La sfortunata missione di soccorso del dirigibile tedesco Zeppelin l-59 in Tanganika e il bombardamento di Napoli. Di Alberto Rosselli.

Il comandante Ludwig Bockholt .

La colonia del Tanganika tedesco nel 1914.

Il Tanganika (l’attuale Tanzania) era ed è una regione molto vasta (più estesa dell’Africa Orientale britannica) e varia sotto il profilo orografico. Poco prima dell’inizio del Primo Conflitto Mondiale, la popolazione del Tanganika era di 7 milioni 650 mila abitanti, in stragrande maggioranza neri, suddivisi in oltre 100 tribù, la metà delle quali vivevano della parte nord-occidentale della colonia (gli attuali Ruanda e Burundi). La presenza europea ammontava ad appena 5.336 unità, gran parte dei quali tedeschi. Oltre che agli indigeni e ai bianchi, nel possedimento tedesco – soprattutto lungo il litorale – vivevano anche 15/16.000 emigrati indiani (provenienti soprattutto dalla zona di Goa), diverse migliaia di arabi ed alcune centinaia di coloni boeri fuggiti dall’Africa australe dopo la sconfitta subita ai primi del Novecento ad opera dei britannici.

Mappa del Tanganika tedesco nel 1914.

         Nel 1914, i principali agglomerati urbani della Deutsch Ost-Afrika erano: Dar es-Salaam (la capitale del possedimento il cui nome in dialetto arabo significa “paradiso di pace”) situata sulle rive dell’Oceano Indiano, Bagamoyo, Tanga, Jassini, Lindi, Morogoro, Tuliani, Kondoa-Irangi, Korogwe, Dodoma, Tabora, Kigoma, Mwanza, Arusha, Majita, Bukoba, Bismarckburg, Mtopora e Songea.

Sotto il profilo militare, nel 1914, l’esercito tedesco posto a difesa del Tanganika era abbastanza numeroso e bene addestrato, pur trattandosi di un dispositivo più adatto al controllo del territorio e dell’ordine pubblico che non ad un impegno militare vero e proprio. Allo scoppio del Primo Conflitto Mondiale, l’organico delle forze coloniali o Schutztruppen era composto da 260 europei (di cui 68 ufficiali combattenti, sessanta sottufficiali, centotrentadue tra ufficiali medici e dell’intendenza e delle comunicazioni) e 2.286 ascari. Completavano il quadro i reparti della Gendarmeria, forti di 45 europei e 2.154 indigeni. Più dettagliatamente, in tempo di pace l’unità base delle Schutztruppen era la Feldkompanie (o compagnia da campo), formata da circa 160 uomini (16-20 dei quali ufficiali) che, in caso di mobilitazione, potevano raggiungere i 200 elementi. Ciascuna Feldkompanie era a sua volta suddivisa in tre Zuge (plotoni) di circa 60 uomini ciascuno, più un plotone di segnalatori (con bandiere ed eliografi) composto da 20 elementi.

Truppe coloniali ascare tedesche in Tanganika.

Nel maggio del ‘14, la piccola armata coloniale era ripartita su 14 Feldkompanien a presidio di 21 località: Subito dopo lo scoppio delle ostilità, il tenente colonnello Paul Emil von Lettow-Vorbeck, responsabile delle forze tedesche in Tanganika, riuscirà comunque a rinforzare l’organico del suo esercito arruolando altri 3.000 tra riservisti e civili abili, undicimila nativi, e portando in questo modo l’intera compagine a 21.955 uomini, compresi anche i non combattenti, cioè i medici, gli infermieri, gli addetti ai trasporti, alla sussistenza, ai servizi e ai telegrafi.

Le truppe ascare erano dotate di fucili Mauser modello 1871/84 Jagerbusche calibro 11 con caricatore tubolare da otto colpi, mentre parte di quelle europee disponevano, seppure in quantitativo limitato, dei più moderni Mauser Gewehr 98 da 7.92 millimetri con caricatore a cassetta da cinque colpi. L’arma degli ufficiali tedeschi era, oltre alla sciabola corta, la pistola Mauser 1896/12 calibro 7.63. Pur vantando ancora discreti requisiti balistici, i vecchi moschetti in dotazione agli ascari avevano il grave difetto di emettere al momento dello sparo una notevole quantità di fumo: inconveniente che rivelava al nemico la posizione dell’arma. I tedeschi potevano poi contare su 67 mitragliatrici di vario tipo: dalle moderne Maxim 1908 da 7.92 mm. a nastro e su treppiede alle vecchie e pesanti Gatling modello 1890 su affusto ruotato, con una scorta di munizioni piuttosto limitata. Completavano l’armamento alcune sezioni equipaggiate con rudimentali lanciarazzi a polvere pirica.

