Ad un ventennio dagli attacchi alle Torri Gemelle, e dall’inizio di quella che è la più lunga, impegnativa e dispendiosa guerra americana, la situazione appare tutt’altro che chiara, e gli esiti assolutamente incerti. Le truppe americane hanno lasciato l’Afghanistan, consegnando il Paese, e un più che notevole quantitativo di armamenti, ai nuovi padroni di Kabul, i quali si trovano ad essere elemento determinante in un altro tipo di guerra, quella economica che vede il blocco americano opposto a quello asiatico, Cina in prima linea. Oggi i Talebani si notano non tanto per la lunga barba, ma perché sfoggiano con orgoglio divise originali, armi, mezzi e dotazioni “Made in USA”.
Il terrorismo però è ancora vivo, e quanto mai deciso a prevalere, dopo essersi adeguato ai nuovi equilibri. Quali sono state, quindi, quali sono e quali saranno le possibili direttive di questa evoluzione?
Di certo, l’11 settembre ha cambiato ogni possibile prospettiva e gli scenari a cui si era abituati, ma è stato anche l’evento che ha determinato un radicale cambiamento della matrice terrorista. Il fatto è che i media mainstream dell’informazione, molto spesso si focalizzano sul “qui e adesso”, senza indagare abbastanza approfonditamente sulle cause di un determinato effetto come possono essere i fondamenti della Jihad, oltretutto interpretando il termine in modo errato e con accezione negativa, che non corrisponde al reale significato. Jihad significa infatti “La via di Allah”, che non è di natura estremista e violenta se non nella interpretazione fondamentalista.
In sostanza, la Jihad del terrorismo islamico non nasce certo l’11 settembre, né poco prima, e la sua evoluzione ha radici molto complesse, dal momento che il mondo arabo è profondamente diviso nel suo universo interno.
Le Origini
Come Al-Qaeda è una creatura derivata (in parte, ma non del tutto) dall’invasione sovietica alla fine degli anni ’80), così l’Isis è il risultato di una distorta politica americana detta della “esportazione della democrazia”, ma c’è ben altro.
La nascita di Al-Qaeda (“La Base”) si deve all’iniziativa di alcuni combattenti arabi, giunti in Afghanistan per combattere i sovietici, ma i concetti ideologici risalgono a molti decenni prima, quando non esistevano ancora obiettivi globali come il WTC di Manhattan. La decisione di “allargare le vedute” in tal senso, è stata presa dal principale fondatore, Osama Bin Laden, dopo avere constatato che effettivamente era possibile compiere un tale passo, perché il primo scopo era soprattutto avere a disposizione combattenti di provata fede che si unissero a ingrandire le fila dei movimenti nazionali di alcuni Paesi arabi, e che potessero scuotere quei governi locali troppo orientati verso il corrotto Satana occidentale.
L’ideologia è un discorso più ampio. Per averne solo una idea superficiale, bisogna tenere presente il pensiero di alcune figure di riferimento degli anni ’60-’70, e in particolare Abd Al-Salam Al-Faraj e Sayyd Qutb, di origini egiziane.
In quei decenni, i militanti islamisti attivi in Medio Oriente e Nord Africa si erano concentrati su una strategia essenzialmente locale, dando la priorità alla lotta armata contro regimi e governi considerati “nemico vicino”. Infatti, fu proprio il gruppo cui apparteneva Al-Faraj, chiamato Al-Jihad, ad assassinare il presidente Anwar Sadat nel 1981.
Il passaggio a livello più internazionale, ha avuto profonde conseguenze su composizione, obiettivi, modalità della galassia militante, a cominciare dalle implicazioni della rivoluzione iraniana del 979, poi con l’attacco armato alla Sacra Moschea a La Mecca, e quindi ricollegandosi all’invasione sovietica dell’Afghanistan.
