Troppo tardi è arrivato il tempo delle riflessioni e purtroppo sono andate smarrite molte “memorie” che oggi potrebbero aiutarci ad affrontare con uno spirito diverso almeno qualcuna delle emergenze sociali che affliggono la collettività. La memoria che qui trascrivo integralmente l’ho chiesta io stessa al professor Armando Fossati, già preside di uno storico istituto genovese, con il quale, una quindicina d’anni fa, ebbi modo di organizzare tre importanti convegni per cercare di contrastare la preoccupante deriva che da qualche decennio aveva travolto il sistema educativo italiano, un tempo solido e già oggetto di ammirazione da parte di stati esteri. A colpirmi in modo particolare fu il racconto della sua prima esperienza di docente presso la Garaventa, la famosa nave scuola che fino agli anni Settanta del secolo scorso funzionò come spauracchio a servizio dei genitori alle prese con figli particolarmente discoli. Questo poiché nei miei ricordi di giovane funzionaria presso l’assessorato Istituzioni Scolastiche del Comune avevo avuto modo di seguire, sia pure non in prima persona, la fine di quell’originale esperienza educativa voluta da Nicolò Garaventa, l’educatore e filantropo genovese che nel 1883 s’inventò un metodo assai originale per sottrarre alla strada e alla criminalità quella moltitudine di bambini e ragazzi sbandati, spesso già dediti al crimine che certamente abbondavano nella Genova di fine Ottocento e in quella dei decenni successivi, contrassegnati da due rovinose guerre mondiali. La parola d’ordine dei nuovi politici che da pochi anni amministravano la città era quella di porre fine, una volta per tutte, all’autoritarismo e al paternalismo che erano ancora forti nella società di quel tempo. In ambito educativo, com’era naturale, tra gli obiettivi da centrare e distruggere il più rapidamente possibile, oltre ai collegi retti da religiosi, c’era la nave Redenzione dove bambini e adolescenti vittime della società e quindi bisognosi di amorevoli cure erano invece sottoposti alla durezza della vita militare. Per quanto amante delle tradizioni e attratta da quell’aurea di romanticismo che esercitavano su di me le belle immagini dei giovanissimi garaventini in divisa militare, al tempo non potevo non convenire con la necessità di porre fine alla brutalità di simili sistemi. Ad attrarre la mia attenzione fu quanto egli ebbe a dirmi sulla vita adulta di quelli che erano stati allievi della famigerata nave scuola: il 70, a volte il 75 per cento di essi avevano avuto una vita assolutamente normale e, qualche volta, anche contrassegnata dal successo, unicamente grazie al mestiere che avevano imparato a bordo e all’acquisita capacità di dominare gli istinti bellicosi, per non dire criminali. Si erano creata una famiglia e, cosa ancor più sorprendente, avevano contratto l’abitudine di organizzare un raduno annuale dei reduci della nave “Redenzione”, ricordando con fierezza non disgiunta da un filo di nostalgia il tempo andato. Inevitabile, con il trascorrere dei decenni, il confronto con gli “amorevoli” metodi educavi introdotti dai nuovi pedagogisti che nel 1977, assieme al concetto di autorità, posero fine all’esperienza della Garaventa. Questo perché alla fine sono sempre i risultati a segnare la differenza e sancire un successo o un fallimento.
Un ‘garaventino’ al timone della nave.
La preziosa ‘memoria’ del professor Armando Fossati.
La Garaventa è sempre stata un’istituzione molto conosciuta in Liguria, e, per un certo periodo, perfino imitata in Italia e all’estero. Fu fondata con la finalità di ricuperare e rieducare adolescenti e giovani abbandonati o sbandati (e, in certi casi, perfino autori di veri e propri reati), secondo i principi di una rigorosa disciplina militare e marinara. Lo studio, il lavoro ma soprattutto una ferrea disciplina, erano considerati come “la chiave” giusta per il loro recupero. Nel periodo in cui lavorai come Docente all’interno di quell’Istituzione, la Sede della Garaventa si trovava in Porto, al Molo Vecchio, ed i locali scolastici erano ubicati in parte su un’ex nave militare, (la sua Sede principale), messa a disposizione dalla Marina militare, e in parte all’interno di un edificio dell’ex lavanderia della Società di Navigazione “Italia”.
