La minuscola Repubblica Moldava di Pridniestrov, più nota come Transnistria, è di fatto uno stato indipendente, anche se non riconosciuto dall’ONU che la considera sotto occupazione di truppe sovietiche e comunque parte della Moldavia, e retta da un’amministrazione con sede a Tiraspol. Lo status di indipendenza della Ransnistria è stato riconosciuto da Abkhazia, Artsakh e Ossezia meridionale, a loro volta non riconsciuti.
L’importanza di questa piccola striscia di terra è data dal fatto che si estende sulla maggior parte del territorio fra il confine Moldavia-Ucraina e il grande fiume Dnestr, quindi fondamentale anche dal punto di vista delle risorse produttive.
Le origini della Transnistria sono recenti, si fanno infatti risalire alla nascita della Repubblica Socialista Sovietica di Moldavia, nel 1924, all’interno della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina. Includeva l’odierna Transnistria e un’area (a nord-est intorno alla città di Balta. Uno dei motivi per la creazione dell’ASSR moldavo fu il desiderio dell’Unione Sovietica all’epoca di incorporare la Bessarabia.
Il 28 giugno 1940, l’URSS annette parte della Bessarabia dalla Romania, secondo i termini del PAtto Molotov-Ribbentrop e nell’agosto 1940 il Soviet Supremo dell’URSS creò la RSS Moldava unendo il territorio annesso con una parte dell’ex ASSR moldava più o meno equivalente all’attuale Transnistria.
Nel corso del secondo conflitto mondiale, l’URSS partecipò allo scioglimento dell’amministrazione autonoma moldava dal quale ebbe origine la Bessarabia di Romania, per formare la RSS di Moldavia.
Di fatto, nella regione non ci furono sconvolgimenti particolari, fino al 1990 quando, con la fine dell’Unione Sovietica, si sciolse anche quella “indipendente” di Moldavia e nacque appunto la Transnistria, o Repubblica Socialista Sovietica Moldava di Pridnestrovia, nella speranza che rimanesse all’interno dell’Unione Sovietica se la Moldavia avesse cercato l’unificazione con la Romania o l’indipendenza, avvenuta di fatto nell’agosto 1991.
Dopo che le forze dell’Asse invasero l’Unione Sovietica, nel ’41, la regioen fu occupata. La Romania controllava l’intera regione fra il Dnestr e il Bug meridionale, inclusa la città di Odessa come capitale locale. Il territorio amministrato dalla Romania, noto come Governatorato della Transnistria, era diviso in 13 contee: L’amministrazione ha tentato di stabilizzare la situazione, attuando un processo di nazionalizzazione. Durante l’occupazione rumena del 1941-‘44, tra 150.000 e 250.000 ebrei ucraini e rumeni furono deportati in Transnistria, e la maggioranza uccisa nei ghetti e nei campi di concentramento del Governatorato.
Dopo che l’Armata Rossa avanzò nell’area nel 1944, le autorità sovietiche a loro volta giustiziarono, esiliarono o imprigionarono centinaia di abitanti della RSS Moldava nei mesi successivi con l’accusa di collaborazione con gli occupanti rumeni. Una successiva campagna fu diretta contro le ricche famiglie contadine, deportate in Kazakistan e in Siberia nel luglio 1949, con la “operazione Sud” e la deportazione di oltre 11.300 famiglie per ordine del ministro della Sicurezza Iosif Mordovets.
Negli anni ’80, le politiche di Perestrojka e Glasnost di Mikhail Gorbachev hanno consentito la liberalizzazione politica a livello regionale. Ciò ha portato alla creazione di vari movimenti in tutto il Paese, e a un aumento del nazionalismo. In particolare nella RSS moldava vi fu una significativa rinascita del nazionalismo filo-rumeno, più importante dei quali è stato il Fronte Popolare della Moldova.
Quando i piani per importanti cambiamenti culturali in Moldavia sono stati resi pubblici, le tensioni sono aumentate ulteriormente. Le minoranze etniche si sentivano minacciate dalla prospettiva di rimuovere il russo come lingua ufficiale, che fungeva da mezzo di comunicazione interetnica, e dalla possibile futura riunificazione di Moldavia e Romania, nonché dalla retorica etnocentrica del Fronte popolare. Il Movimento Yedinstvo (Unità), fondato dalla popolazione slava, fece pressioni affinché fosse dato lo stesso status sia alla Russia che alla Moldavia.
Il Fronte Popolare Nazionalista vinse le prime elezioni parlamentari libere all’inizio del 1990 e il 2 settembre 1990, viene proclamata la Repubblica Socialista Sovietica Moldava di Pridnestrovia (PMSSR) in occasione del II° Congresso dei Rappresentanti del Popolo della Transnistria, a seguito di un referendum.
La violenza è aumentata di conseguenza, quando nell’ottobre 1990 il Fronte Popolare ha chiesto ai volontari di formare milizie armate per bloccare un referendum sull’autonomia in Gagauzia, che aveva una quota ancora più alta di minoranze etniche. In risposta, in Transnistria si formarono milizie volontarie. Nell’aprile ‘90, i nazionalisti hanno attaccato membri del parlamento di etnia russa, mentre la polizia moldava si è rifiutata di intervenire.
Nell’interesse di preservare una SSR moldava unificata all’interno dell’URSS e prevenire un’ulteriore escalation della situazione, l’allora presidente sovietico Mikhail Gorbachev dichiarò che la proclamazione della Transnistria era priva di base giuridica e ne decretò la non validità ufficiale con decreto presidenziale il 22 dicembre 1990.
Dopo il tentativo di colpo di stato sovietico del 1991, la RSS Moldava di Pridnestrovia ha dichiarato la propria indipendenza dall’Unione Sovietica e il 5 novembre 1991 è stata ribattezzata Repubblica Moldava di Pridnestrovian.
