Tradizione vuole che al popolo italiano qualche entità misteriosa e potente abbia sempre voluto fare credere che il Presidente della Repubblica fosse un incarico sì nobile, ma di mera rappresentanza e sostanzialmente notarile. Insomma, di non poco conto. Quando fu redatta la Costituzione per la Repubblica, nata sulle rovine di una guerra tragicamente persa, l’analfabetismo ‘politico’ di massa era ancora troppo diffuso; ragion per cui i ‘padri costituenti’decisero che fosse più prudente non fidarsi troppo del voto dei cittadini, ai quali fu appunto concessa una sovranità limitata. Questa soluzione garantì ai soli membri del Parlamento l’onere e l’onore di eleggere il Capo dello Stato (si dovettero attendere 20 anni per concedere tale privilegio anche ai rappresentanti delle Regioni). Detto questo, fino a quando i partiti mantennero compattezza e forza, il ruolo di Presidente venne ricoperto – come Costituzione vuole – con una certa discrezione, o meglio, con un necessario ed apparentemente sobrio distacco dalla bagarre politica. Tale frangente durò fino agli anni Ottanta, quando con l’ascesa del socialista populista Sandro Pertini qualcosa iniziò a cambiare, e in peggio. La costante intromissione nelle questioni politiche esercitata dal Presidente ‘partigiano’ (come ci rammenta in una sua canzonetta nazional-populista-buonista il cantautore Toto Cotugno) e il suo presenzialismo teatrale e demagogico del Presidente (ricordiamo lo show di ‘nonno’ Pertini in occasione della tragedia cunicolare di Vermicino del giugno 1981), iniziarono a fare meditare i più accorti. Alcune forze politiche (dal MSI di Giorgio Almirante al PSI di Bettino Craxi) avvertirono la necessità di un cambiamento, e nei loro programmi si iniziò a parlare dell’opportunità di un’elezione diretta del Capo dello Stato. Successivamente, la presidenza di Francesco Cossiga si incanalò, almeno in un primo tempo, lungo il solco tradizionale, salvo poi esplodere, nell’ultimo periodo, nelle famose ‘esternazioni’, tanto da indurre l’estrema sinistra a richiedere addirittura l’impeachment e comunque a costringere il Presidente sardo a dare le dimissioni a sei mesi dalla scadenza del suo mandato. Una decisione che, buona o cattiva che fosse, mise il Parlamento e il Paese in seria difficoltà. Poi, la ‘bomba’ che a Palermo fece a pezzi il Procuratore antimafia Giovanni Falcone fece il resto, dando uno scrollone al Parlamento e aprendo la strada del Quirinale ad Oscar Luigi Scalfaro, leguleio democristiano dal passato, come vedremo, piuttosto imbarazzante. Sulle prime, si disse che Scalfaro era di certo un galantuomo, anzi, un ‘quasi santo’. Stravagante giudizio visti i suoi trascorsi più che discutibili (in un’afosa serata degli anni Cinquanta, in un ristorante romano, il pensoso ed integerrimo Oscar pensò bene di schiaffeggiare una signora che si era concessa una modesta scollatura d’abito. La biografia di Oscar Luigi Scalfaro meriterebbe un libro. Essa ebbe inizio non con reprimende nei confronti di scollature femminili bensì con ben otto condanne a morte comminate dal Nostro allorquando, nel 1945, vestiva la toga da magistrato in quel di Novara. Era il tempo della ‘liberazione’, ma anche quello delle supreme vendette, ed il ‘galantuomo’ Oscar non si sottrasse nel dispensare, sempre con elevato spirito cattolico, ovviamente, ‘giuste condanne ai biechi fascisti d’Italia’. Sette delle sue condanne furono eseguite e, soltanto per caso, non venne portata a compimento l’ottava. Ma a questo proposito, riportiamo lo stralcio di un articolo pubblicato nel 1995 da Paolo Pisanò, e mai contestato da chicchessia.
“….Ecco infatti le tappe salienti della carriera del magistrato Scalfaro, ricostruite in base ai fatti certi che siamo in grado di documentare. Nel 1943, durante il fascismo, il futuro presidente della Repubblica entra in magistratura.
1° Maggio 1945: Lungi dall’essere “sbalzato” in Corte d’Assise suo malgrado, Oscar luigi Scalfaro assume volontariamente la carica (politica, lottizzata dal CNL locale) ,di vicepresidente del “tribunale del popolo”di Novara.
13 Giugno 1945: Sostituiti i “tribunali del popolo con le CAS” Corti d’Assise Straordinarie”, nell’opera di pulizia antifascista, Oscar Luigi Scalfaro passa a fare il Pubblico Ministero preso la CAS di Novara, e sostiene con altri due colleghi, l’accusa nel processo contro Enrico Vezzolini, soldato valoroso e pluridecorato, fascista integerrimo e fedele fino all’estremo ai suoi ideali, già capo della Provincia di Novara durante la RSI. Basti pensare che durante il clima di linciaggio di quei giorni, il cronista della “Voce del Popolo” di Novara, il 14 giugno 1945, tratteggia la figura di Vezzolini mescolando alla faziosità più scontata anche queste annotazioni: …è’ un lottatore fortissimo … Ha un ingegno superiore alla media … non è un cieco sanguinario, non un manigoldo , non un losco..Supera tutti i suoi per innegabili qualità personali ..Era un tribuno avvincente e un profondo conoscitore delle passioni popolari :nessuno dimenticherà infatti gli applausi riscossi in un teatro cittadino con un’ astuta tirata contro gli industriali …”
15 e 28 Giugno 1945: L’ufficio del pubblico ministero ottiene la condanna a morte di Enrico Vezzolini e di altri cinque fascisti :Arturo Missiato,Domenico Ricci,Salvatore Santoro,Giovanni Zeno e Raffaele Infante .Condanne eseguite all’alba del 23 settembre 1945.Il cronista del “La Voce del Popolo”annota :”Vezzolini non smentì se stesso fino all’ultimo”. A questo punto ,Oscar Luigi scalfaro ha già chiesto o contribuito a chiedere e ottenere la condanna di almeno 6 persone .
