La guerra che dal 2014 infuria nel Donbass separatista, e quella scoppiata su scala maggiore fra Russia e Ucraina nel febbraio 2022, si sta combattendo accanitamente con gli eserciti regolari, ma molto attive sono le milizie non ufficiali, formate da volontari, giudicate particolarmente agguerrite e, secondo i media, responsabili di atti criminali e violazioni dei diritti umani. Un vero e proprio mosaico di formazioni di varia ideologia, in un elenco che può apparire pedante, ma importante per capire la difficile situazione, estremamente mutevole, considerando i numerosi elementi in campo.
Le truppe volontarie della Repubblica Popolare di Donetsk (DPR) e di quella di Lughansk (LPR), i territori separatisti del Donbass che si sono auto-dichiarati indipendenti e riconosciuti da Mosca, sono di fatto legittimati come combattenti integrati nell’esercito russo, specie dopo l’annessione dichiarata il 30 settembre 2022.
Sono i reparti che combattono fin dalle prime manifestazioni autonomiste, fra i quali la Milizia Popolare, avversi al governo centrale di Kiev, da cui sono considerati terroristi a tutti gli effetti, accusandoli per altro di essere responsabili della sciagura aerea della Malaisya Airlines il 17 luglio 2014, in una situazione che a grandi linee ricorda quella fra turchi e curdi, ancora senza soluzione.
Il padre riconosciuto della Milizia Popolare del Donbass è Pavel Gubarev, acclamato governatore di Donetsk che ha fondato la Milizia nel marzo 2014. Il mese seguente nacque anche la Milizia Popolare di Lugansk, o “Esercito del Sud-Est”.
Il primo obiettivo delle truppe popolari fu la conquista dei principali edifici governativi, a cui Kiev ha risposto senza mezze misure, dando inizio a vere e proprie operazioni antiterrorismo in forze. In tal modo ha avuto inizio la guerra del Donbass.
Nel settembre 2014, le milizie delle repubbliche di Donetsk e Luhansk si sono fuse sotto l’egida delle Forze Armate Unite della Novorossiya (NAF), diventando 1° Corpo d’Armata DPR e 2° Corpo LPR, fino al maggio 2015 quando il progetto Novorossiya (Nuova Russia) è stato interrotto a causa di lotte intestine e sfere di influenza contrastanti. In ogni caso, i reparti armati continuano a battersi contro l’esercito ucraino, con il sostegno russo.
Stati Uniti e Ucraina considerano ancora valida la denominazione 1°DPR e 2° LGP, tanto che a tutti gli effetti sono etichettati come appartenenti alla 8a Armata Combinata russa, formata nel 2017 nei distretti di Rostov e Novocerkassk.
Sebbene nel 2014 il governo russo abbia spesso negato il coinvolgimento diretto, dicendo che i suoi soldati erano lì volontariamente e non su ordine, alcuni di loro sono stati catturati con documenti che dicevano il contrario. I separatisti hanno ammesso di aver ricevuto rifornimenti dalla Russia, di essere stati addestrati da istruttori russi, e che diversi russi combattono fra i separatisti, sia in età di servizio ma anche in pensione come ha confermato il capo della DPR, Alexander Zakharchenko.
Con l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, le forze separatiste del Donbass hanno avviato un processo di mobilitazione forzata di massa che ha visto ampie fasce della popolazione maschile del Donbass combattere per la Russia. Dopo l’annessione dei territori ucraini, il 30 settembre 2022, i funzionari russi hanno iniziato la coscrizione forzata di civili ucraini nelle parti occupate di Kherson, per un totale di circa 3.500 combattenti.
La prima Milizia Popolare
Fra i manifestanti che nel marzo 2014 assaltarono il palazzo dell’amministrazione regionale di Donetsk, vi era un gruppo che si autodefinì Milizia Popolare del Donbass. Al comando vi era Pavel Gubarev. Nell’aprile successivo, circa duemila manifestanti hanno assaltato lo stesso edificio a Khakrov, e la sede della SBU, i servizi di sicurezza, a Lughansk, prendendo anche 60 ostaggi, chiedendo un referendum popolare come quello della Crimea.
In pochi giorni, anche diversi edifici governativi a Kramatorsk e Sloviansk sono stati presi d’assalto e i sostenitori della Repubblica Popolare di Donetsk, supportati dalla Milizia Popolare del Donbass, hanno allestito posti di blocco e barricate a Sloviansk. Ex membri dell’unità Berkut di Donetsk si sono poi uniti alla stessa Milizia Popolare.
A nulla servì l’ultimatum di Kiev e la minaccia di misure antiterroristiche su vasca scala in tutta la regione, perché a Sloviansk scoppiarono scontri armati fra la Milizia Popolare del Donbass e reparti regolari dell’esercito ucraino, con vittime da entrambe le parti. A metà aprile, il governo ucraino diede inizio a un’operazione antiterrorismo, per ripristinare l’autorità di Kiev sulle aree occupate dalla Milizia. I combattimenti si allargarono in breve a Kramatorsk, Novokramatorsky, Mashinostroitelny Zavod, Severodonetsk, Lysychansk, Lughansk, e un mese più tardi erano i circa 15mila separatisti di Pavel Gubarev a inviare un ultimatum a Kiev. A questo punto ebbero inizio i combattimenti su vasta scala, con la Milizia che nell’estate seguente subisce una serie di pesanti sconfitte fino al rasentare la disfatta, evitata con un “sorprendente” contrattacco in forze, sostenuto da unità russe, che costringe le truppe ucraine a ritirarsi e frutta la riconquista di alcune posizioni strategiche, come Savur-Mohyla e l’aeroporto internazionale di Lughansk. Nel settembre successivo le Forze Armate della Novorossiya, vengono poste al comando del generale Ivan Korsun.
Nel febbraio 2015, il capo della DPR, Alexander Zakharchenko, annuncia la mobilitazione di 10mila volontari, e un piano per l’arruolamento di almeno altri 100mila. A metà del 2015, secondo stime internazionali, le truppe del Donbass ammontavano a circa 30mila soldati, mentre il governo ucraino parla di almeno 40mila combattenti, probabilmente gonfiando le cifre, per giustificare i costi, l’impegno e il numero di uomini impiegati nelle operazioni, e denuncia la presenza di almeno 9.000 soldati russi.
