Le drammatiche vicende dell’ultima grande battaglia del secondo conflitto mondiale in Europa, a Berlino, sono state, e sono, oggetto di una sterminata bibliografia, che però ha tralasciato di raccontare una vicenda ancora oggi sconosciuta al grande pubblico: quella dei nativi americani, che si sono arruolati come combattenti volontari nelle Waffen-SS, esercito nell’esercito che, da corpo elitario e simbolo dello spirito più puro della razza ariana, diventò ricettacolo di combattenti da numerosi Paesi del mondo, e di fatto costituì il primo vero esercito multinazionale dell’era contemporanea.
E’ noto che le cosiddette divisioni “Freiwillingen”, ovvero formate da volontari stranieri ammesse nelle Waffen-SS, verso la fine della guerra corrispondevano a oltre il 40% della forza combattente SS, che infatti raggruppava, oltre a soldati provenienti dai Paesi europei sotto occupazione (Francia, Olanda, Italia, Grecia, Danimarca, Norvegia, Belgio) anche reparti formati da spagnoli, portoghesi, inglesi, irlandesi, russi, baltici, cosacchi, indostani, calmucchi, musulmani, indiani, turcomanni, anche uomini di colore, e altri ancora, e si ha notizia di soldati di origine giapponese e malese. In buona parte erano uomini che scelsero di combattere per la Germania piuttosto che morire in campo di prigionia, ma altri, come nel caso dei nativi americani, erano spinti da motivazioni di vendetta, in nome dei milioni di persone sterminate dagli americani, e offrirono i loro servigi principalmente come decifratori e operatori radio, come già avveniva nelle stesse forze armate statunitensi.
May, Eber, indiani d’America e nazionalsocialismo
La domanda che viene automaticamente in mente è: incosa consiste il legame fra nativi americani e nazionalsocialisti? In sostanza: che cosa c’entrano i pellerossa con i nazisti?
Si dice che il primo contatto fra cultura dei nativi americani e ideologia nazionalsocialista sia avvenuto intorno al 1925, e fra i principali artefici di questa “contaminazione” ci furono il celebre scrittore tedesco Karl May (1842-1912) e il pittore Elk Eber (1892-1941).
La figura del nativo americano ha sempre avuto un particolare ascendente nella cultura tedesca, e lo stesso Karl May è infatti noto per i romanzi di avventura ambientati nel Far West del 19° secolo, come “Old Shatterhaud” e “Winnetou”.
Olda Shatterhand (una sorta di alter ego dello scrittore) è il nome del personaggio di origine tedesca, nonché fratello di sangue di Winnetou (che lo chiama amichevolmente “Scharli”), immaginario capo guerriero della tribù Apachi Mescalero, portato sul grande schermo nel 1964 da Lex Barker, in ben sei pellicole dedicate, dove il nome gli viene dato dall’amico Sam Hawkens, a sua volta veterano del West di origine tedesca. Tedesche sono anche le armi di cui Shatterhand si serve, i fucili Barentoter (“uccisore di orsi”) e “Henrystutzen (“carabina Henry”). Elemento importante è il prevalere dei valori del tipico cristiano tedesco, che spiega perché tutti gli eroi di Karl May sono tedeschi americani.
I romanzi di Karl May raggiunsero un grado di popolarità tale che lo stesso regime nazista non mise all’indice lo scrittore, nonostante l’alta considerazione, ad esempio, per la gente di colore. Di contro, molti sostenitori del nazismo adottarono tale elemento per affermare che la caduta delle popolazioni “inferiori” indigene è stata causata da mancanza di coscienza razziale.