Gli sviluppi in Afghanistan hanno avuto conseguenze significative su vari livelli, e rappresentano un momento importante per l’internazionalizzazione della Jihad, ad esempio, la mobilitazione internazionale come effetto della presenza accertata in Afghanistan delle principali figure del movimento estremista, primo fra tutti Osama Bin Laden, ma anche, Abd Allah Azzam e Ayman al-Zawahiri che ne ha raccolto l’eredità.
All’epoca la Jihad era frammentata e caratterizzata da competizione, dibattiti di natura strategica e posizioni differenti in merito alla linea da seguire. Ad esempio, nel 1990, Bin Laden aveva come obiettivo la liberazione della Repubblica Democratica Popolare dello Yemen (Yemen del Sud) dalle forze comuniste, invece, il nucleo egiziano di Al-Jihad, in cui militavano Al-Faraj e Al-Zawahir, aveva come priorità l’Egitto, ma proprio in quegli anni è iniziata una distorta evoluzione, con Al-Qaeda che ha assunto il ruolo di avanguardia, all’insegna di un radicale cambiamento, derivato dalla distorta consapevolezza che, dopo aver avuto ragione del colosso sovietico, sarebbe stato possibile fare un decisivo “salto di qualità”, attaccando anche l’altra grande potenza mondiale, gli Stati Uniti, anche se non ancora direttamente sul proprio territorio. Bin Laden proclamava la “Guerra Santa” contro il Satana americano nel 1996, sfidando nel contempo i suoi alleati in terra araba, contando sul fallimento delle lotte armate islamiste in Paesi come Algeria o Egitto.
Da Ground Zero a oggi
In quegli anni, sono stati attaccati alcuni obiettivi statunitensi all’estero, come le ambasciate in Tanzania e Kenya nel 1998, e altri obiettivi come la USS-Cole nel 2000.
Poi è arrivato l’11 settembre 2001, una decisione che, stando a nuovi studi, indagini e ricerche, non sarebbe stata accettata unanimemente anche all’interno della stessa Al-Qaeda, con osservazioni critiche di varia natura, da quella strategica a quella della dottrina ideologico-religiosa.
Diverse personalità di primo rilievo nella galassia fondamentalista avevano ben previsto che un attacco di tale portata, senza precedenti nella storia, avrebbe ovviamente causato una massiccia rappresaglia internazionale che avrebbe avuto effetti altamente negativi per la stessa Jihad. L’obiettivo principale di Bin Laden, in ogni caso, era quello di portare Al-Qaeda alla posizione di vertice assoluto fra le numerose formazioni di matrice fondamentalista.
L’obiettivo è stato raggiunto, almeno per un certo periodo, ma si sono avute, però, conseguenze dal punto di vista strategico e operativo, con l’avvio della Guerra al Terrore. Ma il discorso apre un campo di discussione sterminato, con le implicazioni e le considerazioni che ben si conoscono.
Al-Qaeda ha pagato il prezzo della leadership con una pressione mai affrontata, fra cui l’uccisione di diversi responsabili e capi, e con la missione della coalizione internazionale in Afghanistan (e Iraq), si è anche trovata nella impossibilità di fare di Kabul e del Paese la principale piattaforma operativa, come era in passato, e quindi costretta a cercare rifugio fra le impraticabili valli montane al confine con il Pakistan. Ciò che però è risultato essere un obiettivo non raggiunto da Al-Qaeda, a causa delle massicce operazioni di contro-terrorismo che ne hanno limitato le capacità operative, è stata la sollevazione delle popolazioni musulmane all’appello alla lotta. Il problema, quindi, era come portare avanti la Jihad e non deludere le aspettative dei finanziatori occulti.
