Tutto sembrava ormai dimenticato, quasi nascosto sotto la polvere di un decennio… E, invece, la morte di Papa Benedetto XVI ha riportato in primo piano le polemiche, i sospetti, le veritá a mezza bocca che erano a suo tempo seguíte alle “dimissioni” del Santo Padre nell’ormai lontano 2013. Parlo, naturalmente, dell’aspetto laico della vicenda, prescindendo da questioni di diritto canonico che non sono nelle mie corde. In proposito, diró soltanto che, secondo alcuni esponenti dell’ambiente cattolico-tradizionalista, Benedetto XVI avrebbe soltanto rinunziato al “ministero” papale ma senza abdicare formalmente, con ció inficiando la successiva elezione a Papa del cardinale Bergoglio.
La vicenda del passo indietro di Papa Ratzinger – forse qualcuno lo ricorderá – era stata a suo tempo attenzionata su queste pagine e messa in relazione con una indiscrezione filtrata da un viaggio in Cina dell’Arcivescovo di Palermo, monsignor Paolo Romeo. In quella occasione il prelato siciliano – secondo un rapporto “strettamente confidenziale” rivelato dal “Fatto Quotidiano” – avrebbe confidato ad alcuni autorevoli interlocutori che il Pontefice sarebbe morto entro 12 mesi da allora (si era nel novembre 2011). La notizia era stata poi smentita da monsignor Romeo, ma l’ufficio stampa della Santa Sede aveva dovuto ammettere l’esistenza del rapporto, sia pur asserendo trattarsi soltanto di “farneticazioni”.
Orbene, anche se dopo 15 mesi (e non 12) erano improvvisamente giunte le “dimissioni” di Benedetto XVI. Mettere in relazione i due eventi era stato – per me – naturale, ipotizzando un disegno che mirava ad eliminare dalla scena un Papa poco incline al “politicamente corretto” ed a sostituirlo con altro soggetto che fosse in linea con i desiderata dei poteri forti del mondo anglosassone; e questo nel periodo di massimo splendore dei clan Obama e Clinton, per tacere di Soros e associati. [vedi «L’abdicazione di Benedetto XVI e il viaggio in Cina del Vescovo di Palermo» su “Social” del 15 febbraio 2013]
V’erano tuttavia dei particolari che mi sfuggivano, dei fatti di cui non ero a conoscenza, e che impedivano che tutte le tessere di un ipotizzabile mosaico investigativo andassero al loro posto. Quali argomenti erano stati utilizzati nella ipotesi di pressioni esterne per indurre Papa Benedetto a farsi da parte? Peraltro – in una tale ipotesi – avrebbero dovuto essere argomenti di grande impatto, tali da mettere il Pontefice di fronte ad una scelta praticamente obbligata, senza vie d’uscita.
Oggi, a dieci anni di distanza, qualche elemento in piú comincia a delinearsi. Il primo é l’esistenza di un surrogato di “partito d’opposizione” cardinalizio durante il pontificato di Giovanni Paolo II (e poi di quello di Benedetto XVI). Era nato informalmente nel 1993, come estrinsecazione del dissenso nei confronti della riforma del Consiglio delle Conferenze dei Vescovi Europei voluta da Papa Wojtyla. Ne erano alfieri i vescovi di San Gallo in Svizzera, Ivo Fürer, e di Milano, Carlo Maria Martini. Nel 1996 il gruppo si riuní per la prima volta a San Gallo, con la partecipazione di 11 porporati, tutti esponenti della cosiddetta “sinistra” vaticana. Il “gruppo di San Gallo” continuó poi a riunirsi una volta l’anno, a gennaio; e ció fino al 2006. Gli argomenti degli incontri erano rigorosamente riservati, anzi segreti. Sembra, comunque, che andassero delineandosi degli obiettivi strategici, con al primo posto, da quanto taluni avrebbero poi detto, il profondo dissenso nei confronti di monsignor Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, decano del Sacro Collegio cardinalizio e, soprattutto, principale e ascoltatissimo consigliere di Giovanni Paolo II. Alla morte di Papa Wojtyla nel 2005, sembra che Fürer, Martini e gli altri di San Gallo cercassero in tutti i modi di opporsi all’elezione di Ratzinger, senza peró riuscirvi.
La vicenda rimase comunque avvolta nel mistero fino a dopo l’elezione di Bergolio (2013). Poi, nel 2015, tutto venne portato allo scoperto da un cardinale che era stato tra i massimi esponenti del gruppo di San Gallo, e che si era poi ricreduto. Si trattava del primate del Belgio, monsignor Gottfried Danneels. Costui – cito da Wikipedia – «affermò di aver fatto parte di un gruppo, da lui stesso chiamato “mafia di San Gallo” unitosi per spingere Benedetto XVI a dimettersi e sostituirlo col cardinale Jorge Mario Bergoglio. Lo scopo fu raggiunto con l’elezione di papa Francesco il 13 marzo 2013.»
