Il contesto politico 1806-1814
La recente riproposizione, sui social network, del film del 1941 “Il grande ammiraglio” (di Alexander Korda, 1893-1956) sulla storia d’amore fra Emma Hamilton e Orazio Nelson negli anni fra il 1799 e la morte dell’eroe a Trafalgar nel 1805, vincitore all’Oscar nel 1941 e proiettato a Londra il 2 di agosto, sotto i bombardamenti della Luftwaffe e il terrore di un’invasione dell’isola da parte dei tedeschi (pari al terrore britannico all’epoca di Napoleone) aveva per sfondo la “guerra calda” fra l’impero inglese e quello di Bonaparte, appena dopo la firma dalla pace di Amiens del 1802, considerata peraltro da Napoleone un mero armistizio. Fu così che, nel 1806, con il Decreto di Berlino e con quello successivo nel 1807, di Milano, Napoleone proclamò il divieto di accesso alle navi di bandiera inglese in qualsiasi scalo dei Paesi assoggettati all’impero francese. In realtà, un provvedimento di tale portata, in chiara violazione del diritto internazionale dell’epoca, non solo era nuovo in Europa, ma non aveva fondamento giuridico, e di fatto era quasi un caso di diritto di rappresaglia, giacché fin dalle guerre della repubblica giacobina e termidoriana, la Gran Bretagna aveva spesso effettuato sequestri di navi francesi e perfino neutrali, soprattutto dopo la formazione della Seconda Coalizione antirepubblicana, quando la spedizione in Egitto del generale Bonaparte interferì con la potenza marinara britannica.
In verità, fra la repubblica moderata di Termidoro e la monarchia illuminata e liberale inglese, non era ancora intervenuto quel forte contrasto economico che tra poco si avrà, specialmente quando l’ambizioso Bonaparte comincerà ad avere pretese sull’Egitto, su Malta e sulla Sicilia, in sostanza le porte del Mediterraneo. La timida belligeranza inglese nella Seconda Coalizione produsse un certo cedimento isolazionista, dopo che Napoleone, di ritorno dall’Africa, sgominò russi e austriaci a Marengo (1801) e quando avanzò richieste imperialiste sul Regno di Napoli e Sicilia.
Ad agitare le acque della politica inglese restava il problema di Malta e la libera concorrenza sul continente, tanto più che le vie marittime sembravano fortemente intralciate dalla guerra con la Francia repubblicana. Alla fine, prevalsero i liberali di Henry Addington, primo visconte Sidmouth (1757-1844), contro i conservatori.
La vittoria navale di Nelson nella battaglia di Copenaghen (1801) spinse per la pace, visto che i danesi alleati della Francia – e dei piccoli stati sul Baltico – non si erano mostrati in grado di appoggiare da terra la marina inglese. Ad Amiens il 25 marzo 1802, le acque marittime commerciali vennero divise in due aree di influenza: l’Egitto restò nell’orbita protettiva francese; Malta divenne “isola libera” ritornando alle vecchie dipendenze dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, l’Oceano Atlantico e le colonie olandesi delle Antille passarono all’Inghilterra. Tutti consideravano quella pace solo una tregua: Addington e William Pitt il Giovane (17591806) di fatto non abbandonarono Malta, e rimasero con le loro basi in Egitto e in Sicilia, da dove ordirono le loro trame di spionaggio politico e commerciale.
Napoleone, ormai Primo Console a vita, era un monarca poco illuminato, e rivolto ormai all’Impero. Con una campagna giornalistica degna di Goebbels (il potente ministro della Propaganda nazista, 1897-1945) fece di tutto per far credere che il nuovo regime francese, ancora parzialmente democratico, favorisse attentati contro il Primo Console (per esempio l’attentato del 24 dicembre1800). Alcuni provvedimenti tradirono però le intenzioni autocratiche di Napoleone: in primo luogo, l’arresto immediato di tutti i cittadini britannici in Francia, su modello degli anni del terrore di Robespierre. In secondo luogo – su suggerimento del volpone Charles Maurice de Talleyrand-Périgord (1754-1838) – venne ordinata la chiusura dei porti francesi alle navi inglesi. La ragione di quell’annoso provvedimento, degno di precedenti atti che però si erano avuti solo in tempo di guerra – per esempio il blocco navale della “Placca” olandese del 1584 e fino al blocco attuale di Gaza da parte della marina israeliana – fu acclarata da una dubbia campagna di stampa che narrava come i britannici avrebbero proditoriamente affondato tutte le navi francesi presenti nei loro porti e perfino di ben sei navi fuori dalle acque territoriali inglesi e anche in alto mare.