Durante il preludio all’invasione russa, la DPR e la LPR hanno avviato un processo di mobilitazione di massa della popolazione per formare un esercito per prendere parte l’invasione russa. Poiché non c’erano abbastanza volontari, e Mosca non era disposta a fornire ufficialmente reparti regolari, nel Donbass venne imposto l’arruolamento di uomini dai 18 ai 65 anni. Coscritti però in gran parte senza esperienza di combattimento, e con un equipaggiamento non certo dei migliori. Si dice che alcuni gruppi fossero armati con fucili Mosin-Nagant della prima guerra mondiale. Diverse organizzazioni non governative hanno denunciato la costrizione obbligatoria del Donbass come crimine di guerra (Art.51 – 4a Convenzione di Ginevra).
Dopo che i leader delle repubbliche separatiste hanno firmato i trattati di annessione con il presidente russo il 30 settembre 2022, la Duma di Mosca ha approvato la legislazione che impone l’integrazione delle milizie popolari nell’esercito russo.
Un variegato mosaico
Nel dicembre 2018, il comandante della marina ucraina, ammiraglio Igor Voronchenko, affermò che la DPR disponeva anche di una flottiglia d’attacco di almeno 20 imbarcazioni, con base a Novoazovsk, e denominato 9° Reggimento Marine Corp. Si parla poi della brigata Vostok e dei battaglioni “Somalia” e “Sparta”, oggi incorporati nelle truppe regolari del Donbass, quest’ultimo proveniente da Slaviansk, formato e comandato dal generale Arsen Pavlov, ucciso in battaglia nel 2016 mentre combatteva con i russi in Ucraina, e sostituito da Vladimir Zhoga. Il battaglione “Somalia” avrebbe anche un reparto d’élite, un gruppo tattico comandato dal colonnello Mikhail Tolstykh, a sua volta morto nel 2017 e sostituito dal colonnello Timur Kurilkin.
Ci sono poi le truppe regolari, in maggior parte disertori dell’esercito ucraino. La 1a Brigata “Slavyansk” del generale Igor Girkin (ex ministro della Difesa della Milizia Popolare Unificata ed ex agente dell’FSB), conta un reggimento aviotrasportato, il Gruppo “Danubio”; un battaglione con mezzi blindati di provenienza russa o ex URSS, con i Gruppi “Horlivka” e “Dome”; la 5a Brigata di fanteria “Oplot” del generale Alexander Zakharchenko; il gruppo “Kolchuga”, volontari della sedicente Legione del Movimento Imperiale Russo, una formazione di suprematisti ortodossi nazionalisti, catalogata come organizzazione terrorista da USA e Canada, per supposti collegamenti con organizzazioni neofasciste in Nord America.
Il 1° Battaglione “Khan”, e il 3° “Rusich” sono reparti che combattono a livello di compagnia, comandate da ufficiali del celebre Gruppo Wagner, e fanno capo ad Aleksey Milchakov, noto neonazista russo che, da fonti locali, dall’aprile 2022 sarebbe tornato nel Donbass con la compagnia paramilitare sostenuta dal Cremlino. Da menzionare anche la brigata speciale “Kalmius” di Sergej Petrovskiy e la brigata “Vostok” fondata e comandata da Alexander Khodakovsky, con volontari russi e osseti del nord che nata come battaglione, nel giugno 2014 contava circa 500 uomini, e successivamente si è ampliato in brigata ma non è chiaro il numero dei componenti.
Tra le Forze Patriottiche del Donbass esistono poi unità specializzate nella guerra elettronica, inserite dal gennaio 2015 nella Guardia Repubblicana della DPR, élite agli ordini del generale Ivan Kondratov, con sei battaglioni, in totale oltre 3.000 combattenti.
In linea combatte anche il battaglione “Svarozhich” (Unificazione e Rinascita) nato dal movimento di origine slava “Rodnovery”, con 1.200 combattenti e secondo le cronache ora parte della brigata “Vostok”. La 15a Brigata “Pytnashka” è un’altra unità speciale, comandata da Akhra Avidzba, conosciuto come “Abkhaz”, e specializzata in supporto logistico e riparazioni a intervento rapido.
Nei drammatici giorni della battaglia di Mariupol, per la DPR combattevano reparti di fanteria navale formati nel 2016 e ispirati alla 221a Divisione sovietica della seconda guerra mondiale che fu insignita della Croce dell’Ordine di Suvorov. Fra questi anche veterani del battaglione motorizzato Viking formato nel 2015 con membri del servizio di sicurezza della Repubblica Popolare di Donetsk e dell’unità paramilitare “Horlivka”.
Nella difesa territoriale ci sono il 1° e 2° Battaglione Minatori, con altri sei battaglioni confluiti dalla Repubblica Popolare di Lughansk, che per altro ha fornito anche l’unico battaglione con carri armati della Milizia Popolare, con gruppi di fucilieri dedicati al maresciallo Kliment Voroshilov e al cosacco atamano Matvei Platov. In prima linea anche la 7a Brigata fucilieri “Chistyakovskaya” e il battaglione “Zarya” (alba) di Andrei Patrushev. Né potevano mancare i cosacchi motorizzati del Don, circa 4.000 combattenti dotati di artiglieria, comandati da Rashid Shakirzanov che ha spodestato Ataman Nikolai Kozitsyn nel 2014 e ha stabilito il proprio comando nei presso di Antratsyt e ha decretato lo stato marziale con pena di morte a Perevalsk, per scoraggiare il crimine. Ufficialmente questi uomini non rispondono al comando militare della LPR, ma sono stati spesso visti combattere insieme.
Nell’eterogeneo panorama di formazioni più o meno autonome, vi è poi il battaglione “Leshiy” (fantasma della foresta) di Aleksej Pavlov e il 1° Reggimento “Don” agli ordini del comandante Ataman Pavel Dryomov, con oltre 1.300 combattenti e quartier generale a Stakhanov. Originariamente parte della Guardia Nazionale Cosacca, se ne distaccò nel settembre 2014 per contrasti fra amministrazione della LPR e Dryomov, che l’accusava di avere scopi pro-oligarchia. Dryomov fu poi ucciso nel dicembre 2015 con una bomba nascosta nella sua macchina, il giorno successivo alle nozze.
Il mosaico prosegue con la 7a Brigata motorizzata di volontari russo nazional-bolscevichi, o brigata “Prizrak” (spettro) comandata da Yuri Shevchenko che ha sostituito il fondatore Aleksej Mozgonov, ucciso nel maggio 2015, ed ha il proprio comando ad Alchevsk. Può stupire il fatto che esista una formazione non meglio definita “Unità Continentale”, che pare formata da volontari provenienti da Francia, Brasile e Serbia. Allo stesso modo, la presenza de Distaccamento Volontari Comunisti, dal movimento internazionale il cui leader è Piot Biriukov.
