Isaak Babel, rivoluzionario romantico. Se Enzo Biagi, tra i suoi noti resoconti di viaggio, non avesse insistito su uno scrittore e sceneggiatore così poco letto e poco seguito nei teatri italiani per le sue singolari opere drammatiche, oggi ne sapremmo ben poco. Di Giuseppe Moscatt.

Isaak Babel.

Perché Babel oggi? 

Enzo Biagi (1920-2007) è un nome che non ha bisogno di presentazioni, mentre Isaak Babel, invece non è altrettanto conosciuto dal grande pubblico, se non fosse per il celebre giornalista che negli appunti di “Russia” (1974); “Lubianka (1990) e “Scusate se dimenticavo” (1997) ritorna con toni di amarezza e grande rispetto nella vita di questo scrittore, emblematico per il momento storico in cui visse (1894-1940 o 1941, una data di morte imprecisa proprio per il contesto in cui visse). Parallelamente, nella storia del Paese in cui nacque, la Russia zarista e poi sovietica, scandita dalle speranze rivoluzionarie e comuniste e dalla dittatura staliniana che le dissolse, Babel ha saputo estirpare il ricordo, ancora non pienamente consapevole, di essere stato uno dei maggiori profeti inascoltati del ‘900, con una personale quotidianità di ebreo, disintegrato e sofferente. Vittorio Strada, intellettuale chiaramente legato alla corrente ideologica che pure lo perseguitava, gli riconobbe a denti stretti la denuncia reale degli orrori della Rivoluzione, e il suo vano tentativo di mitigare quelle atrocità in nome del comunismo. 

Due grandi intellettuali del regime comunista negli anni ’20 ne compresero il personale dramma dilaniante, Maxim Gorki (1868-1936) e Vladimir Majakoskij (1893-1930) peraltro notoriamente invisi alla dirigenza sovietica, e morti non senza dubbi di avvelenamento da parte della polizia politica staliniana, quando già lo stesso Babel cominciava ad essere segnalato come dissidente e poi come spia a favore dell’opposizione troskista. Ma il successo in Francia dell’opera principale di Babel (“L’armata a cavallo”) su segnalazione di André Malraux (1901-1976) principale oppositore intellettuale di Josif Stalin (1878-1953) e fervido discepolo di Lev Trotsky (189-1940) e poi in tutti i paesi occidentali; vide in Ettore Lo Gatto (1890-1993), nella sua monumentale “Storia della Rivoluzione russa” del 1939, il passaporto di apprezzamento che ancora fu ricordato, malgrado la censura fascista. E negli anni ’60 quella voce, che lo paragonò a Guy de Maupassant (1850-1893), aprì finalmente un filone d’analisi che merita di essere ancora approfondita. 

Una vita difficile (1894-1927) 

Isaak Babel era nato a pochi chilometri dal porto di Odessa da famiglia ebraica piccolo borghese di commercianti legati ai traffici marittimi. Fin da ragazzo fu un precoce esperto delle lingue che in quella città si parlavano, perché oltre al russo – stranamente la lingua meno diffusa, malgrado l’appartenenza della Crimea all’Impero zarista – parlava pure il francese, l’inglese, il tedesco e perfino l’italiano, nazioni che colà facevano base commerciale. Ma ciò che lui e la famiglia mantenevano più o meno di nascosto – un “nicomedismo” che Isaak perseguì fino alla morte – era la fede e la lingua ebraica che Isaak perseguì fino alla morte. A 13 anni amava Maupassant e Flaubert, mentre prediligeva la lettura ebraica del Vecchio Testamento. Intanto, “i pogrom” razzisti lo circondavano da Odessa a Sarajevo e i massacri antisemiti colpirono la famiglia nel 1905 – fu bruciato pubblicamente il nonno – che riuscì a riparare a Nikolajevka, protetti da una coppia di emigrati cattolici italiani. Dopo aver fatto studi superiori di ragioneria, tentò di entrare alla facoltà di Economia, ma fu respinto perché ebreo. Due traumi giovanili che metabolizzò scrivendo poesie d’amore in francese per la futura moglie Yevgenia Gronfein, di origine berlinese, dalla quale apprese le nozioni marxiste pur nella versione di Lenin. Intanto, vivendo da artista a Kiev, scoppiò la prima guerra mondiale e dunque raggiunse San Pietroburgo, dove entrò entusiasta da espressionista nell’esercito zarista, scrivendo fin dal 1916 brevi articoli dove emergevano le due componenti principali della sua poetica, un marcato realismo sociale e la spiccata ironia ebrea ereditata dall’appartenenza al ceppo aschenazita. Amarezza e sarcasmo che apparvero ben delineate in vari racconti in forma di diario nel 1918 sulla rivista letteraria “nuova vita”, alcuni tradotti da Costantino di Paola (docente di lingua e letteratura russa all’Università “Ca’ Foscari” di Venezia) soltanto nel 1980. Titoli come “Pronto soccorso, Gli sfollati, Gli ammazzati, Il Santissimo Petrarca”, di un georgiano,, di una tessera – Kerenski e della figlia di un generale”, esprimevano un linguaggio popolare dialogato e che già denotavano un senso di disprezzo per la società borghese ereditata dalle coeve opere di Maxim Gorkij, che con il lungo racconto “Gli ex uomini” dava il colpo di grazia alla società alla società vetero capitalista e zarista, antisemita e reazionaria, sulle orme del partito bolscevico che nel 1917 rappresentò la speranza popolare di uscita dalla guerra e la riformulazione lo stato socialista. 

