Un territorio estremamente particolare, il cui nome deriva dal vocabolo di origine tatara “Qirim”, risalente all’epoca dell’Orda d’Oro, che significa “Mia Steppa”, a sua volta riferito al turco “qir”, che indica una zona di steppa selvaggia. E’ collegata alla terraferma dall’Istmo di Perekop, che la unisce all’Ucraina, e dal 2018 dal ponte stradale e ferroviario che attraversa lo Stretto di Kerç, a est, che la unisce alla Penisola di Taman e alla Striscia di Arabat, importante quanto la principale città di Sebastopoli e di altissimo valore strategico. Il Ponte di Crimea, com’è chiamato ufficialmente, è uno dei motivi di orgoglio di Putin, che ha voluto così celebrare l’annessione della Crimea alla Russia e sottolineare l’indipendenza da Kiev con il diretto collegamento. Il progetto fu avvallato con un decreto ministeriale del premier Dmtiri Medvedev che causò il ritiro ucraino dal Patto Bilaterale di Kerç, per altro scaduto, e nel gennaio 2015 Mosca stanziò circa 230 miliardi di rubli (quasi 4 miliardi di euro) per la costruzione, affidata al Gruppo Strojgazmontaz, del magnate Arkadj Rotenberg. Inaugurato nel maggio 2018, con lo stesso Putin alla testa di un’autocolonna pesante che ha percorso il tratto Novorossijsk-Kerç-Simferopol-Sebastopol, e poi rimasto gravemente danneggiato lo scorso 8 ottobre 2022, nel quadro della guerra in atto fra Ucraina e Russia, a causa del crollo di due campate con il blocco del traffico ferroviario.
Da sempre al centro di dispute
Che la Crimea sia stata più di una volta, nel corso dei secoli, motivo di contesa fra nazioni, e specialmente terreno di scontri accaniti, certo non deve sorprendere, vista la posizione di alto valore geostrategico che occupa, protesa nel Mar Nero, e per la Russia ideale collegamento con i territori politicamente amici della Transnistria, di cui pochi parlano ma che sono elemento estremamente importante nello scacchiere geopolitico in mutamento.
Le prime tracce di insediamento umano stabile in Crimea risalgono al 9° secolo a.C. e appartengono alla civiltà dei Cimmeri, poi sostituiti da Sciti, Tauri, Sarmati, Greci, e una menzione a proposito della capitale Neapolis risalente al 7° secolo a.C. quando venne creato il Regno del Bosforo Cimmerio, e dove sorsero numerose colonie greche come Panticapaeum (Kerç), Nymphaion, Myrmekion, Phanagoria, Germonassa e altre, fondate principalmente dai mercanti di Mileto.
Fu la dinastia degli Archeanactidi a regnare sul Bosforo fino al 440 a.C. circa, poi sostituita dagli Spartocidi fino al 110 a.C. che ampliarono i domini assediando Teodosia, città rivale nei commerci e porto franco per il grano dalla Crimea orientale. In seguito furono molti i regnanti del territorio, dei quali non si sa molto, e per lo più con nomi ripetitivi per obblighi dinastici, fino a quando, nel 108 a.C., una rivolta popolare permise a Mitridate re del Ponto di appropriarsi del territorio e di consegnarlo al figlio Macàre, non in grado di opporsi ai romani guidati da Pompeo Magno, poi riconquistato dallo stesso Mitridate e affidato all’altro figlio, Farnace, e ancora con nuove rivolte popolari intorno al 60 a.C.
Fu poi la volta della riconquista di Pomeo, quindi della successiva vittoria di Giulio Cesare a Zela nel 47 a.C. e del dominio del procuratore Polemone fino all’8 a.C. e alla classificazione come regno cliente di Roma fino al 2° secolo, e una rapida successione di sovrani fino alle invasioni barbariche nel 3° secolo e ad accanite battaglie fra popolazione locale, truppe mercenarie, legioni romane e navi provenienti dalla vicina Mesia.
Goti e Borani conquistarono il Regno del Bosforo, poi arrivarono gli Unni che con la battaglia di Erac si impadronirono di quelle terre intorno al 375.