La difesa territoriale conta poi su altre formazioni più o meno numerose di volontari russi, atamani, e dei vari territori disseminati lungo i confini, che hanno dato vita a gruppi come il Battaglione 17, battaglioni “Rim”, “Poid”, “Kulkin” e altri.
Nel settore sud-orientale del Donbass, corrispondente alla Repubblica di Lughansk, sono attive diverse cellule per il reclutamento anche nella restante Ucraina e in Russia. Al comando di un veterano, il colonnello Aleksandr Verin, è attivo il battaglione russo-ortodosso, derivato da lavoratori delle miniere di carbone del Donbass che inizialmente erano un centinaio di elementi e recentemente pare ne conti oltre 4.000. I lavoratori delle miniere di Sloviansk e Kramatorsk hanno formato anche il nucleo della brigata “Pyatnaska”, comandata da Konstantin Kuzmin, con combattenti dai 25 ai 60 anni.
Fra i volontari del Donbass si trova anche il gruppo “Ratibor” formato da nazionalisti russi e comandato da Sergej Petrovskiy, proveniente dalle prime formazioni di minatori nel settembre 2014; e il battaglione ortodosso “Voshod”, che nel giugno 2014, alla creazione, contava circa 300 combattenti.
La lista continua con il battaglione “Nord”, non riconosciuto ufficialmente, con vari gruppi autonomi come il Distaccamento “Jovan Seviç” (400 serbi guidati da Bratislav Zivkoviç) o il gruppo di volontari nazionalisti bulgari “Alba Ortodossa”. Inoltre, la Legione “Santo Stefano”, sottogruppo ungherese che fa capo a una unione internazionale, e che combatte per ottenere l’autodeterminazione della minoranza che rappresenta nell’Oblast di Zakarpatja, di ideologia di estrema destra vicino al partito ungherese Jobbik. Recentemente è stata segnalata la presenza di uno sparuto gruppo di antifascisti spagnoli che si presentano come “Brigada Internacional Carlos Palomino”.
Il battaglione “Varlag”, formazione di nazisti russi, è comandato da Alexander Matyushin, neonazista ex capo di “Donetsk Russkiy Obraz”, e combatte in parallelo con il Gruppo di Risposta Rapida “Batman”, che era comandato da Aleksandr Bednov fino alla morte in un attacco al convoglio sul quale viaggiava, nel gennaio 2015, imputato a Igor Plotnitsky, capo della Repubblica Popolare di Lughansk per rivalità interne. Operativa fino alla fine del 20118 era l’Unità Speciale “Odessa” all’interno della brigata “Prizrak”, che pare sia stata comandata per un certo periodo anche dal volontario italiano noto come “Nemo”, e piccoli gruppi di elementi dell’Ossezia del Nord.
Dotazioni, armamenti e istruzione
Secondo Armament Research Services (ARES), i ribelli del Donbass utilizzano principalmente attrezzature che erano disponibili a livello nazionale prima della crisi. Tuttavia, ci sono prove evidenti di armi che non erano note per essere state esportate in Ucraina, o altrimenti disponibili nel Paese, inclusi alcuni degli ultimi modelli di equipaggiamento militare russo, mai esportati fuori dalla Russia.
Secondo la Repubblica popolare di Donetsk, l’equipaggiamento militare principalmente utilizzato è invece l’hardware sottratto all’esercito ucraino, mentre per il governo di Kiev e il Dipartimento di Stato americano, è falso. I separatisti hanno certo ricevuto, e ricevono, equipaggiamento militare dalla Russia e da altri Paesi, così come lee forze armate ucraine, e questo non è un segreto, inclusi diversi sistemi di lancio per razzi e dotazioni per carri armati. Sebbene i funzionari russi neghino la fornitura di armi alla Milizia Popolare del Donbass, prove sostanziali dimostrano il contrario. Nell’agosto 2014 il ministro della Difesa ucraino, Valeriy Heletey, ha affermato che la prova della fornitura di armi dalla Russia erano le armi ritrovate durante i combattenti contro la stessa Milizia Popolare del Donbass, di fabbricazione russa e mai usate dall’esercito ucraino. Fra queste, equipaggiamenti per modifiche ai carri armati T72, veicoli corazzati per trasporto fanteria, sistemi antiaereo Pantsir-S1, veicolo polivalente GAZ-Vodnik (adottato in Russia nel 2005), lanciafiamme a propulsione a razzo MRO-A, missili anticarro Kornet, fuciliASVK, fucile idi precisione VSS Vintorez e altri.
Sempre secondo fonti del governo ucraino e del Dipartimento di Stato USA, la Milizia Popolare del Donbass ha ricevuto equipaggiamenti dalla Russia, inclusi carri armati e lanciarazzi multipli, cosa che Mosca nega, addossando la responsabilità a combattenti volontari non controllabili.
Nell’agosto 2014 la Repubblica Popolare di Donetsk ha affermato di aver arruolato (insieme a 30 carri armati e altri 120 veicoli corazzati di origine sconosciuta) 1.200 combattenti che hanno seguito un addestramento per quattro mesi nella Federazione Russa. Il primo ministro della DPR, Alexander Zakharchenko, ha dichiarato di non avere mai ricevuto equipaggiamento militare dalla Russia.
Da considerare poi che, alle spalle dei gruppi e delle formazioni, che solo apparentemente sembrano sparse a macchia di leopardo senza un criterio, esiste una struttura per la preparazione e l’addestramento, detta Scuola Comando Armi Combinate, che naturalmente cura anche la formazione ideologica, alla quale, dopo il liceo e l’addestramento fisico-militare, possono iscriversi persone provenienti dalla DPR e dalla LPR, per la preparazione dei futuri quadri di comando in quattro aree specifiche: comando unificato forze armate, ricognizione, fanteria e ufficiali politici. Dopo la laurea, i cadetti vengono diplomati come luogotenenti. Il liceo militare Ivan Bohun, e la scuola Georgij Beregovoy di Suvorov sono infatti gli istituti da dove attinge principalmente la Milizia Popolare. Da considerare che questi organismi funzionavano anche durante gli anni in cui la crisi era ancora lontana, e da questi provengono anche diversi quadri dirigenziali dell’esercito ucraino, fra gli oltre tremila studenti diplomati fino al 2000.
E’ ben nota l’importanza dell’indottrinamento ideologico nella formazione di un combattente. Secondo un rapporto del 2016 dell’Institut Français des Relations Internationales (IFRI), il nazionalismo etnico e imperialista russo ha plasmato l’ideologia ufficiale delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Luhansk. Durante la guerra nel Donbass, soprattutto all’inizio, i gruppi di estrema destra hanno svolto un ruolo importante da parte filo-russa, probabilmente più che da parte ucraina. Successivamente, i gruppi di estrema destra filo-russi sono diventati meno importanti, e le priorità dei nazionalisti radicali russi hanno cominciato a scomparire.
