1. Il metodo di Marc Bloch: dalla tipologia del fare storia alla utilità della storia.
E’ noto che il maggiore storico del ‘900 – Marc Bloch – inizia la sua famosissima Apologia della storia (1949, pubblicata dopo la sua tragica fine) dalla semplice domanda che il suo giovane figlio gli pone, a che serve la storia? E Bloch gli parlerà – come parlerà a noi – della storia come scienza e sul suo utilizzo nella vita reale. Anzi, chi si interessa della storia lo fa perché buona parte delle difficoltà attuali deriva dalla dimostrazione e confutazione dei fatti, trovando una risposta a poco a poco più idonea ad affrontarli nel modo meno doloroso per noi. E nelle di poco precedenti riflessioni nei primi mesi del 1940, Bloch inizia dalle aporie del presente raccontando proprio il passato, fino a risalire alle invasioni barbariche della Gallia da parte dei Germani del Reno che aggirarono i Valli romani, analoghi alla linea Maginot sfondata rapidamente dalla Wehrmacht. Ebbene, l’elevazione di sanzioni internazionali di natura commerciale di fronte ad illeciti internazionali, prima fra tutte le guerre di aggressione, è addirittura risalente alla Guerra del Peloponneso, quando la narrazione di Tucidide descrive il conflitto per Megara, scatenato da Pericle contro la lega del Peloponneso a guida Spartana. In particolare nel 432 a.c. Pericle fa emanare ad Atene una sua proposta di legge per cui i Megaresi venivano interdetti dai porti e dai mercati dell’Attica e da quelli alleati di Atene. La pesantissima disposizione, nata pretestuosamente da piccole questioni di confine, spesso di facile risoluzione diplomatica, discendeva dalla propaganda imperialista di Pericle che non aveva digerito, al pari della maggioranza degli ateniesi ostili a Sparta per il tradimento di Megara nel 446 a.c., legatasi ai Corinzi nella guerra contro Corcira.
Allegoria della Storia (disegno).
La sofferta pace con Sparta aveva come clausola essenziale che, in caso di contrasti, scattava un arbitrato che riportasse la pace commerciale fra le parti. Il decreto di Pericle rompeva il principio, limitando le esportazioni di prodotti pastorizi, che erano l’unica fonte di reddito per Megara. Inoltre, Corinto, poi alleata di Sparta, ne avrebbe avuto ulteriori danni. E Tucidide così dimostra quanto danno può creare un blocco navale da un lato all’altro dei mari, ivi compresi gli effetti sanitari causati dall’inevitabile deperimento di merci depositate nei porti e dalle soste forzate del personale e dei viaggiatori nei porti che genera epidemie e carestie ingestibili.
Tucidide.
Se l’episodio Tucidide appare emblematico per le ripercussioni internazionali connesse agli embarghi spesso preliminari agli interventi armati, nondimeno in età moderna va segnalato un secondo episodio altrettanto significativo nella storia moderna, vale a dire il blocco navale dalle navi francesi durante la Rivoluzione Francese e le successive guerre napoleoniche. Ma altri interessanti e consimili vicende erano avvenute nei secoli precedenti: in primo luogo, va ricordato la scelta di Elisabetta I d’Inghilterra che nel 1572 proibì ai pezzenti dell’acqua – autonomisti corsari olandesi, ribelli alla Spagna di Filippo II, di utilizzare i porti inglesi come basi operative e rifugio dopo le loro scorrerie nel Mare del Nord (si badi che le ordinanze portuali inglesi adoperano la parola utilizzo per giustificare l’uso del porto, anche a svantaggio della Nazione ospitante, adombrando quindi limiti all’interesse commerciale locale). Va poi annoverato il più famoso botta e risposta della storia moderna in materia di blocco navale, cioè il blocco dei porti inglesi dei porti francesi e degli alleati di Napoleone dal 1789 al 1815. Blocco che comportò la reazione di Napoleone col c.d Sistema Continentale approvato con il decreto di Berlino e Milano (1806-1807), dove la legislazione interna sul diritto del mare e di guerra compie un passo decisivo, perché non solo si vietava il mare e l’attracco nei porti, ma anche il commercio attraverso le comunicazioni terrestri. In particolare, in caso di guerra – ma anche di mera belligeranza non invasiva – vennero bloccate aree commerciali non solo delle coste, ma anche interne, fino a lambire i confini inglesi ed addirittura limitare la libertà di commercio coi paesi neutrali. Di qui, il diritto consuetudinario formatosi a Vienna nel 1815, che aveva come pilastri l’Universalità e l’imparzialità – divieto di ammettere senza motivazione uno Stato al commercio interno