Contesto storico
Il movimento Viet-Minh, abbreviazione di Viet Nam Doc lap Dong minh Hoi (Lega per l’Indipendenza del Vietnam) si forma nel 1941 come spontaneo moto rivoluzionario per ottenere l’indipendenza dalla Francia, sotto la guida di Nguyen Tat Thanh Sinh Cung (“colui che sarà vittorioso”, 1890-1969) storicamente noto come Ho Chi Minh (“volontà che illumina”), che pone il proprio comando a Tan Trao, nel distretto di Son Duong, nel nord del paese. I territori francesi in Asia, comunemente chiamati Indocina, sono poi occupati dai giapponesi nella seconda guerra mondiale, per cui, oltre a combattere i francesi, i Viet Minh si battono ferocemente anche contro le truppe di occupazione nipponiche, con laute sovvenzioni da Cina e Stati Uniti.
Nell’agosto 1945, con la resa del Giappone, il movimento Viet tenta di prendere il potere dichiarando l’indipendenza dalla Francia, ma da Parigi come tutta risposta, viene invece rafforzata la presenza militare, pesantemente sostenuta dagli USA, e comincia quella spirale di eventi che sfocia poi in un decennio di guerra aperta. Il classico “casus belli” che scatena la guerra d’Indocina è noto come “incidente di Hai Phong”, città di quasi due milioni di abitanti, sul delta del Fiume Rosso, a circa 100 km da Hanoi, e principale scalo marittimo del Vietnam settentrionale nonché importante base navale. Hai Phong è teatro della prima azione militare francese, un bombardamento navale che causa oltre seimila vittime, per altro primo di una lunga serie continuata poi durante la guerra del Vietnam da parte di aerei e navi americane.
Fra il 1946 e il ’47, le truppe del Corpo di Spedizione Francese, forte di oltre 100.000 uomini, cominciano la graduale avanzata verso Hanoi, conquistata dopo una battaglia particolarmente violenta, combattuta casa per casa, durata per tutto il dicembre ’46. Successivamente la fanteria francese procede all’occupazione di tutti i maggiori centri urbani centro-settentrionali, e specialmente degli insediamenti sul delta del Fiume Rosso, per il controllo delle vie di comunicazione. All’inizio del ’47 i Viet Minh sono costretti a ritirarsi sulle montagne del nord e oltre le paludi meridionali del Fiume Rosso.
Per mantenere il controllo del Paese e la collaborazione politica dei nazionalisti moderati, il governo francese sostiene sia la Repubblica di Cocincina di Nguyen Van Xuan che il regime dell’imperatore vietnamita Bao Dai (1913-1997). Sebbene fosse esistito un ufficiale riconoscimento sulla sovranità locale dei due Paesi, l’esercito era nettamente sotto l’autorità di Parigi, così come la linea della politica estera e il ministero delle Finanze.
Nel frattempo, l’ex capo supremo Ho-Chi-Minh, cacciato dall’invasione francese, con la preziosa collaborazione del generale Vo Nguyn Giap (1911-2013), esperto stratega e comandante delle truppe clandestine Viet Minh, avevano organizzato una vasta rete di campi di addestramento nella giungla del Tonchino settentrionale, con lauti finanziamenti cinesi (è provato che numerosi guerriglieri Viet Minh sono stati addestrati in Cina dal maggio al settembre 1950).
Dopo aver costituito un vero e proprio esercito di oltre 60.000 uomini, Ho Chi Minh e il generale Giap erano pronti per sferrare attacchi in forze nelle regioni confinanti con la Cina, dove molti reparti francesi sono annientati, come a Lang Song e Cao Bang, (oltre 3.000 morti).
Nel 1951 l’esercito coloniale francese è costretto a lasciare le province settentrionali e concentrarsi sul delta del Fiume Rosso, al comando del generale Jean de Lattre de Tassigny (1889-1952), eroe della seconda guerra mondiale, che nei combattimenti in Indocina avrebbe perso il figlio. Nello stesso anno le posizioni francesi sul Golfo del Tonchino, dove è più attiva la guerriglia, vengono trincerate mentre, nel vicino Laos, fra il 1952 e il ’53, le truppe francesi vengono sbaragliate. Da notare che fra il 1946 e il 1952 la guerra in Indocina costa alla Francia quasi centomila uomini fra morti, feriti, prigionieri e dispersi, e una spesa superiore al doppio dei finanziamenti concessi dall’alleato americano secondo i principi del Piano Marshall.
Dal momento che il governo francese aveva intenzione di eliminare definitivamente il pericolo Viet Minh, all’inizio del 1953, i soldati francesi in Estremo Oriente aumentarono a oltre 250mila, al comando del generale Henry Navarre (1898-1983), il quale organizza un’operazione a vasto raggio per stroncare la resistenza Viet Minh al confine con il Laos, sotto la indiscussa supremazia aerea, con il centro nevralgico nella valle di Dien Bien Phu, nel Tonchino nord-occidentale, lungo il fiume Nam Hou, a oltre 300 km a nord-ovest dalla capitale Hanoi.
A questo punto, Navarre compie un errore che sarebbe costato caro alle forze francesi: lascia nel campo trincerato di Dien Bien Phu (creato dal 20 novembre 1953 col lancio di 4.000 paracadutisti) troppi uomini concentrati: circa 11.000 soldati, di cui solo 1.400 francesi, inquadrati in 13 battaglioni di fanteria, con numerosi pezzi d’artiglieria, una decina di carri armati e 14 aerei.
Il generale Giap, coglie l’occasione e ordina di muovere le sue 8 divisioni Viet Minh (oltre 50.000 uomini), dal delta verso la zona di Dien Bien Phu, grazie a un complesso sistema di gallerie e trincee scavate con pale e picconi da guerriglieri e popolazione civile. Un’opera di ingegneria strategica ancora oggi considerato modello unico, un lavoro capillare e metodico, diventato l’emblema della “guerra di popolo”, ma che soprattutto permetteva all’esercito guerrigliero di spostare uomini armati e artiglierie senza che il nemico percepisse le dimensioni reali di quanto stava accadendo.
Il 13 marzo 1954 le truppe Viet Minh attaccano le postazioni francesi intorno a Dien Bien Phu dando inizio alla battaglia destinata a terminare con la sconfitta francese circa due mesi più tardi. Nonostante la disperata e, non di rado, eroica resistenza dei legionari, il 7 maggio la bandiera rossa del Viet Minh veniva issata sul bunker di Dien Bien Phu.
