L’afflusso di volontari italiani, e non solo, in Ucraina non è un fenomeno nuovo, eppure una assoluta novità esiste: il sovvertimento di quello che si era abituati a considerare un dogma politico e ideologico, cioè la dicotomia che ha sempre visto su fronti opposti i sostenitori dell’estrema destra contrapposti a quella della sinistra radicale.
Un fatto che non ha precedenti, con volontari provenienti dalla militanza di estrema destra che combattono fianco a fianco con esponenti dell’estremismo di sinistra, e che sparano a militanti di estrema destra e di estrema sinistra che militano nello schieramento nemico. Oltre a questo, ciò che accomuna tutti, in uno schieramento o nell’altro, è una pericolosa avversione per il sistema europeo e occidentale nel suo insieme.
Da almeno dieci anni, infatti, un certo numero di combattenti provenienti dal nostro Paese, è presente nel Donbass, nei territori delle autoproclamate Repubbliche Indipendenti di Donetsk e Lugansk. Provengono sia dall’estrema destra, che dall’estrema sinistra, e a loro volta sono divisi fra loro. Dei primi, una parte combatte a fianco delle truppe ucraine, un’altra fra le milizie filorusse, mentre i secondi sono affluiti in massa nelle truppe delle due repubbliche separatiste, che recentemente sono state ufficialmente riconosciute dal Cremlino. Sono inoltre solo una piccola parte dei circa 18mila volontari, giunti in Ucraina da molti Paesi, in prevalenza europei, e fra gli oltre 15mila provenienti dalla vicina Russia, dove per altro vi è una riconosciuta opposizione all’iniziativa presa da Vladimir Putin con l’attacco all’Ucraina.
Non è facile fare una stima di quanti siano gli italiani impegnati sul campo. Nei primi anni della guerra del Donbass erano una sessantina, poi alcuni sono tornati in Italia, mentre altri sono rimasti, e altri ancora son partiti, o stanno partendo, alla volta dell’Ucraina.
Secondo le stime dell’Istituto di Studi di Politica Internazionale (ISPI), il fenomeno è in aumento, per il marcato interesse che la situazione sta suscitando, con una decisa simpatia per le forze ucraine, specie dopo l’appello del presidente Volodymyr Zelensky per formare una vera e propria Brigata Internazionale, raccolto anche da alcuni ministri degli Esteri europei, e dall’annuncio del ministero della Difesa di Kiev sulla creazione della Legione Internazionale, con successiva autorizzazione per le ambasciate ucraine nei vari Paesi, a funzionare come centri di reclutamento, per i combattenti da destinare alla principale zona di raccolta nei pressi di Leopoli, a una settantina di chilometri dalla frontiera polacca.
Non è neanche richiesta una specifica esperienza, ma solo non avere precedenti penali, il che è abbastanza aleatorio, dal momento che chi fa una scelta del genere, solitamente è spinto dalla necessità di far perdere le proprie tracce, a seguito di pendenze giudiziarie, in genere sorte per motivi di attivismo politico. Fa pensare poi la preferenza verso chi si presenta con un proprio equipaggiamento. Altri sono motivati dal denaro, anche se in questo caso, secondo le notizie trapelate, il compenso mensile non va oltre gli 800 euro.
Sempre secondo recenti conferme, pare che i più numerosi foreign fighters siano tedeschi e francesi, seguiti da britannici, spagnoli e, giunti da oltreoceano, canadesi, australiani, americani, cinesi e giapponesi. Sarebbero questi ultimi, secondo la definizione dell’analista David Malet, i veri foreign fighters, ovvero coloro che possono considerarsi “estranei rispetto a tutte le parti in causa”, la cui motivazione è prevalentemente il compenso economico più che la spinta ideologica.
Andare a combattere all’estero non è reato, ma lo diventa se si combatte per organizzazioni terroristiche, come per i fondamentalisti della Jihad, anche se non è questo il caso, perché le milizie filorusse, o nazionaliste ucraine, non sono considerate formazioni terroriste.