Seguì poi il periodo dell’impero bizantino, durante il quale furono costruite diverse fortezze, e il Bosforo divenne sede arcivescovile, quindi le prime manifestazioni dell’influenza russa con il principato di Tmutarakhan, porta da cui entrarono prepotentemente i tartari. Con la diaspora, e grazie al vicino stato della Khazaria, si aggiunsero alcune comunità ebraiche, specialmente lungo il fiume Don.
Il Medioevo e l’egemonia genovese
Il Regno del Bosforo fu comunque il principale sviluppatore della civiltà della Crimea, con stretti legame con Atene, fino al 250 e all’invasione dei Goti, che si insediarono nella regione a nord delle montagne, lasciando la zona sud il Regno del Bosforo, e che ebbe fine con gli Unni.
Intorno al 400, i bizantini mantennero le strutture dell’imperp romano fino al crollo del 717 e intanto, dopo la disgregazione dell’impero unno a metà del 6° secolo, vi fu l’ondata dei Proto-bulgari il cui khan Kubrat, nel 632, unificò le tre maggiori tribù formando la Grande Bulgaria (Onoguria). Alla fine del 7° secolo arrivarono i Cazari che invasero l’intera Crimea e la governarono per più di un secolo, poi la riconquista bizantina con Teofilo intorno all’840, e quindi fu la volta di Svjatoslav di Kiev che, a metà del 10° secolo, invase e sottomise la Crimea orientale, creando il principato russo di Tmutakaran. Successivamente, Vladimir I di Kiev conquistò la costa presidiata dai bizantini, restituendola poi alla conversione al Cristianesimo.
La Crimea venne poi invasa dai Cumani, che stabilirono con Bisanzio relazioni commerciali, rimaste in vigore fino al 1204 quando i veneziani entrarono a Costantinopoli. Fu poi la volta dell’egemonia genovese con la fondazione di molte colonie su tutte le coste del Mar Nero, fino agli avvenimenti cruciali del 13° secolo, le Crociate, in particolare la quarta, promossa dalla Repubblica di Venezia.
Pochi decenni dopo arrivarono i Mongoli, che invasero la Crimea nel 1237 alla guida di Bathu Khan, e per i successivi due secoli dominò il Khanato dell’Orda d’Oro, quindi si ristabilì l’egemonia genovese con il Trattato di Ninfeo nel 1261, e fino alla conquista di alcuni fondamentali avamposti nella Crimea meridionale come basi commerciali con i popoli dell’interno. Sebastopoli, Cembalo, Soldaia, Tana e soprattutto Caffa, colonia fra le più importanti, divennero il Possedimento Genovese della Gazaria, testimonianza del predominio commerciali della Repubblica Marinara all’epoca nota come “la Superba”, fino al 1475 con la caduta di Costantinopoli in mano ai turchi.
Nella fase di disgregamento dell’Orda d’Oro (1427), i Tatari fondarono il Khanato di Crimea e ne offrirono la corona a Haci Giray, principe mongolo discendente diretto di Gengis Khan e pretendente al trono dell’Orda d’Oro, che non fu estraneo alle conquiste delle città commerciali da parte del generale turco Gedik Ahmet Pascià nel 1475, che ne fece una provincia dell’impero ottomano.
Nella seconda metà del 18° secolo venne creata una nuova provincia turca nel Ponto, con minoranze armene, greche e, 1783, cristiano-ortodosse con l’arrivo delle prime comunità russe.
Per due secoli, fino all’inizio del Settecento, il Khanato organizzò una significativa tratta degli schiavi con l’impero ottomano e il Medio Oriente, con circa due milioni di schiavi razziati dalle steppe di Polonia, Lituania e Russia. Nel 1736, nel corso della guerra russo-turca del 1735-1739, la Crimea fu devastata dalle truppe russe al comando del feldmaresciallo Burkhard Christoph von Munnich che dovette poi ritirarsi in Ucraina. L’anno successivo vi irruppero nuovamente le truppe russe del generale Peter Lacy, costretto a sua volta a lasciare il territorio. Vi ritornò lo stesso Lacy nell’estate del 1738 ma le devastazioni precedenti avevano reso la penisola incapace di fornire solide basi logistiche alle truppe di occupazione e per la terza volta fu obbligato al ritiro. Il trattato di Nissa, che pose fine alla guerra, ebbe come conseguenza la cessione del porto di Azov alla Russia, mentre il Khanato di Crimea rimase uno stato vassallo della Sublime Porta.