Verso il conflitto
In pochi ricordano che la Transnistria è stata teatro di un conflitto accanito nel 1992, che ha rischiato di allargarsi e avere conseguenze molto funeste, e che purtroppo attualmente si ripresentano. Coinvolse le forze della Repubblica Moldava [PMR]), tra cui la Guardia Repubblicana della Transnistria, la milizia e le unità neo-cosacche, supportate da reparti della 14a Armata russa e dalle forze filo-moldave, compresi esercito e la polizia moldave, fra diversi tentativi di tregua puntualmente violati, fino al cessate-il-fuoco definitivo di fine luglio, che comunque rende il territorio definibile come “zona di guerra congelata”.
La guerra fu in realtà una escalation che ha avuto origine alla fine del 1988, quando nella città di Chisinau viene formato il cosiddetto “Intermovimento”, o “Yednistvo” (Unità), organizzazione che si poneva lo scopo di tutelare gli interessi russi in Moldavia. Da quel momento, gli avvenimenti precipitarono inevitabilmente: nell’agosto ’89, in risposta alla creazione del Fronte Popolare, a Tiraspol nasce il Consiglio Unito dei Collettivi di Lavoro. Le opposte fazioni si scontrano a Chisinau in una manifestazione popolare che doveva dare origine alla Assemblea Nazionale, quindi si diffonde un’ondata di scioperi nelle industrie della riva orientale del Dnestr, e di disordini alla fine di novembre, in occasione della Festa della Rivoluzione Sovietica, con un assalto al ministero dell’Interno.
Nell’aprile 1990 il Consiglio supremo della RSS Moldava adotta una nuova bandiera di stato e poco dopo dichiara ufficialmente la Repubblica di Moldova, affermando la natura di stato unico, sovrano e non diviso, con un nuovo codice di leggi in sostituzione delle norme dell’Unione Sovietica. Il Parlamento della Moldova inoltre annunciò la assoluta invalidità retroattiva del Patto Molotov-Ribbentrop e che la creazione della RSS Moldava era illegale. In luglio, il 2° Congresso del Fronte Popolare di Moldova propone di rinominare il Paese in Repubblica Rumena di Moldova. In agosto, la SSR moldava si rifiuta di partecipare al referendum per il mantenimento dell’Unione Sovietica, ma nelle regioni di Gagauz e Transnistria, e con il supporto della 14a Armata russa della Guardia (secondo un accordo tra Anatoly Lukyanov e Igor Smirnov), viene organizzato un referendum. Il 2 settembre 1990 la Repubblica di Transnistria viene proclamata a Tiraspol al 2° Congresso Straordinario dei Deputati, con Igor Smirnov confermato presidente del Consiglio.
Nel novembre 1990 i separatisti bloccano i ponti sul Dnestr. Al ponte vicino a Dubasari, vengono segnalati scontri fra polizia moldava e civili che sostengono il separatismo. Una parte delle forze moldave, con tre morti e diversi feriti. Il 22 dicembre, il presidente sovietico Mikhail Gorbachev firma un decreto “relativo alle misure per riportare l’ordine nella Repubblica Socialista di Moldavia.
Nel marzo ’91, su disposizione di Viktor Bogdanov, membro del Comitato Esecutivo di Tiraspol, viene formata un’unità militare di 200 uomini, con armi e munizioni ricevute dall’esercito sovietico. La stessa situazione si verifica a Tighina, Dubasari e Ribnița. Il governo moldavo di Mircea Druc, coalizione tra Fronte Popolare e ala riformista del Partito Comunista Moldavo, viene destituito e passa all’opposizione di governo, mentre il Soviet della Transnistria ordina a tutti i poliziotti del territorio di obbedire alle autorità separatiste, nella fattispecie ai neocreati ministero dell’Interno e Procura. Le autorità separatiste proclamano lo stato di emergenza a Tiraspol e Tighina, mentre le guardie del Dnestr pattugliano le città, bloccando le strade. In sostanza, un colpo di stato in piena regola, con i leader che chiedono alla popolazione di sostenere il golpe in corso a Mosca.
Dopo fallimento del colpo di stato sovietico del 27 agosto 1991, il parlamento moldavo adottatò la Dichiarazione di Indipendenza della Repubblica di Moldova, sciogliendo di fatto l’unità dei due territori sulle sponde del Dnestr in vigore dal 1940.
Il 29 agosto 1991, il leader dell’indipendenza della Transnistria, Igor Smirnov, e altri tre deputati arrivarono a Kiev per incontrare il leader ucraino Leonid Kravchuk. Diversi leader separatisti, tra cui lo stesso Smirnov, Andrei Cheban e Gregorij Pologov, vengono però arrestati e incarcerati dalla polizia moldava. In segno di protesta, il Comitato di sciopero delle donne, guidato da Galina Andreeva, bloccò la linea ferroviaria Mosca-Chisinau tra Bender e Tiraspol, chiedendo la liberazione degli arrestato al presidente della Moldavia, Mircea Snegur.
Nel settembre ’91 le autorità separatiste ordinano a tutte le unità militari dell’Unione Sovietica nella regione di obbedire alla giurisdizione della Transnistria, ma su istigazione della direzione del distretto militare di Odessa, si tiene un’assemblea di ufficiali e sottufficiali dell’esercito sovietico in Transnistria (al comando generale di Colbasna), che si accordarono per sostenere il separatismo transnistriano, indipendentemente da qualsiasi ordine di Mosca. Intanto cominciano i primi scontri i solati fra separatisti e sostenitori dell’unità moldava.
Nell’ottobre e novembre ’91, gli organi d’informazione cominciano a diffondere prove di violazioni dei diritti umani e crimini di guerra, atti criminali contro la popolazione che si rifiuta di accettare l’autorità separatista, e hanno inizio le prime fughe di sfollati, mentre le formazioni volontarie separatiste si accordano con le truppe russe per la fornitura di armi e munizioni. In tutte le principali città, la popolazione passa all’azione e scende nelle strade: a Teja(distretto di Grigoriopol) l’autorità locale è costretta a organizzare un ballottaggio per l’elezione del presidente della Transnistria. Stessi incidenti si verificano a Speia, Butor, Taşlic e diversi altri centri.