La stampa francese, orchestrata dal Ministro della Polizia Joseph Fouché (1759-1820), simulò un evento provocatorio che produsse il riaccendersi delle ostilità per mare e per terra. Con una rappresaglia, nell’anno secondo del calendario Rivoluzionario (1803) il Console comandò restrizioni personali per migliaia di cittadini britannici su suolo continentale. Nel 1804 nacque la Terza Coalizione, cui si aggregarono Austria, Russia e Prussia, che il 2 dicembre 1805, Napoleone sconfisse clamorosamente ad Austerlitz, tuttavia il progetto integrazionista di una Europa unita in nome dei principi dell’89 ad egemonia francese – utopico annunzio di un impero conservatore e autoritario retto da un autocrate nazionalista e da una Costituzione poco liberale – veniva frustrato da una quasi parallela battaglia navale (Trafalgar, 21 ottobre 1805), dove la flotta francese – non molto sviluppata per tradizioni, e meno esperta – veniva sbaragliata da un numero inferiore di vascelli, che esprimeva l’abilità di una classe di navigatori guidati da Lord Oratio Nelson primo visconte Nelson e primo duca di Bronte (1758-1805), il “grande ammiraglio” che si ispirava a Francis Drake (1540-1596), altro grande nocchiere che tre secoli aveva prima affondato l’Invincibile Armata di Filippo II di Spagna (1527-1598). Ormai l’Europa continentale cedeva alle forze di terra alleate francesi e si preparava al dominio sovrano delle armate napoleoniche dilagate in Germania, Italia, Spagna, Olanda e nei Balcani, quasi alle porte della Russia, che dovette cessare le ostilità, affidandosi a presunti segni di amicizia dello Zar Alessandro I Pavlovic Romanov (1777-1825) che appena insediato dovette fare pace con Napoleone. Solo Londra oppose una vera resistenza al Corso, unica nazione europea che guidò la guerra contro il colosso imperiale. Unicità che aveva un’arma formidabile nella marina atlantica e mediterranea. Ombrello protettivo dell’Isola di Malta, della Sicilia borbonica e delle Antille appena riconquistate. Del resto, il fallimento dell’invasione delle coste inglesi – al pari di quello di Hitler un secolo dopo – indusse Napoleone a una diversa opzione bellica, cioè il varo del Blocco Continentale, per “vincere il mare con la terra”, motto che divenne finalmente operativo da parte del nuovo Imperatore.
L’ironia della storia farà ritorcere contro il suo autore l’apparente mossa vincente e sarà banco di prova della nuova economia capitalista.
Il sistema continentale (1806-1814)
Sconfitta la Prussia a Jena, con Decreto di Berlino (1806) e di Milano (1807) Napoleone istituiva il divieto di relazioni commerciali con la Gran Bretagna e i relativi domini. Riprendendo la vecchia politica del Direttorio, non solo interdiva il mare e le navi, ma anche il commercio. Lo scopo era quello di tagliare le ali all’Inghilterra. Veniva però superata l’incompleta politica mercantilista già operata da Luigi XIV (1638-1715): non solo dazi sulle nazioni concorrenti, oppure negare le clausole di nazione più favorita, ma anche la liberalizzazione delle prede marittime, cioè la pirateria gestita direttamente dall’impero francese. Erano però strumenti offensivi che Inghilterra di Oliver Cromwell (1599-1658) aveva agevolmente superato nelle guerre olandesi a metà del ‘600. Invece Napoleone, da genio militare che era, li integrò inventando “la frontiera murale marittima”, cioè una cinta muraria lungo le coste per impedire il contrabbando; proteggere il cabotaggio ed evitare la navigazione d’altura, riservata soltanto alle navi corsare sul modello proprio anglosassone del già citato Francis Drake. Infine, la creazione, al di qua delle coste, di un esercito di doganieri e di giudici rivolti a punire i contravventori, multandoli in modo molto salato. Una politica fondata sulla forza dell’amministrazione gerarchica che Fouché aveva ben sperimentato per eliminare gli oppositori interni e che Hitler, Stalin e anche Roosevelt) – useranno a loro volta.