L’operazione Castor e i legionari italiani
Nonostante la Conferenza di Ginevra, com’è noto il Vietnam venne diviso in Sud (sostenuto dagli Stati Uniti) e Nord (comunista e inizialmente filo-sovietico).
Quando Ho Chi Minh divenne presidente del Nord Vietnam, nel ’54, e riconosciuto a livello internazionale, venne instaurato un rigido governo che nazionalizzò subito ogni risorsa a cominciare dalla scuola, dove l’istruzione divenne gratuita ma obbligatoria.
Il Partito Comunista diventa la formazione guida dello stato, presente in ogni livello della società, e viene dichiarata la Repubblica Parlamentare con la creazione della Assemblea Nazionale, con facoltà di eleggere presidente dell’assemblea stessa, primo ministro e presidente della repubblica.
Essendo già abbastanza anziano al momento dello scoppio della guerra, Ho Chi Minh preferì lasciare la direzione delle operazioni al fidato Giàp, il quale mantenne sempre la stessa ferrea determinazione, anche a fronte delle prime dure sconfitte come quella che gli americani denominarono operazione Starlite (agosto 1965) durante la quale fu distrutta la roccaforte Viet Kong nella penisola di Vantuong, con un attacco combinato della 3a Divisione Marines e dei cannoni navali contro il 1° Reggimento Viet.
Tornando all’Indocina, nonostante la diplomazia internazionale, la Francia aveva dato inizio al rafforzamento delle difese nella regione di Hanoi già dal 1953, come base per ulteriori offensive nel nord-ovest, zona di attività Viet Minh. Inoltre erano stati approntati diversi avamposti, dal confine settentrionale con la Cina, a Lai Chau, a ovest fino a Na San, e nel Laos settentrionale, a Luang Prabang e Plaine Jarres.
Quella stessa primavera il generale Giàp lanciò un’offensiva in forze contro Nan Sanh, ma dopo diversi giorni di feroci combattimenti, i Viet Minh erano in rotta, con più di 1.500 morti e quasi duemila feriti. Giáp ritirò la maggioranza delle sue forze, ma lasciò piccoli gruppi per ostacolare ogni tentativo di ritirata francese, tuttavia il generale Navarre manovrò con successo a Nan Sanh.
Fu a questo punto che i francesi iniziarono a pensare a Dien Bien Phu. Nelle battaglie in campo aperto, la superiore potenza di fuoco dei francesi aveva di certo la meglio, ma i Viet Minh generalmente avevano evitato di farsi coinvolgere in tale tipo di combattimento. Con il loro numero crescente, sembrava che la guerra entrasse in una nuova fase, e se una piccola base come Nan Sanh poteva fare così tanti danni, un avamposto ben fortificato, organizzata e attrezzato li avrebbe portati comunque a prevalere. Almeno questa era l’intenzione.
Dien Bien Phu si trova in una vallata circolare, ideale per ospitare una base aerea, nei pressi di strade percorribili e circondata da alture che, secondo i pianificatori, erano facilmente difendibili e, una volta presidiate, avrebbero offerto una protezione ideale.
I Viet Minh, che si trovavano dalla parte opposta della valle, sapevano che le strade sarebbero state interrotte, costringendoli a spostarsi verso est su terreno molto più accidentato, per cui l’unica soluzione era un attacco alla base per conservare il controllo delle strade. Una tale mossa era ciò che i francesi speravano, perché convinti che l’artiglieria Viet (fornita dai cinesi) sarebbe stata pesantemente penalizzata dalla conformazione stessa del territorio, e quindi praticamente inutilizzabile.
D’altra parte, Dien Bien Phu era abbastanza lontana da Saigon da far sì che, se una battaglia fosse scoppiata, le unità di trasporto aereo sarebbero state sottoposte a uno sforzo senza precedenti, e nonostante questo non venne fatto alcun miglioramento per questa parte vitale dell’operazione, a seguito della decisione del governo di pressare al tavolo delle trattative, ponendosi in una posizione di vantaggio a seguito di quella che era considerata la sicura conquista di Dien Bien Phu, cominciata il mattino del 20 novembre 1953 con l’operazione Castor: poco meno di 9.000 uomini con attrezzature, paracadutati in tre giorni, che iniziarono a costruire una base aerea con due piste di volo, mentre altri reparti dovevano operare sulle otto colline che circondavano la valle, con opere di fortificazione, alle quali venne dato un nome di donna. Secondo le chiacchiere, il fatto era dovuto alla fama di conquistatore del comandante della piazzaforte, colonnello Christian De La Croix de Castries (1902-1991).
Alla fine del dicembre successivo, a Dien Bien Phu erano presento oltre 13.000 soldati, con artiglieria e carri armati leggeri, mentre le formazioni Viet Minh erano ancora troppo sparpagliate nella giungla per costituire un pericolo.
Lo stesso De Castries pensava che il nemico si stesse dirigendo a est, ignorando la piazzaforte, ma le cose cambiarono all’inizio del marzo 1954, quando furono segnalati concentramenti sempre maggiori di Viet Minh nell’area, che attaccarono il 13 marzo, cogliendo di sorpresa i francesi a colpi di quell’artiglieria considerata inservibile. Solo il primo giorno, le posizioni fortificate “Gabrielle” e “Beatrice” furono colpite da circa 9.000 proiettili, cadute nella notte a seguito di attacchi di gruppi Viet che sterminarono i legionari, francesi e non solo, pur a carissimo prezzo. Quei cannoni che non dovevano esserci, erano stati smontati, trasportati su per le colline attraverso la giungla, su sentieri che la ricognizione francese aveva giudicato impenetrabili, quindi rimontati in postazioni sapientemente camuffate, contro la piazzaforte di Dien Bien Phu.
Il comandante dell’artiglieria francese, colonnello Charles Clément Piroth (1906-1954), che inizialmente aveva anche dichiarato di avere più armamenti del necessario, rimase praticamente impotente di fronte a tale schieramento, e fu visto per l’ultima volta dirigersi nel proprio rifugio, dove strinse al petto una granata e si suicidò. Fu sepolto in gran segreto, perché le truppe non ne risentissero nel morale.
Fu organizzato un ponte aereo con rinforzi, munizioni e altre armi, ma a questo punto il generale Giàp sfoderò un altro asso dalla manica: i Viet avevano schierato anche diverse postazioni antiaeree. Un imprevisto non calcolato, che avrebbe avuto esito disastroso. Nemmeno i cacciabombardieri francesi potevano arrivare abbastanza vicino da ottenere effetti consistenti contro le postazioni d’artiglieria nemiche, se riuscivano a localizzarle.
