Una minuscola penisola di poco più di 11.500 km quadrati, con circa 3 milioni di cittadini stretti fra il mare di sabbia arabico e il Golfo Persico, e seduti su una enorme riserva di petrolio che fa del Qatar il possessore del 3% delle riserve mondiali, e gas naturale per cui è primo produttore assoluto. Una decina di province la cui origine risale al periodo Ubaid (6.500-3.800 a.C.) almeno stando agli ultimi ritrovamenti avvenuti nei pressi di Al-Da’asa, sulla costa occidentale e sull’isoletta di Al-Kor, a testimonianza dei rapporti commerciali fra tribù del Qatar e tribù dei Cassiti, che abitavano l’odierno Bahrain.
Come emirato indipendente, il Qatar nasce nel settembre 1971, quindi in tempi recenti, dopo essere stato dominato per migliaia di anni dall’impero persiano, poi dalla monarchia del Bahrain e quindi dall’impero ottomano.
La storia del Qatar ha alcune tappe fondamentali, come la battaglia di Al-Wajba del marzo 1893 nella guerra di indipendenza, che segnò l’inizio della fine per i dominatori ottomani; o l’unificazione delle varie municipalità nel dicembre 1878 ad opera dello sceicco Jassim bin Mohammed Al Thani, padre fondatore della nazione.
Diversamente dalla maggior parte dei vicini emirati, il Qatar ha rifiutato di diventare parte dell’Arabia Saudita o degli Emirati Arabi Uniti malgrado il comune orientamento wahhabita della fede islamica. Il resto è storia nota: negli anni ’80 del ‘900, con la guerra Iran-Iraq, il Qatar sostenne Baghdad, ma si dichiarò contrario quando, nel 1991, Saddam Hussein invase il Kuwait, entrando a far parte della coalizione internazionale per la Prima Guerra del Golfo.
Le dispute territoriali con l’Arabia Saudita del settembre 1992 misero in crisi le buone relazioni tra i due Paesi, che raggiunsero un accordo nel maggio del 1993. Nel giugno 1995 l’erede al trono, Hamad bin Khalifa Al Thani, depose il padre Khalifa bin Hamad Al Thani e avviò una politica di apertura verso Iran, Iraq e Palestina. Nel marzo del 2001 la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite ha riconosciuto allo Stato del Bahrain la sovranità sulle isole Hawar, reclamate dal Qatar, risolvendo una disputa che si protraeva da decenni. Nel 2013 l’emiro ha volontariamente abdicato in favore del figlio Tamim bin Hamad Al Thani.
Nel giugno 2017, con una mossa coordinata, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Egitto e altri Paesi musulmani hanno rotto i rapporti con il Qatar, accusandolo del sostegno a gruppi integralisti come Hamas, dell’appoggio alla destabilizzazione iraniana e dei Fratelli Musulmani in Egitto. Furono applicate sanzioni economiche, chiusura dei confini terrestri, marittimi e aerei alle compagnie e ai cittadini del Qatar, nonché l’espulsione di quest’ultimi dai Paesi del Golfo. Nel gennaio 2021, Qatar e Arabia Saudita hanno concordato una risoluzione della crisi mediata da Kuwait e Stati Uniti. L’Arabia Saudita ha così riaperto il confine con il Qatar e avviato il processo di riconciliazione, a seguito del vertice di Al-‘Ula tenuto dal Consiglio di Cooperazione del Golfo.
Il lato oscuro
Benessere, ricchezza, lusso, grandi flussi di denaro, investimenti, tutti elementi che hanno il proverbiale rovescio della medaglia.