Babel, già impegnato di rivoluzionarismo espressionista, accolse con speranza “il Sol dell’avvenire” tantoché il nuovo regime gli sembrava rinnovare quella società che aveva disprezzato. Però, quando vide che le sinagoghe venivano demolite al pari del passato; che lo spirito antisemita – e antireligioso in generale – era rimasto immutato se non annientato; non cessò di trattare sarcasticamente e con pari sfiducia la società sovietica. Già nel 1917 pubblicava il racconto naturalista “La finestra sul bagno” intriso di un umoristico sentimento del contrario sicuramente derivato dalle letture futuriste che circolavano già nella Russia all’entrata della guerra. Accusato di pornografia, soltanto per intervento di Gorki e nel turbinio dell’ottobre rivoluzionario, Babel superò ancora una volta le forti critiche governative. Ma per vivere la letteratura sui giornali non bastava. La conoscenza delle lingue occidentali e la ricerca di protezione per il suo malcelato credo ebraico, lo portò nel 1918 a far parte della polizia politica bolscevica, la CEKA, dove collaborò con Nikolai Ezov (1895-1940) nel reprimere gli oppositori menscevichi di fede socialista. Esperienza di infiltrato che da una parte gli procurerà i favori dell’Armata Rossa e di Trotsky, ma che dall’altra, a metà degli anni ’30, lo porterà ad esser sospettato di doppiogiochismo e di spionaggio, accuse che lo porteranno alla tragica morte nel 1940. Proprio la scelta di accompagnare – come Stendhal fece per Napoleone nella campagna d’Italia – da cronista le truppe del generale Semen Budënnyj (1883-1973) nella guerra contro la Polonia nel 1920, lo rese famoso d’improvviso nella cultura europea. Infatti il lungo diario di quella guerra – oggi ritornata nelle cronache a seguito delle vicende di stragi di immigrati fra Polonia, Bielorussia e Ucraina, non lontane da rischiosi sfondi di conflitti fomentati dalla Russia di Putin – venne descritta da Babel in modo molto realistico, denso di funeste immagini di violenza, ruberie e uccisioni di migliaia di persone innocenti e spesso di razza ebraica in Galizia, non poco dissimili dalle scorrerie antisemite dei cosacchi all’epoca della sua vita ad Odessa. Le osservazioni e le battute di Babel, che non mancò di fare imbarazzanti confronti, colpirono pure lo stesso generale sovietico e impressionarono l’Europa, flagellata dalle rivolte spartachiste e bolsceviche. Pesanti dubbi sulla nuova democrazia sovietica e che oggi sembrano simili a quanto proviene dal Kazakistan sconvolto da dimostrazioni antirusse per una crisi economica energetica che sta agitando quel paese. Malgrado le critiche sui suoi resoconti di guerra – che gli provocarono un rientro precipitoso da Mosca a Odessa – e che solo le difese di Gorki e la crisi politica per la morte di Lenin, riuscirono ad attutire. In Italia i suoi resoconti furono riassunti ed editi dalla casa editrice Frassinelli, tradotti da Renato Poggioli (19071963) nel 1932, operazione legata all’epoca da evidenti simpatie di Mussolini per la Russia comunista. Babel passò poi un triennio di scrittura rielaborando la sua giovinezza sul Mar nero. Vennero fuori “I racconti di Odessa”, sul modello dei “Racconti di S. Pietroburgo” di Tolstoi, che più di mezzo secolo prima avevano sferzato il mondo borghese russo. Lo stesso avvenne per Babel: la sua attenta osservazione della vita quotidiana connessa alla “Nuova Politica Economica” – un misto di socialismo economico e di minuto regime precapitalista comunitario privo di libertà civili, soggetto a forti vincoli programmatori espressi solo sulla carta e lontani dalle esigenze di mercato, peraltro chiuso in confini prefissati e impermeabili al contatto estero – incideva sulla forte depressione economica delle vaste aree rurali costrette a rigide industrializzazioni di massa che producevano terribili storie di privazioni e di fame. Con notevole nostalgia dell’età zarista, Babel notava come le vicende delittuose di Odessa – che avevano avuto per protagonista il boss “Benya Krik” – non erano molto diverse dagli episodi di malavita che pullulavano nel porto già all’epoca degli zar. Senza contare il fatto che le numerose scappatelle di Isaak, auto biograficamente esposte in quelle novelle, ben poco differivano dalle esperienze di personaggi come quelli di “un’operetta” di cui già si parlava a metà degli anni ’20 nella Germania di Weimar, ambientata nei bassifondi di Amburgo e scritta da un suo sodale scrittore, tale Bertolt Brecht (1898-1956). Intanto, il clima culturale nella Russa sovietica andava peggiorando: Gorki restava critico della NEP di Vladimir Lenin 1870-1924), foriera di gravissime carestie in Ucraina all’inizio degli anni ’30 e che Stalin intensificò intenzionalmente, procurando la morte di milioni di persone per fame; mentre Majakovskij, altro grande intellettuale filosovietico, non mancava di criticare la stessa Rivoluzione con poesie che ridicolizzavano la nuova classe dirigente. Nel 1931, la diffidenza di Babel trovò conferma: in vari viaggi in Ucraina aprì definitivamente gli occhi sui mali del Regime stalinista. L’esilio di Trotzki fu la goccia che fece traboccare il vaso ormai colmo: approfittando della nascita a Parigi della figlia Giulia avvenuta il 7 luglio del 1929, Babel decise di recarsi in Francia. Iniziarono così i viaggi all’estero come “reporter”, ivi compresa l’Italia fascista, descritta in modo altrettanto ironico. Ma iniziarono pure i sospetti di contatto con esuli dissidenti. Le predette protezioni della CEKA non furono più sufficienti, se non a divenire addirittura motivo di accusa di tradimento. 