La situazione moldava crea preoccupazione nei Paaesi confinanti e in Europa. Viene organizzata una missione ufficiale del Comitato Internazionale Helsinki per i Diritti Umani, ma Igor Smirnov si rifiuta di partecipare all’incontro a Tiraspol. In dicembre, i separatisti bloccano tutti i ponti sul Dnestr e scoppiano scontri, mentre da Mosca il ministero dell’Interno dichiara che le autorità della Transnistria hanno agito illegalmente e la polizia moldava ha agito entro i propri limiti.
In dicembre un gruppo di separatisti armati ordina all’unità di polizia di Slobozia di accettare la giurisdizione della Transnistria. Il comandante di questa unità di polizia viene selvaggiamente picchiato. Gli incidenti si susseguono: guardie transnistriane aprono il fuoco su un’auto della polizia moldava sul ponte di Gura Baculu, ferendo l’agente alla guida; ancora i separatisti arrestano il Procuratore di Tighina; 700 guardie e cosacchi armati della Transnistria, sostenuti da veicoli corazzati e lanciagranate (ricevuti dalla 14a Armata russa) si schierano alla periferia di Dubasari. La polizia riceve un ultimatum per giurare fedeltà alla Repubblica di Transnistria. L’edificio che ospita la locale Polizia dei Trasporti viene successivamente attaccato e tutti i veicoli sequestrati.
Altri episodi che conducono alla crisi aperta furono gli scontri di piazza per le elezioni del Presidente della Transnistria, tenute l’11 dicembre 1991; attacchi a stazioni di polizia di tutto il Paese, con la morte di almeno cinque agenti; numerosi attacchi e imboscate a reparti della polizia moldava, regolamenti di conti.
Il presidente moldavo, Mircea Snegur, incontra Igor Smirnov mentre l’attenzione internazionale è concentrata sullo scioglimento dell’Unione sovietica, ma la situazione non viene risolta e anzi si moltiplicano gli episodi di violenza, fra cui l’attacco separatista alla sede del KGB a Tighina; l’arresto di numerosi sindaci contrari al separatismo, portati a Tiraspol dove vengono interrogati, minacciati e successivamente liberati su richiesta delle autorità di Chişinau; attacchi ad autocolonne militari con sequestro di armi e munizioni da parte dei separatisti e ancora imboscate e agguati.
Nel febbraio ’92 vengono attaccate molte unità militari, gli scontri si moltiplicano e aumentano le vittime, mentre il 2 marzo dello stesso anno, la Moldavia viene ammessa ufficialmente nelle Nazioni Unite e il presidente Mircea Snegur autorizza un’azione militare concertata contro le forze che avevano attaccato gli avamposti di polizia fedeli al governo moldavo sulla riva sinistra del fiume Dnistr e su un tratto più piccolo della riva destra intorno alla città meridionale di Tighina. Le forze PMR, aiutate da contingenti di cosacchi e dalla 14a Armata russa, consolidarono il controllo su gran parte dell’area, e i ministeri dell’Interno e della Difesa moldavi annunciano la mobilitazione.
Guerra civile
Prima della creazione della RSS Moldava, l’odierna Transnistria faceva parte dell’Ucraina, come Repubblica Socialista Sovietica Autonoma Moldava, con Tiraspol come capitale.
Sotto il dominio sovietico, la RSS Moldava divenne oggetto di una politica di russificazione, compreso l’isolamento dalla sfera culturale rumena e il ripristino dell’alfabeto cirillico. Alla fine degli anni ’80 dello scorso secolo, il panorama politico dell’Unione Sovietica stava cambiando a causa delle politiche di Perestrojka e Glasnost di Mikhail Gorbachev.
Nella RSS Moldava, come in molte altre parti dell’Unione Sovietica, i movimenti nazionali divennero la principale forza politica, e poiché questi movimenti mostravano sentimenti sempre più nazionalisti ed esprimevano l’intenzione di lasciare l’URSS a favore dell’unione con la Romania, incontrarono una crescente opposizione fra le minoranze etniche di lingua russa che vivevano nella repubblica. Questa opposizione alle nuove tendenze e alle potenziali politiche si è manifestata in modo più visibile in Transnistria dove, a differenza del resto della MSSR, i moldavi etnici (39,9%) erano in inferiorità numerica rispetto alla cifra di russi e ucraini (53,8%) in gran parte a causa della maggiore immigrazione durante l’era sovietica.
Alcuni storici, suggeriscono che il conflitto in Transnistria, sia però dovuto a motivazioni politiche, più che etniche o linguistiche, perché è provato ad esempio, che transnistriani e moldavi abbiano combattuto insieme, o gli uni contro gli altri, in entrambe gli schieramenti, più o meno come avviene attualmente in Ucraina e nel Donbass.
Questi eventi, inclusa la fine del regime di Ceaucescu nella vicina Romania nel dicembre 1989 e l’apertura parziale del confine tra Romania e Moldova nel maggio 1990, hanno portato molti in Transnistria e Moldova a credere che un’unione tra Moldova e Romania fosse inevitabile. Questa possibilità ha causato il timore tra la popolazione di lingua russa che sarebbe stata esclusa dalla maggior parte degli aspetti della vita pubblica. Quando il Soviet Supremo moldavo, dominato dai nazionalisti, mise fuori legge tutte le iniziative separatiste, la Repubblica Gagauz e la Transnistria dichiararono l’indipendenza dalla Moldova e annunciarono la loro richiesta di essere uniti alla Russia come repubbliche federali indipendenti.
A quel tempo, la Repubblica di Moldova non aveva un proprio esercito e i primi tentativi di crearne uno ebbero luogo all’inizio del 1992 in risposta all’escalation del conflitto. Il parlamento moldavo di recente indipendenza ha chiesto al governo dell’URSS “di avviare negoziati con il governo moldavo per porre fine all’occupazione illegale della Repubblica di Moldova e ritirare le truppe sovietiche dal territorio moldavo”.