La strategia di espansione regionale adottata da al-Qaeda a partire dal 2003 si sviluppa in quest’ottica: mantenere l’egemonia in ambito militante, acquisire nuove risorse e, al tempo stesso, attaccare obiettivi statunitensi o europei nella regione. Non è chiaro se Al-Qaeda abbia progettato o meno attacchi in grande stile come quelli di Manhattan, di fatto non ne sono avvenuti, a parte gli attentati di Madrid nel marzo 2004, Londra nel luglio 2005 e fino a quelli di Parigi nel novembre 2015 su scala minore, pur con numerose vittime, mentre sul piano regionale Al-Qaeda si è mossa sfruttando le occasioni nei vari teatri per creare branche regionali, a volte unendosi a gruppi locali, altre volte inviando i propri emissari a prendere le redini.
Perseguendo tale progetto, la prima diramazione prende corpo nel 2003 in Arabia Saudita che pochi anni dopo si fonde con la branca yemenita dando origine alla formazione nota come Aqap (Al-Qaeda della Penisola Arabica). Parallelamente nasceva la branca irachena comandata dal famigerato militante sunnita Abu Musab Al-Zarqawi e precursore dell’Isis, a seguito dell’intervento della coalizione nella guerra scatenata da Saddam Hussein contro il Kuwait. Si trattava di un gruppo già fondato dallo stesso Al-Zarqawi alla fine degli anni Novanta e affiliato ad Al-Qaeda nel 2004, con il nome “Al-Qaeda della Terra dei Due Fiumi”, e costituisce un caso emblematico perché ha mostrato i problemi che possono sorgere quando un’organizzazione madre accetta una alleanza “di convenienza” con una formazione che ha già una propria struttura, obiettivi e dinamiche. Infatti, la strategia di Al-Zarqawi in Iraq era concentrata non solo su attacchi alle strutture governative locali, ma anche contro la stessa popolazione sciita.
Successivamente, Al-Qaeda si è espansa nel Maghreb e nel Sahel, creando Aqim nel 2007 (Al-Qaeda del Maghreb Islamico), ma anche in questo caso si è trattato di affiliazioni a gruppi preesistenti, soprattutto con la formazione salafita GSPC. Nell’ultimo decennio, la galassia fondamentalista islamica ha subito nuove trasformazioni, soprattutto per l’affermarsi dello Stato Islamico di Abu Bakr Al-Baghdadi, noto come Isis o Daesh.
Nel maggio 2011 nuovo sconvolgimento, con la morte (?) del leader Osama Bin Laden, localizzato a Abbottabad, in territorio pakistano, e la seguente scomparsa dell’ideologo Atiyyat Allah al-Libi.
Il medico egiziano Ayman Al-Zawahiri prese il comando, ma ben lontano dal carisma del predecessore, e quindi oggetto di critiche in particolare per quanto riguardava l’autorità sulle diramazioni regionali di Al-Qaeda e sulla mancanza di controllo nelle rivolte della Primavera Araba. Di fronte alle manifestazioni popolari, Al-Qaeda si è posta importanti interrogativi in merito alla posizione da adottare.
In questo nuovo contesto, la formazione fondamentalista ha dovuto imprimere una nuova spinta alla strategia da adottare. Già durante gli anni Duemila, in seguito alla crisi irachena (dove gli eccessi di Al-Zarqawi avevano causato una diffusa ostilità popolare) Al-Qaeda ha ripensato il proprio approccio, per evitare gli errori del passato, tornando a mettere al primo posto nei propri interessi l’approccio verso le varie popolazioni della regione, nel tentativo di radicarsi nel tessuto sociale e politico.
Al-Zawahiri presentava Al-Qaeda come alleato della popolazione di fronte al comune nemico (governi e regimi mediorientali e nordafricani allineati all’Occidente), tanto da scrivere e diffondere un libro, nel 2013, intitolato “Linee guida per la Jihad”, in cui raccomanda agli affiliati di non commettere atti di violenza nei confronti della comunità musulmana sciita.