Secondo l’Art.288 del Codice Penale italiano, commette invece reato chi arruola o arma cittadini, perché combattano al servizio o in favore di Paesi stranieri, con pene previste da quattro a quindici anni di reclusione. Salvo esempi come il ministro degli Esteri britannico, Liza Truss, la quale, pur con atteggiamento attendista, non ha escluso una probabile tacita approvazione per quei cittadini del Regno Unito che scegliessero di imbracciare le armi in favore dell’Ucraina.
Alcuni nomi
Dal momento che i volontari italiani provengono da ambienti ben noti alle autorità giudiziarie, quali Forza Nova, Lealtà e Azione, Casa Pound e altre, solo per citare la parte ideologicamente di destra, uno dei più noti, conosciuto con il nome di battaglia di “Generalissimo”, è Andrea Palmeri, 42enne originario di Lucca, già figura di riferimento dei “Bullgods”, gli ultras della squadra di calcio della città, e attivista di Forza Nuova. Latitante in Italia, condannato in contumacia a due anni e otto mesi per aggressione, poi a cinque anni dal Tribunale di Genova per l’accusa di “reclutamento illegale di combattenti mercenari”, non nasconde il fatto di combattere fra le milizie separatiste di Lugansk dal 2014, e aggiorna frequentemente i suoi diversi profili social, avvertendo che, data la situazione, potrebbe non essere presente come al solito, poiché “l’Europa sta letteralmente inondando l’Ucraina di armi e propaganda russofobica, come si trattasse di una ben preordinata mossa propagandistica per preparare l’opinione pubblica a qualcosa di decisamente grosso”.
Oggi pare che Andrea Palmeri viva stabilmente nell’Est Ucraina, e non abbia alcuna intenzione di tornare in Italia, specialmente a causa la condanna comminata per l’inchiesta del 2013 sull’estrema destra ligure. Convertito al cristianesimo ortodosso, pare abbia fondato anche una associazione onlus a favore dei bambini coinvolti nel conflitto, forse per dare un’immagine pubblica un po’ meno “estremista”, tuttavia non ha mai fatto mistero delle proprie opinioni: “L’Ucraina come Stato unitario cesserà di esistere, perché ha venduto l’anima al diavolo, ovvero all’Occidente, e l’Italia ormai da tempo è una colonia americana, non alleata ma serva. Per noi e gli altri volontari europei il Donbass può rappresentare ciò che era la Fiume del Novecento”.
All’atto dell’arruolamento nelle forze separatiste, nel 2014, il governatore della autoproclamata Repubblica Indipendente di Donetsk, Pavel Gubarev, lo ha celebrato come “il più genuino fascista italiano che si sia mai unito alla causa, attivo sia come combattente che come addestratore di soldati”.
Coetaneo di Andrea Palmeri, che combatte con i russi e sempre nel Donbass, con il nome di battaglia “Spartaco”, Massimiliano Cavalleri è nativo della provincia di Brescia, anche lui da diversi anni in Ucraina, che fa un vanto del fatto di essere stato ferito tre volte, durante i cinque mesi di combattimenti per l’aeroporto di Donestk, nel 2018, prima di spostarsi a Lugansk. Con “Spartaco”, combatte anche il 32enne “Arkangel”, al secolo Gabriele Carugati dalla provincia di Varese, la cui madre è ex segretario della città per la Lega Nord. Anche Carugati è stato coinvolto nell’inchiesta della Procura di Genova sulla destra ligure, e anche lui è nel Donbass da diversi anni, ma se ne sono perse le tracce dal 2014 quando, in un’intervista, aveva dichiarato “Non ho paura di morire o di restare mutilato, magari per una bomba…Mi fa molta più paura vivere cent’anni senza aver fatto niente di importante”.
A sua volta coinvolto nell’inchiesta genovese sul reclutamento di mercenari italiani per il Donbass, Antonio Cataldo, di Nola, è un veterano della Legion Etrangére, trasferitosi in Kazakistan dove è stato sottoposto ad addestramento da parte delle forze speciali russe, ha combattuto in Libia e ha prestato servizio nel 4° Battaglione Motorizzato delle milizie LPR (Lugansk People Republic), poi è stato in Siria come mercenario nelle formazioni governative di Bashar Al Assad, e quindi è tornato nel Donbass.