Alla fine della successiva guerra russo-turca del 1768-74, i russi vinsero e imposero all’impero ottomano la pace di Kaynarca, in base alla quale il Khanato di Crimea perdeva lo stato di vassallo della Sublime Porta e divenne indipendente, ma di fatto nella sfera di influenza russa. In seguito, l’imperatrice Caterina II decise di concentrare gli insediamenti ebrei russi in Crimea per creare una zona-cuscinetto in funzione anti-turca.
Per quanto riguarda i rapporti puramente politici su base religiosa, di fatto le comunità islamiche non furono soggette a provvedimenti vessatori, né fu perseguitata l’Amministrazione Spirituale Maomettana della Tauride, ma in quel periodo, circa un milione di musulmani lasciò la Crimea.
Nel 1784, approfittando della disgregazione interna del Khanato a causa di rivalità e pretese al trono, le truppe russe entrarono di forza in Crimea e nel gennaio dello stesso anno fu proclamata l’annessione. L’impero turco rispose con ritardo dichiarando guerra alla Russia, uscendone per altro sconfitto e subendo il Trattato di Iassy (1792) con cui perdeva definitivamente la Crimea.
Fra il 1802 ed il 1921 la Crimea costituì il Governatorato della Tauride dell’Impero russo. Particolare importanza acquistò Sebastopoli quale porto della Flotta del Mar Nero, specialmente nel periodo 1854-1856, quando il territorio fu il principale teatro della Guerra d’Oriente, non a caso più nota come Guerra di Crimea, nella quale gli eserciti congiunti di Gran Bretagna, Francia e Regno di Sardegna riuscirono ad espugnare la cittadella militare di Sebastopoli, ponendo termine alle mire espansionistiche russe verso Costantinopoli e il Mediterraneo. Le truppe piemontesi si distinsero soprattutto alla battaglia della Cernaia e ciò servì ad ottenere l’appoggio anglo-francese al progetto di Unità d’Italia.
Le guerre mondiali
All’inizio del ‘900, la Crimea divenne luogo privilegiato della élite russa, con eleganti dacie e appezzamenti di lusso, specialmente nella zona di Jalta, e con una amministrazione indipendente in seguito al terremoto provocato con la Rivoluzione d’Ottobre e il crollo della dinastia Romanov, seguito poi dalle due guerre mondiali e dal conflitto civile.
Nella seconda guerra mondiale la Crimea fu teatro di alcune delle più sanguinose battaglie. I tedeschi soffrirono pesanti perdite cercando di invaderla attraversando l’istmo di Perekop, nell’estate del 1941, occupandone la maggior parte, con l’eccezione della città di Sebastopol, che resistette all’assedio dall’ottobre 1941 fino al 4 luglio 1942, quando il maresciallo Erich von Manstein riuscì a espugnarla.
Nel 1942, avvennero pesanti deportazioni da parte russa, a causa dell’avanzamento della Wehrmacht, con l’accusa di collaborazionismo, seguendo l’infelice destino della minoranza tedesca, già deportata nell’agosto 1941 durante l’operazione Barbarossa.
Durante la seconda guerra mondiale l’intera comunità degli Italiani di Crimea (presenti dal 1830 a seguito di un flusso migratorio proveniente soprattutto dalla Puglia) fu stata accusata di collaborazionismo con i tedeschi e deportata a partire nel febbraio 1942. L’intera comunità, compresi i rifugiati antifascisti che si erano stabiliti a Kerç, venne radunata e costretta a mettersi in viaggio verso i gulag del Kazakistan.
Nel maggio 1944 Sebastopoli venne liberata dalle truppe sovietiche. Dopo la liberazione l’intera popolazione dei Tatari venne deportata dal regime di Stalin per punizione, in quanto, dopo aver creato la Wolgatatarische Legion, avevano combattuto a fianco delle truppe del Terzo Reich. Si stima che il 46% dei deportati morì per la fame e le malattie. Nel 1967 i Tatari di Crimea furono riabilitati, nella politica della destalinizzazione, ma venne loro impedito di tornare legalmente in Crimea fino al crollo dell’Unione Sovietica.