Il piano di Napoleone aveva però due ostacoli, esterni e interni: “ad extra”, trovò lo Zar Alessandro; “ad intra“ la nuova borghesia francese che, vissuta nel mito della proprietà privata e del nuovo Codice Civile delle imprese liberoscambiste, non vedeva più la necessità di un poliziotto che la proteggesse da un ladro più o meno organizzato; quanto e piuttosto si sentiva vessata da uno “Stato nazionale chiuso”, che le provocava una crisi dopo l’altra, defraudandole del naturale sbocco dell’eccedenza di produzione che non riusciva ad impiegare nel mercato interno, ormai rapidamente saturo perché il metodo capitalista imponeva invece la necessità dello smercio all’estero. Vero era che la fissazione di robustissime tariffe doganali sui prodotti di importazione su paesi terzi e non, limitò la fase espansiva britannica che perse una quota non indifferente di esportazione nelle colonie come nel periodo antecedente al Blocco e che del pari favorì la produzione analoga della Francia e degli alleati rivolta al mercato estero. Ma fu anche vero che si scatenò un’agguerrita introduzione delle macchine in moltissime attività, tanto che in Gran Bretagna si sviluppò un imprevisto balzo in avanti della domanda interna, una conseguente distribuzione critica del reddito nell’Isola e la inevitabile frammentazione della domanda interna. Dunque, per le imprese si apriva il baratro dei fallimenti e per i lavoratori il rischio più elevato di licenziamenti, nonché la inutilità dei nuovi macchinari rimasti depositati nei cantieri divenuti a loro volta abbandonati. Certamente, la chiave di volta dello scardinamento della economia britannica stava sul credito e sull’importazione limitata di cereali e materie prime, cosa che obbligava le imprese ad esportare più prodotti per evitare rivolte popolari. Il Blocco navale impediva tale elementare rapporto di credito e debito, senza contare che la crisi politica e la resa al modello integrazionista francese sarebbe stata inesorabile. Tuttavia, l’ironia della storia era ancora dietro la porta: infatti il succedersi inaspettato di buoni raccolti interni fra il 1807 e il 1814, fece respirare un sollievo al cancelliere dello scacchiere Spencer Percival che riuscì quindi a contenere il debito pubblico e il malcontento popolare. Inoltre, l’amico zar Alessandro – dopo un’iniziale adesione al Blocco per effetto del Trattato di Tilsit del 1807 – durò per poco perché permise il contrabbando con l’Inghilterra, favorendo triangolazioni occulte di legname e le filande di Lancaster, che continuarono a fornire abiti e divise alla Russia. Perfino il fedele Gioacchino Murat (1767-1815), nuovo Re di Napoli, nell’estate del 1811, venne aspramente rimproverato da Napoleone, che non vide risultati tangibili dalla sua idea geniale: “Tutti i cittadini francesi sono cittadini del Regno di Napoli… Voi non riuscite ad impedire lo scempio e la disobbedienza alle mie leggi… Sarò più attento e giusto vedere nel vostro cuore e nel vostro essere se siete veramente un francese devoto all’Impero!”. Così sbottò aspramente l’Imperatore dinanzi all’incauto cognato che da allora cominciò a meditare il suo sfortunato cammino indipendentista. Spagna, Norvegia, Danimarca, Portogallo, Antille, Malta, Nizza, Ponza, furono le spine del protezionismo coatto francese.