Ascari tedeschi.

Più dettagliatamente, ciascuna Feldkompanie disponeva di due mitragliatrici Maxim da 7.62 mm. e frequentemente di uno o due cannoni automatici leggeri e a tiro rapido da 37 mm. Ad ogni Feldkompanie erano assegnati permanentemente su circa 250 portatori indigeni.  Per quanto concerneva l’artiglieria, la compagine del colonnello Vorbeck poteva mettere in campo un modesto caravanserraglio composto da 59 pezzi da 37, 40, 47, 60, 65, 73 e 78 millimetri. di calibro, più qualche rudimentale lanciarazzi e alcuni cannoni in bronzo ad affusto rigido di modello molto antiquato.

Per quanto concerneva la Marina, nell’estate del ‘14 in Tanganika i tedeschi disponevano di un incrociatore leggero (il Königsberg, da 3.814 tonnellate di dislocamento) e di una nave coloniale (il Möwe), più qualche altra piccola unità minore, inclusa la cannoniera Eber. Alla vigilia della guerra, nella colonia si trovava un biplano ad elica spingente Otto (costruito dalla ditta Pfalz) impiegato inizialmente come aereo terrestre ed in seguito munito di galleggianti. Il mezzo era affidato al tenente Bruno Bucken, che fu l’unico difensore alato del possedimento.

***

Nell’estate del 1917, a Berlino un gruppo di alti ufficiali dell’esercito e dell’aviazione elaborarono, in assoluto segreto, una delle più incredibili missioni aeree di soccorso mai tentata nel corso della Prima Guerra Mondiale: inviare in soccorso dell’armata del colonnello Lettow Vorbeck un grosso dirigibile della famiglia Zeppelin carico di rifornimenti.

Il comandante in capo dell’esercito tedesco in Tanganika, il Colonnello Lettow Vorbeck.

         Utilizzati con relativo successo a partire dalla primavera del 1915 per bombardare la Gran Bretagna (il 21 maggio 1915, lo Zeppelin dell’hauptmann Karl Linnarz, aveva effettuato il primo attacco contro la capitale inglese) e alcune località chiave in territorio belga e francese, gli Zeppelin, costruiti negli stabilimenti Staaken, avevano dimostrato, nonostante i non infrequenti incendi dovuti al gas infiammabile contenuto nel loro involucro, di possedere una capacità di carico e autonomia tali da surclassare qualsiasi tipo di aereo dell’epoca. Senza considerare che nel 1917, i continui miglioramenti apportati dalla ditta tedesca all’aerostato, avevano consentito ai tecnici di approntare modelli sempre più affidabili, impiegandoli in lunghissime missioni di ricognizione, come ad esempio nel Mare del Nord.

Un dirigibile tedesco Zeppelin.

         Fu quindi per questa ragione che le alte sfere dell’Ammiragliato tedesco ritennero verosimile che uno Zeppelin avrebbero potuto essere trasformato in una nave volante da carico in grado – proprio in virtù della sua sterminata autonomia – di raggiungere l’Africa Orientale. Interpellati, i tecnici della ditta non ebbero esitazioni nel confermare che tale operazione, almeno in via teorica, sarebbe stata senz’altro possibile, anche perché i nuovi Zeppelin modello 1917 erano ormai in grado di coprire distanze di circa 6.500 chilometri con oltre 40 tonnellate di carico utile. Per cercare di risolvere gli innumerevoli problemi tecnici legati ad un volo così impegnativo ed incrementarne i margini di sicurezza e di carico, la ditta si mise al lavoro su un esemplare già allestito (l’aeronave LZ 57) aumentandone ulteriormente le dimensioni con l’aggiunta di due compartimenti di gas da 15 metri ciascuno (da 196,5 metri la lunghezza dell’involucro fu portata a 226,5 metri con una cubatura totale di 68.500 m.c.) e dando al mezzo il nuovo nominativo L 59.

La rotta dello Zeppelin L59.