Gli eroi di Karl May erano la personificazione dell’archetipo della cultura germanica, e in effetti non avevano un particolare legame che li unisse alla cultura dei nativi americani
Si ritiene che la popolarità di May, e dei suoi protagonisti, abbiano colmato una mancanza nella psiche tedesca, che aveva pochi eroi popolari fino al 19° secolo. I lettori desideravano fuggire da una società capitalista industrializzata, e i romanzi di May offrivano una via di fuga, plasmando il sogno collettivo tedesco con imprese ben oltre i confini culturali della classe media, e contribuendo all’immagine popolare dei nativi americani nei paesi di lingua tedesca, che è stata descritta da molti come razzista e dannosa. Il nome Winnetou ha perfino una voce nel dizionario tedesco, “Duden”.
La più ampia influenza sulla popolazione sorprese anche le truppe di occupazione statunitensi dopo la seconda guerra mondiale, che si resero conto che grazie a May, “Cowboys and Indians” erano concetti familiari ai bambini locali, sebbene fantastici e lontani dalla realtà storica.
Lo stesso Hitler fu profondo ammiratore di Karl May. Nel libro “Mein Kampf” confessa che i romanzi d’avventura lo conquistavano letteralmente, in giovane età, causando un preoccupante calo nel rendimento scolastico. Pare che il futuro dittatore abbia anche assistito a una conferenza tenuta da May nel marzo 1912, rimanendo completamente entusiasta anche se, ironia della sorte, la conferenza era stata convocata come appello alla pace, alla quale intervenne anche il Premio Nobel Bertha von Suttner (1843-1914). Per altro, Hitler sapeva che May non aveva mai visitato i luoghi dei suoi racconti, ma questo lo rese ancora più grande ai suoi occhi, poiché mostrava i poteri dell’immaginazione dell’autore. May morì improvvisamente solo dieci giorni dopo la conferenza, lasciando il giovane Hitler profondamente sconvolto.
Hitler in seguito raccomandò i libri di May ai suoi generali e fece distribuire edizioni speciali ai soldati al fronte, lodando Winnetou come un esempio di finezza tattica. Tuttavia, come racconta Albert Speer (1905-1981), “di fronte a situazioni apparentemente senza speranza, Hitler leggeva avidamente queste storie perché gli davano coraggio, come opere di filosofia per altri, o la Bibbia per le persone anziane”.
Inoltre, la propaganda nazista, orchestrata da Joseph Goebbels (1897-1945), utilizzò a piene mani la tragedia dei nativi americani per la massiccia campagna antiamericana.
Per quanto riguarda il pittore Elk Eber, ebbe notevole successo proprio come autore della propaganda nazista, in particolare con le raffigurazioni di soldati tedeschi, sebbene coltivasse profondamente l’ammirazione per i nativi americani.
Eber si offrì volontario nella prima guerra mondiale e prese parte ad alcune battaglie come pittore di guerra. Fu rimpatriato per problemi di udito e di conseguenza si dedicò al lavoro artistico, riproducendo compagni d’armi e le scene di guerra.
Dopo la fine della guerra, Eber divenne membro dei Freikorps Werdenfels, del NSDAP e delle SA prese parte a varie manifestazioni, fra cui il mancato colpo di stato a Monaco nel 1923 e, con la presa del potere da parte dei nazisti, acquistò notevole fama: nel 1935, la Stadtische Galerie di Monaco espose diverse opere del periodo della prima guerra mondiale e sul Putsch del 1923. Dal 1931 lavorò come disegnatore per giornali come il “Volkischer Beobachter” e il “Kampfblatt” e alcune opere furono acquistate personalmente da Hitler, che nel gennaio 1938 lo nominò “Professore”.
Il primo contatto fra Eber e la cultura dei nativi americani avvenne nel marzo 1925, quando eseguì il ritratto del capo indiano Black Wolf, che all’epoca aveva 105 anni e si trovava a Monaco come turista (opera oggi esposta al Karl May Museum di Radebeul, nei pressi di Dresda). Completamente affascinato, il pittore divenne un accanito sostenitore e divulgatore della cultura pellerossa. In seguito divenne membro del Cowboy Club di Monaco, all’epoca organismo di diffusione della cultura pellerossa in tutta la Germania.