Soldo chiama soldo, questo è un fatto. Poche volte però tanto denaro è stato a tal punto sporco, e mai si è assistito a un qualcosa di simile, che con lo sport non ha nulla in comune, mentre la Fédération Internationale de Football Association ha letteralmente venduto al migliore offerente il torneo, e tutto ciò che ruota intorno, direttamente o indirettamente, diritti televisivi e spot pubblicitari compresi. Per inciso, l’Art.3 dello Statuto della FIFA stabilisce che l’organizzazione si impegna a garantire la protezione dei diritti umani riconosciuti a livello internazionale. In questo non va dimenticato che la FIFA denuncia un fatturato annuo intorno ai 7 miliardi di euro, con una capitalizzazione di mercato di circa 40 miliardi, e per statuto non è società a scopo di lucro.
I numeri parlano chiaro, d’altra parte. Basti pensare alla manifestazione organizzata nello stadio di Herne, in Germania, dove i lavoratori dell’Agenzia per la Sicurezza sul Lavoro hanno acceso 20mila candele, in mezzo a 3.500 sacchetti di sabbia a forma di pallone da calcio, uno per ogni lavoratore morto nel grande progetto di allestimento degli stadi, di ammodernamento della capitale Doha e delle altre città che ospitano il 22° Mondiale, proclamando che la FIFA e il governo del Qatar sono passati sopra i corpi delle vittime di condizioni disumane, caldo, fatica, sicurezza inesistente e altro ancora. Alcune fonti meno ufficiali parlano di oltre 7.000 morti sul lavoro negli ultimi 15 anni, su un totale di circa due milioni, da quanto il Qatar ha dato inizio a una ascesa folgorante, investendo in molteplici settori, con l’assegnazione del torneo. Anche il noto quotidiano britannico “The Guardian” riporta la cifra di 6.500 vittime, ma sottolinea che tale cifra è riferita ai soli immigrati da Bangladesh, India, Sri Lanka, Pakistan e Nepal, secondo i dati trasmessi dalle rispettive ambasciate. Di conseguenza, il numero è necessariamente più alto, considerando le migliaia provenienti dall’Africa, Filippine e Sudamerica. Di contro, le autorità del Qatar ammettono la morte di soli 37 lavoratori, in diretta connessione con l’allestimento degli otto stati e delle infrastrutture per il Mondiale, visto che le altre migliaia pare siano state registrate come decessi per cause naturali, come insufficienza respiratoria o crisi cardiaca, magari per le condizioni e i ritmi di lavoro a 50 gradi… Il governo di Doha ha affermato: “Il tasso di mortalità tra queste comunità rientra nell’intervallo previsto per le dimensioni e la demografia della popolazione. Tuttavia, ogni vita persa è una tragedia e nessuno sforzo viene risparmiato nel tentativo di prevenire ogni morte nel nostro Paese”. E per sua parte, la Federazione Internazionale, come dichiarato dal numero uno Gianni Infantino, fa orecchie da mercante, dicendosi sorpresa di tanti decessi, in un Paese con un sistema sanitario all’avanguardia: “Siamo profondamente dispiaciuti per queste tragedie e abbiamo indagato su ogni incidente per assicurarci che le lezioni fossero apprese. Abbiamo sempre mantenuto la trasparenza su questo problema e contestiamo affermazioni inesatte sul numero di lavoratori che sono morti sui nostri progetti”. Un politichese diplomaticamente perfetto, anche se fa acqua da tutte le parti. Nessuno stupore quindi, nel vedere in atteggiamento fraterno e sorridente, in tribuna presidenziale d’onore, il leader della FIFA, Gianni Infantino, alla destra dell’emiro Tamim bin Hamad Al Thani, sovrano del Qatar, per altro noncurante delle 132 condanne a morte eseguite per decapitazione nel solo 2022.
Lo scenario di Doha si offre quotidianamente a casi umani messi da parte nel nome del denaro al punto che qualcuno ipotizza che la presenza del principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, potrebbe avere a che fare con l’assegnazione del Mondiale 2030 a Riyadh, senza trascurare l’ipotesi Bahrain e Iraq.
