Nagorno Karabakh: su una guerra infinita l’ombra di un nuovo genocidio (parte 2). Di Emanuele Aliprandi.

Mappa del conflitto.

La drammatica situazione che sta vivendo il Nagorno Karabakh-Artsakh e che abbiamo descritto in un precedente intervento ( vedi: https://www.storiaverita.org/2023/09/05/nagorno-karabakh-su-una-guerra-infinita-lombra-di-un-nuovo-genocidio-prima-parte-di-emanuele-aliprandi) è frutto di giochi internazionali di potere che risentono inevitabilmente del conflitto in corso in Ucraina. L’Azerbaigian, uscito nettamente vincitore dal conflitto che aveva scatenato nel 2020,[1] invece di adoperarsi per una politica di costruzione di fiducia con la popolazione armena della regione ha inasprito lo scontro e rivolto le proprie rivendicazioni anche alla repubblica di Armenia che a più riprese (maggio e novembre 2021, settembre 2022) è stata parzialmente occupata.

La politica di Baku si è sostanzialmente basata su tre principali obiettivi:

  1. procedere a un progressivo svuotamento della popolazione armena del Nagorno Karabakh in modo da prendere possesso della parte residuale della regione senza doversi occupare della gestione del rapporto con la comunità armena locale;
  2. creare una zona cuscinetto al confine con l’Armenia sia in funzione difensiva sia in termini offensivi (controllando il territorio sottostante la linea spartiacque nonché le principali strade di comunicazione dell’Armenia);
  3. puntare a un collegamento diretto tra l’exclave della repubblica autonoma del Nakhjivan e il resto dell’Azerbaigian e quindi creare un ponte con la Turchia.

Tutti gli eventi che si sono sviluppati in questi tre anni dalla fine dell’ultima guerra conducono ai tre punti indicati.

La retorica anti-armena non è mai cessata nonostante diversi incontri ad alto livello con il premier Pashinyan e negoziati su più tavoli (quello russo e quello dell’Unione europea). Invero, Aliyev ha necessità di alimentare la narrazione di un nemico esterno per consolidare il suo potere interno[2] e sembra non preoccuparsi più di tanto delle sollecitazioni che provengono dalla politica internazionale. Ne ha ben ragione. Mai come ora l’Azerbaigian gode di una posizione privilegiata sullo scacchiere internazionale.

Un camion russo carico di materiale sanitario a Stepanakert, la capitale dell’Artsakh.

Ventiquattro ore prima che il presidente russo Putin riconoscesse ufficialmente le repubbliche di Donetsk e Lugansk (e si innescasse il conflitto ucraino), il presidente azero veniva convocato a Mosca dove sottoscriveva un importante accordo onnicomprensivo di cooperazione e amicizia tra Russia e Azerbaigian rinforzando come mai era avvenuto in passato i legami esistenti fra i due Paesi. Di fatto, Putin si guadagnava se non l’amicizia quanto meno la neutralità del partner.[3] Il quale, nel frattempo, flirtava con l’Unione europea a tal punto che la presidente Von der Leyen non aveva dubbi nel qualificare lo Stato azero come “partner affidabile” chiudendo un occhio, anzi due, sulla disastrosa mancanza di democrazia a Baku e sulle intese sottobanco con Mosca.[4] La politica “ondivaga” di Aliyev gli ha permesso di giocare su più tavoli, un po’ come il collega Erdogan con la Turchia membro della Nato ma che non applica sanzioni alla Russia e tiene un canale privilegiato con Mosca. E soprattutto ha permesso all’Azerbaigian di impostare la propria azione politica e militare nel Caucaso meridionale a proprio piacimento.

Artiglieria pesante in azione.

Con la Russia distratta (e indebolita) dalla guerra in Ucraina, con un’Armenia la cui leadership dimostrava sempre più insofferenza verso Mosca,[5] con l’appoggio sempre indispensabile della Turchia a sua volta in contatto con la Russia, Aliyev ha avuto gioco facile a proporre politica di aggressione che altro contrasto non ha avuto se non vuote parole di condanna e poco più. Nessuno, in questo momento, per ragioni varie e spesso opposte, ha il coraggio di mettersi contro l’Azerbaigian. Quanto all’Armenia, si diceva che la leadership di Pashinyan[6] è andata progressivamente allontanandosi da Mosca: operazione politicamente non facile e che ha prodotto non poche critiche sia in patria che nella potente diaspora armena. Piaccia o no, l’Armenia è strettamente legata alla Russia da vincoli energetici, economici e militari. Lo era anche l’Azerbaigian (stessa esperienza sovietica) ma Baku si è emancipata con il gas e il petrolio avendo comunque sempre l’appoggio fraterno della Turchia; Yerevan, invece, non ha avuto altri rapporti se non con Mosca. Ultimamente, anche in chiave antirussa, Unione europea e Stati Uniti hanno cominciato a blandire lo Stato armeno e proprio negli ultimi giorni vi sono stati clamorosi sviluppi che rendono bene la situazione in atto:

