Il vero nome era Kimitake Hiraoka, nato a Tokyo nel gennaio 1925 e suicida nel novembre 1970, ma è noto con lo pseudonimo di Yukio Mishima. Dai primi anni è educato dalla nonna Natsuko, che si sostituisce alla madre nella crescita e nell’educazione, con una sovrabbondanza di rigido affetto matriarcale ossessivo, che avrà ripercussioni caratteriali di non poco conto, anche nell’esplorazione e nell’interpretazione della letteratura classica e dello studio compulsivo del teatro Kabuki e No.
Una crescita difficile
Il percorso di Mishima è segnato da particolarità che lo avrebbero portato al considerare che “vivere non ha senso senza il morire, sul cammino del sacrificio degli eroi”, e a compiere il rituale Seppuku. Cresce chiuso nella propria camera. La madre poteva stare con lui ogni quattro ore, periodo necessario all’allattamento, poi sottoposto alla rigida proibizione di uscire di casa. Nel 1934, a nove anni, la madre riesce a escludere la nonna ormai debole, e a ottenere il controllo del figlio. Una delle esperienze che costituiranno uno dei motivi conduttori della produzione artistica di Mishima, e che troverà sfogo in “Confessioni di una Maschera” del 1949.
Avviato agli studi alla Scuola Dei Pari (Gakushuin) dal 1931, riceve comunque un’educazione molto rigida e severa, orientata all’obbedienza dei valori tradizionali. Durante questo periodo, altro elemento che segnerà la produzione intellettuale, Mishima prende parte ad alcune attività letterarie, e le sue prime poesie vengono pubblicate sul giornale della scuola. Sono gli anni della formazione classica secondo i canoni “Nihon Romanha”, e di una ricerca di perfezione che darà origine a “La Foresta in Fiore” (Hanazaki no mori), completato nel 1941, che il dicente di Letteratura Shimizu Fumio, membro della scuola romantica, farà pubblicare tre anni dopo, con lo pseudonimo che renderà celebre lo scrittore.
Contro la propria volontà, ma per volere della famiglia, si iscrive a Giurisprudenza e non solo si laurea con risultati brillanti ma vince anche un ambito concorso bandito dal ministero delle Finanze dove entra come impiegato, conducendo di fatto una vita parallela: rigoroso e zelante funzionario di giorno, scrittore creativo di notte, fino al collasso nervoso e al permesso paterno di lasciare il lavoro e dedicarsi alla scrittura.
Nel 1946 conosce Yasunari Kawabata (1899, suicida nel 1972 e premio Nobel per la Letteratura nel 1968) di cui diventa discepolo intellettuale e legato da profonda stima e rispettosa amicizia. Nel 1948 si unisce agli scrittori della rivista “Kindai Bungaku”, legata ad ambienti di sinistra, sebbene Mishima nei suoi romanzi cerchi di evitare qualsiasi riferimento alla politica che non fosse strettamente descrittivo, e certo non troppo in relazione con l’ambiente intellettuale della sinistra, considerando il suo marcato ideale di patriottismo oltre ogni ambizione personale. Per questo generalmente si crede che sia stato uno strumento per ottenere contatti nell’ambiente che contava. Nel giugno 1949, con la pubblicazione “Confessioni di una maschera”, romanzo semi-autobiografico in cui racconta l’evoluzione della propria omosessualità, Mishima ottiene il riconoscimento della critica e successo di vendite. Nei successivi tre anni pubblica tre importanti romanzi: “Sete d’amore”, “L’età verde” e “Colori proibiti”, poi viaggia negli Stati Uniti, Brasile ed Europa, rimanendo profondamente segnato dal classicismo greco, ispirazione di “La voce delle onde” (1954). Il viaggio in Grecia e un nuovo culto del corpo segnano l’inizio di una nuova vita, anche con il matrimonio con Yoko Sugiyama, più che altro per compiacere la famiglia, e dalla quale avrà due figli.
Una doppia vita
Mentre è padre e marito, non nasconde la frequentazione di omossessuali, senza un preciso orientamento, sebbene dopo il suicidio, la moglie abbia tentato di rivalutarne la figura, scontrandosi con scrittori che sostengono di avere avuto relazioni omosessuali con Mishima, come nel caso di Jiro Fukushima, che ne parla in un libro.