Nel 1929 il circo “Sarrasani” di Dresda era al Theresienwiese di Monaco, dove rappresentò uno spettacolo dedicato al selvaggio West, sul modello di quello di Buffalo Bill in cui si erano esibiti indiani della riserva di Pine Ridge (Sud Dakota), fra cui il capo White Buffalo. Eber assistette alla rappresentazione, si fece fotografare con il capo indiano e ne diventò amico. Il capo White Buffalo fu poi invitato in agosto a Monaco con altri capi indiani, in un incontro nel quale si rafforzarono i legami di simpatia. Il capo White Horse Eagle conferì ufficialmente a Elk Eber il titolo e il nome di “Capo HeHaKaSka della tribù dei Dakota” (letteralmente “Alce Bianco”). I rapporti d’amicizia con molti capi indiani arricchirono la sua già consistente collezione di oggetti e indumenti tradizionali.
Dall’altra parte, negli Stati Uniti, dal 1940 la Rockefeller Foundation e il governo federale avevano collaborato a uno studio antropologico dell’Institute of Current World Affairs per conto del Bureau of Indian Affairs of Latin America (Ufficio Affari Indiani dell’America Latina). Tale studio faceva parte di una più vasta campagna di informazione e controspionaggio per verificare quanto e come la propaganda nazista avesse presa sulle etnie indigene, poiché Hitler aveva ufficialmente proclamato i nativi americani come “Ariani Onorari”.
Lo Sturmbannfuhrer Toro-in-Piedi
L’ammirazione dei tedeschi per i nativi americani era quindi molto viva, proprio grazie alle opere di Karl May e Elk Eber, tuttavia si era ancora ben lontani dal considerare un arruolamento di volontari pellerossa nelle Waffen-SS.
I documenti relativi a tale vicenda sono stati tenuti rigorosamente segreti dal governo americano, e da quello tedesco, e solo nel 2008 ne è stata declassificata una parte, ma molto rimane ancora da scoprire.
La vicenda dei nativi in uniforme dei volontari stranieri delle Waffen-SS ebbe inizio dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti. Erano, come si può immaginare, prigionieri catturati in battaglia, inizialmente durante la Campagna del Nord Africa e poi in Italia, ma si ha notizia di diversi nativi catturati anche in Francia nel ’44. Molti di loro, di buon grado passarono nelle delle Waffen SS tedesche spinti dalla volontà di rivincita verso gli americani colpevoli di aver sterminato molte loro tribù. La speranza era quella della vittoria tedesca in Europa per tornare in USA e, con il sostegno dei vincitori tedeschi, costringere il governo a riconoscere una nuova Nazione Indiana.
D’altra parte, in maggioranza i nativi americani furono forzatamente arruolati dall’esercito americano, e diversi furono fatti prigionieri nella battaglia di Kasserine, altri a Montecassino, altri ancora in Normandia, ma non fecero mai mistero dell’avversione per le forze armate americane, le stesse che avevano sterminato la popolazione nativa americana.
Il leader dei reparti di nativi americani arruolati nelle Waffen-SS si chiamava Standind Bull (“Toro-in-Piedi”) del popolo Cherokee, diretto discendente del grande capo Toro Seduto. Dopo vari tentativi di avere udienza da Hihtler, al quale voleva chiedere di essere nominato Gauleiter della Nuova Nazione Cherokee, il capo indiano riuscì a incontrare, in udienza privata il Reichsfuhrer-SS Heinrich Himmler (1900-1945), il quale gli affidò il compito di organizzare un reparto di cavalleria specializzato in perlustrazione e avanscoperta, e lo insignì del grado di Sturmbannfuhrer, cioè maggiore. Si ha notizia che il reparto, denominato Aufklarung Reiter Kompanie Standing Bull, fu impiegato nella grande offensiva tedesca della Ardenne, e alcune testimonianze raccontano che non avessero perso l’abitudine di tagliare lo scalpo, e che alcuni prigionieri americani furono addirittura salvati in extremis da uomini della Gestapo, che notoriamente non andavano per il sottile.