  1. l’Armenia ha ritirato il proprio ambasciatore dalla csto e non si sa se e quando lo sostituirà;
  2. la moglie di Pashinyan, Anna Hakobyan, si è recata a Kiev per partecipare a un evento di beneficenza;
  3. l’Armenia ha inviato aiuti all’Ucraina;
  4. Dall’11 al 20 settembre in Armenia si svolgono esercitazioni congiunte con forze statunitensi.[7]

Contemporaneamente, da fine agosto l’Azerbaigian ha ripreso a inviare armi e uomini non lontano dai confini con l’Armenia e il Nagorno Karabakh[8]. Questa reiterata minaccia potrebbe essere una risposta, concordata con Mosca, all’ingerenza di campo dei Paesi occidentali nel campo. Il problema è che se gli azeri effettivamente attaccassero il territorio armeno, ben difficilmente gli europei e gli americani giungerebbero in soccorso dell’Armenia nonostante siano pervenuti a Yerevan addirittura inviti a unirsi alla nato. Situazione in evoluzione, con l’Iran – altro soggetto molto importante nello scacchiere regionale – spettatore interessato e che mal tollererebbe una modifica delle sue frontiere.

A ben vedere, gli armeni del Nagorno Karabakh-Artsakh finiscono con l’essere (così gli ha definiti Leone Grotti su ‘Tempi’ del 18 agosto) delle “vittime collaterali della guerra in Ucraina” e al centro di un gioco tra potenze che dei diritti della popolazione poco si occupano. La tensione nella regione cresce di giorno in giorno e si teme un nuovo attacco azero sia alla regione contesa che alla stessa Armenia. Baku accumula uomini e armamenti non lontano dalla frontiera con il vicino mentre gli autotreni con gli aiuti umanitari rimangono incolonnati all’ingresso del corridoio di Lachin.

Intanto, la gente in Nagorno Karabakh sta morendo di fame per il blocco anche se qualche timido spiraglio di luce comincia a intravedersi: il 12 settembre un camion della Croce Rossa della Federazione Russa è arrivato a Stepanakert, la capitale dell’Artsakh utilizzando la via da Aghdam che gli azeri volevano assolutamente aprire per “agganciare” materialmente la regione nell’orbita dell’Azerbaigian. I due automezzi inviati da Baku sono invece rimasti al di là del confine, rifiutati dalla popolazione e dalle autorità locali. Nella stessa giornata, la portavoce presidenziale russa Maria Zakharova ha dichiarato che Mosca si aspetta che – come concordato – l’Azerbaigian apra contestualmente il passaggio del corridoio di Lachin permettendo così l’arrivo degli oltre trenta autotreni che stazionano con gli aiuti sulla sponda armena del fiume Hakari.[9] Vedremo nei prossimi giorni se vi saranno sviluppi positivi o per la popolazione armena si prospetterà un autunno carico di ulteriore preoccupazione per il proprio destino.


Note: [1] Il 27 settembre le forze armate dell’Azerbaigian attaccano lungo tutta la linea di contatto la repubblica de facto del Nagorno Karabakh (Artsakh). Dopo 44 giorni di violenti combattimenti, gli azeri – spalleggiati logisticamente dalla Turchia – costringono le forze armene a una resa. La firma della stessa (tra Aliyev, Pashinyan e Putin in funzione di garante) consegna all’Azerbaigian tutti i distretti che si trovavano al difuori dell’ex oblast’ di epoca sovietica (nkao) nonché ampie porzioni dello stesso. La piccola repubblica armena si riduce a un fazzoletto di circa 3000 km2 intorno alla capitale Stepanakert.

[2] Il report 2023 di “Freedom house” vede l’Azerbaigian nelle ultime dieci posizioni su 190 Stati e realtà de facto presi in considerazione riguardo al rispetto dei diritti civili e politici.

[3] E utilizza la tap per portare gas russo in Europa…

[4] Peraltro, l’Azerbaigian ha ufficialmente sempre appoggiato l’Ucraina anche inviando aiuti militari (favore ricambiato visto che da Kiev erano arrivate forniture di cluster bomb nella guerra del 2020).

[5] Accusata di non aver mosso un dito tramite csto quando gli azeri hanno attaccato l’Armenia e di aver lasciato fare le forze armate di Baku in più di un’occasione, compresa l’installazione del checkpoint all’ingresso del corridoio di Lachin.

[6] Al potere con una rivoluzione “di velluto” dal 2018, riconfermato alle elezioni anticipate del giugno 2021.

[7] “Eagle partner 2023”, dedicata alle missioni di peace keeping alla quale partecipano 85 soldati usa per la prima volta sul suolo armeno.

[8] Molti voli cargo da Israele, aeroporto di Ovda, con la compagnia azera “Silk way airlines”.

[9] Anche se fosse autorizzato il transito dei mezzi, si tratterebbe ovviamente solo di un primo, modesto, aiuto alla popolazione che per ritornare a una vita quasi “normale” ha necessità di ricevere quotidiani rifornimenti dall’Armenia.

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