Dall’estrema destra all’estrema sinistra
Attualmente, le direttive militari del fronte del Donbass sono prese comunque da una ristretta cerchia di persone, misura essenziale per coordinare un’azione comune in un vero e proprio mosaico di formazioni diverse. Il Comitato dei comandanti della Repubblica Popolare di Donetsk è formato da Denis Pushilin come comandante in capo, quindi Vladimir Koronov, Eduard Basurin, Pavel Gubarev, Sergej Zhurikov detto Romashka, Alexander Khodakovsky, e pochi altri. I nomi che contano per la Repubblica Popolare di Lunhgansk sono invece Leonid Pasechnik come comandante in capo, assistito da Igor Plotnitsky, Nikolai Kozitsyn e Yuri Shevchenko.
Nel Donbass oggi ci sarebbero tre principali tre filoni di nazionalismo russo: sovietico, ortodosso e fascista, mentre in Ucraina sono numerose le formazioni di destra. Ex membri del Partito Nazionale Bolscevico, dell’Unità Nazionale Russa (RNU), dell’Unione della Gioventù Euroasiatica e dei gruppi cosacchi hanno partecipato al reclutamento dei separatisti. Un ex membro della RNU, Pavel Gubarev, è il fondatore della Milizia Popolare del Donbas e primo governatore della Repubblica Popolare di Donetsk. La RNU è particolarmente legata all’esercito ortodosso russo, una delle numerose unità separatiste descritte come nazionalisti ortodossi pro-zaristi ed estremisti, a quanto pare anche responsabili di omicidi mirati e spionaggio per conto del governo ucraino, ma il caso è stato citato come parte di una politica di persecuzione religiosa da parte dei separatisti.
Unità di estrema destra come i gruppi “Varyag”, “Rusich” e “Svarozhich” (che usano svastiche slave come distintivo) hanno combattuto per i separatisti dall’inizio del 2014, poi il sebbene “Varyag”, è stato sciolto e le altre due sono confluire nel più noto Gruppo Wagner, dove sono presenti anche neo-imperialisti nostalgici dell’impero russo, come Igor Girkin, primo ministro della difesa della Repubblica Popolare di Donetsk. Da parte sua, anche la Legione Imperiale Russa, braccio combattente del Movimento Imperiale Russo, militante suprematista bianco, ha reclutato migliaia di volontari per unirsi ai separatisti.
Nel 2014, i volontari del Movimento di Liberazione Nazionale si sono uniti alla Milizia Popolare di Donetsk portando ritratti dello zar Nicola II. Altri nazionalisti russi coinvolti nelle milizie separatiste includono gruppi fuorilegge come l’Unione Slava e il Movimento Contro l’Immigrazione Clandestina. Un’altra unità paramilitare separatista russa, la “Interbrigate”, è composta da attivisti del gruppo nazional-bolscevico “Nazbol”. Paradossalmente, nonostante il bagaglio neo-stalinista, molti nazionalisti russi, che Mosca sostiene nel Donbass, sono di destra tanto quanto le controparti del reggimento “Azov”.
Anche nazionalisti di altri Paesi hanno combattuto con i separatisti, come la Legione di Santo Stefano, cioè i nazionalisti ungheresi, i nazionalisti bulgari di Alba Ortodossa, o i cetnico-serbi del Distaccamento Jovan Seviç. Pare che anche il noto neofascista italiano Andrea Palmeri (Forza Nuova) abbia combattuto per la Repubblica Popolare di Donetsk e ricevuto dal leader Gubarev come esempio di combattente.
Il caso dei volontari italiani meriterebbe un capitolo a parte, in quanto particolare e delicato, oltre ad essere attualmente ancora aperto. Secondo le più recenti ricerche, è provato che nel 2014, nel Donbass, abbiano combattuto membri dei gruppi neofascisti Falanga e Millennium, insieme a francesi provenienti da Continental Unity e scandinavi di Potere al Popolo, passati attraverso corsi di aggiornamento paramilitare in Russia. Altri combattenti stranieri di estrema destra dall’Europa e, in misura minore, dal Nord America hanno combattuto a fianco dei separatisti filo-russi nel Donbass, inclusi nazionalisti bianchi, neonazisti, neofascisti e nazionalisti cristiani. Le motivazioni per hanno incluso la convinzione che stiano combattendo l’America e gli interessi occidentali, e che Vladimir Putin sia un baluardo per i valori europei tradizionali bianchi contro la decadenza dell’Occidente. Sebbene gli attivisti di estrema destra abbiano svolto un ruolo importante nei primi tempi del conflitto, la loro importanza è stata spesso esagerata, in seguito diminuita per entrambe le parti in conflitto.
Che destra e sinistra siano concetti ideologici ormai anacronistici, è testimoniato dal fatto che in Ucraina combattano fianco a fianco formazioni di estrema destra ed estrema sinistra (tanto per definire), e nel contempo opposte ad altre analoghe formazioni dalla parte opposta, che accusano di aperto fascismo il governo di Kiev. Fra questi sono stati segnalati quei socialisti spagnoli della Brigada Internacional Carlos Palomino, giunti a combattere per i separatisti del Donbass per restituire il favore del sostegno sovietico alla causa repubblicana durante la guerra civile del 1936-39, che di fatto non hanno inciso sull’andamento del conflitto visto che si trattava di una quindicina di individui.
Fra i volontari dell’area di sinistra giunti nel Donbass, anche l’attivista russo-ugandese Beness Aijo, in arresto per proselitismo a favore delle formazioni bolsceviche nazionali, e anche una donna non identificata proveniente dal partito comunista israeliano e volontaria nel Distaccamento DKO (unità comunista volontaria) e nel Gruppo Interunit, entrambi composti da volontari comunisti stranieri, ma a quanto pare inattivo dalla fine del 2017.
In sostanza, un panorama estremamente variegato di ideologie, correnti di pensiero, indottrinamento, politica, e altro ancora, che di fatto ha generato una situazione umanitaria insostenibile, come purtroppo accade in diversi altri teatri di crisi.
Dal novembre 2014 l’ONU, che continua a dimostrare la propria impotenza di fatto, ha comunque segnalato un allarmante stato di deriva dei diritti umani e un totale collasso di legge e ordine.