Il generale Giàp ordinò anche di bombardare le piste di atterraggio, fondamentali per i rifornimenti e i rinforzi, mentre squadre di scavatori procedevano realizzando tunnel e trincee concentriche, sempre più vicine alla base francese.
Dopo cinque giorni di guerriglia, i Viet Minh attaccarono in forze la prima pista di volo il 18 marzo, in una battaglia ininterrotta fino al 23. L’ultimo aereo francese riuscì ad atterrare il 28 marzo sulla seconda pista, ma rimase distrutto a terra. Lo stesso giorno, i legionari operarono un contrattacco contro le batterie antiaeree, in una operazione estremamente ben progettata, e realizzata in circa otto ore dal il 6º Battaglione/3° Reggimento paracadutisti coloniali del colonnello Marcel Bigeard (1916-2010) che si lanciò alla disperata contro un nemico dieci volte numericamente superiore. Le truppe di Bigeard riconquistarono anche due importanti postazioni sulle colline, che però dovettero poi evacuare per esaurimento risorse e munizioni.
Dopo che le piste furono rese inservibili, i rifornimenti dovettero essere effettuati solo con lanci paracadutati, buona parte dei quali atterrava in territorio controllato dai Viet Minh, che a questo punto avevano vinto la battaglia. Il generale Giàp decise per una guerriglia di logoramento che, secondo le sue stesse parole, doveva “fare sanguinare lentamente l’elefante morente”, anche perché gli attacchi frontali avevano dimostrato la ferrea resistenza dei legionari.
A proposito di questo aspetto, nel campo francese avvenne una sorta di sovvertimento della catena gerarchica. Il colonnello De Castries fu sostanzialmente messo da parte e i singoli comandi e incarichi furono assegnati in base al valore del singolo ufficiale. Primo fra questi il colonnello Pierre Charles Langlais (1909-1988), comandante del 1° Reggimento Coloniale Paracadutisti, sostenuto dai comandanti di battaglione come il già citato Marcel “Bruno” Bigeard (1916-2010), e André Botella (1913-1992), Jean “Dede” Brechignac (1914- 1984), Pierre Tourret (1919-1991), e altri. Durante l’ultima settimana di aprile, arrivarono i monsoni, riducendo ulteriormente l’efficacia del supporto aereo per gli assediati. Gli ultimi 4.306 soldati vennero paracadutati fra il 14 marzo e il 6 maggio.
I francesi videro che la sconfitta era imminente, ma cercarono di resistere fino agli incontri di pace di Ginevra, che ebbero luogo il 26 aprile. L’ultima controffensiva francese si svolse il 4 maggio, ma fu inefficace. I Viet Minh iniziarono a martellare le postazioni francesi con missili di fabbricazione russa, e per due giorni fu ancora battaglia, con una serie di attacchi frontali dei Viet Minh, fino alla resa finale del 10 maggio.
Oltre 2.000 dei circa 20.000 legionari francesi morirono durante la battaglia. Dei circa 50.000 Viet Minh, almeno 8.000 morirono e altri 15.000 vennero feriti.
I prigionieri di Dien Bien Phu furono il numero più alto che i Viet Minh riuscirono mai a catturare, cioè 1/3 del totale dei prigionieri dell’intera guerra.
Furono divisi in gruppi. Quelli sani, e i feriti in grado di camminare, vennero costretti a una marcia forzata di quasi 400 km, fino ai campi di prigionia, e in centinaia morirono di malattie lungo la strada. Ai feriti, contati (non meno di 4.500), furono date cure di base fino all’arrivo della Croce Rossa Internazionale, che ne prese in custodia circa mille e diede una migliore assistenza ai restanti, i quali vennero anch’essi inviati alla detenzione.
I campi di prigionia Viet Minh erano tristemente noti. I legionari, di diverse nazionalità, venivano costantemente affamati, picchiati e sottoposti ad abusi, e in molti morirono per le disumane condizioni.
La vittoria dei Viet Minh porto agli accordi di Ginevra del 1954, e alla divisione fra Nord e Sud Vietnam, prevista per essere temporanea, con le due parti che avrebbero dovuto riunirsi a seguito di elezioni nazionali nel 1956. Gli Stati Uniti appoggiarono il governo del Sud, guidato da Ngo Dinh Diem, che si oppose agli accordi, supponendo che Ho Chi Minh dal Nord avrebbe vinto le elezioni, anche se il governo del Sud venne creato in base ai termini di quell’accordo. La continua tensione avrebbe portato poi alla guerra del Vietnam, e a una lunghissima e accanita battaglia senza interruzione durante la grande offensiva del Tet, in seguito alla quale i Viet conquistarono la antica capitale Hue per poi attaccare Saigon e l’ambasciata americana.
I registri della Legion Etrangére e alcune indagini storiografiche, hanno permesso di risalire ai nomi e gradi di diversi italiani, fra cui alcuni giornalisti, che hanno combattuto specialmente in Indocina, specialmente a Dien Bien Phu, guadagnandosi prestigiosi riconoscimenti.
Fra i più noti, Ugo Bezzo (1931-1970). Arruolatosi nella Legione nel 1949 fu assegnato al 1º Reggimento di cavalleria e partecipò alla guerra d’Indocina con il grado di caporal chef. Compì missioni in Algeria, Tunisia e Camerun e si salvò in Algeria in un attentato che fece saltare la jeep su cui prestava servizio con mansione di radiotelegrafista e nel quale morirono gli altri cinque soldati a bordo. Venne decorato nel 1956 con la Mèdaille Commèmorative des opèratione, securitè et maintien de l’ordre nell’Africa del Nord. Bezzo ottenne diverse decorazioni sul campo per missioni condotte in Indocina e si congedò nel 1957 con il grado di brigadier chef.
Rosario Maravigna (1927-1986). Nel 1944 aderì al separatismo siciliano e nel 1945 si arruolò nell’esercito volontario indipendenza della Sicilia. Arrestato nel 1946 per renitenza alla leva, riuscì a fuggire e ad arruolarsi nella Legione. Fu inviato in Indocina e in Algeria. Dopo il congedo si stabilì a Montpellier.