Nel 1992, la Moldova aveva truppe armate sotto il ministero dell’Interno, stimata in circa 30mila uomini, inclusi agenti di polizia richiamati, coscritti, riservisti e volontari, in particolare dalle località moldave vicino alla zona del conflitto.
Oltre alle armi sovietiche ereditate dopo l’indipendenza, la Moldova ottenne anche armi, consulenti e combattenti volontari dalla Romania. Allo stesso tempo, la 14a Armata russa della Guardia guardie russa, nel territorio moldavo contava circa 14mila soldati professionisti, mentre le autorità della PMR avevano 9.000 miliziani addestrati e armati da ufficiali russi. Molti volontari provenivano dalla Federazione Russa, dalle regioni del Don, Kuban, Orenburg, Sibir e cosacchi locali della Transnistria del Mar Nero, che si unirono per combattere a fianco dei separatisti, per un totale di circa 12mila uomini.
Nel dicembre 1991, le autorità moldave arrestarono il tenente generale Yakovlev in territorio ucraino, accusandolo di aiutare le forze della PMR ad armarsi utilizzando le scorte di armi della 14a Armata. A quel tempo, il generale Yakovlev era sia comandante della 14a Armata che capo del Dipartimento Nazionale Difesa e Sicurezza delle PMR. Il governo della Federazione Russa ha interceduto presso il governo moldavo per ottenere il rilascio del generale Yakovlev in cambio di 26 poliziotti detenuti dalle forze delle PMR all’inizio dei combattimenti a Dubasari.
Un tentativo moldavo di attraversare il ponte Lunga ebbe luogo il 13 dicembre ‘91. A seguito dei combattimenti, 27 soldati della PMR furono fatti prigionieri e quattro moldavi uccisi, e il ponte non fu attraversato. Dopo questo tentativo fallito, ci fu una pausa nell’attività militare fino al 2 marzo 1992, considerata la data ufficiale di inizio della guerra di Transnistria, lo stesso giorno in cui la Moldova ottenne il riconoscimento internazionale della dichiarazione di indipendenza, entrando nell’ONU. Dopo l’avanzata paramilitare della Transnistria, la Moldova dichiarò lo stato di emergenza il 29 marzo, e il conflitto armato culminò a maggio e giugno in tre aree lungo il fiume Dnestr, a Tighina (Bender) dove intervennero anche alcuni reparti della 14a Armata russa ponendo fine al conflitto.
La prima area di azione militare di un certo rilievo ebbe luogo sulla sponda orientale del fiume Dnestr, da nord a sud, nei pressi dei villaggi di Molovata Noua, Cocieri, Corjova e la città di Dubasari, che insieme formavano un’area contigua lungo la costa. L’unico collegamento con la sponda occidentale era un traghetto o i due ponti a Dubasari.
Il 1 ° marzo 1992 Igor Shipcenko, il capo della milizia delle PMR di Dubăsari, venne ucciso da un adolescente, e la polizia moldava accusata dell’omicidio. Sebbene di lieve entità, questo incidente è stata la scintilla che ha fatto esplodere la situazione.
In risposta, i cosacchi venuti da Rostov sul Don per sostenere la parte delle PMR hanno assaltarono il distretto di polizia a Dubasari. Il presidente moldavo Mircea Snegur, temendo di un conflitto armato di vaste proporzioni, ordinò ai poliziotti di arrendersi agli attaccanti cosacchi e alle forze delle PMR. Successivamente furono scambiati con il tenente generale Yakovlev.
Nell’area di Dubasari iniziò una sorta di guerra di trincea, per la difesa dei tre villaggi, mentre le forze della PMR mantennero il controllo di Dubasari. Nelle settimane successive sia le forze della PMR che quelle moldave accumularono un gran numero di combattenti, con scontri interrotti da diversi inefficaci cessate-il-fuoco. Ad aprile, il vicepresidente russo Alexander Rutskoy visitò la Transnistria ed espresse il pieno sostegno ai separatisti transnistriani da parte della Russia.
La battaglia di Tighina
Fu lo scontro principale della guerra di Transnistria, combattuto fra il 19 e il 21 giugno 1992 nei pressi della città prevalentemente russofona, causato anche dall’esasperazione per la continua presenza di truppe russe sul suolo moldavo, cosa che spinse il presidente Mircea Snegur a chiedere all’ONU la condanna ufficiale dell’occupazione. I combattimenti cessarono con la firma della tregua che autorizzò la missione militare russa a svolgere missioni di mantenimento della pace, ma che ha determinato un progressivo allontanamento della Transnistria dall’amministrazione centrale.
I media locali definirono quella di Tighina la “moderna Stalingrado”, con la Russia vista oggi come “salvatrice”, mentre le forze moldave e rumene erano e sono viste come nazionaliste e fasciste. D’altra parte, in Moldavia, la battaglia di Tighina è oggi vista come una provocazione da parte di separatisti, fatta per interrompere il processo di pace.
Dopo che le forze regolari moldave entrarono a Tighina per ristabilire l’autorità della moldava, si accese un’ulteriore scontro all’interno della città. La polizia moldava arrestò il maggiore Yermakov della 14a Armata con l’accusa di sovversione pianificata. Dopo il suo arresto, le guardie PMR hanno aperto il fuoco sulla stazione di polizia. Il governo moldavo ordinò alle truppe di entrare in città in forze la mattina seguente e ne seguì una guerriglia urbana tra le due parti con numerose vittime civili. La radio moldava disse che tre carri armati T-64 russi della 14a Armata, alcuni con bandiere russe, furono distrutti quando si avvicinarono al centro cittadino, due dei quali da cannoni anticarro T-12 e un terzo da un razzo che ha dato fuoco al motore. Un quarto carro armato è stato messo fuori uso da una granata a propulsione a razzo.