Il rapporto rileva che continuano a essere segnalati casi di gravi violazioni da parte dei gruppi armati, fra cui tortura, detenzione arbitraria e isolamento, esecuzioni sommarie, lavoro forzato, violenza sessuale, nonché distruzione e sequestro illegale di beni e proprietà. Nel settembre 2015, l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) ha pubblicato un rapporto sulle testimonianze delle vittime detenute in luoghi di detenzione illegale nel Donbass e nel dicembre 2015, un gruppo guidato da Małgorzata Gosiewska ha pubblicato un rapporto completo sui crimini di guerra nel Donbass. La situazione sembra ancora lontana da una soluzione. Dalle ultime notizie la guerra continua, oltre 10 milioni di persone sono senza energia elettrica e continua l’esodo di centinaia di migliaia di profughi.
Il caso Kadyrov e i combattenti ceceni
A sua volta attivo in Ucraina e nel Donbass, il tristemente noto “macellaio di Grozny”, Ramzan Akhmatoviç Kadyrov, fanatico ammiratore e sostenitore di Putin, capo militare e politico, nonché dirigente sportivo dell’Achmat Grozny, con un curriculum che in pochi possono vantare. Accuse di omicidio, tortura, accanito e fanatico nemico di omosessuali, e oppositori in genere come Boris Nemcov, o del dissidente Tumso Abdurachmanov. E’ figlio d’arte, il padre Achmat, insediato da Putin nel 2000 al termine della seconda guerra cecena e ucciso nel 2004, è stato infatti presidente della Cecenia. Alla domanda sul fatto di vendicare il padre, Kadyrov ha risposto: “Ho già ucciso chi dovevo uccidere, e ucciderò quelli che si trovano alle sue spalle, finché non saranno tutti morti oppure sarò ucciso io”.
Nel 2005 Ramzan Kadyrov è stato nominato vice primo ministro, ma non si è fatto comunque scrupolo nel guidare un manipolo di circa 150 fedelissimi, con le armi spianate, al carcere della polizia di Khasavyurt (Daghestan), per liberare la sorella che era stata arrestata, con la quale poi sono usciti dall’edificio festeggiando e sparando in aria.
Durante la guerra civile, nell’agosto 2005, Kadyrov dichiarò che il centro di Grozny sarebbe stato raso al suolo, e che al suo posto sarebbe stata eretta la moschea più grande d’Europa, dichiarando anche che secondo la sua visuale, la Cecenia è il posto più pacifico della Russia e che in pochi anni sarebbe anche il luogo più ricco e pacifico del mondo.
Nel marzo 2006 Sergej Abramov, primo ministro rimasto coinvolto in un incidente, trasferisce i poteri a Kadyrov il quale, come primo provvedimento impone le leggi della Sharia islamica, fra cui il divieto assoluto di alcolici, gioco d’azzardo e naturalmente l’obbligo del velo per le donne. Le uscite pubbliche di Kadyrov sono ormai celebri, come i commenti sulle vignette sul Profeta Maometto e le relative accuse di terrorismo rivolte alla Danimarca e alla Francia, e l divieto per i cittadini di quei Paesi di accedere in Cecenia, vietando di fatto l’attività del Danish Refugee Council, la più grande organizzazione non governativa che opera nella regione. Alla fine fu spinto a ribaltare questa decisione da Mosca, raro esempio di intervento nel governo di Kadyrov.
Ovviamente i poteri accumulati lo investono anche dell’autorità di capo del servizio di sicurezza presidenziale, ovvero di sé stesso. In questa veste, numerose sono le accuse di atti brutali, tortura e omicidio.
L’Associazione Tedesca per i Popoli Minacciati (GfbV) ha affermato che fino al 70% di tutti gli omicidi, stupri, rapimenti e casi di tortura in Cecenia, sono stati commessi dall’esercito privato agli ordini di Kadyrov, la forza di sicurezza conosciuta come Kadyrovtsy (Kadyroviti), composta da 3.000 uomini. Nel frattempo, si è fatto erigere un palazzo presidenziale, con annesso hotel a cinque stelle sul fiume Sunzha, nel centro di Grozny, costato oltre 2 miliardi di rubli, e ha ordinato la chiusura di tutti i campi profughi perché gli sfollati sono considerati tutti potenziali spie internazionali o per lo meno è accertato che la chiusura dei campi è il metodo più sicuro per evitare ogni rischio.
Nel 2006 il cugino Odes Baysultanov è nominato vice primo ministro, e il presidente dell’Assemblea Popolare, Dukvakha Abdurakhmanov, afferma in una conferenza stampa a Mosca che non c’è alternativa a Kadyrov presidente. Nello stesso anno, Umar Dzhabrailov, stretto alleato di Kadyrov (nel frattempo eletto presidente dell’Assemblea Popolare) nel Consiglio della Federazione, esorta Abdurakhmanov ad avviare la procedura per Kadyrov presidente, sostituendo Alu Alkhanov. Nel febbraio 2007 Putin firmava un decreto che rimuoveva Alkhanov e nominava Kadyrov presidente ad interim della Cecenia. Il marzo seguente, il parlamento ceceno approvò la nomina e in aprile avvenne la cerimonia di insediamento, con il cugino Odes Baysultanov primo ministro.
Nel giugno 2009, dopo l’attacco con autobomba a Yunus-bek Yevkurov, presidente della vicina Repubblica di Inguscezia, Kadyrov ha affermato che il Cremlino gli aveva ordinato di combattere i ribelli e durante la successiva visita nella repubblica il 24 giugno si è impegnato nella vendetta, accusando l’Occidente di finanziare i ribelli, così come oggi l’accisa è di finanziare il governo di Kiev contro i resistenti del Donbass. Nel frattempo, lo stesso Kadyrov subisce diversi attentati, con successive vendette e il supporto di alcuni reparti della polizia segreta russa.
Nel 2010 si verificarono due attacchi di ribelli ceceni, uno nel villaggio natale di Kadyrov, Tsentoroy e l’altro al parlamento di Grozny, ma è il primo ad essere più grave, specialmente sotto l’aspetto del prestigio personale, tanto da offrire 300mila dollari a chiunque fornisse informazioni per catturare gli attentatori e i loro mandanti e isolando il villaggio stesso dietro una cortina armata. L’attentato al parlamento fu intanto risolto, i tre autori catturati e ovviamente uccisi.
Kadyrov, in uniforme da parata, ha partecipato a una riunione che si è tenuta poche ore dopo che tutti gli edifici del parlamento erano stati dichiarati sicuri dalle forze speciali. Durante l’incontro ha promesso di intensificare la lotta contro i militanti nella repubblica, definendoli banditi, e h a incolpato Gran Bretagna e Poloniadi dare rifugio a criminali.