perfino se neutrale – il principio di effettività – azione militare idonea a rendere utile il Blocco moderno – obbligo di dichiarazione formale e di notifica diretta al mezzo e allo Stato della bandiera coinvolti e neutrali da parte delle autorità dello Stato bloccante. Inoltre il Congresso di Vienna aveva introdotto contro i violatori dell’embargo sia la confisca del mezzo, o dell’apparato industriale ove fosse nei confini dello Stato belligerante e perfino la confisca del carico, oltreché l’arresto e la condanna dei comandanti di paesi neutrali che violassero i limiti marittimi perché inseguiti dai Paesi bloccanti (chi non ricorda come in via col vento il protagonista maschile, nelle forme di Clark Gable, sia era arricchito facendo il Corsaro perforando il blocco navale nordista durante la guerra di Secessione?). Inoltre, vanno citati anche i blocchi navali e commerciali di Costantinopoli da parte delle Grandi Potenze venute in soccorso della Grecia per proteggere Creta dalle forze della sublime Porta (1897); quello del Venezuela da parte della Germania, Gran Bretagna e dell’Italia (1902-1903), intervenute per risarcire i commercianti di queste Nazioni contro il Governo venezuelano, che aveva rifiutato di pagare il debito estero per i danni subiti a cittadini europei durante una loro guerra civile. Qui, la diplomazia internazionale compie un passo avanti che a Versailles nel 1919 – e che nel 1920 verrà riversato nel Trattato fondativo della Società delle Nazioni all’art. 16 – farà storia del diritto internazionale pubblico. In particolare, il Governo degli U.S.A., portatore del famoso principio del Monroe L’America agli americani del 1823, specificò che l’influenza statunitense sul Venezuela e sul continente americano aveva natura militare e non commerciale, onde il blocco europeo navale e commerciale non avrebbe potuto comportare alcuna reazione bellica.
Prima seduta della Società delle Nazioni.
Tale concezione minimalista e separatista fra divieti bellici e commerciali venne meno ovviamente nel Primo Conflitto mondiale quando l’Inghilterra bloccò le coste tedesche. Sarà proprio dopo Versailles e a Ginevra nel 1920, in sede di redazione della Corte istitutiva dalla società delle Nazioni, che il diritto internazionale Pattizio tenterà di favorire la difesa della Pace, non solo consacrandone la tutela, ma anche impegnando con sanzioni economiche l’integrità territoriale degli Stati firmatari del Trattato, giurando altresì di non procedere a Guerre anche nel caso di conflitti fra gli Stati firmatari. Era però utopistica tale cessione di sovranità ad organi superiori di Arbitrato e di irrogazioni di sanzioni economiche ai paesi inadempienti: l’art. 16 infatti prescriveva la solidarietà dei paesi aderenti nel sanzionare con la rottura unitaria delle relazioni economiche con gli Stati aggressori specie se gli Stati aggrediti fossero membri della Società. Inoltre – ma era solo una Raccomandazione! – al Consiglio della Società si affidavano le operazioni militari idonee a garantire l’efficienza del blocco e la notifica delle confische e la irrogazione delle sanzioni. Ancora: si affidava sempre al Consiglio la gestione di tutti gli inconvenienti connessi al blocco, per esempio il diritto di transito di un Paese Terzo al fine di consentire gli aiuti necessari per contenere i disagi delle popolazioni coinvolte. La sanzione massima era poi data dalla esclusione dal voto assembleare di tutti i Paesi Contravventori. Purtroppo l’art. 16 del Trattato venne rapidamente vulnerato dalla mancata partecipazione alla Società stessa proprio della Nazione che più si era prodigata, anche per la morte precoce del Presidente Wilson, vale a dire gli Stati Uniti. La non approvazione della ratifica del Trattato maturata nel Senato da parte di una pattuglia di Repubblicani conservatori isolazionisti; nonché l’entrata in ritardo della Germania di Weimar e la rapida uscita della Germania di Hitler; pesarono non poco nella consistenza diplomatica della Società, senza contare la costante diffidenza – se non addirittura una non belligeranza – verso l’Unione Sovietica. Sarà però, la questione etiopica a minare inesorabilmente la Società, a generare la Seconda Guerra Mondiale e a lasciare un’eredità all’O.N.U. non indifferente per notevoli ambiguità nella gestione della disciplina delle Sanzioni Economiche dal 1945 ad oggi.
2. La fine della Società delle Nazioni: brevi successi iniziali e le questioni dirimenti della Manciuria e dell’Etiopia (1931-1935).