Tuttavia, il contesto successivo al 2010, caratterizzato da conflitti, instabilità e gruppi armati in Paesi quali Yemen, Siria o Libia, ha determinato la volontà di infiltrarsi nelle amministrazioni statali di vari Paesi con una propria struttura proto-statale, andando oltre la lotta armata, e arrivando a gestire anche veri e propri servizi come mantenimento dell’ordine pubblico, amministrazione della giustizia, proselitismo, e altro ancora. Al tempo stesso, si sono consolidate dinamiche di diversificazione e competizione interna alla galassia jihadista, con l’emergere di nuove divisioni, specialmente in seguito allo scoppio della guerra civile in Siria, evento anch’esso calcolato a tavolino da diversi attori, certo non solo regionali.
Il caso Daesh e l’Afghanistan
Il principale sviluppo è rappresentato dall’ascesa dello Stato islamico, che inizialmente si è proposto come vero e proprio rivale di Al-Qaeda. La competizione fra i due gruppi ha portato a una crescente separazione di programmi e strategia, perché l’Isis (almeno a partire dal 2014), si è trovato impegnato su due fronti, contro il “nemico vicino” nel caso Siria-Iraq, e contro il “nemico lontano”.
Al-Qaeda, invece, ha continuato ad avere come obiettivo principalmente USA ed Europa mentre agiva per consolidare le alleanze dei Paesi allineati, in Medio Oriente e Nord Africa.
Un caso ancora diverso è stata l’affermazione del gruppo militante Hayat Tahrir al-Sham (HTS), che si presentava come “la terza via della Jihad”, originariamente affiliato ad Al-Qaeda, da cui successivamente ha preso le distanze. Una formazione caratterizzata da un approccio decisamente più pragmatico nel contesto regionale, con legami consolidati in Turchia. Su questa scia, stesso discorso per gruppi quali Ahrar al-Sham, oggi nella coalizione pro-turca di Al-jabha al-Wataniyya lil-Tahrir (Fronte Nazionale di Liberazione)
L’emergere e il consolidarsi di due poli nella galassia jihadista – uno orbitante attorno alla “tradizionale” al-Qaeda, l’altro gravitante attorno all’Isis – rappresenta un fatto senza precedenti. L’Isis non è stato un elemento del tutto nuovo nel panorama iracheno e mediorientale post-2010, poiché, com’è noto, nasce come affiliato ad Al-Qaeda e ha poi assunto diversi nomi e passato attraverso varie trasformazioni. Le relazioni fra Al-Qaeda e l’allora affiliato iracheno, avevano già avuto contrasti non leggeri, e i rapporti fra Bin Laden e Al-Zarqawi, leader della branca irachena, non sono mai state distese come si crede, fin dal primo incontro in Afghanistan alla fine degli anni Novanta. Negli anni Duemila sono emerse divergenze di coordinamento e sulla strategia da seguire, con Bin Laden e Al-Zawahiri che guardavano con preoccupazione l’approccio brutale di Zarqawi.
Nell’aprile 2013 Abu Bakr al-Baghdadi annunciava la nascita dello Stato Islamico dell’Iraq e nel Levante, che avrebbe assorbito sia il precedente “Stato Islamico dell’Iraq”, sia la branca siriana Jabhat al-Nusra li Ahl al-Sham. Infine, nel febbraio 2014, Al-Zawahiri ufficializzava la rottura fra al-Qaeda e Isis e, poco dopo, avveniva il passo decisivo, con la proclamazione del Califfato di Raqqa.
Da allora, il gruppo si presenta semplicemente come “Stato Islamico”. Non si tratta di un cambio di nome o di una semplice formalità, ma di una mossa con profonde conseguenze sia a livello ideologico che operativo. Con la proclamazione del Califfato, Abu Bakr Al-Baghdadi voleva affermare l’esclusività di Daesh, per cui ogni altra formazione jihadista perdeva la propria legittimità, compresa (e soprattutto) Al-Qaeda. L’annuncio mobilitava grandi flussi di sostenitori da numerosi Paesi, che si sono recati in Siria e Iraq (i cosiddetti foreign fighters). Secondo le stime, in Siria e Iraq pare siano convenuti non meno di 40mila combattenti, uomini e donne.