Confermato per il secondo mandato dall’allora presidente russo Dmitri Medvedev nel febbraio 2011, Kadyrov assiste alla rimozione del presidente ucraino Viktor Yanukoviç definendolo colpo di stato e causa del conflitto in atto, e dichiara pubblicamente di mettere a disposizione un contingente di aiuti umanitari per la Crimea. Quando Putin fu nuovamente eletto presidente, Kadyrov confermato nel proprio ruolo, visitò l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi e nel contempo conduce personalmente operazioni speciali, come la cattura dei responsabili dell’attentato alla chiesa dell’Arcangelo Michelea Grozny nel 2018 e conclude un trattato per la sistemazione dei confini con il vicino Yunus-bek Yevkurov, leader dell’Inguscezia, e finisce al centro di uno scandalo dopo la pubblicazione degli articoli di Novaja Gazeta, ripresi poi da Amnesty International, su Kadyrov che avrebbe fatto aprire, in accordo con il Cremlino, un campo di concentramento per omosessuali, alcuni dei quali spariti in circostanze misteriose.
I combattenti ceceni in Ucraina e Donbass, che Kadyron non poteva non inviare a sostegno dei russi, sarebbero circa 20mila e almeno 9.000 in prima linea nei pressi di Gostomel, secondo le stesse parole del presidente ceceno. Alcune finti parlano di oltre 50mila, altre danno cifre molto più ridimensionate, intorni ai 5.000. Molti sono impiegati nella distribuzione di oltre 20mila tonnellate di aiuti umanitari nei “territori liberati”.
Ovviamente Kadyrov non rinuncia ad attrarre combattenti, formando reparti che affida a istruttori di provata fede e dalle capacità ben note che caratterizzano il soldato ceceno, effettivamente temuto da mercenari occidentali o africani, e neonazisti europei.
Fonti locali affermano inoltre che il brutale Kadyrov, con il coordinamento dei fedeli Adam Delimkhanov e Daniil Martynov (ex ufficiale dei corpi speciali dell’FSB e responsabile dell’addestramento dei reparti di élite), sarebbe impegnato nella preparazione di una grande offensiva in Ucraina, per la primavera 2023, chiedendo indirettamente a Putin di “chiudere gli occhi per un paio di giorni, e sarà tutto finito”, specialmente con l’impiego dei cosiddetti Kadyrovtsy, temuti e brutali quanto il loro capo, che si sono fatti conoscere proprio nel Donbass nel 2014. E formato da Kadyrovtsy della Rosgvardiya (Guardia Speciale) era il commando che aveva l’incarico di uccidere il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, come alcuni altri gruppi visti in avanscoperta intorno alla centrale nucleare di Cherbobyl e nella periferia occidentale di Kiev, e avrebbero preso parte a una delle prime battaglie della guerra attuale, per il controllo dell’aeroporto di Gostomel. Molti i combattenti feriti, ricoverati negli ospedali militari organizzati in Crimea.
Gli uomini di Kadyrov non sono però gli unici ceceni in Ucraina. Altri combattono sul versante opposto, e molti sono veterani delle guerre cecene, desiderosi di vendetta contro i russi che hanno raso al suolo Grozny. Si tratta di due unità formate nel 2014 dopo l’annessione della Crimea, il battaglione Sheikh Mansur, attivo soprattutto a Mariupol, e il battaglione Dzhokhar Dudayev, la cui riorganizzazione è stata annunciata recentemente, in un messaggio video dal leader Adam Osmaev, anch’ egli veterano del Donbass. Gli atti criminali, violenze, stupri, rapine e razzie ormai non si contano e le forze cecene, comunque un punto di forza per la Russia, sono anche utilizzate sovente anche come minaccia psicologica, poiché formate da esperti e brutali combattenti che non hanno conosciuto pause dalle guerre degli anni ’90.
Il rapporto tra Kadyrov e Putin, in sostanza vassallaggio (poiché il leader ceceno ha anche oppositori interni) e convenienza reciproca, è simile a quello che Putin ha con altri leader autoritari di Paesi della sfera d’influenza di Mosca, come la Bielorussia di Alexander Lukashenko, che ha concesso alla Russia di usare il proprio territorio come deposito di armamenti e uno dei punti di partenza per l’invasione dell’Ucraina. Un debito per l’aiuto ricevuto dal Cremlino nella repressione dell’opposizione.
Il fenomeno Azov
Originariamente noto come Distaccamento Operazioni Speciali Azov ì, è la tristemente nota unità della Guardia Nazionale Ucraina, con comando a Mariupol.
L’unità è stata fondata nel maggio 2014 come milizia paramilitare volontaria, al comando di Andriy Biletsky per combattere le forze filo-russe nella guerra del Donbass ed è stata formalmente incorporata nella Guardia Nazionale nel novembre 2014. Ha suscitato polemiche sull’associazione con gruppi di estrema destra e ideologia neonazista, sull’uso di simboli controversi legati al nazismo e sulle accuse secondo cui i membri del gruppo sono responsabili di torture e crimini di guerra. Alcuni esperti criticano il ruolo del reggimento all’interno del più ampio Movimento Azov, gruppo politico composto da veterani e organizzazioni legate al territorio di Azov (donde il nome), e le possibili ambizioni politiche, nonostante le affermazioni sulla depoliticizzazione del reggimento.
Altri sostengono che il reparto si sia evoluto oltre le origini di milizia di strada, affinando le sue neonaziste da quando è entrato a far parte della Guardia Nazionale. Mosca ha catalogato il Reggimento Azov fra le organizzazioni terroriste.
Numericamente si stima che l’Azov sia formato da un massimo di 2.500-3.000 combattenti, in maggior parte ucraini russofoni, ma ci sarebbero anche membri di altri Paesi. Sulla scia dell’invasione russa dell’Ucraina, il reggimento ha guadagnato una rinnovata attenzione, poiché uno dei motivi addotti dal presidente russo Vladimir Putin per l’invasione era la denazificazione, per rimuovere il presunto controllo del paese da forze come l’Azov. Durante l’assedio di Mariupol il reggimento ha svolto un ruolo di primo piano nella difesa della città, fino all’ultima resistenza alle acciaierie Azovstal, che sono diventate un simbolo. I pochi sopravvissuti, costretti alla fine ad arrendersi ai russi per ordine del comando supremo di Kiev, fra cui il comandante Denys Prokopenko, sono considerati eroi nazionali.