Al termine della seconda guerra mondiale, di cui ospitò la Conferenza di Jalta, la Crimea fu trasformata in un Oblast’ della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa (RSFSR), che nel 1954, per volontà di Nikita Khrushev e su decreto del Praesidium del Soviet Supremo dell’URSS, fu donata alla Repubblica Socialista Sovietica di Ucraina, in occasione del 300º anniversario del Trattato di Perejaslav col quale la Riva sinistra ucraina, cioè il territorio ucraino a oriente del fiume Dnepr, scelse di unirsi alla Russia.
Dopo il collasso dell’Unione Sovietica del dicembre 1991, la Crimea proclamò l’autogoverno il 5 maggio ‘92, ma accettò di rimanere all’interno dell’Ucraina indipendente come repubblica autonoma.
Il pomo della discordia
La Crimea costituisce il maggior motivo di attrito territoriale fra Ucraina e Russia, contenzioso che nel 1995 sembrò superato con la creazione della Repubblica Autonoma con la quale l’Ucraina concesse maggior autonomia alla penisola, e concessione di Statuto di Municipalità Speciale alla città di Sebastopoli, base navale della flotta del Mar Nero.
Il 6 marzo 2014, con la crisi della Crimea del 2014, si è dichiarata indipendente e il 18 marzo 2014, a seguito di un referendum, le autorità locali hanno firmato l’adesione alla Federazione Russa con il nome di Repubblica di Crimea. Il referendum non è stato riconosciuto dalla maggioranza della comunità internazionale; in particolare, l’Unione Europea e gli Stati Uniti considerano illegittimi sia la proclamazione d’indipendenza sia il referendum, oltre che la successiva richiesta di annessione alla Russia, e considerano lo status giuridico del territorio come sotto occupazione militare dell’esercito russo.
Come in passato, anche il conflitto attuale ha come fulcro la questione della Crimea, e la crisi russo-ucraina che ha avuto origine proprio dall’annessione della penisola.
E’ quindi l’annessione della Crimea alla Russia ad avere scatenato la spirale che ha portato alla guerra, con altre motivazioni legate all’espansione della NATO verso Est e, naturalmente, la questione delle repubbliche separatiste del Dombass.
Nello specifico, in seguito alla rivoluzione ucraina del febbraio 2014, la Russia inviò proprie truppe senza insegne a prendere il controllo del governo locale, l’11 marzo il nuovo governo filorusso dichiarò la propria indipendenza dall’Ucraina. Il 16 marzo fu tenuto un referendum sull’autodeterminazione della penisola, criticato e non riconosciuto da gran parte della comunità internazionale, segnato dalla vittoria del “Sì” con il 95,32% dei voti: le autorità della Crimea firmarono il 18 marzo l’adesione formale alla Russia.
Durante la prima fase del conflitto sono rimasti feriti vari manifestanti filo-ucraini e alcuni manifestanti filo-russi, mentre tra i militari sono stati uccisi quattro soldati delle Forze armate dell’Ucraina, uno del Servizio di sicurezza dell’Ucraina e uno delle Forze armate della Federazione Russa.
In Russia ad opporsi all’intervento militare e alla successiva annessione della penisola furono Boris Nemcov e il partito di Aleksej Naval’nyj, il Partito del Progresso, affermando che l’invasione avrebbe violato il Memorandum di Budapest firmato dalla Russia, che garantisce l’integrità territoriale dell’Ucraina.
Il 23 febbraio a Sebastopoli, ci fu una manifestazione filorussa con decine di migliaia di persone protestarono contro le nuove autorità e deliberarono di istituire un’amministrazione parallela e squadre di protezione civile con il sostegno dei bikers russi “Lupi della Notte”. Lo stesso accadde il 22 febbraio a Sinferopoli, dove circa 5.000 persone si riunirono in tali squadre.