Il Personale educatore era costituito da un Comandante e da un certo numero di ufficiali, che indossavano la divisa militare della Marina. Gli allievi, durante la giornata, portavano invece la divisa da lavoro; solo nelle occasioni importanti indossavano la divisa da marinai. In quest’ultimo caso uscivano dalla loro sede, guidati dagli Ufficiali, per presenziare, spesso con la loro banda musicale, a manifestazioni civili o a solenni ricorrenze religiose.
Il Personale scolastico era impegnato all’interno dell’Istituzione, ma soltanto durante il periodo scolastico, in base all’orario delle lezioni e delle riunioni previste dal servizio.
Gli allievi vivevano prevalentemente le loro giornate a bordo della nave; la loro vita era disciplinata sulla base di un vero e proprio regolamento militare. Svolgevano varie attività connesse con la vita di bordo; praticavano attività sportive (voga, vela), badavano alla manutenzione della nave, o suonavano nella banda o ancora potevano svolgere lavori d’officina, in modo da non risultare mai disoccupati; non potevano però uscire dall’Istituzione se non con permessi personali o autorizzazioni specifiche. Gli allievi inoltre erano tenuti, secondo la situazione scolastica del singolo, a frequentare, nelle ore della mattina, le classi di scuola elementare o di scuola media, funzionanti all’interno della Nave Scuola. Alcuni alunni, iscritti alle Scuole Superiori, erano però autorizzati ad uscire dall’Istituzione per recarsi negli Istituti della città. Molti di loro frequentarono l’Istituto Nautico e furono poi avviati alla vita di bordo, con successo.
All’interno dell’Istituzione inoltre erano periodicamente presenti un’equipe di Medici e di Psicologi ed un sacerdote: uno di questi fu don Gallo.
La mia prima esperienza di Docente all’interno dell’Istituzione non fu facile: mi trovai infatti a dover affrontare una scolaresca di 46 garaventini, in un locale molto vasto. Confesso che, sulle prime, ne restai sgomento, non solo per il numero di allievi, ma anche perché gli allievi erano di età molto diversa, dai dieci ai diciassette anni. In quell’occasione mi resi conto che tutto ciò che avevo imparato sulla scuola attraverso la mia esperienza di allievo e poi, durante gli studi universitari, non poteva essermi di grande aiuto. Da questa esperienza, e da altre difficoltà incontrate successivamente, ho imparato un principio molto importante: l’insegnamento, per risultare veramente efficace, non può essere “calato” sugli allievi in base ad un modello astratto e preordinato, ma deve essere rimodulato sull’analisi e sull’individuazione della realtà effettiva della classe: gli obiettivi della scuola debbono restare prefissati, ma il metodo e il percorso da seguire per raggiungerli può e deve essere diverso, a seconda del gruppo di allievi che costituiscono la classe.
A conferma di questo mi preme ricordare un episodio di vita scolastica che ha contribuito fortemente alla mia formazione di Docente: tra i ragazzi della seconda media avevo un alunno piuttosto vivace, che spesso interrompeva le lezioni, chiacchierava, disturbava i compagni e faceva dispetti continuamente. In uno dei miei primi giorni di insegnamento, esasperato dal suo comportamento, lo cacciai fuori della classe. Questo del resto era l’unico tipo di provvedimento che conoscevo assai bene sulla base della mia esperienza di alunno. Che altro potevo fare? Dopo pochi minuti però un ufficiale lo riaccompagnò in aula, senza dirmi una parola. In realtà ebbi modo di notare, dal volto del ragazzo, che il mio allontanamento dell’alunno non era rimasto senza conseguenze. Soprattutto però mi colpì il messaggio silenzioso, che lessi sul volto dell’Ufficiale. Da quel momento decisi che non avrei mai più cacciato un alunno fuori dall’aula; e negli anni mantenni sempre la mia promessa.
Il controllo sugli allievi era abbastanza rigido; tuttavia capitava che un alunno, un po’ più intraprendente degli altri, provasse a fuggire, mal sopportando il rigore della vita di comunità; la fuga tuttavia era molto breve e l’allievo immancabilmente veniva ricondotto a bordo. Per il fuggitivo non era prevista alcuna ulteriore punizione, perché l’umiliazione per essere ripreso e ricondotto a bordo era considerata già di per sé una pena sufficiente.