Come già accennato in merito al sovvertimento del tradizionale panorama ideologico, tra le formazioni volontarie filorusse non ci sono solo esponenti di estrema destra, ma anche della sinistra radicale, fra i quali Edy Ongaro è conosciuto con il nome di battaglia “Bozambo”, partito dall’Italia nel 205, che si definisce “internazionalista antifascista contro le ingiustizie del mondo”. Con lui si trova anche un esponente della sinistra romana, conosciuto come “Komandant Nemo”, esponente dei comitati “Donbass Antinazista” e arruolato nelle formazioni “Novorossiya Socialista Libera”, originario del quartiere San Lorenzo, motore della brigata InterUnit, l’altra anima del fenomeno rosso-bruno.
Stesso discorso per Riccardo Sotgia, volontario nelle truppe delle Repubbliche Separatiste, che nel 2020 è stato accusato di “costituzione di banda armata e spionaggio” dalle autorità di Kiev anche se, da parte sua, nega ogni addebito. Il suo nome era stato citato anche come “ministro della Repubblica Indipendente di Lugansk”. Negando di avere mai imbracciato le armi, Sotgia afferma di svolgere attività umanitaria e di soccorso, ma non nasconde l’avversione per quella che definisce apertamente “la politica espansionistica della NATO verso est, culminata con la rivoluzione di Piazza Maidan nel 2014 e con la cacciata del presidente filorusso Viktor Yanukovych”. Riccardo Sotgia comunque, pare sia direttamente collegato alle milizie della LNR (Luganskaja Narodnaja Respublika) e della DNR (Doneckaja Narodnaja Respublika), che combattono soprattutto nell’area della martoriata città di Mariupol.
“Negli ultimi tempi mi hanno contattato in molti” racconta il 46enne Mauro Voerzio, torinese, animatore dell’Associazione Italia-Ucraina Maidan. Voerzio lavora a Kiev dal 2007, fa il tour operator. Maidan lo ha risucchiato nel novembre 2013: “Ho partecipato a tutti i principali scontri, e sono stato seguito dalla polizia segreta di Yanukovich, la SBU, perché ero sospettato di essere un agente della CIA. Tutte le sere, quando rientravo a casa dalla piazza, avevo il terrore di essere sequestrato”. Oggi la sua missione è supportare la causa ucraina con la raccolta di fondi, propaganda online, raccolta di medicine e vestiario per i soldati al fronte. “C’è urgenza di tutto, dagli anfibi alle mimetiche, ai giubbotti antiproiettile. Ho visto i combattenti del battaglione Kiev: vanno in trincea con le scarpe da ginnastica”.
L’indagine nasce infatti da un’iniziativa organizzata dall’indagato Orazio Maria Gnerre a Lavagna, in provincia di Genova. Così gli investigatori scoprono l’esistenza del sodalizio fra “Millennium-PCE” e “Coordinamento Solidale per il Donbass”, con al suo interno una realtà politica tutt’altro che omogenea. Insieme a Gnerre, legato agli ambienti di estrema destra, operano infatti molti esponenti di sinistra dell’Università Cattolica di Milano, vicino ai centri sociali e accusati anche di essersi arruolati nell’organizzazione curda PKK. Secondo le indagini, dietro ad attività pubblica di assistenza umanitaria nel Donbass, erano le menti del reclutamento di mercenari da mandare al fronte.
Una situazione decisamente caotica, dove militanti comunisti e militanti fascisti si sono trovati combattere insieme, e senza apparenti imbarazzi. Molti elementi della destra estrema, inoltre, sostengono le teorie del politologo russo Aleksandr Dugin, che proclama a gran voce il “Bolscevismo Nazionalista” e che ha fondato, con lo scrittore Edvard Limonov, il Partito Nazionalbolscevico, mirando all’unione fra estremismo di destra e di sinistra, in nome di una lotta all’Occidente, per la nascita di un impero di tutti i popoli russofoni, uniti in un unico Paese.
Il Reggimento Azov
Forse il più noto reparto paramilitare, espressione dell’estrema destra ucraina è il Reggimento Azov, nato come gruppo autonomo formato da volontari, e oggi inquadrato nella Guardia Nazionale, derivato dallo zoccolo duro dell’estremismo neofascista ucraino “Pravy Sector” (Settore Destro, a sua volta frangia estremista degli ultras della Dynamo Kiev), che da tempo richiama militanti da tutta Europa.