Il 26 febbraio, le forze filorusse a poco a poco presero il controllo della penisola di Crimea. Mosca inizialmente sostenne che gli uomini in uniforme senza insegne, erano forze locali di autodifesa, ma in seguito ammise che tra loro c’erano militari russi, e divennero noti col nomignolo di “omini verdi” confermando i rapporti dei media non russi.
La mattina del 27 febbraio, unità Berkut della Crimea e di altre regioni d’Ucraina (sciolte con il decreto del 25 febbraio) catturarono i posti di blocco sull’istmo di Perekop e sulla penisola di Čonhar. Secondo il parlamentare ucraino Hennadiy Moskal, ex capo della polizia della Crimea, avevano veicoli trasporto truppe, lanciagranate, fucili d’assalto, mitragliatrici e altre armi. Da allora controllano tutto il traffico terrestre tra la Crimea e l’Ucraina continentale.
Anche a Simferopoli, capitale della Repubblica Autonoma di Crimea, uomini armati sequestrarono la sede parlamentare di Crimea e la sede del Consiglio dei ministri la mattina presto del 27 febbraio e sostituirono la bandiera ucraina con la bandiera russa. Spodestarono il primo ministro nominato dal Presidente dell’Ucraina e installarono un politico filorusso, Sergej Aksënov, come Primo Ministro di Crimea. Aksenov illegalmente si è dichiarato responsabile delle forze militari e delle forze dell’ordine locali. Il 1º marzo, il presidente in carica dell’Ucraina, Oleksandr Turčynov, decretò la nomina di Aksenov da parte del legislatore della Crimea come incostituzionale, in quanto la posizione di primo ministro viene eletta dal presidente dell’Ucraina, e non dal parlamento.
Unità russe cominciarono a muoversi in Crimea quasi subito dopo la conferenza stampa dell’ex presidente Janukovyç il 28 febbraio 2014 a Rostov sul Don, nei pressi del confine orientale dell’Ucraina, dove chiese a Putin di “ristabilire l’ordine” in Ucraina. Durante la conferenza Janukovyč insistette che l’azione militare era “inaccettabile” e che non si sarebbe chiesto l’intervento militare russo. Il 4 marzo 2014 il rappresentante permanente della Russia presso le Nazioni Unite, Vitalij Curkin, presentò una fotocopia di una lettera firmata da Viktor Janukovyč il 1º marzo 2014 che chiedeva di utilizzare le forze armate russe per ripristinare lo Stato di diritto, la pace, l’ordine, la stabilità e la protezione della popolazione dell’Ucraina.
Il 2 marzo 2014, Pavel Cernev, ex membro del partito nazionalista Attacco e attuale segretario politico di “Alba Ortodossa” (in bulgaro: Православна Зора? , Pravoslavna Zora), che è noto per le sue opinioni pro-Putin, rivelò che la filiale bulgara dell’organizzazione avrebbe inviato un gruppo di volontari bulgari per “proteggere le etnie russa e bulgara dalla ucrainizzazione forzata. Cernev ha inoltre affermato di avere già proposto a decine di combattenti ortodossi (non-bulgari) di volare a Mosca e in Crimea. Simeon Kostadinov, un altro ex membro di Attacco, quindi rappresentante del partito nazionalista in Bulgaria, e Cernev chiarirono che la loro missione aveva intenzioni pacifiche, ma che erano pronti a dare una buona prova di sé nel malaugurato caso di un’escalation. La loro tesi era che il vecchio regime può essere considerato preferibile dal punto di vista della minoranza bulgara in Ucraina e che le nuove autorità mancavano di legittimità. Un altro piccolo “gruppo internazionale con sede nella penisola pirenaica”, che comprendeva alcuni bulgari ed era sostenuta da un’organizzazione paramilitare russa venne segnalata per aver lasciato la Spagna per l’Ucraina il 3 marzo. “Alba Ortodossa” mostrò interesse nell’ottenere l’appoggio di attori internazionali per il referendum in Crimea e cercò di reclutare osservatori elettorali stranieri. Secondo fonti bulgare, sulla base di segnalazioni effettuate da Al Jazeera, 20 cittadini bulgari sono arrivati in Crimea. Essi facevano parte della formazione paramilitare Dobrovolec (Доброволец), che era sotto il controllo delle truppe russe. L’area di operazioni di Dobrovolec inoltre è destinata a includere Odessa e Donec’k. Cernev dichiarò che avrebbe visitato la Crimea il 15 marzo e garantì che tutti i partecipanti alla missione sarebbero stati sottoposti a un esame accurato per garantire che le persone con condanne penali venissero escluse. Anton Kisse, l’unico deputato della Verchovna Rada con radici bulgare, parlò contro eventuali interventi stranieri, affermando che anche il più cordiale Stato estero non ha il diritto di imporre la propria visione di ciò che costituisce il giusto ordine in Ucraina” e che “la gente si trasferisca in Bulgaria in caso di necessità. Cernev fu uno degli osservatori elettorali per il referendum in Crimea, su invito di Sergej Aksënov.
