La storia d’Italia è spesso stata caratterizza dal formarsi di gruppi politici e patrioti che si sono lanciati in imprese disperate, dal Balilla di Genova a Roberto Sarfatti, morto il 28.1.1918 nella battaglia dei tre monti nell’altopiano di Asiago. Imprese disperate, come quelle delle lotte risorgimentali, prima fra tutte la spedizione dei Mille. Ci piace invero ricordare due personaggi particolari, un italiano, anzi un siciliano, Saverio Friscia; e un italo-tedesco bavarese, Adolfo Wolff. Che cosa li spinse a partecipare a quella missione apparentemente impossibile? Intanto, la parallela vita avventurosa. Friscia: da ragazzo è seminarista nella nativa Sciacca. A 16 anni fugge a Palermo e a 20 si laurea in medicina, specializzandosi in omeopatia, importata a sud da medici francesi, amici di Fourier, noto socialista utopista rivoluzionario, già nelle scienze mediche e massone per eccellenza. Wolff: militare di professione, si iscrisse alla legione straniera francese e conquistò l’Algeria servendo la Francia borghese di Luigi Filippo, aderendo pure alla Massoneria. E mentre Friscia a Parigi conosce i quattro della Rivoluzione – Proudhon, Mazzini, Marx e Bakunin – Wolff da buona spia, su ordine di Mazzini, si infiltra nell’esercito pontificio nel 1949, durante la repressione della Repubblica Romana. Nel 1848, Friscia era un attivo repubblicano nell’insurrezione antiborbonica palermitana e poi difensore sulla stampa della tesi dell’arruolamento volontario del popolo siciliano. Il tradimento della classe dirigente siciliana e il ritorno di Ferdinando II di Borbone, lo vide esule a Milano, dove apprezzò il federalismo di Carlo Cattaneo, dal quale trasse linfa ideale per le sue idee autonomiste della Sicilia, studi che dovrebbe essere oggi meglio approfondite. Nello stesso tempo, Wolff, fallita l’esperienza militare romana, riparò a Parigi e diventò un repubblicano vicino alle ideologie socialiste. Negli anni successivi riprese però la sua attività di mercenario nella brigata democratica anglo italiana in Crimea acquisendo il grado di colonnello, combattendo sulla Cernaia con lo stesso Friscia. Ambedue in Crimea e ambedue in Sicilia nella gloriosa Spedizione. Tuttavia, proprio nel 1860, prima della decisiva battaglia del Volturno, la loro stagione comune democratica si va separando: sappiamo i tentennamenti di Garibaldi a Napoli prima dello scontro finale coi borbonici causati dalla presenza di Mazzini, che tentò con tutte le sue forze inutilmente di convincere Garibaldi a marciare su Roma e di fondare una nuova repubblica italiana. E sappiamo come Friscia appoggiasse tali idee, mentre Crispi e tanti ex mazziniani pregavano il Generale a cedere alle lusinghe di Cavour e del Re Vittorio a consegnare il sud ai piemontesi. Wolff invece taceva e stava a guardare come un buon italiano, sia pure di adozione, pronto a salire sul carro del vincitore al momento opportuno. Quando vide maturare la scelta di Garibaldi a Teano, si levò dalla circolazione, perché la sua condotta opportunista aveva sollevato molti dubbi sui garibaldini più leali, come si può leggere negli appunti di molti di loro, che invitavano i compagni a non collaborare con quell’uomo affabile, ma infido e chiaramente pronto a tradire. Dal canto suo, Friscia aveva capito l’aria che tirava già in Sicilia: critico verso i fatti di Bronte; altrettanto sensibile per la questione agraria irrisolta da Crispi durante la dittatura di Garibaldi; fautore inascoltato della libera vendita ai piccoli mezzadri dei beni ecclesiastici, che invece vennero acquisiti in massa dai grandi latifondisti laici e da non pochi già grandi proprietari terrieri; si presentò in parlamento e fu deputato di Sciacca, Melfi e Palermo, sedendo alla Camera per 7 legislature. Un punto in comune con Wolff fu l’aver perduto ogni speranza in Mazzini, che lo considerava al pari di Marx un vecchio trombone, incapace di concludere, forse un idealista sincero, ma debole nella prassi, perfino troppo legato ad uno spirito assoluto troppo lontano dalla realtà sociale, tanto che da medico non poteva non valutare nella concretezza le malattie sociali che andava curando. Di qui, la progressiva adesione alle idee anarchiche. Infatti, già nel 1865 dichiarava di esercitare la deputazione camerale per educare il popolo e protestare contro il sistema che respingeva la sua vecchia idea di incamerare i beni ecclesiastici al fine di consegnarli al popolo, creando quella massa di piccoli proprietari terrieri che avrebbero isolato il latifondo e avrebbero risolto democraticamente le diseguaglianze sociali. Ormai con Mazzini aveva rotto e andava formando una solidale amicizia con