Il capo Standing Bull, con una trentina di uomini, fu tra gli ultimi difensori di Berlino, oltre che testimone d’onore al matrimonio fra Hitler ed Eva Braun nel bunker della Cancelleria.
La Auflakrung Reiter-Kompanie Standing Bull era composta da esperti cavalieri che sapevano “sentire e annusare il soldato bianco americano” da almeno tre chilometri di distanza. Si dice poi che Standing Bull avesse rifiutato l’offerta tedesca di armi Kar 98K e MP-40 e chiese che i suoi uomini fossero armati con fucili e carabine Winchester e Springfield del 19° secolo.
Quando il quartiermastro tedesco Herr Kuhn chiese a Standing Bull il perché, quest’ultimo rispose che quelle armi ricordavano ai suoi uomini la gloriosa vittoria contro i bianchi americani durante la battaglia di Little Big Horn. Chiese inoltre, in caso il reparto fosse venuto a contatto con il nemico, il permesso di attaccare senza tregua, secondo le antiche usanze. Il quartiermastro acconsentì e fece cercare fucili Winchester e Springfield nei musei di tutto il Reich. Inoltre, gli uomini di questa unità erano anche armati di tomahawk, machete, arco e frecce.
In breve tempo, la Auflakrung Reiter-Kompanie Standing Bull si guadagnò una temibile reputazione fra i soldati americani, e combatté con non comune accanimento per contrastare l’avanzata angloamericana verso i confini del Reich. L’unità fu poi richiamata a Berlino dove partecipò alla battaglia contro i russi. Circa 30 sopravvissuti furono catturati dai russi, incluso lo stesso capo Standing Bull.
Terminata la guerra, il presidente Harry Truman (1884-1972) chiese a Josif Stalin (1878-1953) la restituzione dei prigionieri pellerossa, il quale fu ben felice di sbarazzarsene.
Rientrati negli Stati Uniti, nel ’47 i trenta pellerossa furono deferiti alla Corte Marziale per tradimento e condannati all’impiccagione. Tuttavia, il presidente Truman avrebbe offerto la grazia al capo Standing Bull, il quale avrebbe rifiutato e affrontato l’esecuzione a testa alta. Nel 1995 il presidente Bill Clinton proclamò ufficialmente il perdono.
Indianthusiasm e Kulturkampf
La vicenda dei volontari pellerossa delle Waffen-SS ha origine in concetti molto precedenti all’avvento nel nazionalsocialismo, poiché la cultura dei nativi americani era già nota in Germania ed Europa, sebbene i pellerossa fossero in gran parte rappresentati in modo romanzato nella cultura popolare tedesca, spesso idealizzati e basati sulla fantasia e sulla stereotipata raffigurazione dei “pellerossa delle pianure”, piuttosto che sulla realtà.
Dal 18° secolo, questo fascino per i nativi americani immaginari ha avuto influenze specifiche sulla cultura popolare tedesca, l’ambientalismo, arte e letteratura, rievocazione storica, rappresentazioni teatrali e cinematografiche. In tal senso si parla di Indianthusiasm, termine coniato nel 1985da Hartmut Lutz (1945-vivente), professore emerito e docente di Studi Americani e Canadesi, nonché di Letterature e Culture Anglofone del Nord America presso l’Università di Greifswald, in Germania, che descrive beffardamente il fenomeno in maniera eccessivamente nazionalistica e romanticizzata, collegato alle idee tedesche di tribalismo, nazionalismo e Kulturkampf.
Dopo la seconda guerra mondiale, il concetto di Indianthusiasm è servito per affrontare la colpa ed evitare di assumersi la responsabilità di episodi drammatici come l’Olocausto, sia attraverso l’evasione in un passato fantastico, sia con il calcolato ribaltamento di colpa e peso morale sulle caratteristiche genocide dei vincitori del conflitto, sterminatori delle popolazioni native delle Americhe.