Mentre la Sicilia di Ferdinando IV (1751-1825), prima all’ombra di Nelson e poi di Sir John Francis Edward Acton, (1736-1811), riceveva numerosi soldati e favoriva tanti mercanti inglesi e si dava una inusitata modernizzazione, un vero e proprio laboratorio “politico – economico”, che nel 1812 vedrà l’emanazione della prima Costituzione su suolo continentale ispirata al sistema liberale inglese. Di conseguenza, le falle della “cortina di ferro” napoleonica già nel 1811 produssero notevoli conseguenze, anche perché il nazionalismo francese non esportò nei paesi alleati le innovazioni tecniche che potevano contenere le crisi economiche interne: per esempio, la coltivazione delle barbabietole da zucchero che non fu un brevetto facilmente estensibile (come gli attuali brevetti farmaceutici!) e dunque il senso di disagio delle classi borghesi cresceva contro il “tiranno”. Quando nel dicembre 1811, la Russia di Alessandro I violerà il Trattato di Tilsit, autorizzando l’attracco delle navi inglesi nei porti russi; mentre nello stesso anno venivano revocati i Decreti di Milano e Berlino nei confronti degli Stati Uniti d’America, al fine di evitare l’inevitabile guerra a vantaggio della Gran Bretagna; la scelta di Napoleone di riaprire la guerra finale con l’orso russo e la fine dell’Impero diverranno ormai ineluttabili. Per di più la scelta d’invadere la Russia per riportarla nel sistema continentale, aveva bisogno di una base sul Baltico. Riga doveva essere il porto centrale per i rifornimenti della Grande Armata. Ma la borghesia marittima del Baltico, maltrattata da Napoleone per effetto del Blocco, attraverso il contrabbando e lo spirito nazionalista di Johann Gottlieb Fichte (1762-1814) e Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831), fece resistenza, il porto fu chiuso e i rifornimenti languirono.
La marcia di Napoleone verso Mosca fallì per effetto anche di tale resistenza. Poi, nel 1813 e nel 1814, Prussia, Polonia, Austria e la Napoli di Murat faranno il resto nel decretare la fine dell’Impero. Sarà il nuovo Regno francese di Luigi XVIII “il Desiderato” (1755-1824) ad abrogare l’odiato sistema continentale. Gli storiografi attuali, molto attenti alle varianti di sistema nei singoli paesi che ne subirono gli effetti – positivi o negativi che fossero – dovranno sempre rivalutare le relazioni di lungo periodo del Blocco. Del resto in Inghilterra il fenomeno del Luddismo – la cosiddetta rivoluzione contro le macchine, da parte dei lavoratori inferociti per la forte disoccupazione causata anche per il concomitante mancato decollo dell’economia industriale – assunse toni preoccupanti, peraltro sanati da una politica sociale democratica di metà ‘800 a favore delle classi disagiate. In Francia invece, nonché nelle altre nazioni vicine, specialmente negli stati italiani, le conseguenze di lungo periodo si avranno nella figura dei doganieri, una classe di funzionari che semineranno una coscienza professionale di rilievo, pur nell’inevitabile odio popolare legato alla funzione, e questo si rifletterà nell’innegabile modernizzazione dello stato contemporaneo, e nella formazione di una burocrazia meritocratica che costituirà il nerbo delle future classi dirigenti nell’età delle rivoluzioni fra il 1830 e il 1848, fino a costituire dei nuovi stati nazionali di Germania e Italia nei decenni successivi fino a costituire le classi più avanzate della società borghese alle soglie del primo conflitto mondiale.
Bibliografia:
Per l’impero Napoleonico, STUART J. WOOLF, Napoleone e la conquista dell’Europa, Bari, Laterza, 1990.
Sul sistema continentale (ovvero “il Blocco”) JERRY MANAS, Napoleone e il mangement, edizione Etas, 2012, parte terza.
Sulla figura di Gioacchino Murat, cfr.ALEXANDRE DUMAS, Murat, a cura di G. Arese, Palermo, Sellerio, 2005.
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