Bakunin. Nel 1868 si avvicinò definitivamente agli anarchici che avevano abbandonato Marx e Engels e le correnti operaiste di Londra, staccandosi per le modalità autoritarie della Prima Internazionale. Non solo con i primi anarchici italiani – fra cui Cafiero – fondava l’Alleanza Internazionale per la democrazia socialista; ma anche inaugurava il Circolo libertà e giustizia che sarà l’organo ufficiale e anarchico in Sicilia con sede a Catania. Negli anni ’70 poi insisté contro Mazzini non solo perché questi nelle ultimissime pubblicazioni aveva proposto un forte statalismo, ma anche perché in modo inspiegabile aveva attaccato la Comune di Parigi. Il suo appoggio alla corrente anarchica italiana crescerà sempre di più: nel 1872 per esempio, aderì come delegato siciliano al Congresso di Rimini delle sezioni italiane della Prima Internazionale separatista della maggioranza marxiana, votando a favore dell’ala rivoluzionaria permanente di Bakunin e Cafiero. Negli ultimi anni di vita – morirà ad Agrigento nel 1886 – partecipò al primo tentativo di insurrezione rivoluzionaria di Bologna (1874), favorendo la fuga di Bakunin dall’Italia, inseguito dai carabinieri che reprimeranno con facilità il maldestro tentativo, come Riccardo Bacchelli ci racconta nel suo capolavoro narrativo Il diavolo a Pontelungo.Terminato il suo mandato elettorale, si dedicò al suo paese, facendo leva sulla sua esperienza lavorativa professionale e cercò di attuare le sue idee di autonomia comunale e di giustizia sociale, fondando biblioteche popolari e scuole operaie (che già Antonio Labriola nel napoletano e a Roma aveva avviato). Istituì anche società di mutuo soccorso e propose la riduzione della odiata tassa sul macinato per le classi meno abbienti. Infine, propose nuovi poteri ai Comuni, anticipando la successiva opera di Don Sturzo a Caltagirone, senza contare la promozione di nuovi metodi all’avanguardia in agricoltura come Tolstoj in Russia. Soprattutto, si batté a Sciacca nell’attuare nuovi modelli igienisti, che aveva imparato guardando analoghe situazioni nelle periferie di Londra e Parigi, come aveva fatto a Torino Don Bosco. Se l’utopia politica anarchica poté apparire impossibile; l’utopia pacifista si dimostrò operativa e vale la pena quindi ricordarne la figura pionieristica. Di Wolff, invece nulla si seppe se non il disvelamento della sua vita poco nota e alquanto contraddittoria. Sebbene nella Terza Guerra di Indipendenza abbia combattuto onorevolmente nel battaglione di volontari garibaldini, nella battaglia di Ponte Coffaro, meritando le lodi di Garibaldi e perfino la decorazione della medaglia d’argento al valore militare; stranamente non fu mai presente nelle successive cronache, né fu mai riassorbito nell’esercito italiano. Anzi, al silenzio sulla sua vita dopo l’Unità si accompagnavano le stesse critiche di codardia e di tradimento da parte dei suoi vecchi compagni garibaldini, proprio quando costoro riusciranno a convincere il vecchio Generale a ritornare in ballo nello sciagurato tentativo di conquistare Roma, quando a Mentana fu sconfitto dai meglio armati francesi di Napoleone III. Le fonti vedranno riapparire Wolff come confidente di Menotti Garibaldi durante i mesi successivi alla sconfitta di Sedan nel 1870, quando i Prussiani sbaragliarono l’esercito francese di Napoleone il Piccolo, come lo aveva chiamato ironicamente il socialista Victor Hugo. Poco dopo la pace di Versailles del 1871, la polizia repubblicana scoprì la prova del suo ultimo tradimento: tra gli archivi segreti di Napoleone, il suo nome era stato registrato come spia del governo francese fra i socialisti della Prima Internazionale. Come aveva potuto da mazziniano organizzare l’Associazione degli operai italiani di Londra appena un decennio prima? Come aveva potuto guadagnare la stima di Garibaldi nell’incarico di inquadrare i disertori tedeschi e svizzeri sia nella spedizione in Sicilia che nella spedizione per liberare il Veneto? Questo è il mistero che aleggia su questo italo-tedesco e che malgrado tutto ce lo rende simpatico per l’audace ricerca dell’utile personale.
Bibliografia:
Per la figura di Saverio Friscia, vd. FRANCESCO GUARDIONE, Saverio Friscia, Napoli, Tip. Priore, 1913; nonché https://www.liberliber.it/- Progetto Manunzio.
Per la storia di Adolf Wolff, vd. anche la biografia in Dizionario biografico degli anarchici italiani, su https://www.bfscollezionidigitali.org/; nonchè il resoconto della deputazione toscana di Storia Patria del 1864, che piuttosto ne loda l’impegno rivoluzionario fino ai moti del Cadore del 1864 (vd. Leo Olschki; 1932).
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