Conosce e diventa amico del fotografo Eikoh Hosoe, di cui sarà modello per il volume “Bara-Kei”, noto anche come “Killed by Roses” o “Ordeal by Roses”.
Diventato personaggio pubblico, interpreta in un film un giovane ufficiale che decide di morire compiendo Seppuku insieme alla moglie, film da lui scritto, diretto e interpretato; pubblica foto come culturista e praticante di Kendo, così come le notizie dei periodi di addestramento insieme al Jieitai (Forza di Autodifesa Giapponese) e alla fondazione della Tate no Kai (Società degli scudi), che lui chiama “esercito privato”, composto solo da un centinaio di giovani selezionati dallo scrittore stesso, inteso come esercito di salvaguardia dello spirito tradizionale giapponese e difensore dell’Imperatore. Nel 1970 completa la tetralogia “Il mare della fertilità”
Ossessionato dall’idea della morte, a livello personale e artistico, decide di unire il disagio esistenziale all’ideale politico di patriottismo tradizionalista. Nel novembre del 1970, insieme ai quattro più fidati membri del Tate no Kai, occupa l’ufficio del generale Mashita dell’esercito di autodifesa e di fronte a un migliaio di uomini, giornali e televisioni, esalta lo spirito del Giappone, l’Imperatore, condanna la Costituzione del 1947 e il Trattato di San Francisco. Al termine del discorso, rientra nell’ufficio del generale e, dopo aver inneggiato all’Imperatore, si toglie la vita tramite Seppuku, trafiggendosi il ventre e facendosi decapitare dal suo più fidato amico e discepolo, Masakatsu Morita, che sbaglia per tre volte il colpo di grazia previsto dal rito tradizionale. Mishima viene quindi finito da un altro commilitone, Hiroyasu Koga, mentre Morita si suicida sa sua volta. I tre sopravvissuti si consegnarono alla giustizia, furono condannati a quattro anni di prigione per l’occupazione del ministero, poi liberati per buona condotta dopo pochi mesi.
La mezza rivoluzione di un Samurai senza padrone
Personalità complessa, decisamente, e non di rado avvicinata al fascismo europeo, per altri espressione estremamente soggettiva del puro nazionalismo nipponico in chiave nostalgica, quasi un “D’Annunzio del Sol Levante”. Lo scrittore italiano Alberto Moravia (1907-1990), che lo incontrò nella tenuta liberty di Tokyo, lo definì un conservatore decadente, apolitico e antipolitico, e tuttavia profondamente patriottico, che ispirò anche numerosi personaggi delle sue opere, e il culto per l’Imperatore, visto non come personaggio reale, ma come ideale incarnazione dell’essenza del Giappone.
Con la tragica morte avvenuta in diretta televisiva nel 1970 durante l’occupazione simbolica del ministero della Difesa, suggellò la conclusione insieme della sua vita e della sua vicenda letteraria e intellettuale.
Mishima rimane comunque l’autore giapponese più tradotto nel mondo, un manifesto della bisessualità comunque angosciata, della apoliticità astratta accostata al nazionalismo degli antichi valori. Un personaggio comunque oltre gli schemi, come Federico García Lorca, Jean Genet, Rainer Werner Fassbinder, o Pier Paolo Pasolini.
In giapponese è il Ronin, letteralmente “uomo alla deriva”, più simbolicamente “uomo-onda”, samurai girovago, rinnegato, senza padrone. Nella tradizione, sono diverse le figure di questo genere che pur si sono coperte di gloria, facendo culminare il proprio eroismo con il sommo sacrificio rituale. Le radici del termine indicavano originariamente i contadini che, non potendo pagare le imposte, erano costretti a lasciare le proprie case e trasferirsi in zone sconosciute ma ancora fuori dalla giurisdizione delle autorità o dei monasteri della casta buddhista. Intorno al 900-100 (periodo Tukugawa) in Giappone vi erano numerosi Ronin, anche esperti nel maneggiare le armi, ma esautorati per la confisca dei loro feudi. Soldati di mestiere, furono gli artefici del crollo dell’impero Tokugawa. Quando il nobile padrone a cui un samurai era legato moriva, o perdeva la fiducia, il samurai perdeva il proprio onore, diventando un guerriero errante. Il Bushido, codice di condotta etica e morale, stabiliva che per espiare la propria colpa e riacquistare l’onore, dopo il comportamento in battaglia o in duello, la manifestazione più sincera fosse il suicidio rituale o Seppuku con la spada corta Wakizashi. Il rifiuto di compiere il suicidio rituale, faceva del guerriero un Ronin.