Un decennio di viaggi verso la morte (1930-1940) 

Già nel 1929 “l’armata a cavallo” era stata pubblicata in inglese negli Stati Uniti, dopo analoghe edizioni in tedesco e francese. Il successo editoriale straniero è enorme. Sulla riviera francese Babel venne in contatto con Hemingway che non solo lo elogiò, ma lo spronò a viaggiare per limare le sue evidenti capacità descrittive. I suoi viaggi in Italia e in Germania e i suoi contatti a Parigi con André Malraux, lo ponevano in un percorso revisionista per l’occhio malevolo in Patria, ma lo avvicinavano a posizioni fatalmente critiche per la piega che andavano prendendo. I ritorni ad Odessa, appena risposatosi con la giovane ingegnere Antonina Pirožkova, capo costruttore della metropolitana di Mosca – e testimone chiave di Enzo Biagi – erano alternati ai frequenti dialoghi con i nuovi intellettuali sovietici, da Sergej Esenin (1895-1925) a Walter Konrad Erensberg (1878-1954) da Sergej Ėjzenštejn (1898-1948) alla poetessa Anna (1889-1966) Achmatova, tutti nel mirino della CEKA del nuovo capo Dimitri Schmidt non più legato a Babel, ma presto succube del potentissimo Lavrentij Berija (1899-1953) esecutore spietato di Stalin fin dal 1937. Una testimonianza personale di Kurt Tucholsky (1890-1935) capo del partito comunista tedesco nel 1932 – gli fa dire che “per lavorare dovevo essere più accorto e meno ironico”. “Tramonto” (1928) e “Maria” (1935) costituirono due drammi sul suo essere ebreo errante nel corpo e nell’anima, tormentato da verità scomode – per esempio l’arresto immotivato dell’amico giornalista Koltsov – e l’aperta collaborazione col regista Eisenstein nella sceneggiatura del film “Il prato di Bežin”, immagine della sua speranza di un’intesa col governo di Stalin. Iniziativa che non giungerà mai a conclusione, non solo perché toccava temi nostalgici e spirituali esclusi dal realismo propagandistico di Regime; ma anche perché interpretavano con evidente imbarazzo le intemperanze governative contro gli oppositori. Già nel 1935 l’assassinio del maggiore oppositore di Stalin, Sergej Kirov (1886-1934), aveva aperto la triste vicenda delle purghe staliniane, e la scure gli calò addosso nell’estate di quello stesso anno, quando il 14 luglio partecipò a Parigi al Congresso degli scrittori antifascisti, dando ormai ampi segnali di dissidenza e di inconciliabilità con Stalin, ormai chiaramente complice dell’antisemitismo che cresceva in Europa non solo fra le Potenze totalitarie occidentali. 