Del resto lo sport va dove conducono i conti correnti miliardari, è inutile essere ipocriti, anche se le squadre italiane giocano la Supercoppa d’Italia proprio da quelle parti, mostrando poco rispetto per diritti violati e decapitazioni. Sta di fatto che l’immagine della tribuna di Doha è la conferma che il grande monito del presidente della FIFA al mondo intero è già sepolto sotto la sabbia del deserto e montagne di soldi, e i fatti dicono che poco importa se le pressioni internazionali hanno obbligato la FIFA ad adottare i principi guida delle Nazioni Unite sui diritti umani, senza però chiedere mai al Qatar di seguirne ufficialmente i princìpi, come ha evidenziato anche Human Rights Watch.
Per l’assegnazione delle prossime edizioni il massimo organismo del calcio mondiale ha previsto di chiedere ai Paesi candidati di rispettare i diritti umani dei lavoratori impiegati ma, finora, non ha dato risposte esaurienti sull’edizione in corso, né ha dato prova contraria alle accuse di corruzione nella procedura di assegnazione come Paese Ospitante. In sostanza, il Qatar avrebbe inondato di dollari la FIFA per ospitare il Mondiale 2022. Accuse che avrebbero dovuto dimostrare l’inadeguatezza del Qatar a ospitare un evento di tale importanza e che invece hanno finito per azzerare il calcio come spettacolo puramente sportivo. Che fosse un business redditizio, agli alti livelli, non è un segreto. Ma così è oltre ogni misura.
Intrighi di palazzo e proposte indecenti
Una vicenda degna del miglio thriller politico, quella che ha portato il Qatar a essere Paese Ospitante dei Mondiali 2022. Ora, anche chi vive agli antipodi conosce il piccolo emirato del Golfo Persico che ha conquistato il primo posto nella vetrina planetaria, in uno scenario a dir poco indegno, specialmente da parte di una organizzazione che dovrebbe essere super partes, e che invece si è fatta comprare in modo paradossalmente grottesco. Ed è solo uno dei molti aspetti della storia, che non ha nulla da spartire con un grande evento sportivo, con le aspirazioni della popolazione di un Paese esotico, con il progresso sociale, anzi. Le ipocrite accuse internazionali riguardano proprio una fascia della popolazione locale, effettivamente invisibile, da quanto si sono scoperti gli enormi giacimenti di idrocarburi ed è iniziata la sfrenata corsa internazionale per il controllo e lo sfruttamento di tali tesori.
Per sostenere la crescita economica che è derivata dagli introiti dell’esportazione degli idrocarburi, il Qatar ha aperto le porte ai lavoratori stranieri, soprattutto dal sud-est asiatico. Una mossa comprensibile, dato che il Qatar negli anni ’70 contava meno di 110mila abitanti, ma che nel tempo è diventata sempre meno sostenibile. Oggi gli stranieri residenti in Qatar sono quasi il 90% della popolazione e la stragrande maggioranza sono lavoratori poco qualificati nel settore costruzioni o servizi. Da un punto di vista etnico, gli indiani sono il gruppo più rappresentato (sono circa il 25% della popolazione) e da soli, sono più del doppio di tutti gli abitanti con regolare cittadinanza e residenza. Una struttura demografica così sbilanciata si lega poi a un sistema di discriminazione istituzionalizzato in cui i lavoratori stranieri non hanno possibilità di cambiare la propria condizione e sono esclusi da quasi tutti i diritti fondamentali. La cittadinanza è pura illusione, visto che si ottiene quasi esclusivamente per via ereditaria, e i lavoratori sono assoggettati ai propri datori di lavoro da sistemi giuridici di stampo medievale, fra cui l’usanza della cosiddetta “kafala”, che prevede il divieto di lasciare il proprio posto di lavoro, senza il permesso del responsabile, nemmeno in caso di violenza o abuso, che sistematicamente avvengono, come testimoniano i rapporti delle organizzazioni internazionali e delle ONG. I lavoratori non possono nemmeno decidere se e quando lasciare il Qatar, scelta lasciata ancora una volta ai loro datori di lavoro, che hanno il potere di requisire il passaporto.