I portavoce dell’esercito russo hanno detto che i carri armati erano stati sequestrati dai depositi dei separatisti. Fonti russe riferito di dozzine di morti per le strade. La notizia del caos a Tighina raggiunse Tiraspol, distante circa 10 km, mentre le truppe moldave si stavano avvicinando al cruciale ponte sul Dniester. A questo punto, con il supporto dei carri armati, la Guardia Repubblicana della Transnistria e i volontari cosacchi si precipitarono ad affrontare le forze moldave.
Il 22 giugno 1992, in base alla notizia che le truppe della 14a Armata erano pronte ad attraversare il Dnestr ed entrare in Moldavia, l’esercito moldavo ordinò un attacco aereo per distruggere il ponte fra Tighina e Tiraspol. Tre MiG-29 decollarono da Chisinau, due dei quali armati con sei bombe OFAB-250 ciascuno. L’altro velivolo era un MiG-29UB che forniva copertura. Nessun colpo diretto cadde sul bersaglio previsto, ma il ponte fu danneggiato dalle bombe e dai missili caduti nei pressi, uno dei quali su un’abitazione civile, uccidendo diverse persone all’interno. Fonti della 14a Armata parlarono di un secondo attacco MiG-29 contro una raffineria di petrolio a Tiraspol il giorno seguente, in cui un aereo sarebbe stato abbattuto da un missile S-125 Neva, ma la dichiarazione è stata negata dalle autorità moldave.
Il ruolo della 14a Armata russa nell’area fu cruciale. La posizione di inferiorità dell’esercito moldavo impedì di ottenere il controllo della Transnistria. Da allora la Russia ha sciolto la 14a Armata e ridotto la forza delle truppe in Transnistria a un corpo di circa 1.300 uomini come contingente per il mantenimento della sicurezza.
Con la schiacciante superiorità militare della PMR, la Moldavia aveva poche possibilità di ottenere la vittoria e il combattimento era impopolare tra la scettica popolazione moldava.
Secondo un rapporto del Centro per i Diritti Umani, testimoni oculari locali hanno visto truppe moldave in veicoli blindati sparare deliberatamente contro case e auto con mitragliatrici pesanti. Le truppe moldave avrebbero sparato a civili che si nascondevano nelle case, cercando di fuggire dalla città o che aiutavano i separatisti PMR feriti. Altri testimoni oculari locali hanno riferito che uomini disarmati furono colpiti da armi automatiche. Agli osservatori dell’HRC (Human Rights Committee) è stato detto dai medici che, a causa del fuoco pesante dalle postazioni moldave, non era stato possibile soccorrere i feriti sul campo. Sono stati anche segnalati episodi di tortura su prigionieri. Il documento che stabiliva il cessate-il-fuoco fu sottoscritto dall’allora presidente russo Boris Eltsin e da quello moldavo Mircea Snegur, e prevedeva forze di pace incaricate di garantire il rispetto della tregua e degli accordi di sicurezza, con cinque battaglioni russi, tre battaglioni moldavi e due battaglioni PMR agli ordini di una struttura di comando congiunta, la Joint Control Commission (JCC).
Si stima che in totale circa mille persone siano state uccise nel conflitto, con un numero di feriti che si avvicina a 3.000.
Alcuni giorni dopo che la tregua era stata concordata, a Gyska, un villaggio a maggioranza etnica russa vicino a Tighina, ebbe luogo uno scontro tra un’unità di autodifesa locale e l’esercito moldavo, con la morte di circa cinque persone. Durante il combattimento, gli edifici civili furono danneggiati o distrutti dal fuoco dell’artiglieria.
Sebbene l’esercito russo abbia ufficialmente assunto la posizione di neutralità e non coinvolgimento, molti dei suoi ufficiali erano in sintonia con la nascente Repubblica Moldava Pridnestroviana (PMR) e alcuni hanno persino disertato. Il battaglione genieri ROG Parcani, agli ordini del generale Butkevich, passò dalla parte della PMR. Questo battaglione in seguito distrusse i ponti di Dubasari, Gura Bacului e Cosnita. Le forze moldave hanno utilizzato aerei contro il villaggio di Parkany.
Volontari dalla Russia e dall’Ucraina, compresi i cosacchi di Don e Kuban, hanno combattuto dalla parte della Transnistria. Le stime vanno da un minimo di 200 a un massimo di 3.000 combattenti volontari, oltre ai membri di UNA-UNSO che hanno combattuto a fianco dei separatisti transnistriani contro le forze governative moldave in difesa della minoranza etnico-ucraina.
Attualmente, la Federazione Russa mantiene un numero imprecisato di soldati in Transnistria. Questa presenza risale al 1992, quando la 14a Armata della Guardia intervenne nella guerra a sostegno delle forze separatiste. Dopo la fine della guerra, che si concluse con una vittoria della Transnistria sostenuta dalla Russia e con l’indipendenza de facto della regione, le forze russe rimasero in una presunta missione di mantenimento della pace e si riorganizzarono nel 1995 nel Gruppo Operativo Forze Russe (OGRF), attualmente a guardia del deposito di munizioni di Cobasna. Alcuni altri soldati russi partecipano anche alla Commissione congiunta di controllo tra Moldova, Russia e Transnistria dal 1992. Il governo della Moldavia considera illegittima la presenza delle truppe e ne ha chiesto in sede ONU il ritiro e la sostituzione con forze internazionali. La Russia, tuttavia, si è opposta. Il 15 marzo 2022, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha riconosciuto la Transnistria come territorio moldavo occupato dalla Russia.
Il Memorandum Kozak
Ufficialmente, il progetto di memorandum russo sui principi di base della struttura statale di uno Stato unito in Moldavia, risale al 2003. È stato visto come un’estensione del memorandum di Mosca del 1997, ma alla fine è stato respinto dal presidente moldavo Vladimir Voronin.
Il piano era una proposta dettagliata per uno stato federale moldavo unito e asimmetrico. Pubblicato per la prima volta in russo sul sito web del Ministero degli Affari Esteri della Transnistria, il testo è stato promosso dal politico russo Dmitry Kozak, stretto alleato del presidente Putin e una delle figure chiave della sua squadra presidenziale.