Luigi Riccardi (1927- ), arruolatosi nella Legione nel 1945. Dopo un periodo di addestramento a Sidi Bel Abbes venne inviato in Indocina incorporato nella 13ª Mezza brigata. Decorato con una Croce di guerra d’argento il 30 settembre 1950, una Croce di guerra T.O.C. di bronzo il 23 giugno 1948 e infine con una Medaglia coloniale il 15 marzo 1947. Fu congedato nel 1955 e si stabilì a Roma.
Fulvio Cattaneo (1927-2015) è stato fra gli ufficiali “a titolo straniero”, della Legione. Si arruola nel 1944 con il 26°Reggimento della Francia Libera e congedato nell’agosto 1945. L’anno dopo si arruola nella Legione e in Indocina si guadagna il grado effettivo di sergente, con Medaglia Militare nel 1953 e insignito della Legion d’Onore nel 1961. Nel 1962 è promosso sottotenente e poi capitano, quindi congedato nel 1972. Fino al 1995 è stato il direttore della Casa del Legionario di Auriol, in Provenza. Portò la reliquia della mano del capitano Danjou a Aubagne nel corso della cerimonia di Camerone nel 1988, fu nominato Grand Officier de la Légion d’honneur (2012), decorato della Médaille militaire (1958), ufficiale dell’Ordre national du Mérite, della croix de guerre des TOE (guerra di Indocina) con 7 citazioni, della croce del Valeur militaire (AFN) con 5 citazioni. Fu ferito due volte in combattimento e poté fregiarsi del porto della foraggera TOE del 3º Reggimento straniero di fanteria. Nel maggio 2012 è stato nominato Grande ufficiale dell’ordine della Legion d’onore.
Arsenio Boschetti detto “Corea” (1921- ) si arruolò nella Legione nel 1947 con l’amico Beniamino Leoni e combattéein Indocina. La sua storia è stata raccontata da Luca Fregona nel libro “Soldati di sventura”, edito da Athesia nel 2020. Allo stesso modo Beniamino Leoni (1924-2001) volontario in Grecia durante la seconda guerra mondiale, partigiano nella Resistenza, autista di Tazio Nuvolari nel dopoguerra e minatore in Francia a Billy-Montigny, nel 1944, fu istruttore nel campo di concentramento di Buchenwald della Gioventù hitleriana e conobbe Léon Blum e Mafalda di Savoia. Il 9 maggio 1947 si arruolò nella Legione a Parigi. Trasferito a Sidi Bel Abbes per l’addestramento, nel dicembre fu inviato in Indocina per combattere contro la resistenza dei Viet Minh. Il 20 marzo 1948 disertò passando tra le file degli insorti combattendo contro i francesi. Terminata la guerra nel 1954, passò un anno in Cina, rientrato in Vietnam chiese e ottenne di essere riconsegnato ai francesi. Sottoposto alla Corte marziale a Saigon e accusato di “aiuto illegale” ai Viet Minh, Leoni fu condannato a un anno di carcere. Scontata la pena e riconsegnato alla Legione, a Sidi Bel Abbes fu nuovamente condannato a tre mesi di lavori forzati ed espulso dal Corpo con disonore nella primavera del 1957.Fu decorato dal presidente Sandro Pertini come eroe della Resistenza.
Francesco Panitteri (1921-1990), volontario di guerra, pilota, magistrato, giornalista fu funzionario del Partito Fascista Repubblicano. Si arruolò nel 1948 e partecipò alla guerra d’Indocina, dove perse gamba e un braccio. Nel 1980, nel corso dell’anniversario della cerimonia della battaglia di Camerone a Aubagne, fu il portatore della reliquia della mano di legno del capitano Jean Danjou, risultando il primo italiano ad avere questo privilegio. Fondò 1978 l’Associazione nazionale ex combattenti nella Legione straniera. Nel 1979 fu decorato con la croce della Legion d’Onore.
Giampiero Vigilanti (1930- ) nel 1948 si arruolò nella Legione. Nel 1954 partecipò alla guerra d’Indocina, ove catturato dagli insorti Viet Minh fu sepolto vivo in una buca. Sopravvisse nutrendosi di scarafaggi e fu liberato dopo una settimana dai camerati. Rientrato in Italia si stabilì a Prato. Suo malgrado fu coinvolto nelle indagini relative agli assassini del Mostro di Firenze, ma fu completamente scagionato da ogni accusa. Ereditò da un parente americano una fortuna. La sua vita è stata narrata da Enrico Ruggeri in “Quante vite avrei voluto. 21 storie al bivio”, edito da Rizzoli, nel 2007.
Nello Bardi (1932-1989) prestò servizio nella Legione dal 1949 al 1954 combattendo in Indocina incorporato nello squadrone L.V.T (carri anfibi Alligatori) del 1º Reggimento di cavalleria (REC). Nel 1991 sono state pubblicate le sue memorie legionarie in “Des hommes simplement”.
Antonio Sottosanti (1928-2004) detto “Nino il fascista”, si arruolò nella Legione con il nome di Alfredo Solanti e fu inquadrato nell’ERA (Equipe Reinsegnement Action), una sorta di servizio segreto interno. Militante di estrema destra, si stabilì a Milano e tra il 1966 e il 1969 frequentò il circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, dove conobbe il ferroviere Giuseppe Pinelli. Il 19 giugno 2000 il “Corriere della Sera” in un articolo ricostruì il ruolo di Sottosanti, che assomigliava fisicamente all’anarchico Pietro Valpreda, coinvolto nelle prime indagini su Piazza Fontana. Intervista a Sottosanti.
Giorgio Adamo Muzzati (1932-2009). Si arruolò nella Legione nel 1949. Combatté in Indocina ed entrò nell’Organisation Armée Secrète.
Andrea Funitto ( – ) alla fine del 1949 raggiunse la Francia e si arruolò nei paracadutisti della Legione. Dopo un periodo di addestramento a Sidi Bel Abbes in Algeria, nel 1951 fu trasferito in Indocina, la colonia francese nel sud est asiatico sconvolta dalla guerriglia organizzata dai Viet Minh che si battevano per l’indipendenza. Promosso al grado di sergente, partecipò a numerose azioni di guerra e catturato dai Viet riuscì, dopo una fuga rocambolesca, a rientrare nelle file della Legione. Nel 1953 rientrò in Algeria ove prese parte ad azioni contro la guerriglia locale. Terminato il suo periodo di ferma, nel 1955 si stabilì in Francia a Parigi. La sua avventura legionaria è stata recentemente descritta da Domenico Aceto in “Legionario in Indocina”, edito da Mursia nel 2006.