L’arcaico sistema sociale spiega perché la questione dei morti sul lavoro nelle infrastrutture del Mondiale 2022 va oltre la semplice indignazione occidentale. La dinastia Al Thani che governa il Qatar, rappresenta una fetta di popolazione minuscola che, nonostante sia in minoranza rispetto al resto della popolazione, detiene la totalità del potere economico, politico e sociale, che utilizza affinché questa situazione rimanga invariata, probabilmente per timore di perdere i propri privilegi in caso di cambiamento sociale, e del risveglio di una maggioranza sfruttata all’interno della propria società, molto più del timore di vedersi revocato il Mondiale per un improbabile boicottaggio internazionale, e oggi sono stati realizzati nuovi stadi faraonici più altri due rimodernati in un fazzoletto di terra da 70 chilometri, e altre grandi infrastrutture come strade, sistemi di trasporto pubblico, hotel, un aeroporto e persino una città artificiale, Lusail. L’emiro ha fatto le cose in grande.
La domanda è: cui prodest? A guadagnarci sono in molti, e sotto diversi aspetti, considerando l’insieme di elementi che compongono il quadro completo, ma sarebbe essenziale portare all’evidenza le responsabilità politiche anche dei Paesi di provenienza di questi lavoratori, che si nascondono dietro un velo di complice opacità. L’ambasciatore dell’India a Doha, ad esempio, ha ufficialmente commentato con queste parole le condizioni dei lavoratori indiani: “Un certo numero di decessi è purtroppo normale, tuttavia sappiamo che la maggior parte è stata causata dalle difficili condizioni climatiche”.Le stesse parole pronunciate a proposito dei lavoratori nord-coreani in condizione di schiavitù nelle industrie e nelle miniere della Siberia nel 2018. Nulla di più che merce di scambio per accordi commerciali, contando anche sul fatto che il volume di denaro che i lavoratori stranieri in Qatar mandano alle famiglie rimaste in Bangladesh, Nepal, Sri Lanka e India, costituisce una fonte di notevole entrata, per la tassazione vigente.
La responsabilità principale è comunque ai vertici, ovvero, dinastia regnante del Qatar e responsabili della FIFA. La prima è notoriamente una ristretta élite, espressione del dato che fa dell’emirato il primo Paese al mondo per Pil pro-capite, e impegnata a garantire ai cittadini residenti i diritti di cui godono attualmente, evitando qualsiasi diversificazione dell’economia e, nonostante questo, con la pretesa di assumere un ruolo prioritario nell’economia globale. A questo si collegano i miliardari investimento qatarioti in Europa, nel processo di espansione finanziaria mondiale. Non a caso, a capo di alcune delle maggiori holding e aziende proprietarie di società calcistiche occidentali, ci sono nomi di imprenditori del Qatar o marchi nazionali dell’emirato.
Molte organizzazioni per i diritti umani parlano senza mezze misure di Apartheid, e con chiari riferimenti non solo al periodo storico precedente, ma evidenziando gli aspetti giuridici internazionali per ricostruire l’intera situazione, secondo la definizione dello statuto della Corte Penale Internazionale dell’Aja. Sono certo passati anni, eppure il cambiamento non c’è stato dalle Olimpiadi del 1964, dalle quali era stato escluso il Sud Africa per evidenti motivi. Non sono scelte politicamente facili e dai risultati immediati, perché ci sono interessi economici difficili da ignorare, anche senza ipocrisia o corruzione a base di buste milionarie.
Nel frattempo, dall’assegnazione dei Mondiali, è stata attuata una vera e propria segregazione sociale: le grandi baraccopoli-dormitori dei lavoratori che hanno realizzato gli stadi con aria condizionata anche all’aperto e in mezzo al deserto (la questione emissioni CO2 è poi un altro capitolo…) sono state spostate al di fuori delle zone residenziali della capitale, e a certe fasce di lavoratori è impedito l’accesso a centri commerciali oppure di partecipare a manifestazioni pubbliche ufficiali, come la festa dell’indipendenza o dell’unificazione. Ipocrisia che poi è una contraddizione in sé stessa, poiché non dovevano servire i Mondiali 2022 per evidenziare le condizioni di schiavitù dei lavoratori stranieri in Qatar, rendendo giustizia anche a quelli morti in tutti gli altri Paesi.