Il memorandum poneva fine alla precedente politica di Mosca, che presupponeva che la regione avrebbe avuto uno status paritario in federazione con il resto del Paese. Secondo il memorandum, le truppe russe (non più di 2.000 uomini, senza armamenti pesanti) dovevano restare in Transnistria per il periodo di transizione, non oltre il 2020, ma gli eventi hanno deciso diversamente.
È stato proposto di suddividere le competenze del governo della Moldavia federale in tre categorie: quelle della federazione, quelle dei singoli soggetti e quelle delle competenze congiunte. Il piano presentava diversi problemi che rischiavano di causare un blocco nella definizione delle politiche. Una camera bassa, eletta per rappresentanza proporzionale a maggioranza semplice, doveva approvare la legislazione. Tutte le leggi organiche (relative alla modifica della struttura del potere federale) dovevano ottenere l’assenso del senato: 13 senatori eletti dalla Camera Bassa federale, nove dalla Transnistria e quattro dalla Gagauzia. Nel 2004 la Transnistria aveva il 14% e la Gagauzia il 4% della popolazione totale della Moldavia. Con questo piano, i senatori transnistriani sarebbero stati in grado di bloccare le modifiche alla Costituzione dello stato unificato.
Grandi manifestazioni contro il memorandum Kozak si sono svolte a Chisinau nei giorni successivi alla pubblicazione della proposta russa. La leadership della Moldavia ha rifiutato di firmare il memorandum senza il coordinamento con le organizzazioni europee. Una visita del presidente Putin in Moldavia è stata annullata. Più tardi, nel 2005, il presidente Vladimir Voronin ha rilasciato una dichiarazione in cui rifiutava il memorandum Kozak del 2003 a causa della contraddizione con la costituzione moldava che definisce la Moldova uno stato neutrale e non poteva consentire l’ingresso di truppe straniere sul suo territorio, mentre il paese non può aderire ad alleanze militari. La Moldavia e il memorandum Kozak sono stati una questione chiave alla riunione ministeriale dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa a Maastricht nel dicembre 2003, e il disaccordo tra la Russia da un lato e l’UE e gli Stati Uniti dall’altro sulla Moldova è stato uno dei motivi principali per cui dopo la riunione non è stata adottata una dichiarazione congiunta finale.
Dopo la fine del conflitto, un’unità russa separata è stata spostata nella regione come parte della forza congiunta di mantenimento della pace moldava-russa-transnistriana, la Commissione congiunta di controllo. La stessa 14a armata di guardie è stata riformata nell’aprile 1995 nel gruppo operativo delle forze russe (OGRF) che è passato sotto il comando del distretto militare di Mosca ed è stato incaricato di sorvegliare il deposito di munizioni di Cobasna. Un’altra fonte più recente indica la data di scioglimento della 14a armata di guardie al 25 giugno 1995. Il 1° giugno 1997, la 59a divisione di fucili a motore della guardia divenne l’8a brigata di fucili a motore della guardia. La forza è ora di circa 1.200 uomini e, secondo Kommersant-Vlast nel 2005, era composta dall’8a brigata di fucili a motore delle guardie, dal 1162° reggimento di missili antiaerei, dal 15° reggimento di segnali e da altre unità di supporto.
Il 7 aprile 2016, la Russia ha annunciato che avrebbe ritirato le sue truppe dalla Moldova una volta risolto il problema della liquidazione dei depositi di armamenti della 14a armata. A complicare il ritiro c’è la necessità di far transitare gli armamenti attraverso l’Ucraina, che ha avuto un rapporto ostile dopo l’annessione russa della Crimea e l’invasione russa dell’Ucraina orientale nel 2014.
Il 27 giugno 2016 è entrata in vigore in Transnistria una nuova legge che punisce azioni o dichiarazioni pubbliche, anche attraverso l’uso di mass media, reti di informazione e telecomunicazioni o Internet, che criticano la cosiddetta missione di mantenimento della pace dell’esercito russo in Transnistria, o presentare interpretazioni percepite come “false” dal governo transnistriano della missione militare dell’esercito russo. La pena è fino a tre anni di reclusione per le persone comuni o fino a sette anni di reclusione se il reato è stato commesso da una persona responsabile o da un gruppo di persone previo accordo.
Il 22 giugno 2018, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione (documento A/72/L.58), che esortava la Federazione Russa a ritirare senza indugio le proprie truppe e armamenti dal territorio della Repubblica di Moldova.
A tutt’oggi, la Moldavia continua a chiedere il ritiro delle truppe russe dalla Transnistria, avendolo fatto solo nel 2021. Inoltre, nel 2022, in mezzo a un aumento delle tensioni tra Ucraina e Russia che è servito da preludio all’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, sono apparse accuse dell’intelligence ucraina secondo cui la Russia stava cercando di preparare “provocazioni” contro i soldati russi in Transnistria per creare un pretesto per l’invasione dell’Ucraina.
Il dossier Sheriff
La Sheriff è una holding con sede a Tiraspol, capitale dell’autoproclamata repubblica della Transnistria, che opera in quasi tutti i settori di mercato. Varie fonti riferiscono che la società è coinvolta profondamente nel condizionamento della politica locale, in particolare nel perorare l’autodeterminazione transnistriana.