Le origini del Reggimento Azov sono controverse. Alcuni analisti le collocano nella trentina di attivisti all’interno del movimento Automaidan del 2013, altri le riferiscono ai movimenti patriottici ucraini, altri ancora in un gruppo ultras dell’FC Metalist Kharkiv denominato Sect-82. Alla fine del febbraio 2014, durante la crisi ucraina, quando a Kharkiv era attivo un movimento separatista, la Sect-82 ha occupò l’edificio dell’amministrazione regionale dell’Oblast di Kharkov e ha servito come forza di autodifesa locale della Polizia Speciale denominata Corpo dell’Est.
Sempre nel febbraio 2014, Andriy Biletsky, attivista politico di estrema destra, fondatore e leader dell’organizzazione ultranazionalista Patriot of Ukraine, e della relativa Assemblea Socialnazionale (SNA), precedentemente arrestato nel 2011 con l’accusa di rapina e aggressione, fu scarcerato dopo che il nuovo governo lo aveva considerato un prigioniero politico dell’ex governo Yanukovich. Dopo essere tornato a Kharkov, Biletsky ha radunato alcuni attivisti di Patriot of Ukraine, SNA, movimento Automaidan e ultras, e ha formato una piccola milizia per aiutare le forze di sicurezza locali contro il movimento filo-russo del posto. La milizia di Biletsky, in seguito battaglione, era conosciuta come Chorny Korpus (Corpo Nero), e i membri soprannominati dai media ucraini Men in Black o Little Black Men. La versione ucraina è dovuta alla loro segretezza e mistero, nonché all’uso di tute e maschere completamente nereNel marzo 2014, con l’aggravarsi dei disordini a Kharkov, il servizio di sicurezza ucraino e la Militsiya si sono ritirati dalla città, e il Corpo Nero ha iniziato a pattugliare le strade, contribuendo a proteggere gli attivisti filo-ucraini contro i filo-russi di formazioni come la Oplot (in seguito battaglione militare separatista del Donbass). Con il deteriorarsi della situazione nel Donbass, nell’aprile 2014, il ministro degli Interni Arsen Avakov ha emesso un decreto che autorizzava la creazione di nuove forze paramilitari fino a 12mila uomini. Il Corpo Nero fu inglobato come presidio per la difesa di Kharkov da una possibile rivolta filo-russa, diventando il Battaglione Azov, ufficialmente formato nel maggio a Berdiansk.
Inizialmente, il gruppo era per lo più finanziato indipendentemente dallo stato, con un finanziere primario, il miliardario ebreo-ucraino Ihor Kolomoyskyi. Tra gli altri finanziatori, Oleh Lyashko, membro della Verkhovna Rada; l’ultranazionalista Dmytro Korchynsky; l’uomo d’affari Serhiy Taruta e il ministro degli affari interni Arsen Avakov.
L’addestramento è stato svolto nei pressi di Kiev da istruttori veterani delle forze georgiane, poi il battesimo del fuoco nella prima battaglia di Mariupol (maggio 2014), nella controffensiva per riconquistare la città dai separatisti del Donbass. Insieme a reparti della polizia speciale Dnipro-1 l’Azov ha combattuto da subito con sorprendente accanimento, e con l’ordine di non fare prigionieri, a meno che non servano informazioni.
Dopo la battaglia, l’Azov rimase per un certo periodo come guarnigione a Mariupol, con il compito di pattugliare la regione intorno al Mar d’Azov per impedire il traffico di armi dalla Russia nelle mani dei separatisti, poi fu brevemente trasferito a Berdiansk.
In agosto 2014 il Battaglione Azov, insieme ai battaglioni Shakhtarsk, Dnipro-1 e all’esercito ucraino, ha sostenuto un assalto alla città di Ilovaisk, guidato dal >Battaglione Donbas. Il comportamento dell’Azov è stata criticato dagli stessi membri del Battaglione Donbas e da un successivo rapporto della commissione della Verkhovna Rada sulla battaglia di Ilovaisk, dalla quale gli ucraini sono usciti sconfitti. Durante l’assalto iniziale, Azov subì pesanti perdite, poi effettuò un rastrellamento della città e, alla fine di agosto, era nuovamente a Mariupol, quando è stato avvistato un distaccamento di truppe russe a Novoazovsk, a 45 km da Mariupol. Successivamente, le forze separatiste a Ilovaisk sono state rafforzate dalle truppe russe, che circondarono gli ucraini e li sconfissero.
Nella battaglia di Novoazovsk (agosto 2014) l’Azov e le forze ucraine non se la sono cavata molto meglio, poiché sono stati respinti dalla potenza di fuoco superiore dei carri armati e dei veicoli corazzati dei separatisti e dei russi. Un altro distaccamento del battaglione Azov, sostenuto da paracadutisti ucraini, occupò Marinka ed entrò nella periferia di Donetsk, scontrandosi con i combattenti della Repubblica Popolare.
Con Novoazovsk sotto controllo, i separatisti iniziarono a preparare una seconda offensiva contro Mariupol. All’inizio del settembre 2014, il battaglione Azov (con 500 uomini circa) è stato impegnato nella seconda battaglia di Mariupol. Mentre le forze separatiste si avvicinavano alla città, il battaglione Azov era schierato per la difesa cittadina al comando di Andriy Biletsky, fornendo ricognizione intorno ai villaggi di Shyrokyne e Bezimenne, a pochi chilometri a est di Mariupol. Allo stesso tempo, l’Azov iniziò ad addestrare i cittadini di Mariupol all’autodifesa e ad organizzare milizie popolari. I separatisti sono riusciti a raggiungere i sobborghi esterni, arrivando a meno di cinque chilometri dalla città. Ma una controffensiva notturna dell’Azov ha allontanato le forze della DPR dalla città.
Nel settembre 2014, il battaglione Azov viene promosso da battaglione a reggimento, e in novembre è ufficialmente arruolato nella Guardia Nazionale Ucraina e designato anche come Unità 3057 per operazioni speciali. Ciò faceva parte di più ampi cambiamenti politici da parte del governo ucraino per integrare i battaglioni di volontari indipendenti sotto le forze di terra ucraine o nella Guardia Nazionale nella catena di comando formale dell’operazione antiterrorismo in Donbass.
Con l’arruolamento nella Guardia Nazionale, l’Azov ha ricevuto finanziamenti dal ministero dell’Interno ucraino e da altre fonti (oligarchi ucraini) e maggiori rifornimenti di armi pesanti. Nell’ottobre 2014 il fondatore, Andriy Biletsky, lascia reparto e il vice Vadym Troyan diventa capo della polizia della provincia di Kiev, che per statuto non ha giurisdizione all’interno della capitale.