Ovviamente, la questione dei lavoratori stranieri richiama quella delle varie comunità LGBT, assolutamente fuorilegge in Qatar, come i diritti della donna, e diversi altri articoli.
Vi sono poi insistenti voci, a quanto pare con solido fondamento, che vedono nell’ex presidente francese Nikolas Sarkozy la persona chiave per l’assegnazione dei Mondiali 2022 al Qatar Sarebbe stato proprio l’ex presidente francese a convincere Platini a sostenere la candidatura dell’Emirato, in una famosa cena riservata all’Eliseo, nella quale venne discussa anche l’acquisizione del Paris St. Germain da parte del fondo sovrano qatariota nel 2011. Sébastien Bazin, allora boss del fondo Colony Capital e proprietario della squadra parigina, riuscì a raddoppiare il prezzo di vendita del club grazie all’aiuto di Sarkozy e di suo figlio Pierre, da 30 milioni di euro si salì a 64 milioni pagati in due fasi. Cosa avrebbe ottenuto in cambio non è del tutto chiaro, ma le indagini sono ancora aperte.
La lobby
La Fédération Internationale de Football Association, con sede a Zurigo, Dal 2016 è presieduta dallo svizzero-italiano Gianni Infantino. La fondazione avvenne a Parigi nel maggio 1904, per coordinare l’organizzazione dei vari tornei internazionali, tra le quali la più importante è certamente il campionato del mondo ogni quattro anni dal 1930, a parte la sospensione 1942-1946 per ovvi motivi. Vi è un sommo organo decisionale che è il Congresso, composto da un rappresentante per ogni membro associato (ad oggi oltre 200), quindi un presidente, segretario generale e comitato esecutivo, con uno staff di circa 300 persone, che formano varie commissioni come quella Finanze, Disciplinare, Arbitrale, ecc. Da non dimenticare il fatto che la FIFA ha anche degli sponsor, fra cui Adidas, Coca Cola, Hyundai, Visa e, guarda caso, Qatar Airways e Qatar Energy.
Lo scandalo del 2015 aveva già scosso le fondamenta della FIFA, quando circa dieci fra i massimi dirigenti furono arrestati per corruzione a Zurigo, su richiesta dell’FBI, per un giro di corruzione del valore di circa 100 milioni di dollari. L’inchiesta si era concentrata in particolare sull’assegnazione dei Mondiali alla Russia per il 2018 e per Qatar 2022, ma coinvolgeva il calcio mondiale, con tangenti da 10 milioni di dollari nel 2004 ai dirigenti per il Mondiale in Sudafrica nel 2010, o per il centenario della Copa América del 2016, oppure in occasione dell’assegnazione del Mondiale 2006 alla Germania e ancora prima, Francia ’98.
L’avvenimento ebbe vasta eco e strumentalizzazioni politiche, come l’intervento del presidente russo Vladimir Putin che parlò di ingerenze americane per condizionare il calcio, mentre il primo ministro inglese David Cameron chiedeva pubblicamente di fare pulizia ed espellere le mele marce. L’allora presidente FIFA, lo svizzero Joseph Blatter, si affrettò a negare sdegnosamente ogni accusa, venendo però smentito da prove evidenti e tuttavia mai formalmente incriminato. Coinvolto anche il celebre ex giocatore Michel Platini in quanto presidente UEFA, che però risultò pulito e anzi, si fece promotore di un cambiamento radicale, a quanto pare però, senza successo.