La Sheriff fu fondata il 23 giugno 1993 da Viktor Gusan e Ilja Kazmaly, ex ufficiali del KGB, come società straniera a responsabilità limitata. Inizialmente la compagnia si occupa quasi esclusivamente di medio commercio al dettaglio, ma nel giro di pochi anni amplia la sua attività: nel 1996 apre il primo supermercato a Tiraspol e nel ‘97 vengono fondate la società calcistica Sheriff F.C. e la rete televisiva in MMDS Sheriff Televidenie. Nell’aprile ‘98 nasce la Sheriff Construction Department, mentre l’anno successivo vengono attivate la “Delo”, società editoriale, e la Mercedes-Benz Autocenter, concessionaria Mercedes-Benz in esclusiva della regione. Con Il terzo millennio, la compagnia inizia la costruzione di un complesso sportivo, composto dallo Stadio Sheriff, da un hotel a cinque stelle, da alloggi per i calciatori, e un’accademia di calcio. Nel 2004 hanno avvio le acquisizioni di alcune aziende; la prima è la agenzia pubblicitaria “AdAgency Klassika”, fondata nel 2000 e, dopo l’acquisizione rinominata ” Exclusive “, seguita dalla privatizzazione della “Tiraspol Factory of Grain Production” e dalla “Tiraspol Bread Factory”. I settori in cui la società opera sono principalmente commercio all’ingrosso e al dettaglio, petrolifero, edilizio, comunicazione e sport.
Il settore commerciale fu il primo in cui la società abbia operato. Da un piccolo commercio di beni alimentari, nel 1996 nasce il primo dei dieci supermercati appartenenti alla società.
L’azienda serve circa 27.000 clienti al giorno, con un assortimento di oltre 8.000 prodotti, dagli alimentari di base, ai cosmetici, ai tabacchi, ai prodotti industriali, ai giocattoli, prodotti propri o dei suoi partner commerciali (fra cui la Kraft), su di una superficie totale di circa 9.000 metri quadrati. Dal 2004, in seguito ad un accordo con la Agroprombank, i punti vendita Sheriff accettano il sistema di pagamento Rainbow, una specie di carta di credito della banca omonima.
Dal 1998 la Sheriff lavora anche nel campo della distribuzione di carburanti e lubrificanti, anno in cui venne costruita la prima stazione di servizio nella capitale: da allora sono state costruite altre undici stazioni di servizio distribuite nelle varie località e tre depositi petroliferi, con una capienza totale di circa 38.000 metri cubi di lavorati. La Sheriff gestisce inoltre la piattaforma televisiva SheriffTV, la casa editrice Delo, e l’agenzia pubblicitaria Exclusive, ed è entrata anche nel mondo dello sport nel 1997 con la fondazione della squadra di calcio Sheriff Tiraspol. Nel 2000 comincia la costruzione, terminata due anni dopo, dello stadio Sheriff, di cui la compagnia è proprietaria. Proprio lo stadio fa parte del Complexul Sheriff al quale vengono inclusi un secondo stadio, 8 campi di allenamento e hotel a 5 stelle. È considerato ed è a tutti gli effetti il miglior stadio calcistico nella Repubblica di Moldavia.
Nell’aprile 1998 nasce la Sheriff Construction Department, il dipartimento edilizio della Sheriff. In dieci anni di attività la società ha edificato nella capitale: dieci stazioni di servizio, due supermercati, un complesso sportivo con lo Stadio Sheriff, la sede della Delo e la cattedrale Rozdestvenskij. Sono ancora in costruzione: una piscina olimpionica, un centro di riabilitazione per sportivi, e l’hotel a cinque stelle di proprietà della azienda, nelle cui vicinanze sorgerà un complesso di bar, ristoranti e locali notturni.
Molte fonti riferiscono come la Sheriff Ltd. sia profondamente coinvolta nella politica nazionale. La Sheriff, nata pochi anni dopo l’autoproclamazione di indipendenza della Transnistria, è stata fondata da due ex-agenti dei servizi segreti locali; tra le file dei dirigenti troviamo Oleg Smirnov, figlio dell’ex presidente della Transnistria, ufficialmente in un ruolo secondario, così come l’altro figlio che sarebbe addirittura l’amministratore delegato o il presidente dell’azienda. Voci ulteriori considerano lo stesso ex presidente Igor’ Nikolaevič Smirnov il vero dominus dell’azienda, che la utilizzerebbe come centro di riciclaggio di denaro sporco. A prova di tali tesi vengono evidenziati le leggi cosiddette Ad personam promulgate in favore della società: la Sheriff fino al 2012 godeva di forti agevolazioni nelle imposte, ed era l’unica società autorizzata a importare prodotti dall’estero, di fatto è un monopolio. Nell’elezioni parlamentari moldave del febbraio 2021, la Sheriff è stata accusata di brogli elettorali insieme alla Tirotex: 25 rubli il prezzo stabilito per ogni voto.
La situazione attuale
La collocazione geografica, l’allineamento politico con Mosca e la presenza di truppe della Federazione Russa rendono la regione separatista moldava della Transnistria particolarmente rilevante nel contesto dell’attuale guerra in Ucraina. Nell’eventualità che il conflitto possa espandersi alle regioni limitrofe, la Transnistria si trasformerebbe in una testa di ponte che la Russia potrebbe usare tanto per intensificare gli attacchi contro l’Ucraina, partendo questa volta da ovest, che per sferrare un eventuale attacco contro la Moldavia. Posta a pochi chilometri dal confine dell’Unione Europea e della NATO in Romania, proprio come l’oblast’ di Kaliningrad nel Baltico, la Transnistria rappresenta per Mosca un costante punto di riferimento per portare avanti le proprie strategie in Europa orientale.
In effetti, la Transnistria è una sorta di buco nero filo-russo che si trova in Europa, tra Moldavia e Ucraina. Si è ribellata con forza e autoproclamata indipendente da quella che oggi è la Moldavia nel 1990, l’anno prima della dissoluzione dell’Unione Sovietica, sebbene la Moldavia la ritenga formalmente parte del suo territorio.
Alla fine dell’aprile 2022 in Transnistria alcuni attentati di matrice ancora sconosciuta hanno allarmato i cittadini della piccola regione separatista e della Moldavia. Ma si deve temere un allargamento del conflitto ucraino sino alle rive del Dnestr? Lo scorso 25 aprile la Transnistria è salita nuovamente agli onori delle cronache internazionali a causa di alcuni episodi dalla matrice ambigua. Esplosioni sono state registrate presso la sede del ministero per la Sicurezza nazionale a Tiraspol, capitale dell’autoproclamata repubblica; ad esse sono seguite nuove detonazioni presso stazioni radiofoniche in altre zone del paese. Non sono state accertate vittime; al momento dell’attacco il ministero era vuoto, così come gli altri bersagli.