Diversi organismi internazionali, fra cui Amnesty International e gli osservatori OSCE, hanno pubblicato rapporti ufficiali, accusando il Reggimento Azov di atrocità e crimini di guerra, fra cui uccisione di prigionieri, occultamento e distruzione di cadaveri, tortura fisica e psicologica, violenze e stupri, e il nucleo del reparto, il Pravy Scetor”, pare abbia avuto un ruolo di primo piano nel sanguinoso massacro di Odessa del maggio 2014, quando una cinquantina di manifestanti anti-Yanukovych morirono nel rogo della Casa dei Sindacati, dove avevano trovato rifugio per sfuggire alla folla che sosteneva il movimento Euromaidan, notoriamente filo-occidentale. Le diverse indagini sul caso, comprese quelle svolte da alcune testate giornalistiche, non sono riuscite ancora oggi a chiarire cosa sia veramente successo in quella drammatica occasione.
Attualmente, pare che il Reggimento Azov sia composto da circa 1.500 uomini, i quali manifestano vera e propria venerazione per il fondatore, Andrej Biletsky, soprannominato “Fuhrer Bianco”, sospettato di avere legami diretti con il presidente Zelensky, fatto che sarebbe uno dei motivi delle intenzioni di Vladimir Putin di “denazificare l’Ucraina”.
Va precisato che, comunque, la componente marcatamente di destra ha una influenza oggettivamente limitata sulla politica ucraina, e lo dimostra il risultato delle elezioni del 2019, che hanno portato Zelensky alla presidenza, nelle quali tutte le forze politiche di destra si sono unite in una grande coalizione, compreso il Partito del Corpo Nazionale, braccio politico del Reggimento Azov, raggiungendo appena il 2,15% delle preferenze, insufficiente per acceder a una rappresentanza governativa, per la quale era richiesto il limite minimo del 5%. Una apparente contraddizione, dal momento che lo stesso presidente Zelensky non si può certo definire orientato ideologicamente a sinistra.
Ciò non toglie che come reparto combattente, il Reggimento Azov sia particolarmente determinato, e quindi prezioso per l’esercito ucraino, pur fra critiche derivanti anche dalla stessa area ideologica di estrema destra, come la milizia Ascia Democratica, comandata da Yuri Huymenko, il quale ha definito un azzardo eccessivo l’avere inquadrato il Reggimento Azov fra le truppe regolari ucraine
Si ha notizia che anche alcuni italiani, di estrazione neofascista, abbiano prestato servizio, o militino ancora oggi nel Reggimento Azov. Uno di questo è noto solo con il nome di battaglia “Stan” il quale, in una intervista sotto anonimato al “Corriere della Sera” del 2015, ha rivelato di essere stato impegnato in diversi giorni di accaniti combattimenti per impedire l’accesso in Ucraina da parte dei russi provenienti dalla Crimea, nonché di essere decisamente contrario all’attuale governo di Kiev, e di essere votato alla difesa della popolazione, fedele all’ideologia e tuttavia sottoposto all’autorità del ministero della Difesa. “Stan” conferma inoltre che, nel reparto, sono presenti molti foreign fighters, fra cui numerosi russi, francesi e slavi, oltre che italiani, in buona parte provenienti dalle frange del movimento Avanguardia Nazionale, fondato negli anni Settanta del secolo scorso dal noto esponente di estrema destra Stefano Delle Chiaie. Attualmente pare che esistano contatti diretti fra il Reggimento Azov e il movimento italiano Casa Pound, mentre Forza Nuova avrebbe invece un filo diretto con le formazioni filo-russe. Un altro segno evidente del sovvertimento dell’ideologia imperante dal secondo dopoguerra.