Di fatto, una buona parte dell’ideologia nazionalista germanica esaltava il concetto di tribalismo, affidandolo agli eroi della mitologia nordica come Arminius o Sigurd, proposti come alternativa al modello coloniale del tempo, trasmettendo al tempo stesso l’immagine di un colonizzatore armato dal colonizzato. In questo senso, i romanzi di Karl May erano considerati utili alla causa che aveva lo scopo di compattare al meglio i cattolici tedeschi, considerati come una sorta di “società tribale a circuito chiuso”, rispetto alla élite della maggioranza protestante e nel quadro della Kulturkampf, ovvero la “guerra culturale” in atto all’epoca.
Per altro, erano già avvenuti alcuni contatti fra nativi americani e Germania, ma non ancora visti come strumento di propaganda. Nel 1850, il capo indiano Kahge-an-Obiwa, ribattezzato “reverendo George Copway”, era stato invitato al Congresso Internazionale sulla Pace, tenuto nella cattedrale di San Paolo a Francoforte sul Meno. La propaganda tedesca aveva sapientemente presentato la figura del capo indiano da guerriero della prateria trasformato in paladino della cristianità, fino a fare del reverendo Copway una vera e propria star di prima grandezza a livello mediatico. Oltre a ciò, altri nativi erano giunti in Germania, in particolare con gli spettacoli circensi itineranti, come avvenne ad esempio con alcuni pellerossa Irochesi che si esibirono a Dresda con uno spettacolo organizzato dal ricco commerciante Carl Hagenbeck (1844-1913) specializzato nel commercio di animali selvatici per gli zoo di tutta Europa e concorrente del celebre imprenditore circense americano Phineas Taylor Barnum (1810-1891), o altre manifestazioni come la celebrata amicizia fra il pittore Rudolph Cronau (1855-1939) e il Grande Capo Tatanka Yotanka, meglio noto come Toro Seduto (1831-1890). Da ricordare poi il tour europeo del famoso Wiliam Frederick Cody/Buffalo Bill (1846-1917) e di rappresentanti delle tribù Hunkpapa Lakota, fra il 1866 e il 1913, o altri spettacoli circensi che resero celebre Edward Two-Two della tribù Sioux-Lakota, che per altro morì nel 1914 e, secondo il suo desiderio, venne sepolto proprio a Dresda.
Con il 20° secolo, in Germania e in altri Paesi europei, nasceva un nuovo concetto di umanità, al quale contribuì la dottrina filosofico-esoterica di Elèna Blavatsky (1831-1891) e Rudolf Steiner (1861-1925), che il nazionalsocialismo seppe interpretare a proprio vantaggio, come sarebbe avvenuto con la “Ubermensch” di Friedrick Nietzsche (1844-1900) e i personaggi di Karl May come Klekih-Petra, di origine tedesca e mentore dell’indiano Winnetou, accolto dal popolo Apache come membro onorario, e presentato come personificazione della sintesi fra tedeschi e nativi americani, incentrata sulla fede condivisa e sulla certezza che il modello dell’uomo nuovo nordamericano avrebbe spodestato il “padrone yankee” sarebbe stato di sangue tedesco-indiano. Il tutto all’insegna di un ritorno alle radici in aperta opposizione all’imperialismo americano, come sarebbe avvenuto per l’Europa e lo Spazio Vitale del popolo tedesco. Certamente una visione distorta, che però ebbe notevole presa sulle masse. Prova ne sia la dottrina proposta dal pittore Stefan Anton George (1868-1933) che studiava il nativo americano come modello di comportamento, per ottenere uno spazio sacro per sé e i suoi discepoli, nell’attesa di un “nuovo regno”, che sarebbe stato guidato da una élite artistica e intellettuale, unita dalla fedeltà a un capo. La sua poesia si distanzia dunque dalla realtà ed enfatizza il mistero del sacro, l’eroismo, il sacrificio personale, la sublimazione nell’eterno e la rinuncia alle passioni fisiche.
