di pietra con un dislivello di circa 250 metri su entrambi i lati, e successivamente un altro ponte in legno, di dimensioni più ridotte. I pilastri eretti sono di pietra arenaria di Enticho e Adigrat, ultimi resti di una formazione che un tempo copriva il basamento precambriano.
Lo splendido luogo di culto cristiano incavato nella roccia.
Il Cristianesimo in Etiopia
Le prime tracce di cristiani in Etiopia risalgono al 1° secolo, e hanno dato origine a una lunga e particolare tradizione e cultura, con caratteristiche uniche fra tutti i Paesi africani che hanno subito l’influenza della religione cristiane nell’Africa sub-sahariana.
Sono diversi i gruppi etnico-religiosi. Il più grande e antico dei quali è la Chiesa ortodossa etiope Tewahedo, uno dei culti orientali che faceva parte della Chiesa copta ortodossa fino alla metà del secolo scorso, quando ha ottenuto dal Vaticano il riconoscimento ufficiale, e un proprio patriarca della Chiesa ortodossa copta e Patriarca di tutta l’Africa (Cyril VI di Alessandria).Vi è poi il più grande gruppo protestante, la Chiesa Evangelica etiope Mekane Yesus, e il tradizionale cattolicesimo, presente dal 16° secolo nel 60% circa della popolazione totale del Paese, e diverse comunità nel mondo, ma maggiore delle quali è negli Stati Uniti e conta circa mezzo milione di negli Stati Uniti. Per 17 secoli il Cristianesimo ha segnato la storia dell’Etiopia, penetrando profondamente nelle istituzioni, tanto da fare dei cristiani etiopi bersaglio di pressioni e persecuzioni, fino a quella scatenata per oltre 15 anni fra il 1974 e il 1991, con tragedie ancora oggi in atto, e purtroppo quasi ignorate dalla comunità internazionale. Secondo le cronache della “Historia Ecclesiatica” di Rufìno di Aquileia (345-411), nella prima metà del 4° secolo, il Paese fu dominato dal regno di Aksum. Una versione storica ripresa, talvolta raccontata in diverse varianti. La storia nella sua versione originale parla di un certo filosofo Meropio di Tiro, che viaggiò in India, accompagnato da due giovani parenti e allievi, Edesio e Frumenzio. Sulla via del ritorno, la nave si fermò per fornirsi di acqua sulla costa africana del Mar Rosso, e venne attaccata dalla gente del luogo in lotta contro l’impero romano. L’equipaggio e i passeggeri furono uccisi, si salvarono solo i due giovani, che furono catturati e offerti in dono al re degli etiopi. Impressionato dalla loro intelligenza, il re nominò Edesio coppiere ufficiale, e Frumenzio segretario e tesoriere. Al momento della morte, il re liberò i due giovani, ma la regina, reggente ufficiale in attesa che il figlio Ezanà raggiungesse la maggiore età per essere incoronato, pregò Frumenzio di assisterla nel governo dello stato.
Approfittando della posizione, Frumenzio aprì il Paese ai cristiani, ne facilitò la predicazione e concesse loro luoghi da dedicare al proprio culto. Giunto alla maggiore età il principe Ezanà, i due fratelli decisero di partire: Edesio tornò a Tiro, dove ricevette gli ordini sacri, e Frumenzio giunse ad Alessandria presso il patriarca Atanasio, esortandolo a mandare un vescovo in Etiopia, che si prendesse cura di quelle prime comunità di fedeli. Fu lo stesso Frumenzio ad essere nominato vescovo e ad essere inviato ad Aksum. Rufìno riferisce ancora che Frumenzio predicò il vangelo ad Aksum per circa 20 anni, operando un gran numero di conversioni. Verso il 345, il re Ezanà, sua madre, battezzata col nome di Sofia, la famiglia reale e la sua corte si convertirono a loro volta, e Frumenzio passò alla storia come Abba Salama, (Padre Pace), e come Chesatiè Brhan (Rivelatore della Luce). E’ poi noto che Ezanà aveva un fratello minore, Sezanà. I due diventarono noti nella tradizione etiope come Abrahà (Illuminato) e Atsbhà (Che fa sorgere il sole), ovvero Alba e Luce dell’Etiopia cristiana. Questi eventi avvenivano quando era imperatore Costantino il Grande che, secondo la tradizione, fece del Cristianesimo la religione ufficiale dell’impero. Non a caso Ezanà è considerato il Costantino di Etiopia e la madre Sofia è paragonata a Elena, madre dell’imperatore romano. Dai racconti dei primi esploratori europei, la Chiesa etiopica è vista come derivante dalla Chiesa egiziana copta monofìsita, ma bisogna considerare che, nella cultura locale il termine “copto” è stato divulgato dagli arabi dopo la conquista dell’Egitto e significa semplicemente “egiziano”.
Un’altra veduta esterna del sito cristiano.