Un marcato sentimento anti-Occidente
Non deve stupire il fatto che esponenti della stessa ideologia politica, siano divisi e schierati su fronti opposti nello stesso conflitto e, se si va a scavare un po’ più a fondo, ne troviamo un esempio precedente già negli anni Novanta, quando l’esponente neofascista Andrea Insabato fece un attentato alla sede del “Il Manifesto” a Roma, e in seguito fu particolarmente attivo come reclutatore di volontari per affiancare “la sorella Croazia” nella guerra che ha insanguinato i Balcani. Nello stesso periodo fu creata la “Legione Nera”, che raggruppava neofascisti di tutta Europa, mentre al tempo stesso, numerosi neofascisti combattevano con l’esercito serbo, in particolare nelle formazioni cetniche in Kosovo. Né deve stupire che la quasi totalità dei volontari che oggi stanno affluendo in Ucraina da tutta Europa, e non solo, condividano una manifesta profonda ostilità nei confronti dell’Occidente. Ulteriore prova del profondo sentimento anti-occidentale e della volontà di mantenere una evidente separazione con l’Est Europa, è dimostrato poi dal fatto che, nel 2019, fra le formazioni che tentarono il colpo di stato in Montenegro, fossero numerosi i volontari provenienti dall’Ucraina, fino a comprendere casi di suprematisti bianchi americani che arrivano in Ucraina per evitare pene carcerarie negli Stati Uniti, come Craig Lang, ex soldato dell’esercito, accusato di duplice omicidio, o altri ancora che fanno tale scelta per motivi di pura ideologia politica, e certo non sono solo provenienti da oltreoceano, ma da Paesi molto più vicini, come il francese Marc De Valmenier, veterano del Donbass, rientrato in patria, dove si è reso colpevole di numerosi fatti di violenza politica come leader del gruppo neonazista “Les Zouaves”, oggi in carcere per avere spalleggiato con la violenza la campagna elettorale dell’esponente della destra Eric Zemmour alle elezioni presidenziali.
Non solo Jihad
L’interesse dei media, negli ultimi anni, nonostante in Ucraina il conflitto fra repubbliche separatiste, Ucraina e Russia sia in essere da almeno un decennio, è stato concentrato in massima parte sui foreign fighter impegnati in Siria, nelle file dei fondamentalisti islamici dell’Isis (o Daesh), e in altre formazioni etichettate come terroriste, mentre ben poco, o nulla, è stato detto sullo stesso fenomeno in Ucraina, che solo in questi giorni, dopo l’attacco russo, occupa le prime pagine dei giornali e i titoli di testa dei notiziari.
Secondo stime recenti, almeno 17.000 volontari, da più di 50 Paesi, avrebbero combattuto nella regione del Donbass. Di questi la grande maggioranza, circa 15mila, proverrebbe dalla vicina Russia. Dall’Occidente sarebbero invece arrivati circa 1.500, almeno fino ad oggi, una parte a sostegno delle forze nazionali ucraine e una parte in difesa delle milizie separatiste filo-russe.
Attualmente, secondo le poche notizie che filtrano dal territorio ucraino, i circa 60 italiani, schierati più o meno in parti uguali negli opposti schieramenti, non sono una percentuale trascurabile, dal momento che dalla Germania sembra siano giunti nel Donbass almeno 150 volontari, dalla Serbia un centinaio, e un numero poco più alto da altri Paesi soprattutto europei.
La maggior parte dei combattenti stranieri in Ucraina, dal 50 all’80% del totale, avrebbe comunque posizioni di estrema destra. Anche nel caso italiano, il contingente di militanti e simpatizzanti che presenta tali orientamenti ideologici appare proporzionalmente cospicuo. Com’è noto, alcuni si sono uniti alle forze nazionali ucraine, altri si sono schierati con i separatisti filorussi. Un quadro che delinea come la guerra appena scoppiata in Ucraina provochi reazioni divergenti tra le fila degli estremisti di destra attivi in Occidente.
Fra i più anonimi, noti solo con le iniziali per volontà e diritto di anonimato, A.C. è giunto nel Donbass attraverso la Russia, per unirsi alle truppe separatiste di Lugansk nel febbraio 2015. A.C. sembra essere un veterano della specialità, avendo combattuto in diversi Paesi, compresa la Libia, dov’è stato anche sequestrato da guerriglieri tribali durante la recente guerra civile. Nel frattempo, è stato processato in Italia, nel 2019, e ha patteggiato una condanna a poco meno di tre anni. Vi è poi F.S.F. considerato uno delle figure storiche della militanza neofascista italiana, che si è votato alla causa nazionalista di Kiev fin dai primi giorni delle manifestazioni Euromaidan e che oggi, dopo avere combattuto in altri Paesi, milita nel Reggimento Azov.