Immediatamente sono partite le speculazioni sulle responsabilità. La Moldavia, cui formalmente la Transnistria appartiene, non ha lanciato accuse precise, sebbene abbia palesato i suoi sospetti. Il presidente della Repubblica Maia Sandu ha dichiarato che le tensioni nascerebbero dall’interno, generate da forze favorevoli alla guerra. Il viceministro dell’Interno, Sergiu Diaconu, ha detto che le granate usate contro il ministero sono in dotazione soltanto alle truppe russe, all’esercito della Transnistria e a quello del Gabon. Ha chiosato poi ironicamente esprimendo i suoi profondi dubbi sulla matrice gabonese dell’attentato.
Solo tre giorni prima il comandante del Distretto Militare Centrale russo, Rustam Minnekaev, aveva ammesso come uno degli obiettivi del Cremlino fosse conquistare l’Ucraina meridionale per creare un corridoio terrestre che collegasse la Federazione non solo alla Crimea, ma anche alla Transnistria, dove sarebbero stati accertati episodi di discriminazione e odio contro la locale popolazione russofona. Un copione già visto, che però regge a fatica la prova dei fatti.
L’uso delle terre al di là del fiume Dnestr come strumento di disturbo e provocazione non è un’invenzione putiniana, né tantomeno un fenomeno post-sovietico. Nel 1924 il governo comunista di Mosca creò in una zona corrispondente in parte alle attuali Transnistria e Ucraina meridionale una repubblica autonoma, denominata Repubblica Autonoma Socialista Sovietica Moldava (RASSM). Per i primi cinque anni la capitale fu Balta; solo dal 1929 tale rango venne assegnato a Tiraspol. Attraverso la RASSM, Mosca mirava a destabilizzare la vita politica della vicina Bessarabia (l’attuale Moldavia), che dal 1918 era entrata a far parte del regno di Romania. Da Tiraspol partivano spesso gruppi di sabotatori e terroristi comunisti che andavano a compiere attentati in Romania, e nella RASSM molti comunisti romeni andavano a rifugiarsi dopo essersi macchiati di reati penali. Tiraspol divenne uno degli incubi più ricorrenti delle autorità di Bucarest, che temevano che da lì potesse partire una futura annessione sovietica della Bessarabia. Guarda caso, lo stesso timore provato oggi da molti moldavi.
Questa è la domanda che giornalisti e analisti si stanno ponendo da giorni: la Transnistria costituisce un obiettivo sensibile?. Qual è il ruolo della Transnistria nell’attuale scenario bellico? Ha realmente un’importanza decisiva per l’attacco all’Ucraina meridionale?
Gli analisti sembrano concordare su un punto: la Transnistria non rappresenta una pedina decisiva nell’attuale scacchiere. Da un punto di vista militare, l’esercito della sedicente Repubblica difficilmente può costituire un aiuto significativo alla Russia. Sebbene non si conosca esattamente la sua consistenza numerica, è noto lo scarso livello di addestramento e, soprattutto, la fatiscenza degli equipaggiamenti.
Molto si è discusso delle milizie russe ivi stanziate. Secondo quanto riporta Radio Europa Libera i soldati russi in Transnistria sono circa 2000. Il loro compito principale è la difesa della base di Cobasna, dove si trova un enorme deposito di armi e munizioni cui soltanto i soldati russi e le autorità di Tiraspol possono accedere.
Putin vuole usare la Transnistria come testa di ponte per una futura invasione della Moldavia? Anche questo sembra difficile. Bisogna infatti tener presente che il Cremlino possiede già degli strumenti che gli permettono di esercitare una notevole influenza sulla Moldavia senza bisogno di invaderla militarmente. A differenza dell’Ucraina, i partiti cosiddetti filorussi, sebbene indeboliti, sono ancora centrali nella scena politica. Inoltre, Chișinău è totalmente dipendente da Mosca non solo per quel che riguarda le forniture di gas, ma anche per la produzione di energia elettrica. La società statale moldava che si occupa delle forniture di gas, Moldovagaz, appartiene a Gazprom, che ha inserito dei suoi rappresentanti nel consiglio di amministrazione. A ciò si aggiunga che l’energia elettrica necessaria a soddisfare il fabbisogno moldavo viene prodotta dalla centrale di Cuciurgan, che si trova in Transnistria, e funziona grazie al gas russo. Non è esagerato dire che gli interruttori che avviano i riscaldamenti e l’illuminazione moldava si trovano in Russia.
Non sembra che Transnistria e Moldavia possano rappresentare obiettivi concreti per le alte gerarchie politico-militari del Cremlino. Tuttavia, questa guerra ha confermato come il concetto di convenienza strategica e geopolitica occidentale non corrisponda necessariamente a quello russo. Al contrario, spesso Mosca ha conferito un valore importante agli atti simbolici e alle aperte provocazioni. Inoltre, in uno scenario bellico come quello attuale, la situazione può cambiare velocemente, mutando priorità e obiettivi nel giro di giorni, se non di ore.
Bibliografia
Canali, Laura, Una carta da La fine della pace, a proposito della variabile Moldova/Transnistria nella guerra d’Ucraina, Limes, 2022
Cenusa, Dionis, Is Transnistria Being Dragged into the Ukraine War?. Istituto Superiore Politica Internazionale, 2022
Gettleman, Jeffrey, “A Mini-Russia Gets Squeezed by War”, New York Times 2022
Harrington, Keith, “Three Decades On, the Spark that Ignited War in Moldova”, BalkanInsight, 2022
Mackinlay, John & Cross, Peter, 2003, Regional Peacekeepers: The Paradox of Russian Peacekeeping, United Nations University Press
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