18 luglio 1945: Settima vittoria dell’accusa antifascista a No: il Pubblico ministero chiede ed ottiene la morte di Giovanni Pompa , 42 anni, già appartenente alla Guardia nazionale Repubbli8cana.Sentenza eseguita il 21 ottobre 1945.
12 Dicembre 1945: Sono trascorsi quasi 8 mesi dalla”Lliberazione”, ma la sete di “ giustizia” capitale in Oscar luigi Scalfaro, che pure ha già visto scorrere il sangue della vendetta politica , no si è placato: lo zelante magistrato chiede ed ottiene la condanna di un ottavo fascista, Salvatore Zurlo. Dal “ Corriere di Novara” del 19 dicembre 1945:”Il PM Scalfaro parla con vigoria ed efficacia che lo fanno ascoltare senza impazienza dal pubblico che partecipa alle considerazioni dell’egregio magistrato con frequenti assensi. Il PM,dopo la chiarissima requisitoria conclude domandando l pena di morte per o Zurlo, e il pubblico esprime la sua approvazione e con sentimento “ .
E questo , che strappa perfino l’applauso a un pubblico ancora inebriato di morte , sarebbe il giovane magistrato pieno di dubbi e di tormenti “sbalzato in Corte d’Assise suo malgrado“, come vorrebbe farci credere l’icona presidenziale cinquant’anni dopo ?
L’unica verità del quadretto postumo, è che di li a poco , il ripristino della legalità vera , consentì un processo d’appello e che la sentenza di morte contro lo Zurlo (non la prima e l’ultima, ma l’ottava), almeno di quelli che siamo in grado di confermare a dispetto delle lacune delle fonti dopo mezzo secolo ) fu annullata.
2 Giugno 1946: Almeno otto condanne a morte ottenute, sette eseguite nell’arco di otto mesi, costituiscono per un pubblico accusatore agli esordi un successo superiore alle possibilità di carriera offerte da un tribunale di provincia. Oscar Luigi Scalfaro, brillante inquisitore da “tribunale del popolo” si è ormai messo in luce abbastanza per tentare le vie della politica…”.
Giunto a Roma, sull’onda delle otto condanne di morte ottenute e, senza mai togliersi la toga e rinunciare alle relative prebende, il giovane Saint Just novarese – prima in veste di deputato della Costituente e poi del Parlamento fece rapida carriera, fino a garantirsi l’elezione alle più alte cariche, come quella di ministro degli Interni, con il governo Craxi, quella di Presidente della Camera ed infine di Presidente della Repubblica. Il suo settennato rappresentò – per disgrazia del nostro Paese – il consolidamento del potere presidenziale, non, ovviamente, su mandato popolare, ma su quello di pochi. Scalfaro fu astuto e determinante nel ‘fare politica’ all’ombra del Quirinale, e non si sarebbe potuto comportare diversamente dati i suoi trascorsi di magistrato e la sua ormai lunga esperienza politica e parlamentare maturata nel partito di maggioranza, seppur relativa, del Paese. La sua dirittura morale non gli consentì forse amicizie sincere e riconoscenze particolari, ma il suo credo politico gli permise di compiere nefandezze e giravolte da brivido. Dimenticati i molti favori ricevuti da Craxi (rammentiamo quei 100 milioni mensili del SISDE di cui beneficiò quando era stato agli Interni, e di cui non volle mai rendere conto agli italiani con la famosa frase “non ci sto!”), prese a dare mazzate all’ormai compromesso e agonizzante Partito Socialista e, soprattutto, ad opporsi con forza al volere del popolo. Allorquando, con il referendum Giannini Segni, gli italiani si espressero a larghissima maggioranza per il maggioritario secco, Oscar permise l’introduzione del 25 % di proporzionale per salvaguardare la ‘casta’ politica alla quale apparteneva, ed ingabbiò l’informazione elettorale suggerendo la famosa par condicio : trappola tesa all’odiatissimo Silvio Berlusconi, gettatosi nell’arena politica, e alle sue emittenti. La successiva vittoria elettorale di Berlusconi (che fece a pezzi la ‘gioiosa macchina da guerra’ del povero Achille Occhetto) fece cadere in depressione l’Oscar nazionale che, tuttavia, restò bene aggrappato alla sua poltrona. Si sa: si deve sempre tenere duro se si nutrono sacri principi, come quello di ordire trame sotterranee ai danni del lecito vincitore delle elezioni. Non a caso, il Presidente ‘galantuomo’, dopo avere costretto in panchina una personalità del valore di Gian Franco Miglio, apparecchiò, grazie anche alle fesserie della Lega, l’infanticidio del neonato governo Berlusconi, e aprendo la via ai vari governicchi Dini, Prodi, D’Alema. Nel 1999, terminato il suo settennato, l’ormai inossidabile, ma mai domo Oscar Luigi Scalfaro non smise tuttavia di brigare, complice della Sinistra, nelle ombrose sale del Senato, fino a riuscire a fare affossare il referendum sulla sacrosanta e necessaria proposta di riforma costituzionale, che prevedeva, tra le altre cose, la riduzione di deputati e senatori. Poi, soddisfatto dei disastri compiuti, iniziò ad appisolarsi sui suoi ricordi, rimpiangendo i fasti della prima Repubblica, e soprattutto i benefici che quest’ultima gli elargì con tanta generosità.
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