         Prevedendo una missione senza ritorno (una volta giunta in Africa l’aeronave vi sarebbe rimasta), la ditta modificò anche parte dello scheletro del dirigibile in modo che, una volta giunto a destinazione, esso potesse essere smontato e “cannibalizzato” per svariati scopi. In particolare, l’intera intelaiatura venne studiata in modo da ricavare da essa listelli di alluminio utili per costruire tende e barelle che sarebbero state confezionate con la stessa tela (una robusta mussolina) dell’involucro. Anche i motori e tutte le apparecchiature (radio ed antenna compresa) della cabina comando vennero assemblati in modo tale da potere essere facilmente smontati per ricavare generatori di corrente, impianti di illuminazione e altre apparecchiature.

L’equipaggio dell’L59.

         Il nuovo Zeppelin L 59, che entrò in servizio il 25 ottobre 1917, era dotato di quattro motori da 260 cavalli ciascuno, in grado di imprimere al mezzo una velocità massima di 103 chilometri l’ora. L’aeronave aveva un’autonomia, in assenza di turbolenze, di circa 7.000 chilometri: la distanza che separava il campo base prescelto di Jambol (Bulgaria) da Mahenge (Tanganika), dove nell’ottobre del ‘17 il Comando di Berlino pensava che si trovasse il più consistente raggruppamento dell’esercito del colonnello Lettow Vorbeck. Complessivamente, la tratta avrebbe comportato dalle 108 alle 110 ore di volo.

L’Ammiragliato tedesco, preoccupato di non sguarnire il suo parco “assi”, decise di affidare l’LZ 59 e l’importante missione, chiamata in codice “China Matter”, al tenente capitano Ludwig Bockholt, un buon ufficiale che tuttavia non vantava una lunga esperienza.

Uno Zeppelin (riproduzione).

         Dopo avere effettuato due voli di prova, il primo, il 26 settembre, e il secondo (dagli esiti disastrosi in quanto Bockholt volle decollare con una tempesta in arrivo: decisione che portò l’aeronave alla distruzione) il 7 ottobre, l’ufficiale si disse pronto per il trasferimento dalla base di Juterborg (situata 80 chilometri a sud di Berlino) a Jambol, località che il 4 novembre venne raggiunta dopo un volo di 28 ore. Undici giorni dopo, dopo avere fatto accatastare sull’aeronave il materiale destinato a Lettow Vorbeck (311.000 cartucce per fucile, 70.500 per mitragliatrici, 30 mitragliatrici Maxim con 9 canne di riserva, 61 sacchi di medicinali più alcune tonnellate di cibo in scatola, attrezzi, binocoli, machete, posta e un completo impianto radio) Bockholt fece un primo tentativo di decollo alla volta del Tanganika, ma avendo incontrato un’area anticiclonica con forti correnti d’aria ascensionali, egli fu costretto a rientrare. Il 16 novembre, Bockholt tentò nuovamente, ma quando l’aeronave giunse sulla Turchia occidentale incappò in un forte temporale che la obbligò a fare nuovamente rientro a Jambol. Finalmente, alle 8,30 del 21 novembre 1917, nonostante le non ottime condizioni atmosferiche, l’L 59 riuscì a partire e ad entrare in quota, proseguendo spedito verso sud. Sorvolata Adrianopoli, il dirigibile raggiunse la costa anatolica, seguendo dall’alto la linea ferroviaria che univa Costantinopoli a Smirne. La navigazione andò avanti senza problemi tra Rodi e la punta orientale dell’isola di Creta, ma giunto a metà del tratto di mare che separa quest’isola dalla costa egiziana, lo Zeppelin venne investito da un temporale. L’aeronave si adornò di fuochi di sant’Elmo, ma riuscì a superare la tempesta guadagnando, alle 5.18 del 22 novembre, la costa nordafricana all’altezza di Sollum.      Durante il fortunale, Bockholt aveva fatto rientrare la lunga antenna radio e per questa ragione non aveva potuto captare un importante messaggio inviato nel frattempo dal Comando di Berlino, attraverso la stazione di Jambol. Il comunicato ordinava l’immediato rientro del mezzo alla base. Secondo le informazioni (assolutamente errate) raccolte dal Comando tedesco, le forze di Lettow Vorbeck erano state definitivamente sconfitte dagli inglesi per cui non vi era più alcuna ragione per portare a compimento la missione “China Matter”. I marconisti di Jambol tentarono più volte di mettersi in contatto con l’L 59, ma non ci riuscirono, perciò suggerirono a Berlino di utilizzare la potente stazione di Nauen, situata il Germania orientale. Per tutta la notte del 21 novembre, gli operatori di Nauen tentarono di contattare lo Zeppelin, ma senza alcun risultato. Nel frattempo, l’ignaro Bockholt procedeva nella sua navigazione, affrontando le distese del deserto egiziano, dove la turbolenza atmosferica causata dall’inteso calore della sabbia rovente provocò all’aeronave forti oscillazioni e beccheggi, causando un forte mal d’aria a  tutti i 22 navigati membri dell’equipaggio.