Il maggiore responsabile dell’incapacità inglese di prevenire il primo conflitto mondiale è stato additato dalle scuole storiche pacifiste in Edward Grey, Ministro degli Esteri della Gran Bretagna nel 1914. Il duro giudizio è del connazionale Churchill, che gli imputò di non aver capito le reali intenzioni della Germania di attaccare l’alleata Francia dopo la crisi di Agadir (1912), quando Parigi cedette alla Germania pur di non diminuire la produzione di navi da guerra e pur di ottenere i vantaggi commerciali connessi alla concessione alla Francia del porto marocchino. Fu lo stesso Grey – anticipatore della politica pacifista di Chamberlain nel 1938 – ad attuare nel 1919 il pensiero dell’americano Wilson rivolto alla creazione di una struttura internazionale superpartes che sorvegliasse e punisse le Nazioni che aggredissero quelle che non riuscissero a piegare diplomaticamente. Il concetto di Nazioni volontariamente collegate ad impedire un parallelo disarmo, nonché a dare loro una guida diplomatica per conciliare le loro contese e a fissare un Codice Internazionale processuale che prevenisse e sanzionasse le Nazioni indisciplinate, veniva dal Kant – per la pace perpetua, 1795 – e nacque con la Convenzione dell’Aia del 1907, poi proseguita nel programma dei 14 punti del Presidente Americano Wilson, tutti rivolti al mantenimento della Pace attraverso organismi superiori a carattere volontario e però privi di misure di sorveglianza e di intervento militare all’interno degli Stati. Una Commissione preparatoria internazionale – cui partecipò anche il nostro Vittorio Emanuele Orlando – elaborò il testo del Trattato, presto non ratificato dagli Stati Uniti, respinto dalla Russia di Lenin e neppure notificata alla odiata Repubblica di Weimar. Tuttavia negli anni ’20, la mediazione della società ebbe successo diplomatico per le questioni delle isole Aland (1921); il confine fra Albania e Jugloslavia (1919); l’appartenenza alla Germania e alla Polonia dell’Alta Slesia (1922); l’affidamento della città portuale lituana di Memel (1923), le relazioni fra Grecia e Bulgaria (1925), il dominio della Saarland che fin dal 1920 divenne terra di conflitto fra Francia e Germania, amministrata fin dal 1935 dalla stessa società: la questione di Mosul, al confine fra Iraq e Turchia (1926); la questione di confine fra Colombia e Perù (1933). Sebbene tutte le questioni qui accennate avessero trovato una soddisfacente soluzione diplomatica affidata al Consiglio dalla Società, all’inizio degli anni ’30 qualcosa cominciò a non funzionare. Era infatti evidente che la Società veniva retta di fatto dal duopolio Francia e Gran Bretagna, dove a fatica era stata ammessa la Germania di Weimar a guida del democratico Stresemann (1926), fiducioso di abbassare con l’aiuto finanziario Statunitense il notevolissimo debito di guerra con la Francia nazionalista di Laval. Costui intesserà col Mussolini un patto aggressivo che fece da contrappeso al Patto Kellog (USA) – proposto dal Briand (Francia) del 1928 di rinunzia alla guerra, coinvolgente il Giappone, la Gran Bretagna e la Germania. Quando però la crisi del 1929 causò la caduta dell’economia giapponese e il blocco navale americano che aggravò quella situazione per ragioni di protezionismo commerciale, il Giappone invase la Cina e la ricca regione metallifera della Manciuria, espandendosi di fatto nel sud est asiatico. A norma dell’art. 16, il Consiglio della Società diede incarico di mediazione e di eventuali sanzioni ad una commissione di Paesi neutrali per verificare se vi fossero le condizioni di un blocco sanzionatorio. Malgrado le atrocità giapponesi sulla guerra in Cina e benché l’opinione europea fosse dalla parte del popolo cinese; la Commissione emise un rapporto non troppo pesante riguardo il Giappone. Questo anzi per non incappare in sanzioni commerciali che lo avrebbero danneggiato, poco dopo si ritirò dalla Società, ottenendo un buon risultato nazionalista che accrescerà il suo potere internazionale di buon alleato di Germania e Italia negli anni a venire. La vicenda del Giappone, impunita e trionfante nella sua politica di espansione in Cina negli anni ’30; irrobustì le pretese dell’Italia contro un paese già era membro della società, cioè l’Etiopia; l’ascesa al Governo di Hitler; l’appoggio al governo di Laval che pensava di guadagnare l’elettorato cattolico di destra ispirato