Julio Lostraco (1911-2005), si arruolò nella Legione prestando servizio tra il 1949 e il 1960 in Algeria, Tunisia, Marocco, Indocina e Madagascar nel 1°, 6°, 3° e 5° REI. Fu decorato della Croce di combattente e della Medaglia Coloniale dell’Estremo Oriente.
Jean Daprai (1929-2019), dopo avere frequentato l’Accademia di belle arti di Brera e la Scuola d’Arte Sacra di Milano, nel 1949, Daprai si arruolò nella Legione rimanendovi fino al 1954. Stabilitosi a Parigi continuò la sua carriera artistica.
Combatte in Indocina anche un noto personaggio delle cronache italiane del dopoguerra, Giulio Paggio (1925-2008), legato alle vicende della formazione estremista comunista nota come “Volante Rossa”. Durante la seconda guerra mondiale è un giovanissimo comandante partigiano della 118a Brigata Garibaldi “Attilio Tessaro” nella zona di Milano-Lambrate con lo pseudonimo di “Alvaro”. Guardia giurata all’Innocenti di Lambrate, è poi comandante operativo della “Volante Rossa”. Ricercato dal 1949 per duplice omicidio premeditato, associazione a delinquere, invasione di aziende e sequestro di persona, con sentenza della Corte d’Assise di Verona del ‘51, è condannato all’ergastolo. Ripara a Zurigo sotto il nome di Oreste Bianchi e nel 1950 si arruola nella Legione Straniera combattendo in Indocina. In seguito si rifugia in Jugoslavia, Russia e Cecoslovacchia sempre protetto dai locali servizi segreti. Nel marzo 1978 è segnalato dal Ministero dell’Interno come sospetto nel rapimento Moro. Il 26 ottobre 1978 il neo-eletto Presidente della Repubblica Sandro Pertini firma il decreto di grazia.
Mario Giannotti (1922-1954) si arruolò nella Legione il 15 ottobre 1949, con la matricola 68.474. Il 5 novembre 1949 viene subito imbarcato per Orano e incorporato nel 4° REI. Il 13 giugno 1950 raggiunge Haiphong e viene distaccato al 5° REI. Il primo ottobre del 1952 viene nominato 1ère classe. Il 7 febbraio 1953 viene inviato presso il CPLEM. Il 29 settembre 1953 firma per altri 18 mesi a partire dal termine del suo primo contratto. Il 17 novembre del 1953 raggiunge Saigon e viene assegnato alla 2ª Compagnia del 1º Battaglione della 13ª DBLE. Il primo aprile 1954 viene nominato caporale. Fu ucciso in combattimento a Dien Bien Phu. Citato all’ordine di Brigata il 4 luglio 1952; medaglia coloniale (brevetto n. 336 448).
Derino Zecchini (1929- ) ex partigiano comunista, nel 1950 si arruolò nella Legione. Prestò servizio in Algeria e in Indocina, dove nel 1951 disertò per passare con la guerriglia Viet Minh. Rientrò in Italia nel 1957. Raccontò la sua avventura nel libro: “Dietro la cortina di bambù. Dalla Resistenza ai Viet Minh. Diario 1946-1958”, a cura di Sabrina Benussi che fu pubblicato nel 2006.
Aldo Ravaioli (1932-2009). Si arruolò nella Legione nel 1950 e compì l’addestramento al 1º Reggimento straniero a Saida. Combattente pluridecorato nella guerra d’Indocina come caporal chef presso il 2° REI si congedò nel 1955. Nel 1961 creò, con Francesco Panitteri, l’ANIEL (Associazione Nazionale ex Legionari della Legione Straniera Francese), a Padova e nel 1997 fu il portatore della mano del capitano Danjou nel corso della cerimonia della battaglia di Camerone a Aubagne.
Carlo Maran (1921-2000), marinaio imbarcato su un cacciatorpediniere prese parte alla seconda guerra mondiale. Emigrato nel 1950 in Francia lavorò come minatore a Maricourt. Il 12 dicembre 1951 si arruolò a Parigi nella Legione. Trasferito a Sidi Bel Abbes fu poi a Meknès, in Marocco, per l’addestramento basico. Nel maggio 1952 fu destinato in Indocina per combattere gli insorti Viet Minh inquadrato nel 2°RE. Partecipò alla Battaglia di Dien Bien Phu, ove catturato fu internato per quattro mesi in un campo di prigionia. Liberato il 10 settembre 1954 ritornò in Algeria. Nel marzo del 1955 tentò la diserzione, ma sorpreso, fu processato ed espulso dalla Legione. Rimpatriato, dopo due anni, emigrò come muratore in Germania. La sua avventura legionaria è stata descritta da Giorgio Coianiz in “La Legione Straniera. 1954 un friulano nell’inferno di Dien Bien Phu”, edito da Aviani nel novembre 2007.
Gian Carlo Chiesa (1936- ) giovanissimo si arruolò nella Legione barando sull’età anagrafica e vi prestò servizio per otto anni. Combatté in Algeria contro i ribelli e in Indocina nella guerra contro i Viet Minh. Mercenario in Congo negli anni sessanta, Carlo Chiesa fu per sette anni agli ordini di Bob Denard e del belga Jean Schramme.
Uno dei più conosciuti, Giovanni Bettazzi (1930- ), romano, nato nel settembre 1930 e arruolatosi nella Legione nel 1952 nelle file del 1°Reggimento B.E.P. Nella battaglia di Dien Bien Phu è nominato caporale-capo sul campo durante la difesa delle posizioni Eliane 3 e 4, poi ferito alla fine di marzo, prigioniero, e costretto con molti altri a merce forzate nella giungla, fino a oltre 850 Km in 40 giorni. Nell’ottobre 1954 raggiunge Sidi-bel-Abbes, e partecipa alla guerra d’Algeria nelle fila della 13a D.B.L.E. Lascerà la Legione nel gennaio 1957. E’ considerato il legionario italiano con più decorazioni militari.
Renato Ghigo (1927-2007) nel 1943 giovanissimo aderì alla Resistenza italiana combattendo fra i partigiani della Val Chisone. Nel 1952 si arruolò nella Legione prendendo parte alla Guerra d’Indocina e alla repressione degli insorti in Algeria.