Nel giugno 2015 viene arrestato il funzionario FIFA Alejandro Burzaco, ricercato dall’Interpol per riciclaggio di denaro tramite la compravendita dei diritti televisivi, che era riuscito a sfuggire all’FBI a Zurigo, e si costituì a Bolzano. La presidenza vacante venne assunta dal rappresentante del Camerun, Issa Hayatou, a sua volta indagato per tangenti, e fino ai giorni attuali, con le vicende della Coppa del Mondo in atto e all’ipocrisia internazionale che seppellirà nel dimenticatoio tutte le polemiche, come avvenne per il Mondiale 1978 in Argentina, dove solo due anni prima era salita al potere una Giunta Militare con un sanguinoso colpo di stato, e fra violazioni quotidiane dei diritti umani fino alla impressionante cifra di circa 30mila persone catalogate come Desaparecidos e con le autorità locali che strumentalizzarono la manifestazione sportiva per mostrare un’Argentina dove le cose funzionavano e regnava la stabilità. Da ricordare: la nazionale ospitante vinse la Coppa contro l’Olanda, e il mondo perse una grande occasione per fare qualcosa. Non deve stupire, i precedenti c’erano già: nel 1934 il Campionato del Mondo fu organizzato in Italia, da Benito Mussolini…
Guerra dell’informazione
Fra quinte, poi, vari conflitti come quello delle trasmissioni televisive, per cui la holding americana Fox ha rivolto proteste ufficiali per lo spostamento del Mondiale alla stagione invernale (motivato per il caldo) a causa della sovrapposizione con il campionato NFL. Fox USA ha comunque ottenuto i diritti per i Mondiali 2026, ottenendo do pagare la stessa cifra per un valore parai al 2022, causando una enorme perdita alla FIFA, a quanto pare rimediata con il “contributo” del Qatar, fra le altre cose, fra quello di Al-Khelafi, miliardario presidente del Gruppo Media Beln, accusato di avere corrotto il segretario generale della FIFA, Jerome Valcke, per i diritti tv 2026 e 2030. E comunque, ancora oggi, a Mondiale cominciato, è impossibile stabilire con la dovuta esattezza il numero dei lavoratori deceduti. Ci hanno provato in tanti, fra cui il “Washington Post”, che nel maggio 2015 ha pubblicato un articolo secondo cui i morti dal dicembre del 2010 erano già circa 1.200 ma poco dopo fu costretto a ritrattare su pressione del governo di Doha, secondo cui “non era avvenuto alcun incidente mortale in connessione con l’organizzazione del Mondiale del 2022”. Nell’introduzione all’articolo, si legge che il “Washington Post” ammette la propria impotenza nel verificare quanti morti, siano correlati al Mondiale. Certo si può attribuire tutto questo al fallimento del giornalismo investigativo, ma è in primo luogo il Qatar che vuole tenere nascoste queste informazioni. Poche notizie filtrano oltre la cortina della censura, fra cui un recente rapporto di Human Rights Watch sulle norme che il governo di Doha adotta riguardo agli orari di lavoro. Non solo: dei 520 lavoratori provenienti da Bangladesh, India e Nepal (i tre Paesi maggiormente presenti in Qatar) morti nel 2012, del 74% non si conosce la causa di decesso, il 47% è segnalato come “causa sconosciuta” e il restante 27% genericamente come “altra causa”.
Nel marzo del 2016 la ILO (l’International Labour Organization, agenzia dell’ONU che si occupa di diritti sociali e lavoro) aveva intimato al Qatar di riformare il sistema giuridico della “kafala”, avvenuto solo in teoria. Nonostante ciò, l’ILO si è dimostrata sorprendentemente comprensiva, chiudendo lo scorso 8 novembre la procedura che aveva aperto nei suoi confronti nel 2014 per le violazioni della convenzione sul lavoro forzato. In cambio, però, l’agenzia delle Nazioni Unite ha ottenuto un accordo di cooperazione di tre anni col governo di Doha in modo da monitorare gli sviluppi futuri.