Morte e resurrezione di un profeta 

Come già temeva, Babel venne arrestato a seguito di una denunzia del maggio 1939 nel suo villino a pochi chilometri da Mosca, dove si era volontariamente internato e isolato durante le ultime purghe staliniane. La moglie – come narrò a Enzo Biagi – confermò che fu portato alla “Lubianka”, la centrale del KGB di Berija, dove gli si imputò rapporti illeciti con la moglie dell’ex gerarca Jaschow, un ebreo marxista che lo aveva appoggiato agli inizi della rivoluzione. Berija non aveva le prove del tradimento, salvo che una breve novella che Babel aveva appena pubblicato, “Il giudizio”, dove con toni kafkiani aveva proposto una mediazione narrativa fra Torah ebraica e materialismo dialettico: uomini feroci e senza Dio si alternavano sulla scena russa, dal Baltico al Mar Morto; e vittime dell’oppressione, fra sogno e realtà, fra accuse false e speranze di redenzione. Berija, ne capì la pericolosità culturale e estorse una confessione di tradimento filotroskista, inventando, dietro le parole di scherno di Babel, una congiura internazionale che avrebbe portato alla rivolta dei socialisti e comunisti occidentali contro l’integralismo di Stalin, che già ordiva la mostruosa alleanza con Hitler di poco tempo dopo a danno del popolo ebraico. Babel fu condannato a morte, malgrado la ritrattazione durante il processo. La sua fine nel carcere di Butyrka, oppure il confinamento in qualche gulag della Siberia, poco oggi importa. Certo è che neppure il cadavere fu poi ritrovato fra il 1940 e il 1941. La drammatica intervista alla moglie ingegnere al nostro giornalista rivelava che solo nel 1954, alla morte di Stalin, il povero Babel era stato riabilitato, mentre solo nel 1957 gli ultimi manoscritti vennero restituiti alla critica e al pubblico, circa duecento racconti inediti e altre commedie appena iniziate, senza contare una biografia del suo mentore Gor’kij, che meriterebbe ancora oggi di essere letta e studiata. La resurrezione del “profeta rivoluzionario, che aveva osato dare un’anima ebraica al marxismo leninismo”, come lo definì Vittorio Strada; proseguì poi con un ottimo articolo riesumativo di Folco Portinari sull’ “Unità” del 31 ottobre 2006 e dal “Meridiano – Mondatori”, dello stesso anno che ripropose le opere di Babel con la nuova traduzione di Renata Colorni. Nondimeno, proprio mentre scriviamo queste brevi note, è apparso un saggio biografico di Giovanni Maccari, “Gli occhiali sul naso”, Palermo, (Sellerio), dove si mette in luce un suo stupefacente aforisma: “A proposito del silenzio, sono un gran maestro in questo genere letterario”. Un testamento in una battuta che è inversamente proporzionale alla sua grandezza di scrittore contemporaneo. 

Bibliografia: 

Oltre alle fonti citate nel testo, vd. anche E. Biagi, Lubjanka. Comunismo: bilancio 80 milioni di morti, Rizzoli, Milano, 1991. 

ISAAK BABEL, Il sangue e l’inchiostro. Racconti e altri scritti inediti, a cura di Costantino di Paola, Garzanti, Milano, 1980. 

VITTORIO STRADA, introduzione a L’armata a cavallo di ISAAK BABEL, Torino, Einaudi, 1977. 

ETTORE LO GATTO, La letteratura russa moderna, Sansoni, 1968. 5. Per le fonti online, cfr. GREGORY FREIDIN in www.stanford.edu sito con dettagliate analisi sulla vita e le opere di J. Babel 

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