Antonio Cocco (1934-1954) si arruolò giovanissimo nella Legione nel 1952 abbandonando gli studi scolastici superiori dopo un diverbio con un suo professore. Combattente in Indocina, cadde nel maggio del 1954 a Dien Bien Phu nella difesa della “Ridotta Isabelle”. Postumo, fu pubblicato il suo epistolario consistente in 165 lettere spedite dal ragazzo alla famiglia in due anni, intitolato “Ridotta Isabelle”, vincitore del 33º Premio Pieve Saverio Tutino, il concorso per scritture autobiografiche inedite organizzato dall’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano.
Giulio Salierno (1935-2006), ex neofascista, condannato all’ergastolo e ricercatore. Nato a Roma nel 1935, fu coinvolto a 18 anni in gravi episodi di violenza politica e comune, ricercato in Italia, riparò nel 1953 nella Legione. Arrestato in Algeria nel 1954, fu estradato in Italia. Liberato nel 1968 e riabilitato, condusse la lotta contro le istituzioni manicomiali e totali, e, con altri esponenti politici, tra cui Umberto Terracini, promosse la riforma del sistema carcerario.
Giuseppe Bruno Corbo (1931-2011) si arruola nella Legione Straniera nel 1953, assegnato alla 76/3 Compagnia del Genio, con matricola 97932. Due croci di guerra al valore e quattro medaglie commemorative per le operazioni nelle guerre d’Indocina, di Suez e d’Algeria, oltre l’attestato di “Riconoscenza della Nazione per i servizi resi alla Francia” – tra i pochi ad averlo ricevuto del Ministero della Guerra di Parigi – sono il frutto di 5 anni di arruolamento volontario nella Legione Straniera Francese.
Aurelio Dell’Asino (1928-1954), operaio nelle miniere di potassio dell’Alsazia, si arruola nel 1° R.E.C. il 1º marzo 1952 a Marsiglia con matricola 90761. Combattente nella guerra d’Indocina fu decorato con la medaglia coloniale. Morì per le ferite riportate in battaglia a nord est di Qui-Nhon. Oggi è sepolto nel Sacrario di Frejus e la sua esperienza militare è stata narrata da Alessio Alessandrini in “Il Legionario. Storia di amore e di emigrazione”.
Luigi Comorio (1931-1989) nato a Torino, si arruola nel 1953 sino al 1959 prestando servizio presso il 1º Re e 2° Rei in Algeria, Marocco, Tunisia e Estremo Oriente. Decorato con diverse onorificenze tra cui spicca la Croce al Valor Militare.
Rodolfo “Rudi” Altadonna (1929-1954), figlio di una famiglia altoatesina di lingua italiana che optò per la Germania, nel 1940, a 11 anni, si trasferisce ad Augsburg in Baviera. La famiglia cambia il cognome italiano con uno tedesco e lui diventa Rudolf Springer. Per tutta la durata della guerra è inquadrato nella Hitlerjugend con funzioni di portaordini. Alla fine della guerra, la famiglia torna in Italia e riprende il cognome Altadonna. Nel 1951 Rodolfo svolge il servizio militare nei paracadutisti del Reggimento Nembo. Tornato a Bolzano, trova un impiego come autista del birrificio Forst. Nell’aprile del 1953 si arruola nella Legione a Marsiglia. Il primo gennaio 1954 viene imbarcato per l’Indocina. Muore il 21 aprile 1954 a Dien Bien Phu, il suo corpo viene seppellito sul posto. La notizia della morte viene comunicata ai genitori un anno dopo dal Ministero della guerra francese. La sua storia è stata documentata sul quotidiano Alto Adige. La sua storia è stata raccontata da Luca Fregona nel libro “Soldati di sventura”, edito da Athesia nel 2020.
Emil Stocker (1929-2020), figlio di optanti altoatesini per la Germania a 10 anni viene mandato alla Reichschule fur Volksdeutsche a Rufach in Alsazia, una scuola militare dove viene inquadrato nella Hitlerjugend. Dopo la guerra torna a Merano, nel 1951 firma l’ingaggio nella Legione presentandosi ad un ufficio di arruolamento ad Innsbruck, in Tirolo, all’epoca sotto il controllo francese. Da lì viene spedito a Fort San Nicolas a Marsiglia e poi in Algeria. Nell’estate del 1951 parte per l’Indocina, assegnato alla 11a Compagnia della 13a Demi-Brigade. Dopo due anni, firma per restare altri due in Indocina. È ad Hanoi, nel Tonchino, nel delta del fiume rosso, e partecipa alla difesa di Dien Bien Phu (ridotta Beatrice). Si salva perché quando la base cade è bloccato ad Hanoi. È ad Hanoi quando la città viene consegnata al Vietminh e salpa con l’ultima nave diretta a sud. Si congeda nel 1955. In due album conserva 1.036 foto scattate in Indocina dal 1951 al 1954. Vive a Merano. La sua storia è stata documentata sul quotidiano Alto Adige. La sua storia è stata raccontata da Luca Fregona nel libro “Soldati di sventura”, edito da Athesia nel 2020.
Natale Campigotto (1930-1990), conosciuto col soprannome di “portafortuna”, infermiere ed ex partigiano con il battaglione Gherlenda in Valsugana e nella provincia di Belluno, è un altro che, dopo la seconda guerra mondiale, sceglie la Legion Etrangere e combatte in Indocina.
Altra avventura “al limite” è quella di Enrico Chiapano, detto “Ricù”, descritta in “Storie d’Italia. Viaggio nei Comuni più piccoli di ogni regione” (Riccardo Finelli, Ed. Incontro, 2007): a 8 anni si racconta che voleva provare l’emozione del volo buttandosi con un ombrello dal tetto della scuola. Nel 1944 aderisce volontario alla Repubblica Sociale Italiana. Prigioniero degli inglesi, si arruola nella Legione Straniera e, terminata la ferma, intraprende l’attività imprenditoriale nel settore della raffinazione dello zucchero. Ha trascorsi di mercenario nel Congo Belga, fino al ritorno in Italia dove è chiamato ad assolvere al servizio militare di leva (legalmente non ancora prestato in Italia) a Pisa, nella Brigata Folgore.
Sono solo pochi esempi di uomini dal passato burrascoso, i tanti Giulio Salierno (neofascista e condannato all’ergastolo, autore di libri e membro del Consiglio Nazionale delle Ricerche e anche docente di Sociologia Generale a Teramo); Paolo Fantelli (paracadutisti del 1°REP, Gruppo Delta 21 dell’Organisation Armée Secrète), come la quasi totalità dei legionari, che tuttavia hanno vissuto esperienze storiche, in uno scenario ben più grande di loro.