Il rapporto tra il Personale interno dell’Istituzione e i Docenti assegnati alla Scuola non era sempre facile: gli Ufficiali dovevano mettere in atto le regole interne e richiedere da parte dei Docenti una certa conformità ai metodi dell’Istituzione, pur senza imporci nulla di preciso. Davano semplicemente per scontato che, da parte nostra, ci si adeguasse alle regole, dimostrando così agli allievi una compattezza di intenti da parte di tutto il Personale con cui dovevano rapportarsi. Per questo motivo la posizione dei Docenti risultava più complicata del solito: si trattava infatti di interpretare un ruolo ben diverso da quello che normalmente spetta ai Docenti delle scuole “normali”. Ogni ora di lezione infatti doveva tradursi in uno sforzo per conciliare la propria libertà di insegnamento con le regole dell’Istituzione, senza suscitare mai nell’allievo il dubbio che potesse esistere un contrasto o una contraddizione tra l’Istituzione e il Personale della Scuola. In caso contrario un diverso comportamento avrebbe minato alla base l’azione educativa della Garaventa.
Si è discusso molto sul sistema educativo della Nave Scuola, specialmente nell’ultima fase della sua attività, dal 1957 al 1975, quando il Comandante era il sig. Carlo Peirano. Si diceva che ormai la Garaventa non era più in linea con i principi ed i metodi educativi moderni. Si criticavano poi la convivenza in un unico ambiente di allievi di età molto diverse (dai 10 ai 17 anni), la promiscuità di allievi “sbandati” e di allievi semplicemente orfani o abbandonati, per vari motivi, dai genitori. E poi ancora il rigore eccessivo del Regolamento, che costringeva gli allievi ad una vita sacrificata e, secondo i critici, fuori dal tempo. E questi sicuramente furono motivi che contribuirono alla chiusura dell’attività svolta dall’Istituzione, nel 1977, nonostante la strenua difesa da parte dell’ultimo comandante, il sig. Carlo Peirano, una figura di uomo che visse l’intera sua vita per l’Istituzione, e che dovette subirne amaramente la chiusura.
A mio giudizio però non vanno dimenticati alcuni motivi che, al di là delle critiche, hanno messo in luce la positività del sistema: prima di tutto la percentuale degli allievi recuperati che, secondo alcuni studiosi, poteva essere calcolata intorno al 70%. Poi si segnalano le visite di ex garaventini, ormai adulti e perfino di successo, che tornavano a ringraziare l’Istituzione ed a parlare agli allievi. E poi, ancora, il comportamento di molti Ufficiali educatori, che sapevano accostarsi positivamente agli allievi più piccoli, (e quindi più fragili perché, in molti casi, abbandonati), sostenendoli nei momenti di sconforto. Ma ciò che maggiormente mi è sembrato positivo è stata l’insistenza con cui la Nave Scuola ha cercato di infondere negli allievi, attraverso la disciplina, lo studio e il lavoro, alcuni valori importanti: si trattava di vere e proprie linee guida per il loro futuro, come l’educazione alla vita di comunità, il rispetto per gli altri, la lealtà, l’impegno nello studio e nel lavoro e l’assunzione di responsabilità, intesi come obiettivi di riscatto e di realizzazione personale.
Dopo cinque anni ho lasciato la Garaventa, pur rimanendo sempre nell’ambiente della Scuola. Quell’esperienza, comunque, affrontata avventurosamente nei primi miei anni di insegnamento, per me, che ancora ero ben poco esperto del processo educativo, è stata un’occasione di crescita, perché mi ha trasmesso un’impronta che è diventata il fondamento didattico del mio lavoro successivo: ogni alunno è un individuo unico, con caratteristiche sue proprie che, all’interno della classe, vanno individuate e delineate con la massima precisione possibile, se si desidera veramente far emergere tutte le potenzialità del soggetto da educare. In particolare infine quei cinque anni mi hanno impresso nella mente e nell’anima una grande attenzione per i “ragazzi difficili”, che nella scuola di oggi, come in quella di ieri, non mancano mai.
Per notizie più approfondite sulla “Garaventa”::
- Il volume “La Nave scuola Garaventa: una scuola di vita”: di Carlo Peirano ed Emilia Garaventa Cazzulo, ed. De Ferrari.
Informazioni su Internet:
l’articolo di Stefano Lentini, “Per te ci vuole la Garaventa!”: Esperienze di Educazione per il recupero sociale di minori a Genova (1883 – 1977).
Emilia Garaventa Cazzulo, “L’esperienza della Nave Scuola Garaventa: dagli anziani un modello di vita per i giovani” (10 Ottobre 2010).
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