Le Analisi di Storia Verità. La Scienza Militare sasanide. Di Lorenzo Carbone.

L'Impero sasanide al suo apogeo. (620 d. C.).

Una visione inerente l’Impero Sasanide

Prima di iniziare a parlare dell’argomento del mio primo articolo per Storia e Verità, desidero far capire ai lettori dove verrà portato per questa lettura, andando a comprendere la nascita dell’Impero di Ardashir.

L’impero Sasanide (o secondo impero persiano), venne fondato nel 224 d.C., risultando essere il diretto successore dell’Impero Achemenide (550- 330 a.C.), in particolar modo per quanto riguarda l’eredità di un impero particolarmente solido a livello militare e culturale contro il nemico predesignato, ovvero l’occidente, rappresentato in questo momento dall’Impero Romano1. Tra la dinastia achemenide e sasanide, per quanto riguarda gli imperi iranici, ci fu un intermezzo che fu composto dagli Arsacidi, quello che noi conosciamo di più come Impero Partico, il quale era andato in rovina dopo le continue sconfitte contro Roma (basti ricordare le campagne romane condotte dagli imperatori Settimo Severo e di Caracalla tra il 195 e il 217 d.C.) e da dissidi interni tra la casa regnante e le famiglie dei satrapi, ovvero i governatori delle regioni governate da un impero iranico preislamico, amministrate spesso da uomini della stessa etnia delle zone sotto l’egida persiana. Tra questi governatori vi fu Ardashir I, nato il 180 d.C., conosciuto anche con i nomi di Ardashir I Babakan, Ardeshir I, Ardashir l’unificatore e Ardashir Papakan. Nipote di un Ehrpat, ovvero di un Magus zoroastriano (una delle “religioni di stato) di alto rango, i suoi genitori erano i satrapi di Parsa, ovvero la stessa zona da cui partì l’impero achemenide. Forte di questa reminiscenza legata al passato, in neanche due anni, secondo le fonti sasanidi, Ardashir fece collassare l’impero arsacide, sebbene tale dinastia continuò ad esistere in Armenia, la quale divenuta il casus belli per molte battaglie contro l’Impero romano2.

La riforma militare di Ardashir e il ruolo dello Spahbod.

Ardashir rinnovò subito l’esercito persiano, rendendolo più moderno e più competitivo nei confronti del suo eterno rivale, l’impero romano, in particolar modo implementando in maniera esponenziale la qualità e il numero della fanteria orientale, la quale era troppo inferiore a quella romana, soprattutto per quanto concerneva la robustezza delle loro armature, dando ai quiriti un netto vantaggio sulle truppe iraniche. Inoltre, vennero create delle armate persistenti sempre pronte alla lotta, a capo di esse veniva posto uno Spahbod, ovvero un “generalissimo”, il quale comandava ogni singolo soldato e ufficiale persiano (per correttezza, bisogna anche dire che tale figura era già presente fin dal tempo degli arsacidi) Era il più alto grado militare, secondo solo al “Re dei Re”3 agendo da comandante in capo, da ministro della Guerra e da capo negoziatore in caso di tregue o armistizi con le popolazioni e fazioni nemiche, utilizzando anche la sacra pratica del Mard O Mard, ovvero il combattimento rituale, che avrebbe potuto modificare i trattati di pace in favore della fazione che avesse vinto questo scontro mortale.

La pratica della conta dei soldati e delle loro frecce.

Prima di ogni battaglia, per comprendere quanto sarebbe state gravi le perdite umane alla fine di essa, che fosse vinta o che fosse persa, lo Spahbod faceva mettere ad ogni soldato sasanide, in particolar modo quelli legati al corpo dei Dailamiti4(fanteria medio pesante, molto improntata verso le pratiche offensive grazie ai loro armamenti4) , quello dei Paighan (fanteria leggera, che ricordava la fanteria difensiva degli Sparabara achemenidi) e i Kamandaran (arcieri, presenti in gran numero negli eserciti persiani), una freccia dentro a dei vasi, a fine battaglia i sopravvissuti sarebbero dovuti andare a riprenderla, il numero di frecce rimaste nei vasi avrebbero fatto comprendere velocemente al comandante supremo quante truppe gli rimanevano e ciò gli avrebbe permesso di elaborare una nuova strategia di guerra.