Zio Ho e il fedele Giàp
Figlio di un modesto funzionario della corte di Annam, seguace di Confucio, a 10 anni Ho Chi Mihn assume il nome di Nguyen Tat Than, “colui che sarà vittorioso”. Com’è noto, nel 1909 si trasferisce a Parigi per studiare, ma svolge nel contempo svariati lavori come operaio, tipografo, poi fotografo e infine giornalista per “Le Paria”, quotidiano di sinistra. Si iscrive al Partito Socialista, poi diventa fervido comunista dopo aver viaggiato in Inghilterra (dove per altro frequenta anche un corso di pasticceria con lo chef Auguste Escoffier), quindi rimane in Francia fino al 1923.
Nel 1918 si unisce a un tentativo di fare riconoscere l’indipendenza del proprio Paese dal governo coloniale, ma non attira l’attenzione voluta, come non sortisce alcun effetto l’intervento alla Conferenza di Versailles, nel ’19, con la presentazione di una istanza ufficiale per il riconoscimento dei pari diritti alla popolazione indocinese. Sono i russi a interessarsi al giovane Ho-Nguyen, che concedono finanziamenti e lo invitano a Mosca, dove entra nel Komintern e diventa agente della Terza Internazionale per il settore Estremo Oriente.
Nel 1930 è a Hong Kong, dove prende parte alla fondazione del Partito Comunista Indocinese, di cui diventa rapidamente figura di riferimento. E’ a questo punto che il piccolo Ho-Nguyen diventa il grande Ho Chi Minh. Nel 1941 rientra in Indocina, per la precisione in Vietnam, dove dichiara l’indipendenza dalla Francia, guidando le prime rivolte contadine. Il passaggio dalle isolate rivolte alla lotta armata senza esclusione di colpi, avviene a causa del bombardamento navale di Haipong, importante base e centro commerciale di primaria importanza, dove muoiono oltre seimila persone.
Ho Chi Minh assume la guida il movimento indipendentista Viet Minh e dirige vittoriose azioni militari contro le forze di occupazione che volevano rioccupare la nazione, perché la Francia manteneva comunque una massiccia presenza militare, nonostante avesse firmato un accordo, già nel ’46, con il quale si riconosceva il Vietnam come stato autonomo all’interno della Federazione Indocinese e dell’Unione Francese. Nel dicembre dello stesso anno inizia la guerra di Indocina che vede da una parte le truppe francesi, con gli alleati cambogiani, laotiani e vietnamiti filo-francesi, e dall’altra il movimento Viet Minh, che inizialmente subisce pesanti sconfitte, a causa della manifesta superiorità tecnica del nemico, ma è proprio con la battaglia di Dien Bien Phu che il vento cambia direzione, e il generale Giàp ottiene la vittoria. Durante la sua presidenza, Ho Chi Minh fu al centro di un vero e proprio culto della personalità, che ebbe un incremento dopo la sua morte. La salma, esposta in un apposito mausoleo ad Hanoi, subì un procedimento di imbalsamazione simile a quello destinato a Lenin, e ad occuparsene fu proprio la stessa équipe russa di medici e tecnici.
La storia del fedele Vo Nguyen Giáp è leggermente differente. Indubbiamente fu un brillante stratega e tattico militare contro francesi, americani e sud-vietnamiti, fino a diventare ministro della Difesa e vice primo ministro, ma nasce in una zona poverissima del Paese, da famiglia contadina. Fu il padre, a prezzo di durissimi sacrifici, che lo indirizzò agli studi in una scuola privata di Hue, dove conosce Phan Boi Chau (1867-1940), rivoluzionario nazionalista che nel 1903 aveva formato un’organizzazione rivoluzionaria chiamata “Società della Riforma” ed era uno dei principali ideologi del nazionalismo, che lo che lo inizia alla politica. Ad Hanoi, dove terminò gli studi diplomandosi al liceo, conosce Ho Chi Minh come autore di agguerriti opuscoli che inneggiavano all’indipendenza, e si manifestò la frattura fra l’educazione scolastica istituzionale a modello francese, perché nonostante gli ideali di uguaglianza, fraternità e giustizia derivati dai principi della Grande Rivoluzione, l’amministrazione coloniale era ben lontana dall’applicarli.
L’università di Hanoi, dove Giàp si laurea in Legge, è un punto d’incontro dove confluivano le idee di Karl Marx (1818-1883) e Friedrich Engels (1820-1895). Entusiasmato da tali letture, decide di iscriversi al Partito Comunista Indocinese, da poco fondato a Hong Kong. Nel 1939, anno in cui il Partito Comunista Indocinese fu messo al bando dalle autorità filo-giapponesi, Giáp riparò in Cina, dove lavorò all’alleanza fra Mao Zedong (1893-1976) e Ho Chi Minh e ottenne anche fondamentali aiuti militari. Nel 1940 Ho Chi Minh gli affidò l’incarico di curare l’organizzazione del Viet Minh e Giàp si mise alacremente al lavoro, reclutando tutti i capi villaggio nel Vietnam settentrionale e addestrando un esercito di guerriglieri. Tornato in patria nel 1945, dopo avere dato il proprio contributo alla sconfitta giapponese vincendo la battaglia di Hanoi, dal 1946 al 1953 si dedica al perfezionamento di tecniche e strategie di guerriglia, diventando un vero maestro.
Ho Chi Minh lo nomina comandante in capo dell’esercito di liberazione, per coalizzare le forze della guerriglia e le sommosse popolari contro i francesi, fino al culmine, la vittoria a Dien Bien Phu. Giàp prese poi parte alla guerra del Vietnam, mantenendo sempre unite propaganda, politica e strategia militare, sconfiggendo ripetute volte sia le truppe sud-vietnamite che americane, e comandando anche reparti Viet Kong dell’aggressivo generale Nguyen Chi Thanh (1914-1967) veterano collega dell’Indocina e autore del piano di quella che sarebbe stata la grande offensiva del Tet del febbraio 1968, che altre fonti storiche attribuiscono invece allo stesso generale Giàp. Dopo la morte di Ho Chi Minh nel 1969, il generale Giàp venne acclamato come presidente della Repubblica, ma fi lui a non voler assumere tale carica, conservando il ministero della Difesa che già occupava di fatto dal 1945. Fu ancora Nghuen Giàp, diventato pilastro del comunismo asiatico, non dittatoriale, ad avere un ruolo fondamentale nella sconfitta del leader cambogiano Pol Pot (1925-1998). Nel 1982, per motivi di salute, rinunciò a ogni carica politica e si ritirò a vita privata, rimanendo però un solido punto di riferimento.
