Prefazione.
Quando ci si sofferma, spesso per caso o perché indotti da qualche sporadico input mediale, sul ‘misterioso’ Caucaso, e più precisamente sulla ancora più ‘misteriosa’ Transcaucasia, l’immagine che emerge è quella di un’area remota, a mezza via tra Oriente e Occidente, tra mondo slavo ciscaucasico e mondo anatolico-mediorientale: un’immagine quasi appartenente ad un’altra galassia, lontana anni luce da noi e soprattutto dagli affanni socioeconomici e politici del Vecchio Continente. E quando ci si domanda perché mai da anni due Stati di questa montuosa e variegata regione – Armenia e Azerbaijan – sono in pressoché continua guerra, si è soliti pensare ad un’altrettanto esotica, vaga e magari poco rilevante questione, cosa peraltro non vera.
Ben venga dunque quest’ultima fatica dello storico Emanuele Aliprandi, uno dei più attenti e capaci analisti di questo scacchiere: un’opera, come le sue precedenti, che ha il merito di chiarire senza divagazioni eccessive, ma con puntualità, il drammatico conflitto tra Armenia e Azerbaijan, racchiuso nell’anfora di una più ampia Storia, quella di un’area ai margini dell’impero della conoscenza greco-romana. Infatti, per noi europei occidentali tentare, una volta tanto, di ragionare su questo tema profondamente divisivo ed in realtà tragicamente attuale, è un po’ come avventurarsi in un contesto che affonda le sue radici in un passato remotissimo. In antichità furono Erodoto di Alicarnasso ed Eudosso di Cizico i primi cronisti ad indagare questo formidabile e magico Caucaso, apparecchiando con dovizia di particolari uno scenario di convivenza obbligata tra popolazioni assai diverse: un mosaico complesso, esotico e non facile da afferrare al primo colpo. Come d’altra parte, se guardiamo all’oggi, appare non semplice comprendere l’eziologia di questa perdurante e sanguinosa disfida che vede contrapposti due popoli impegnati in dure guerre scandite da tregue precarie. Insomma, si tratta di due Stati in lotta fra di loro per territori contesi e per fare prevalere culture e religioni mortalmente dissimili e avverse; le loro motivazioni, per un Occidente ormai miscredente e polimorfo, sono ritenute – a torto – irrilevanti.
Ci sarebbe tanto da dire sull’enclave cristiana armena, dall’antichissima, gloriosa e per molti versi sventurata storia; non soltanto per ciò che accade ai suoi confini disconosciuti dal fiero e bellicoso popolo musulmano di Azerbaijan, ma per ciò che l’Armenia, culla antica di cristianità relitta, rappresenta, o almeno dovrebbe rappresentare. L’Armenia è un’entità statuale ormai geograficamente ridotta rispetto al tempo remoto dei suoi fasti. Di essa oggi non rimane che una piccola repubblica conficcata in un montuoso ed aspro scacchiere, geopoliticamente scomodo se non ostile e claustrofobico: a nord la Georgia, a sud – seppur per un pezzetto- l’Iran, ad oriente l’Azerbaijan e ad occidente la Turchia. Quest’ultima è storicamente avversa – per utilizzare un eufemismo – al popolo armeno che vanta discendenze bibliche, a partire da Iafet, figlio di Noé.
Cercare dunque di mettere a fuoco le peculiarità e l’evolversi di un conflitto complesso come quello tra armeni ed azeri per il controllo di aree di confine polietniche e religiosamente frammiste, non è certo agevole, ma tuttavia necessario. A venirci in aiuto e a rinfrescarci la memoria – riassumendo con metodo classico il passato ed illustrandoci l’oggi – fortunatamente ci ha pensato Emanuele Aliprandi con questo libro chiaro ed esaustivo, direi utile nella nell’accezione più aurea del termine, poiché – a nostro parere – non esistono libri belli o brutti, bensì inutili o utili, e quello di Aliprandi appartiene a quest’ultima rara specie. Ciò che preme a chi scrive, non è tanto indugiare su un’anteprima accademica di rapina, sottraendo al lettore il piacere di godere da sé della lucida, asciutta e documentata disamina dell’Autore, ma cogliere, se possibile, lo spirito che anima e nutre questo saggio che il prefattore ha avuto il piacere di leggere ed apprezzare sinceramente, aldilà dei rapporti di amicizia e stima che da tempo lo legano ad Aliprandi.
Senza intromissioni si consenta dunque a questo Autore di condurre per mano il lettore in un lungo e tortuoso viaggio fatto di molteplici accadimenti passati, ma anche recenti: dalle vicissitudini dell’ex oblast sovietico del Nagorno-Karabakh, che a partire dalla fine del primo conflitto (1991-1994) tra Armenia e Azerbaijan, venne riorganizzato sotto l’egida di Erevan in Repubblica dell’Artsaskh, lasciando al governo di Baku il controllo di rilevanti porzioni di territorio comunque a forte componente armena, agli attuali scontri tra gli eserciti e le milizie di Erevan, un tempo appoggiata con maggiore convinzione dalla Russia e Baku (capitale azera), da sempre sostenuta fortemente dal governo di Ankara. Ci si consenta dunque un solo dato a compendio di quanto questo testo ben illustra analiticamente e puntualmente: per dare un’idea del grado di attrito che ha sempre caratterizzato i feroci rapporti tra queste due Nazioni entrambi evocanti una ‘giusta causa’ del configgere, basti considerare che, dopo il 1994, più precisamente tra il 2008 e il 2023 (seppur con qualche pausa) si sono susseguiti quasi dieci sanguinosi conflitti, in gran parte ignorati dall’opinione pubblica occidentale.
Detto ciò, ci si faccia guidare dall’Autore nel dipanare le già citate nebbie che ancora avvolgono una guerra che, come si è detto, noi occidentali – ammalati di autoreferenza frammista ad egoismo – sentiamo, erroneamente e colpevolmente, quasi del tutto estranea. La Storia, e la stessa pietas cristiana, insegnano tuttavia che nulla di ciò che di doloroso per l’umana specie accade in angoli del mondo negletti sia mai totalmente estraneo o scollegato da noi e dal resto di noi.
Parafrasando lo storico francese Henri-Irénée Marrou, chi non presta attenzione alle sofferenze dell’altro lontano da noi non concede mai la giusta attenzione a sé stesso, con l’aggravante di peccare (almeno per chi crede). Noi occidentali mondani e scristianizzati siamo, infatti, troppo presi da altre distrazioni viciniori: il conflitto russo-ucraino, i torbidi sudanesi, libici, tunisini, sub-equatoriali africani, i fenomeni migratori, le incombenze economiche e via discorrendo. Emergenze, queste, in effetti reali, che ci rubano però troppa attenzione in quanto irritano maggiormente la nostra ormai delicata cute di predicatori acritici di Pace.
Alberto Rosselli
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