Un piccolo gruppo di cetnici, una forza paramilitare nazionalista serba, viaggiò in Crimea per sostenere la Russia. I nazionalisti serbi e russi condividono la cultura slava e ortodossa e il sentimento anti-occidentale, e i cetnici sostengono di essere a favore della Russia per il sostegno durante le guerre jugoslave. I cetnici avevano base in un monastero ortodosso. I loro comandanti Bratislav Jivković e Milutin Malisic avevano partecipato a conflitti armati precedenti – Jivković nella guerra in Bosnia come parte della Guardia Volontaria Serba mentre Malisic era stato coinvolto nella tutela della minoranza serba in Kosovo in seguito alla guerra del Kosovo. Malisic ribadì che la sua formazione paramilitare era impegnata per la pace e non ha voluto spargere il sangue dei compagni slavi, considerando ucraini e russi come etnie fraterne.
Ci furono preoccupazioni che le esportazioni di gas russo verso l’Europa e l’Ucraina potessero diventare sconvolte dal conflitto. Il trenta percento di gas in Europa viene importato dalla Russia, la metà dei quali scorre attraverso gasdotti ucraini. Il 1º marzo, il Ministero dell’Energia russo decise di fermare i sussidi di gas russo verso l’Ucraina. La crisi potrebbe colpire anche le forniture di grano di tutto il mondo. I prezzi probabilmente saliranno perché l’Ucraina è uno dei maggiori esportatori mondiali di grano. La crisi portò alla uscita di diverse società multinazionali dalla Crimea a causa della sospensione dei necessari servizi finanziari e bancari. L’Unione Europea vietò anche l’importazione di tutti i beni dalla Crimea nei suoi Stati membri. Il 3 marzo, il primo ministro russo Dmitrij Medvedev, ha annunciato la costruzione di un ponte sullo Stretto di Kerč’, che collegherà la Crimea con la Russia.
Nello stesso giorno, il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, parlando a una riunione del Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite ha dichiarato che la Russia persegue nella difesa dei diritti umani e l’invio di truppe era destinato a scoraggiare l’uso della violenza radicale in Ucraina e a facilitare la riconciliazione nazionale.
L’11 marzo, il Consiglio Nazionale della Radio e della Televisione di Ucraina ha ordinato ai fornitori ucraini a partire dalle 15:00 GMT la sospensione dei principali canali russi che ha portato al blocco di 5 canali. Questo ha provocato reazioni in Russia, dove il ministro degli Esteri ha inviato una comunicazione alla OSCE denunciando una “violazione della libertà di espressione”.
Sia la Russia che l’Ucraina sono firmatari della Carta delle Nazioni Unite. La ratifica di tale Carta ha diverse ramificazioni in termini di diritto internazionale, in particolare quelle che coprono i soggetti delle dichiarazioni di indipendenza, di sovranità, autodeterminazione, di atti di aggressione e di emergenze umanitarie. Vladimir Putin affermò che le truppe russe nella penisola di Crimea avevano lo scopo “di garantire condizioni adeguate per il popolo di Crimea di essere in grado di esprimere liberamente la propria volontà”,[88] mentre l’Ucraina e altri paesi sostengono che tale intervento è una violazione della sovranità dell’Ucraina.[89] Il presidente russo ha anche osservato che la Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite promulgò un parere consultivo nel 2010 dicendo senza ambiguità che la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo (per i quali non vi era alcun referendum né accordo con Belgrado) non era vietata dal diritto internazionale.[90] D’altra parte, Stati Uniti e Ucraina sottolineano che in ciò la Russia ha violato i termini del Memorandum di Budapest sulle garanzie di sicurezza, con il quale la Russia, gli Stati Uniti e il Regno Unito riaffermarono il loro obbligo di rispettare l’integrità territoriale dell’Ucraina (compresa la Crimea) e di astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dell’Ucraina.