Ecco – e riprendo il filo del mio ragionamento iniziale – che la prima tessera mancante andava ad aggiungersi al mosaico della vicenda delle dimissioni di Benedetto XVI: in Vaticano aveva operato una vera e propria cordata (“mafia” mi sembra un po’ troppo forte) ostile a Ratzinger, prima ma anche dopo la sua elezione a Papa.
E, tuttavia, non tutto mi era ancóra chiaro. Escludevo, infatti, che la semplice presenza di una “opposizione” – sia pur agguerrita – potesse aver indotto Papa Benedetto ad una decisione cosí grave. Doveva esserci stato dell’altro, molto altro, qualcosa che non avesse riguardato soltanto la persona del Pontefice, ma avesse minacciato gli interessi vitali della Chiesa Cattolica.
Sono rimasto nel dubbio fino a pochissimi giorni fa; fino alla lettura, sul sito del giornalista investigativo Maurizio Blondet (preziosissima fonte di informazioni riservate), di un articolo del generale Piero Laporta, in passato capo della sezione Strategia Globale dello Stato Maggiore della Difesa. L’articolo in questione rivela che negli ultimi mesi del pontificato di Benedetto XVI lo IOR (cioé la banca del Vaticano) era stata esclusa dalla SWIFT, il Sistema Mondiale di Telecomunicazione Finanziaria Interbancaria, cioé il sistema che consente alla quasi totalitá delle banche del pianeta di effettuare tra loro ogni tipo di transazione. In pratica, se una grande banca (centrale o “d’affari”) non é partecipe dello SWIFT, é completamente tagliata fuori dal circuito finanziario mondiale. Si pensi che, quando ancóra gli USA speravano di poter determinare lo strangolamento economico della Russia, ne decretarono proprio l’espulsione dallo SWIFT. Cosa che – sia detto per inciso – indusse la Russia, la Cina, l’India e gli altri paesi dell’area BRICS a mettere in piedi un sistema mondiale alternativo di transazioni finanziarie, al di fuori dell’area del dollaro. In pratica, comunque, non v’é dubbio che gli Stati Uniti d’America dominino incontrastati lo SWIFT, utilizzandolo come un’arma impropria per condizionare o ricattare qualunque paese faccia loro ombra.
L’esclusione dello IOR dal sistema SWIFT, dunque, avrebbe condotto in breve tempo il Vaticano (e la Chiesa Cattolica) con le spalle al muro, decretandone la totale asfissía finanziaria. Ecco, dunque, quale avrebbe potuto essere lo strumento di pressione e di coercizione nei confronti di Benedetto XVI.
Certo, é solamente una ipotesi. Non c’é prova che emissari statunitensi abbiano detto a Papa Benedetto “o te ne vai, o distruggiamo economicamente la Chiesa Cattolica”. Ma fatto sta che, súbito dopo le dimissioni di Ratzinger, lo IOR venne riammesso nello SWIFT. Súbito dopo, immediatamente dopo, senza neanche attendere l’elezione del nuovo Papa.
Da tutto ció – continuo nella mia ipotesi di studio – emergerebbe la responsabilitá diretta della diplomazia americana nel “complotto” che nel 2013 costrinse Papa Ratzinger alle dimissioni. Ma, in tale ipotesi, quale avrebbe potuto essere il movente di una simile operazione “coperta”?
Molto probabilmente – é il parere del generale Laporta – la presenza di un Papa legato alla tradizione cattolica era un oggettivo impedimento per l’avvío di quella campagna di cancellazione di ogni valore identitario che i poteri forti d’oltreoceano hanno scatenato in tutto il cosiddetto Occidente: a cominciare dalla naturale identitá sessuale degli individui, sostituita da un gender “liquido” che é il presupposto indispensabile per ulteriori radiosi traguardi all’insegna di supposti “diritti civili”.
E – mi permetto di aggiungere – la presenza di un Papa come Benedetto XVI mal si accordava con l’altro disegno dell’alta finanza mondialista, quello di cancellare anche l’identitá etnico-etica delle popolazioni, attraverso un immigrazionismo organizzato che mira ad abbattere i “muri” degli Stati Nazionali. Ratzinger era un Papa-patriota, innamorato dei valori, delle tradizioni, della identitá della sua nazione. E basta uno sguardo al suo testamento spirituale per averne esplicita ed inequivocabile conferma. Inoltre, a quanti gli chiedevano di avallare un preteso “diritto ad emigrare” da parte delle popolazioni piú svantaggiate, Ratzinger ha sempre risposto di preferire un “diritto a non emigrare”; ovvero, come si direbbe con linguaggio laico, “aiutiamoli a casa loro”.
Qui mi fermo. Non vorrei andare oltre nella trama di questo “giallo vaticano”. Ma non posso fare a meno di riportare un altro particolare inquietante, riferito dal generale Laporta: la presenza nel milieu politico-finanziario romano di «un personaggio dei piani alti della National Security Agency che andava vantandosi delle dimissioni cui presto sarebbe stato costretto Benedetto XVI». Sembrerebbe, in sostanza, che in Italia le spie americane possano muoversi con assoluta tranquillitá e disinvoltura. Ma anche questa é solamente una ipotesi di studio.
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