Nel Giappone moderno, il termine mantiene l’accezione romantico-dispregiativa, tuttavia come esempio del Bushido, tuttora uno dei cardini morali della società giapponese.
Come i Ronin vissero un’epoca di cambiamento, anche lo stesso Mishima vive un rivolgimento sociale, culturale, economico e politico, con una duplice reazione: da una parte si fa scudo e spada dei valori della tradizione di un Giappone ormai travolto dalla globalizzazione e dal capitalismo; dall’altra utilizza gli strumenti tipici della stessa globalizzazione, specialmente stile americano, che lui stesso identifica come uno dei mali che hanno perdere la memoria dell’antica gloria nazionale.
Il motivo dominante della parzialmente riuscita rivoluzione culturale di Mishima è quindi l’utilizzo di una forma vuota e senza sostanza, da riempire con la propria sostanza e quindi diffonderla, per restaurare l’antica cultura in un mondo moderno.
Lui stesso si definiva infatti l’ultimo scrittore giapponese rimasto legato ai canoni del classicismo nazionale, ma che può anche recitare in un moderno film sulla Yakuza. Lo stile di Mishima era infatti estremamente legato alla rigorosità classica tradizionale, da rappresentare in un moderno set fotografico, mentre curava in modo maniacale il Tate-No-Kai, “Associazione degli Scudi”, corpo paramilitare ultranazionalista e anti-comunista da lui stesso fondato nel 1968. Al tempo stesso non era raro trovarlo a cena in noti ristoranti, oppure ospitare serate nella lussuosa villa liberty a Tokyo.
In un certo senso una specie di rockstar, che aveva inteso lucidamente come utilizzare la forza dell’immagine. Oggi si chiamerebbe Influencer…
Mishima ha culturalmente sconvolto il Giappone che risente da lontano dei venti del movimento ’68 in Europa, derivati poi in una società che lo scrittore avversa e combatte. In sostanza quello che oggi si chiama Globalizzazione, o materialismo occidentale di derivazione americana. Mishima combatte esplicitamente, dichiaratamente, i semi di quel cambiamento, ed è ancora attuale perché vive alle origini del nostro tempo.
“La vita umana è breve ma io vorrei vivere in eterno”. Così scriveva Mishima. L’ultimo samurai è davvero riuscito nella sua impresa?
Negli anni ‘60, in Giappone si parlava molto di Yukio Mishima e delle sue eccentriche opinioni, si ironizzava sui continui e variegati riferimenti alla morte nei romanzi, nei film, nei servizi fotografici, sugli eccessivi richiami all’antica epoca dei samurai, sulla riscoperta di un’epica della nazione da contrapporre alla monotonia della società-fabbrica-alveare. L’atto che decise di compiere, il Seppuku, mise fine alle polemiche e le ironie, in quanto, sostanzialmente Mishima aveva chiuso il cerchio, dimostrando che negli ultimi dieci anni non aveva messo in scena una fiction, recitato una parte o costruito semplicemente un’immagine provocatoria. Pochi avevano voluto o saputo prenderlo sul serio. Ma egli era ben certo di non potere più tornare al cavallo, all’arco e frecce o alle spade. Egli combatteva i nemici cosiddetti “trasversali”, l’appiattimento culturale e ‘modernista’, il soffocamento delle naturali esigenze. Certamente estrema e teatrale fu la sua morte, alla stregua di un autentico ma anacronistico Samurai.
Bibliografia essenziale:
Marguerite Yourcenar, Mishima o la Visione del Vuoto, Bompiani 2005.
Christopher Ross, La spada di Mishima, Lindau, 2018.
Riccardo Rosati, Mishima. Acciaio, Sole ed Estetica, Cinabro 2020.
Henry Scott Stokes, Vita e morte di Yukio Mishima, Lindau 2008.
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