L’importanza di Tuzla
L’isola di Tuzla è al centro di una delle maggiori controversie territoriali tra Russia e Ucraina dal 2003. L’isola si trova nello stretto di Kerç e, amministrativamente, fa parte della Crimea. Durante il periodo sovietico, l’isola e la penisola della Crimea furono cedute all’Ucraina dal governo Chrushev nel 1954, evento duramente contestato da diversi politici russi che avanzavano dubbi di legittimità e temevano conseguenze negative.
Le principali rotte commerciali si trovavano nella parte più meridionale dello stretto di Kerç. Tra l’altro, le navi non possono spingersi ad est dell’isola di Tuzla per via delle acque poco profonde. Tra Tuzla e la penisola di Taman ci sono due canali, nessuno di questi più profondo di 3 metri. L’acquacoltura si svolge principalmente nelle acque territoriali dell’Ucraina e rientra tra le principali risorse economiche della Crimea. Le tensioni sono acuite per via della presenza di petrolio e gas naturale nell’area e per la mancanza di un confine internazionale stabilito e ratificato tra Russia e Ucraina. Su proposta dei russi, è stato suggerito che il confine si estenda lungo le acque territoriali, in modo da comportare una bipartizione e un accesso per entrambi gli Stati al Mar d’Azov e allo stretto di Kerç.
L’Ucraina e la maggior parte della comunità internazionale considerano la Crimea una repubblica autonoma dell’Ucraina e Sebastopoli una delle città ucraine con uno status speciale. La Russia, inversamente, considera la Crimea un’entità federale facente capo a Mosca e Sebastopoli una delle tre città federali della Russia. Dal 1991, la Russia ha affittato la base navale di Sebastopoli: l’attuale contratto di locazione si estende fino al 2040 con un’opzione per un’altra proroga. I confini della base navale russa nella città di Sebastopoli e dei dintorni non sono stati ancora chiaramente identificati.
Nel dicembre 2018 la Russia ha annunciato di aver completato la costruzione della barriera di 60 km tra l’istmo di Perekop ucraino e la Crimea.
Dal 30 novembre 2018 l’Ucraina vieta a tutti i russi di età compresa tra 16 e 60 anni di entrare nel paese con eccezioni a fini umanitari. Il governo ucraino afferma che si tratta di una misura di sicurezza volta ad impedire che la Russia formi unità di eserciti “privati” sul suolo ucraino. Dall’inizio della guerra del Donbass, nell’aprile del 2014, l’Ucraina ha perso (secondo il capo della Guardia di Frontiera Ucraina Viktor Nazarenko) il controllo di oltre 400 km del confine di stato nella parte sud-orientale del Paese, ora controllato dalle autoproclamate Repubblica Popolare di Donetsk e Repubblica Popolare di Lugansk. Il confine interessa la zona sud-ovest della Russia e la parte nord-orientale dell’Ucraina. Prima ha un andamento generale da ovest verso est e poi da nord verso sud, quindi continua e, passando nello stretto di Kerç, arriva al mar Nero
Secondo la Guardia di Frontiera Ucraina, il numero di cittadini russi che hanno attraversato il confine con l’Ucraina (oltre 2,5 milioni di russi nel 2014) è diminuito di quasi il 50% nel 2015, dalla triplice frontiera tra Bielorussia, Russia ed Ucraina e fino alla costa nord del mar d’Azov.
Bibliografia
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Gettleman, Jeffrey, “A Mini-Russia Gets Squeezed by War”, New York Times 2022
Harrington, Keith, “Three Decades On, the Spark that Ignited War in Moldova”, BalkanInsight, 2022
Mackinlay, John & Cross, Peter, 2003, Regional Peacekeepers: The Paradox of Russian Peacekeeping, United Nations University Press
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