Da notare che, nel periodo della presa del potere da parte dei nazisti e negli anni del secondo conflitto, molto peso ebbe l’esperienza dei nativi americani nella prima guerra mondiale. Furono infatti circa 15.000 i nativi che combatterono nell’esercito americano e canadese, estremamente temuti da parte del nemico in quanto abilissimi tiratori scelti, esploratori, messaggeri indomiti guerrieri, nonché come decodificatori. Celebre il caso di Jo Fixum, soldato americano del popolo Cherokee.
I tedeschi erano ben informati sulle capacità dei nativi in merito alle comunicazioni, per questo gli specialisti di tale disciplina e gli agenti sei servizi segreti cercarono di assoldare antropologi di fama per portare dalla loro parte i pellerossa in funzione antiamericana, e soprattutto per apprendere la loro lingua. Inoltre, alcuni antropologi filonazisti tentarono anche di fare adottare la svastica fra i simboli di buon augurio, ma senza risultato.
In ogni caso, molto prima dell’unificazione dell’impero tedesco del 1871 i nazionalisti credevano fermamente che, con un unico Reich, sarebbe seguita anche la conquista di un impero coloniale. Un tema molto discusso in quello che fu una prima forma di Parlamento, a Francoforte, negli anni fra il 1848 e il 1860.
Tra la fine del 19° e l’inizio del 20° secolo, in Germania era opinione diffusa che il Paese doveva ampliare i confini del proprio impero coloniale, ritenuto troppo limitato rispetto alle altre potenze, soprattutto l’Inghilterra.
Di conseguenza, il concetto di Indianthusiasm servì come un surrogato di un’azione che sostituisce il potere imperiale. Il tema dell’entusiasmo indiano suggeriva che i tedeschi sarebbero stati imperialisti migliori degli inglesi o dei francesi, perché si interessavano sinceramente alle culture dei popoli sottomessi, a differenza di nazioni come gli Stati Uniti, che invece di inglobale preferivano sterminare.
Non a caso, un tema molto popolare dei romanzi che celebravano l’Indianthusiasm durante gli anni del Secondo Reich erano storie di immigrati tedeschi che si stabilivano in luoghi aspri come la natura selvaggia del Canada, e dove l’uomo tedesco era espressione di forza civilizzatrice che addomesticava la natura selvaggia e offriva un’immagine romanticizzata delle Prime Nazioni del Canada popolate da “nobili selvaggi”.
L’immagine idealizzata degli indiani del Canada, dotati di innata nobiltà morale, servì da critica alla modernità. In particolare, l’immagine degli indiani canadesi come razza nobile ma morente, che soffriva del crudele malgoverno dell’impero britannico, non solo ha permesso agli autori di questi libri di dipingere i tedeschi come migliori imperialisti, ma ha anche permesso di risolvere il dilemma che il processo di civilizzazione iniziato dagli immigrati tedeschi, significava anche la fine degli stili di vita tradizionali delle Prime Nazioni, a causa della prepotenza dei colonizzatori britannici.
Nella seconda guerra mondiale, la propaganda nazista prese la palla al balzo e utilizzò questa già presente ideologia come arma contro Stati Uniti e Gran Bretagna. La connessione fra sentimento anti-americano e simpatia verso gli indiani d’America era molto radicata in personalità dell’élite nazista come Joseph Goebbels, come lo era stata in scrittori di sinistra come Nikolaus Lenau (1802-1850).
Come già sottolineato, il concetto di Indianthusisam servì successivamente come elemento per scaricare il senso di colpa per gli stermini commessi nel corso della guerra, poiché anche nazioni dalla parte alleata come gli Stati Uniti avevano commesso genocidio nel 19° secolo, contro i nativi americani, sterminandone in misura molto più grande che le vittime della Shoah in Europa.
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