Nel gennaio 2015 i separatisti bombardano Mariupol, che causa oltre 30 morti e più di 100 feriti, poi iniziano gli scontri isolati in cui vengono segnalate vittime sia per l’Azov che per i separatisti. Il mese seguente il reggimento Azov contrattacca a sorpresa a Shyrokyne verso Novoazovsk insieme al Battaglione Donbass, con appoggio aereo, della Guardia Nazionale e di reparti del Corpo Volontario Ucraino, fra cui militavano alcuni membri del battaglione musulmano ceceno Mansur.
Con la battaglia di Mariupol, la fama del reggimento Azov si espande e le sue imprese salgono alle cronache: riconquista di Shyrokyne, Pavlopil e Kominternove, avanzata verso Novoazovsk, vittoria sui separatisti a Sakhanka, che con una successiva risposta, attaccano a loro volta causando pesanti perdite all’Azov, costretto a lasciare gli obiettivi conquistati.
Nel febbraio 2015 il trattato Minsk-II stabilisce un cessate-il-fuoco e l’istituzione di una zona cuscinetto smilitarizzata intorno a Shyrokyne, ma sul campo la tregua non regge e riprendono gli scontri, con le parti che sospendono gli attacchi solo per rinforzare le proprie posizioni. Nelle settimane successive, l’Azov e le forze della DRP si scambiano bombardamenti di artiglieria per il controllo delle linee del fronte e dei villaggi. Di conseguenza, Shyrokyne viene quasi completamente distrutto. Con il reggimento Azov e il battaglione Donbass, combattono anche reparti di marines ucraini che a un certo punto rilevano le posizioni, spinti dagli appelli degli abitanti di Mariupol che temevano nuovi bombardamenti se l’Azov si fosse asserragliato nella città. Nell’agosto 2015, il governo ucraino ha ritirato tutti i battaglioni di volontari, incluso l’Azov, dalle linee del fronte intorno a Mariupol, sostituendoli con unità militari regolari. La base principale dell’Azov divenne una villa sul mare a Urzuf, un villaggio nella provincia di Donetsk. Dall’ottobre 2015, al reggimento Azov si è unito un reparto di tartari della Crimea, al comando di un non meglio identificato Mejlis, e altri gruppi di attivisti anti-russi. Nel frattempo il reggimento Azov arriva a contare oltre 2.500 combattenti, schierati specialmente nei pressi di Svitlodarsk Arc.
Con l’invasione russa del febbraio 2022, il reggimento Azov si è nuovamente mobilitato nei quadri della Guardia Nazionale, dando per altro motivo a Putin di giustificare la cosiddetta “operazione speciale” con la necessità di denazificare l’Ucraina, fino ad essere al centro di una vera e propria guerra di propaganda fra Kiev e Mosca.
Mariupol subisce un nuovo e micidiale assedio, con scontri accaniti dentro la città sottoposta a continui bombardamenti, e il reggimento Azov schierato in difesa, mentre il presidente Volodymyr Zelensky conferisce al comandante del reparto, colonnello Denys Prokopoenko, il titolo di Eroe di Ucraina.
IL resto è storia recente. Edifici civili ridotti in macerie, ospedali e scuole bersaglio di missili aerei e artiglierie, accuse reciproche di brutalità e crimini di guerra, prigionieri e civili torturati per estorcere informazioni, soprattutto da parte dei russi, scatenati alla ricerca dei combattenti dell’Azov, costretti a ritirarsi abbandonando il quartier generale di Kalmiusky, nella parte settentrionale della città.
All’inizio di aprile, il reggimento Azov, insieme ad altre forze ucraine locali, si asserragliò all’interno delle acciaierie Azovstal, l’enorme complesso siderurgico di epoca sovietica, costruita per resistere ai bombardamenti. Più tardi, le rimanenti sacche di resistenza all’interno della città, soprattutto la 36a Brigata dei marines ucraini, gruppi della Guardia Nazionale e distaccamenti della polizia nazionale portuale e guardie di frontiera, hanno condotto operazioni per sfondare l’accerchiamento, mentre i membri dell’Azov hanno condotto operazioni di supporto. I fatti, più o meno noti, si sono susseguiti rapidamente: le truppe russe, con i mercenari alleati, assediano le acciaierie, verso la fine di aprile Putin annuncia che Mariupol era stata liberata, e ordinava di non attaccare di forza il complesso siderurgico, ma di chiuderlo completamente, sebbene si siano ripetuti i bombardamenti, in zone dove avevano trovato rifugio anche molti civili.
Dato che gli irriducibili dell’Azov non mostravano alcuna intenzione di resa, gli attacchi russi alle acciaierie ripresero, con Mariupol chiusa al mondo esterno e i comandanti del reggimento Azov che lanciano appelli anche critici al governo di Kiev per avere aperto alla possibilità di negoziati con Mosca e ribadiscono che non si sarebbero mai arresi, come confermato da Svyatoslav Palamar, vice-comandante della difesa di Mariupol, che diffonde immagini degli “eroi del reggimento Azov” nei bunker delle acciaierie.
Nel maggio 2022, i negoziati, che hanno coinvolto mediatori delle Nazioni Unite e del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), sono riusciti a porre fine all’assedio del complesso Azovstal e a stabilire un corridoio umanitario per Mariupol. Lo stato maggiore ucraino ha annunciato che la guarnigione di Mariupol, compresi i resti del reggimento Azov, avevano adempiuto alla loro missione e che erano iniziate le evacuazioni dall’acciaieria. Seguendo gli ordini dell’alto comando, nei giorni successivi i membri dell’Azov, compreso il comandante Denys Prokopenko, si arresero alle forze russe con altri circa 2.000 combattenti e in stato di prigionieri di guerra, condotti nel territorio controllato dai russi a Donetsk. Fonti ucraine e russe hanno rilasciato dichiarazioni contraddittorie sul futuro dei prigionieri, dalla possibilità di scambio con il sostegno delle organizzazioni umanitarie internazionali, a procedimenti penali in Russia per crimini di guerra e accuse di terrorismo.
Secondo diversi rapporti internazionali, nel reggimento Azov si sono avute segnalazioni sulla presenza di combattenti svedesi, brasiliani, italiani, britannici, francesi, americani, spagnoli, slovacchi, cechi e russi e, nel 2017, si sia unito un gruppo paramilitare chiamato Milizia Nazionale (Natsionalni Druzhyny), strettamente legato al movimento Azov. Il suo scopo dichiarato era quello di assistere le forze dell’ordine, consentito dalla legge ucraina.
Il panorama è evidentemente molto vario e contraddittorio, al quale poi si aggiungono altri aspetti drammatici, come la responsabilità dei crimini di guerra e violenze contro la popolazione civile, un capitolo a parte ancora tutto da scrivere.
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