Federico A. Arborio Mella parla di questa pratica e la dà per certa intorno al settimo secolo d.C., quando i sasanidi ebbero il loro più devastante conflitto, ovvero quello contro l’Imperatore Romano/romeo/bizantino Eraclio che durò dal 608 al 620 d.C., la guerra che avrebbe messo in ginocchio l’impero iranico, permettendo poi alla potenza araba e all’Islam di prendere il sopravvento

Perché veniva fatto? Una questione di logistica e logica.

Come detto prima, i militari dell’Erenshar (nome persiano dell’Impero Sasanide) erano consci dei punti di forza all’interno della Spah, ovvero la loro armata e di certo non era formato dalle forze appiedate, non per difetto da parte delle forze iraniche, ma per la potenza dei nemici che vi erano intorno, i quali a livello di fanteria, erano superiori alle truppe dello Shah. Tra questi possiamo trovare: Impero romano, Califfato Rashidun, Heftaliti, i cosiddetti Unni Bianchi. Potrete immaginare quindi quali fossero le forze che più di tutte subissero le perdite, in particolar modo per quanto riguarda l’Erenshar. Oltre a far parte di una parte fondamentale per le tattiche sasanidi, essi facevano anche parte della popolazione più umile dell’impero, mentre la cavalleria, in particolar modo quella pesante come i catafratti e i clibinarii o quella da tiro, formata dal corpo degli Zhayedan, ovvero i celebri e temuti Immortali, era formata praticamente da persone che oggi potremo considerare di ceto medio o di ceto alto/nobiltà di corte.

Quindi, perché usare il metodo delle frecce unicamente con loro? Ci sono tre motivi principali

  1. Il primo è basato sulla gestione delle truppe e la logistica. Come si sarebbero poi gestite le risorse rimaste? Quante persone appiedate sono rimaste? Quanti feriti? E quanto avrebbero potuto rallentare un’eventuale avanzata/ritirata? Quale sarebbe stata la prossima richiesta che lo Spahbed avrebbe chiesto allo Shah e alle salmerie? Con la logistica si vincono le guerre e questo si sa sin dagli inizi dei tempi.
  2. Si poteva proseguire la campagna? Perché queste persone alla fine sarebbero poi tornate a fare il loro lavoro dopo il servizio (ricordiamoci che parliamo di eserciti permanenti), le terre sarebbero state ancora più coltivabili? Ci sarebbero stati ancora abbastanza mercanti? La visione del futuro è un’altra parte fondamentale per permettere ad un’entità collettiva di sopravvivere
  3. I nobili che sparivano spesso venivano catturati, essendo una possibilità di ricchezza per l’esercito che li catturava. Uomini come gli Aswaran e i già citati Zhayedan erano nobili e persone influenti, oltre al loro immenso valore in battaglia, anche la loro influenza era nota e il fatto che non potessero essere presenti al dopo battaglia si sarebbe notato subito, non erano degli “invisibili” come il resto dell’armata

Conclusioni.

L’esercito sasanide non usò per molto tempo questo mezzo, ma lo fece nel periodo più difficile per esso, un periodo che, come detto prima, si sarebbe concluso con la dissoluzione dell’impero persiano nel 651 d.C., con l’avvento totale e inarrestabile dell’Islam, il quale avrebbe dominato il Medio Oriente, scavalcando lo zoroastrismo e il manicheismo.

Bibliografia::

L’ impero persiano. Da Ciro il Grande alla conquista araba: Federico A. Arborio Mella

The Sasanian Empire at War. Persia, Rome, and the Rise of Islam, 224–651: Micheal J. Decker

Roma contro i Parti. Due imperi in guerra: Giovanni Brizzi

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