Gli Accordi di Ginevra, seme della discordia
Nelle stesse settimane in cui imperversava la drammatica battaglia di Dien Bien Phu, i rappresentanti dei governi di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Cina, Laos, Cambogia, Unione Sovietica, e i portavoce del governo Viet Minh del regime di Bao Dai, si incontrano a Ginevra per cercare di arrivare a un cessate-il-fuoco.
Dal 26 aprile al 21 luglio 1954, le trattative procedono con lentezza, mentre le truppe Viet Minh conquistano parti sempre maggiori di territorio, puntando verso il sud del Vietnam, mentre dal punto di vista diplomatico, la svolta si ha quando, a Parigi, Pierre Mendès-France (1907-1982) viene nominato primo ministro e subito ha intensi colloqui con il rappresentante cinese Zhou Enlai (1898-1976) allo scopo di evitare qualsiasi tipo di coinvolgimento diretto di Pechino, oltre ad insistere per una divisione del Sud-est asiatico in stati indipendenti ma di piccola estensione, per poterli tenere sotto controllo (in pratica, l’antico principio del dividi et impera). La Francia aveva dovuto altresì cercare di limitare drasticamente il sostegno dei locali governi dell’area al movimento Viet Minh, e una legittimazione di fatto della stessa Cina verso Indonesia, India, e gli altri stati non allineati dell’Estremo Oriente. Stessi colloqui erano avvenuti fra Mendès-France e il portavoce del Nord Vietnam, Pham Van Dong (1906-2000).
Sulla base di questi obiettivi matura la decisione di dividere il Vietnam in due stati, fissando la linea di confine al 17° parallelo: il Vietminh avrebbe governato la parte settentrionale, mentre nella parte meridionale sarebbe rimasto al potere il regime di Bao Dai e del suo nuovo primo ministro, Ngo Dinh Diem (1901-1963). Era stabilito poi che entro due anni una consultazione elettorale avrebbe deciso il destino dei due Paesi.
Il 12 luglio 1954, dopo circa un decennio di guerra, si concludeva la guerra in Indocina e si arrivava al nuovo assetto della regione: Vietnam del Nord con capitale Hanoi, e Vietnam del Sud (con capitale Saigon), quindi riconoscimento di Laos e Cambogia come Stati indipendenti e sovrani. Aveva fine il dominio coloniale francese in Indocina.
L’accordo deludeva comunque sia il movimento Viet Minh, che di fatto guadagnava meno di quanto avesse conquistato durante la guerra; sia il regime vietnamita di Bao Dai, preoccupato per il disimpegno francese e la mancanza di un sostegno militare. Le ultime truppe francesi si ritirano dall’Indocina nell’aprile 1955.
Con gli accordi di Ginevra è quindi regolata la sistemazione territoriale e la sovranità dell’Indocina indipendente dalla Francia. Oltre però alla cessazione delle ostilità, i trattati stabilivano delle zone con rigidi confini a nord e sud, ed è a questo punto che i Viet Minh si vedono privare di una notevole parte di territorio duramente conquistato, sperando nelle elezioni libere previste nel 1956, che avrebbero garantito la presa del potere con il sostegno della popolazione. Nel frattempo, una Commissione Internazionale di Controllo, composta da India, Polonia e Canada, avrebbe supervisionato sul rispetto degli accordi, anche se, a tutti gli effetti, non avrebbe mai avuto alcun potere.
Politicamente, le truppe guerrigliere comuniste erano state decisamente utili per la sconfitta della Francia, e le ideologie nazionalista e comunista andavano strettamente collegate. Per gran parte delle popolazioni del Sud-est asiatico, l’immagine simbolo era quella del contadino combattente per la libertà, e la Repubblica Democratica del Vietnam creata di Ho Chi Minh aveva la strada spianata per vincere le elezioni.
Una grande operazione propagandistica, con particolare attenzione della CIA, aveva mosso circa mezzo milione di persone, in maggioranza cattolici, verso la parte a sud della linea del cessate-il-fuoco decisa a Ginevra. Nonostante questa, oltre 55mila persone scelgono invece di trasferirsi nel Nord.
Nella parte Sud, le elezioni sono vinte da Ngo Dinh Diem, sostenuto da Washington, con il 98% dei voti, e nella capitale, Saigon, pare che la percentuale sia salita al 133%, anche se i “consulenti” americani sostengono si sia trattato di molto meno.
Dinh Diem continua poi a prendere poche decisioni, opponendosi alla strategia dei propri consiglieri americani, inimicandosi sempre di più la popolazione. La conferenza aveva stabilito che le elezioni nazionali si sarebbero dovute tenere nel giro di due anni, ma Diem represse i sostenitori delle elezioni, che non si sarebbero mai tenute.
Davanti a questa certezza, gli oppositori di Diem formano il Fronte di Liberazione Nazionale, conosciuto come Viet Kong, che si comincia a organizzare e ingrandire. Da pochi e isolati attacchi di bande di guerriglieri, i Viet Kong ottengono il sostegno della Armata Popolare del Vietnam del Nord, contro il regime di Diem, sostenuto dagli Stati Uniti, e sempre più decisamente contrario alla trattativa diplomatica, opponendo il fatto di non essere fra i firmatari degli Accordi di Ginevra.
Bibliografia
“I terribili 56 giorni” – Bernard B. Fall 1969;
“La Guerra fredda. Storia di un mondo in bilico” – John L. Harper, 2013;
“Storia della guerra del Vietnam” Stanley Karnow, 1985;
“Due secoli di guerre”, Vol. – Indro Montanelli, Mario Cervi, 1983;
“La tigre e l’elefante. Dien Bien Phu: le origini della strategia vietcong” – Jules Roy.
“Legionario” – Simon Murray;
“La scelta – La mia vita nella Legione Straniera” – Danilo Pagliaro/Andrea Sceresini, 2018;
“Legione di eroi. Voci dalla Legione straniera” – Jean-Vincent Blachard, 2018;
“La Legione Straniera 1954, un friulano nell’inferno di Dien Bien Phu” – Giorgio Coianiz, 2007;
“Legione Straniera: molti gli italiani” – Massimo Nava, “Corriere della Sera”, 2008.
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