dalle coorti di Charles Maurras (action francaise); nonché il silenzio colpevole della Gran Bretagna refrattaria ad azioni pesanti nel Mediterraneo, divenuto un lago dove poteva coabitare con la flotta italiana di pari portata; fecero sì che Mussolini tirasse fuori l’anima bellicista e propagandasse il mito della vendetta della spedizione fallita di Crispi nel 1896, quando a Adua vennero fatti a pezzi dagli Etiopi circa 2500 italiani. Ma al di là della propaganda e delle coperture franco-inglesi, la reazione della Società era fortemente limitata dalla tipologia delle sanzioni da adottare. Non appena un pretesto di guerra emerse fra l’Italia e l’Etiopia – unico paese africano indenne da protettorati coloniali occidentali e membro stesso della Società come lo era la Cina aggredita dal Giappone – il 5 dicembre del 1934 inizia l’invasione dell’Impero etiopico attraverso la Somalia italiana. Subito il Consiglio propose l’embargo petrolifero e il divieto di passaggio delle navi italiane da Suez per l’Etiopia. Ma il principio di solidarietà fra Nazioni venne meno: la Gran Bretagna temette di perdere il mercato italiano che già guardava alternativamente a quello americano. E poi Hitler, già al potere, cominciò a dare segni di favore consentendo alla multinazionale Crusader Petroleum Services di Londra di far pervenire petrolio attraverso Amburgo. E poco dopo il regime autocratico della Romania consentì all’amica Italia di importare petrolio fino a Massaua, colonia eritrea, passando proprio per Suez. Non mancò il solito Churchill a criticare il governo moderato di Chamberlain che aveva paura di un qualsiasi incidente a Suez che avrebbe guastato la convivenza pacifica con l’Italia, tanto più che nel 1934 la Germania di Hitler si era dimessa dalla società delle Nazioni mettendo un’ipoteca favorevole alla crescente amicizia con Mussolini. Del resto, i ministri Laval e Hoara non permisero più di tanto all’Italia, giacché la maggiore compagnia petrolifera dell’epoca, la standard oil, sembrava valutare la questione con due pesi e due misure rispetto al precedente della Manciuria, relegando quest’ultima e l’Etiopia al ruolo di vittime predestinate della tradizione colonialista, dando peraltro corda alla propaganda fascista che all’interno del Paese spinse ala massimo lo spirito imperialista legato al mito di Roma regina del Mediterraneo. Sia come sia, la debolezza anglo-francese fin dal 1935-1936, provocò non solo la decadenza reale della Società, ma anche travolse il Patto di Locarno del 1925 fra la Francia socialista di Briand e la Germania cattolico-democratica di Stresemann per la pace perpetua. Il Memorandum Nazista sulla rioccupazione della Renania del 7.3.1936 e il Patto russo-tedesco del 23.8.1939, costituirono sicuramente alla fine l’atto di morte della Società delle Nazioni e del sistema sanzionatorio internazionale.
3. Ombre e luci fra ONU e Unione Europea.
Il lungo racconto delle passate esperienze del passato remoto e prossimo sul ruolo cautelativo delle sanzioni internazionali dal blocco navale – e oggi aeronavale, per non dire missilistico e digitale – ci consente di trarre le opportune considerazioni sulle attuali vicende analoghe degli Enti preposti alla tutela delle Nazioni esposte ad aggressioni di Paesi geopoliticamente portati ad un espansionismo imperialista. E la storiografia liberale ha rilevato, dopo la caduta del muro di Berlino, le carenze della Società delle Nazioni, presenti nell’opinione pubblica fin dagli anni ’30 malgrado il nuovo spirito democratico che l’aveva animato fino al 1939. Di fatto, le Grandi Potenze vincitrici del 2° Conflitto Mondiale avevano proseguito il consueto criterio delle influenze nei paesi satelliti ad Est con l’Unione Sovietica e ad Ovest con l’alleanza Atlantica. La paura dello Stalinismo sovietico e del ripetersi del fronte popolare in Francia, ma anche della presenza dei Partiti Comunisti nei paesi in via di sviluppo negli anni ’50 e ’60, convinse l’Unione Europea ad applicare misure restrittive economiche preliminari e alternative alla guerra in comunione con l’Onu, sia nel caso dell’Iran (2015), sia contro la Siria (2012), sia contro il Sudan (2007), la Corea del nord (2018), Cuba (2008), la Federazione russa (2014 e il Venezuela (2018). A leggere l’art. 11 del Trattato sull’Unione Europea, la difesa dei valori comuni democratici e di libertà, il rafforzamento