Sull’onda dell’estremismo, ma di opposta ideologia, l’esasperazione comunista e la eccessiva simpatia per la politica di Vladimir Putin, ha fatto di Mosca, e della visione tradizionalista socio-politica del Cremlino, il punto di riferimento dei volontari filorussi, tuttavia, anche diversi marcatamente di destra combattono per i filorussi del Donbass.
Neofascisti e militanti comunisti, contro neofascisti e militanti comunisti, in un paradossale intreccio di affiliazioni ideologiche e scelte di campo, a dispetto della motivazione originale ispirata dall’origine politica, come hanno confermato tre combattenti volontari provenienti dalla Spagna: “Siamo internazionalisti, combattiamo uniti, fianco e fianco, comunisti e neofascisti”.
Una situazione che la lasciato sorpresi anche gli addetti ai lavori, gli analisti politologi, che si sono spinti a presentare la guerra in Ucraina come palestra di preparazione dell’estremismo di destra di stampo transnazionale, etichettato però a modello del ruolo svolto in Iraq e Siria durante la guerra contro lo Stato Islamico, sebbene questo sia un parallelismo troppo tirato per i capelli e quindi poco convincente perché, a quanto se ne sa, nessuna unità militare o paramilitare operante in Ucraina ha promosso metodicamente una causa estremista su scala globale né, soprattutto, ha mai sollecitato o tantomeno organizzato azioni terroristiche al di fuori dell’area del conflitto. Certamente, però, voler minimizzare i rischi di una espansione del conflitto ucraino sarebbe un grave errore di valutazione, e il fatto che combattenti provenienti da diverse e opposte aree politiche si trovino a combattere da una stessa parte, ne è la evidente conferma. Semmai è da sottolineare la comune avversione di questi foreign fighters per il sistema occidentale nel suo complesso. A titolo di esempio, un combattente italiano delle milizie separatiste non ha esitato a rilasciare interviste con dichiarazioni minacciose, come: “Quando sparo, io vedo gli ucraini, ma anche Bruxelles e i politici italiani”. Inoltre, fino ad oggi, la maggior parte dei Paesi occidentali non ha adottato un approccio esplicito nei confronti di propri cittadini che abbiano combattuto in Ucraina o che si accingano a farlo, o a tornare sul luogo dopo avere già combattuto nel Donbass, nelle fila delle truppe separatiste o in sostegno alle forze ucraine. Come già accaduto nel 2014-2015, a partire per l’Ucraina potrebbero essere anche militanti potenzialmente pericolosi per i loro stessi paesi di origine e per altri stati.
Secondo alcune fonti non ufficiali, ma degne della massima considerazione, i foreign fighters in Ucraina sarebbero già oltre 20mila, inquadrati nella Legione Internazionale formata dal governo di Kiev. La maggior parte sono ex militari, ma molti sono persone comuni, che hanno scelto di lasciare casa, lavoro e affetti, per sostenere il popolo ucraino contro l’invasione russa. Altri, come già noto, sono attivisti politici e militanti che hanno scelto di allontanarsi dal proprio Paese per evitare pene detentive comminate in seguito a reati penali.
Una realtà che può generare problemi non leggeri, specie su quello che potrebbe produrre il loro rientro nei Paesi di provenienza una volta esaurita l’esperienza ucraina: un pericolo che ha a che fare col terrorismo.
L’Ucraina potrebbe essere ciò che la Siria è stata per i jihadisti, e a proposito di Siria, è delle ultime ore la notizia che Mosca avrebbe a sua volta arruolato circa 20mila mercenari siriani, dei quali i primi 500 sarebbero già in territorio russo, in centri di raccolta e addestramento, pronti per essere sguinzagliati in prima linea, con un salario che si aggirerebbe fra gli 8.000 e i 10.000 dollari al mese. Forse un modo per Damasco di restituire il favore che Putin ha fatto a Bashar Al Assad, consentendogli di vincere la sua personale guerra civile.
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