Un gigantesco hangar tedesco per il ricovero degli Zeppelin.

         Comunque sia, lo Zeppelin proseguì il suo viaggio sorvolando alle 12.30 l’oasi di Farafra e alle 15.30 quella di Dakhla; quindi puntando su Wadi Halfa, località bagnata dal Nilo. Improvvisamente, alle 16.20, uno dei quattro propulsori iniziò ad accusare delle noie per la rottura del supporto del riduttore di velocità, bloccandosi poco dopo. L’esclusione del propulsore fece venire meno la possibilità di trasmettere con la radio che da quel momento poté solo ricevere. Bockholt non si perse comunque d’animo e dopo avere sorvolato Wadi Halfa, puntò a sud fino a raggiungere quasi l’altezza di Khartum. E fu a questo punto (alle 00.45 del 23 novembre) che finalmente la stazione di Nauen riuscì a mettersi in contatto con l’aeronave, orinandone  il  rientro alla base. E fu così che, a causa di una falsa informazione, la missione di soccorso venne interrotta praticamente a metà strada, impedendo il recapito di un prezioso quantitativo di rifornimenti. Inutile aggiungere che, se lo Zeppelin avesse raggiunto (come era ormai probabile) il Tanganika, gli effetti psicologici sulle stanche truppe di Vorbeck si sarebbero rivelati importantissimi. Al di là dei soccorsi ricevuti, la consapevolezza di non essere stati abbandonati dalla madrepatria, avrebbe indubbiamente galvanizzato il piccolo esercito del colonnello, inducendolo a continuare la sua lotta.

         Per la cronaca, l’L 59 iniziò la sua manovra di rientro pochi minuti dopo il ricevimento del messaggio di Nauen, facendo felicemente ritorno a Jambol alle 07.40 del 25 novembre 1917, dopo avere percorso 6.757 chilometri in 95 ore e con ancora una scorta di carburante per altre 64: quantitativo più che sufficiente per raggiungere l’altipiano di Mahenge.

Ma per l ’L 59 non si trattò dell’ultima missione. Il grande dirigibile verrà in seguito adoperato per altre due operazioni a grande raggio. Dopo avere accantonato una missione di avio rifornimento dell’isolata guarnigione turca dello Yemen (missione ritenuta troppo rischiosa a causa delle condizioni climatiche estreme e dell’impervia orografia di questa regione), il Comando tedesco volle utilizzare il mezzo per colpire la città di Napoli.  Nella notte fra il 10 e l’11 marzo del 1918, L 59, decollato nuovamente da Janbol, giunse indisturbato sulla direttrice della città ad un’altitudine di circa 4.800 metri. Procedendo con i motori a basso regime e ad una velocità di appena 70 chilometri all’ora, il dirigibile tedesco scaricò 6.400 chilogrammi di bombe sul porto, sugli impianti lva di Bagnoli e sui cantieri Armstrong di Pozzuoli. Tuttavia, a causa di un lieve errore di rotta, diversi ordigni colpirono la zona dei Granili, poi i Quartieri spagnoli e Piazza Municipio, quindi il Corso Vittorio Emanuele ed infine Posillipo, causando danni alle abitazioni, morti e feriti. L’59 rientrò indenne alla sua base e un mese dopo ripartì per la sua ultima, sfortunata missione che aveva lo scopo di distruggere l’arsenale della base navale inglese di Malta: obiettivo che non raggiungerà mai a causa di uno spaventoso incidente. Secondo la testimonianza del capitano Robert Sprenger che, al comando del suo U-boot 53 (Type UB III) proveniente dalla base austriaca di Cattaro, stava navigando in emersione nel canale di Otranto: “osservammo a pochi chilometri di distanza e ad un’altitudine di circa 250 metri, un enorme dirigibile. Il mezzo, in evidente difficoltà, iniziò ad effettuare al cune disordinate manovre”. Sprenger e i suoi uomini riferirono che, a causa di due forti esplosioni, l’aeronave si trasformò in una palla di fuoco precipitando in mare, e dell’intero equipaggio non sopravvisse nessuno.

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Sitografia: https://napoli.corriere.it

Un testo per approfondire le vicende dell’esercito tedesco in Tanganika, dal 1914 al 1918.

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