della sicurezza e della pace, la promozione della cooperazione internazionale, delle libertà fondamentali e dello stato di diritto e quindi dei diritti dell’uomo; costituiscono quelle utili ragioni che la storia ci ha dato come valido e opportuno motivo che ci permette di convivere in pace nel pianeta. Nel ‘900 è ormai apparso evidente come la multilateralità dell’embargo di per sé allontana la guerra, scelta che è un male minore rispetto a quest’ultima. Le deroghe all’art. 16 della società delle Nazioni furono eccessive e certamente il rilevato embargo degli U.S.A. al Giappone, non solo provocò l’attacco alla Manciuria, ma anche quel risentimento popolare antiamericano che generò Pearl Harbour. E che dire del Trattato di Versailles del 1919 che ridusse la Germania in estrema povertà, risvegliando un orgoglio nazionale che fu il brodo del Nazismo? Del pari l’Italia, non considerata a Versailles per la questione di Fiume e poi sanzionata nel 1935 per l’Etiopia, sfruttò l’isolamento internazionale in una propaganda antidemocratica che fece buon gioco dello stato totalitario nel 1940 pronto ad entrare in guerra. In verità, il Piano Marshall del 1948 di finanziamenti diretti alla ricostruzione europea, gli accordi internazionali di Bretton Woods in tema di parità monetaria, il Piano Nazionale di Resilienza dell’Unione Europea dopo l’epidemia di Covid; costituiscono l’altro versante di opportunità che la storia del diritto internazionale ci ha offerto per superare il difficile momento che la società attuale sta vivendo, anche dopo la tragedia del Covid e l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa. Sicuramente l’embargo petrolifero e delle materie prime – unico strumento oggi equiparabile e sfruttabile insieme al classico blocco navale commerciale – produce danni alle popolazioni in via di sviluppo, come quando nel 1973 la decisione dell’Opec di chiudere il rubinetto petrolifero perfino alle Potenze Occidentali, produsse una forte inflazione e una analoga stagnazione economica, cosa che ci sta colpendo oggi nel caso delle sanzioni occidentali contro la Russia per l’Ucraina. Investire nei paesi sanzionati, magari aggirando i limiti imposti, oppure allentare il cordone sanitario e renderlo meno rigido – come fu con l’Italia nel caso della invasione dell’Etiopia – specialmente nel settore energetico; non solo può incentivare la necessità di guerra, ma anche rende il Paese aggressore più unito nella sua politica invasiva perché agita il mito del popolo accerchiato, come era avvenuto nella Germania di Weimar. Thomas Mann angosciato per essere dilaniato dal ribrezzo per il nazismo violento e prepotente, ma preoccupato per la paura di essere accerchiato dalla Russia staliniana e dalla Francia sciovinista, esortava addirittura le Potenze democratiche a violare il principio democratico di non intervento in un altro Paese … Nel mio Paese che viveva in una comoda pace e che tollerava stupidamente un mondo che ormai era all’orlo dell’abisso. E’ dunque veramente a Noi utile perseguire la politica sanzionatoria che non ci porta ad alcun contenimento delle guerre? Come non produrre effetti collaterali indesiderati ai Paesi Terzi spesso impoveriti – e quindi ricattabili dai Paesi Imperialisti – e dunque disposti ad emigrazioni di massa non desiderate proprio dai Paesi imperialisti? Che fare allora se non riprendere un dialogo continuamente interrotto rimodulando all’uopo l’ONU?
Bibliografia:
1. Un elenco degli eventi storici dalla Guerra del Peloponneso alla Prima Guerra Mondiale dove si sono avuti blocchi navali e limitazioni commerciali è in RINIERO ZENO, Storia del diritto marittimo italiano nel Mediterraneo, Milano, Giuffrè, 1946, nonché il nostro, Il sogno paneuropeo di Napoleone Bonaparte, in questa rivista, 24.11.2021 e fonti ivi citate.
2.. Per la storia della società della Nazioni e sul caso esiziale della guerra di Etiopia, vd. SERGIO ROMANO, Disegno della storia d’Europa dal 1799 al 1989, Longanesi, Milano, 1991 e MARCELLO FLORES, Il Secolo-Mondo, storia del novecento, Il Mulino, Bologna, 2002. Per le riflessioni di Thomas Mann vd. Soffrendo per la Germania,1938 in Il Ponte, 1958.
3. Sulle problematiche attuali dalle sanzioni economiche internazionali, vd. GIANMARCO OTTAVIANO, Geografia economica dell’Europa Sovranista ed. Laterza, e -book, 2019.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.