FIFA Files: il caso bin Hammam
Fra mille polemiche, il “Sunday Times” ha poi diffuso i cosiddetti FIFA Files, migliaia di documenti che confermano i sospetti su intrighi e manovre nella FIFA da parte di Mohamed bin Hammam dirigente sportivo qatariota ed ex presidente della Asian Football Confederation, squalificato a vita per corruzione. Il giornale britannico ha ricostruito la vicenda dell’assegnazione dell’edizione 2022 della Coppa del Mondo, che ha creato una montagna di polemiche. Secondo il “Sunday Times” l’assegnazione di quel Mondiale fu “comprato” utilizzando fondi neri, favori e pagamenti legati alla rete di clientele costruita dallo stesso bin Hammam per ottenere i voti decisivi all’assegnazione.
Bin Hammam avrebbe cominciato ad agire nel giugno 2008 a Kuala Lumpur, sede della Asian Football Confederation, considerato una specie di feudo provato, con una prima bustarella di 100mila dollari nella disponibilità del delegato del Qatar Mohammed Meshadi. Nell’ottobre di quell’anno piovvero sui delegati regali e altre centinaia di migliaia di dollari. Nel 2009 Hammam fece intenso lavoro di lobbying e la campagna culminò con i pagamenti al vicepresidente FIFA Jack Warner, capo del calcio caraibico: 450mila dollari prima del voto per assegnare la coppa 2022 e 1,2 milioni di dollari che transitarono da bon Hammam a Warner nel 2011 quando entrambi furono sospesi per corruzione.
Dai documenti pubblicati dal “Sunday Times” emerge che oltre 5 milioni di dollari sono stati pagati da Hammam per ottenere il mondiale 2022 tramite un pilotaggio occulto dei voti. In sostanza le mazzette versate ai presidenti delle federazioni africane erano in media di 200mila dollari su conti controllati dai presidenti, mentre una super tangente di 1,6 milioni di dollari sarebbe stata versata all’ex presidente della Concacaf (Associazione Calcistica della Confederazione Nord, Centro America e Caraibi) Jack Warner.
Coinvolto anche il manager qatariota Nasser Al Khelaiifi, proprietario del Paris St.Germain, con un ruolo non di secondo piano nella vicenda che ha portato l’assegnazione dei Mondiali al Qatar e, a poche settimane dal calcio d’inizio, è finito sotto i riflettori in Francia perché accusato di estorsione nei confronti di un impresario franco-algerino che, secondo l’indagine, sarebbe stato in possesso di una serie di prove che avrebbero inchiodato lo stesso Al-Khelaifi, al centro di azioni di corruzione nella controversa attribuzione del campionato del mondo 2022, scrive “Libération”.
Comunque vadano a finire, queste indagini sono già storia. I Mondiali di calcio di Qatar 2022 sono in corso e certo non si fermeranno anche per molto tempo dopo il fischio finale e la cerimonia di chiusura. I primi ospitati da un Paese arabo. Da aggiungere, la vittoria anche dal punto di vista del prestigio, visto che il Qatar a vinto l’assegnazione del Mondiale battendo gli Stati Uniti.
Diritti televisivi a colpi di milioni di dollari, così come per trasmettere gli interventi delle molte star della musica, alcune delle quali hanno pubblicamente rifiutato l’invito per protesta e per marketing, visto che la non-presenza può essere fonte di notorietà tanto quanto l’esserci e forse di più.
Soldo chiama soldo, è un concetto da ripetere e tenere ben presente, soprattutto nel mondo dei media, dove investire è fondamentale. Il 9 aprile dell’anno scorso la Rai ha così messo sul piatto una cifra tra i 170 e i 190 milioni di euro per portarsi a casa l’esclusiva di tutte e 64 partite dei Mondiali. Una scelta rischiosa, ma di rischio calcolato, considerando che, quando c’è l’Italia che si gioca qualcosa d’importante, per gli italiani non ci sono alternative televisive. Il problema è che il 24 marzo di quest’anno l’Italia è stata squalificata in fase di qualificazione… Che cosa riserverà il Mondiale 2026 ospitato da Canada USA e Messico?
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