In ogni caso, i primi passi della Chiesa cristiana in Etiopia coincisero con un periodo di aspre contese, e Alessandria era uno dei centri principali delle polemiche teologiche. Il primo divulgatore del Cristianesimo in Oriente nel 5° secolo, è comunque considerato il monaco greco Eutiche, il quale, nel 451, fu dichiarato eretico dal Concilio di Calcedonia. Alcune chiese orientali, fra cui quella egiziana, non accettarono le conclusioni del Concilio e si separarono da Roma. L’Etiopia, in quanto diocesi di Alessandria, ne seguì le sorti e rimase separata da Roma. Nel 5° secolo il Cristianesimo continuò a diffondersi per opera di monaci venuti dall’Oriente cristiano e dai Gesuiti europei, durante il regno degli imperatori Ze-Dinghìl e Sussinios e poi, verso la fine del 6° secolo Aksum cominciò a declinare, e l’Etiopia subì l’espansione islamica. Sotto il regno di David III, ad esempio, nei primi vent’anni del 18° secolo, furono sterminati i monaci di Debra Libanos. Con il periodo del Ras Menelik terminarono le contese religiose, perché anche se il culto di Debra Libanos diventò la dottrina ufficiale della chiesa etiopica, venne concessa totale libertà di confessione religiosa. Da poco più di mezzo secolo, la Chiesa etiopica è diventata patriarcato indipendente da Alessandria, dopo difficili trattative condotte da Hailè Sellassiè.
Una tragedia in atto, ancora oggi ignorata
Un corso storico decisamente travagliato quello del Corno d’Africa, e in particolare dell’Etiopia, specialmente nel drammatico periodo delle guerre civili degli anni ’80, in cui il territorio di Hawzen fu bombardato frequentemente dalle forze di difesa nazionali etiopi, oltre ad attentati come nel periodo marzo-giugno 1988, e un numero ancora imprecisato di vittime, fino ad accessi come il massacro del 22 giugno ’88, quando Hawzen (che ha una popolazion di circa seimila abitanti) fu l’obiettivo di uno degli atti più brutali del Derg contro gli oppositori: oltre 2.500 persone furono uccise quando l’aeronautica etiope bombardò il mercato della città, e ancora oggi rimane un mistero chi abbia diramato tale ordine e gli elementi coinvolti. Suscita dubbi poi, il fatto che il bombardamento sia stato ripreso da diverse telecamere strategicamente posizionate in luoghi prestabiliti della città, da parte del TPLF (Fronte di Liberazione Popolare del Tigrè) posizionate per riprendere l’intero raid aereo da diverse angolazioni e i dettagli dei suoi effetti, come testimonia il video diffuso dopo l’evento. Ancora oggi, l’opinione pubblica etiope è divergente riguardo al ruolo svolto dal TPLF in questo drammatico avvenimento. L’ex leader Aregawi Berhe sostiene che l’attacco è stato effettuato sotto la direzione, o almeno con il tacito consenso, di Legesse Asfaw, amministratore capo della legge marziale per il Tigrè. Lo scavo della chiesa venne terminato intorno a 6° secolo e dedicata ad Abuna Yemata, conosciuto anche come Abba Yem’ata, uno dei Nove Santi originari di Roma, Costantinopoli e Siria, giunti appunto in questa regione fra il 5° e il 6° secolo. Ciò che desta maggiore meraviglia sono le pitture rupestri di Abuna Yemata Guh, in generale figure del Vecchio e Nuovo Testamento, conservate in discreto stato grazie alle condizioni climatiche, aria secca e mancanza di umidità. Sono le prime tracce del Cristianesimo in Etiopia. Anche se il Cristianesimo risulta essere la religione più diffusa in Etiopia, la situazione concreta è molto complicata. I cristiani vivono in determinate aree, hanno determinate origini, e a causa della loro fede subiscono continue minacce di morte, rischiano di perdere tutto, se cacciati dalle proprie case. I musulmani che si convertono rischiano maltrattamenti, se non il linciaggio, da parte delle loro comunità. Le donne sono minacciate, sottoposte a violenza, matrimoni o divorzi forzati, e separazione dai figli. In alcune aree, gli estremisti islamici attaccano le chiese, approfittando di una crescita generale della violenza politica. Anche i fedeli della tradizionale EOC (Chiesa Ortodossa Etiope) che scelgono di convertirsi al Protestantesimo, o a fedi non tradizionali, vivono continuamente a rischio.
Un monaco cristiano etiope
Da considerare poi, che esistono zone dell’Etiopia dove sono ancora diffusi conflitti dovuti a confessioni tribali, in particolare nell’Etiopia rurale. Ancora oggi, la pressione sui cristiani resta alta, in particolare nella vita comunitaria e religiosa. Storicamente, la violenza politica è sfociata in una guerra civile che ha messo in pericolo l’intera nazione. Al momento, anche se con equilibrio estremamente instabile, un accordo di pace è stato raggiunto a novembre 2022, ma la persecuzione rimane un fenomeno molto complesso in Etiopia, perché profondamente collegato a origini tribali, etniche, tradizioni millenarie locali che sono entrate in competizione o in fusione con numerose altre culture, in un contesto tradizionalmente non certo pacifico, per altro anche oggetto di fenomeni naturali, climatici, che non alleviano la situazione già estremamente instabile.
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