Nel periodo di massima espansione fra il 2014 e il 2017, Daesh ha rivendicato numerosi attacchi al di fuori di Siria e Iraq (in Medio Oriente, Nord Africa, Europa, Stati Uniti, ecc.). In molti casi, si è trattato di attacchi “ispirati”, con deboli legami operativi o privi di questi legami con l’organizzazione: è quanto accaduto, ad esempio, con l’attacco di Nizza del luglio 2016. Invece, in alcuni casi più rari, come gli attacchi di Parigi nel novembre 2015 e Bruxelles nel marzo 2016, si è trattato di attacchi organizzati dal gruppo. In particolare, nel periodo compreso fra giugno 2014 (momento in cui è stato proclamato IS) e giugno 2017, nei Paesi europei, negli Stati Uniti e in Canada si sono registrati 51 attacchi.
Con l’intervento della coalizione internazionale a guida statunitense del 2014, l’Isis ha visto progressivamente ridursi i propri domini, fino alla perdita del villaggio siriano di Baghouz, nel marzo 2019, ultimo avamposto.
Più specificatamente, nel giugno 2019, l’Isis abbia preso campo in Africa occidentale con il gruppo definito Iswap (Islamic State West Africa Provinc), poi nel Grande Sahara con l’Isgs (Islamic State Greater Sahara) che in seguito si sono uniti, e il cui leader Abu Walid al-Sahrawi è stato recentemente ucciso da un drone francese. Il caso del Sahel è particolarmente significativo per i rapporti fra Al-Qaeda e Isis poiché, fino a poco tempo fa, si trattava dell’unica regione in cui le branche locali dei due gruppi sostanzialmente si tolleravano, evitando lo scontro aperto ove possibile. Tuttavia, a partire dalla primavera 2020, anche la regione del Sahel ha cessato di essere un’eccezione, venendo inglobata nelle dinamiche della rivalità fra le due formazioni, e con un’escalation di violenza tra Isgs e il nuovo gruppo Jnin (Jamaat Nusrat al-Islam wal-Muslimin), emanazione di Al-Qaeda.
Un altro affiliato dell’Isis, di cui recentemente si è parlato molto è la sua diramazione afghana della Iskp (Islamic State Khorasan Province), responsabile dell’attacco all’aeroporto di Kabul di fine agosto 2021. In questo caso, si tratta di un gruppo attivo dal 2015, formato da ex membri dei Talebani e da alcuni ex appartenenti ad Al-Qaeda.
Infine, nell’ottobre 2019, durante un’operazione statunitense nel nord-ovest della Siria Al-Baghdadi è stato ucciso. Si ritiene comunque che, allo stato attuale, circa 10mila miliziani di Daesh siano attivi fra Iraq e Siria, specialmente nella regione centro-orientale della Siria e nell’ovest dell’Iraq.
Considerazioni finali
E’ evidente, a questo punto, come la Jihad sia tutto fuorché un fenomeno statico. Anzi, ha dimostrato di essere l’opposto, in grado di adattarsi ai cambiamenti sociali e politici che emergono nelle diverse aree di crisi. I principali punti fermi di queste trasformazioni sono stati l’invasione sovietica dell’Afghanistan del 1979, gli attacchi dell’11 settembre, l’invasione statunitense dell’Afghanistan (2001) e dell’Iraq (2003), nonché le rivolte arabe del 2011. Eventi che hanno determinato nuove alleanze, e in altri casi hanno accelerato le divisioni interne. I recenti avvenimenti in Afghanistan, con il ritiro delle truppe statunitensi e la vittoria dei Talebani sembrerebbero aggiungersi a questo elenco, posto che, come ultima fase, oggi in Afghanistan si stanno combattendo Talebani e miliziani dell’Isis.
Al-Qaeda, attualmente si trova in una posizione complessa, ma la leadership di Al-Zawahiri è riuscita a mantenere a galla il gruppo, ponendo una distanza ancora maggiore e netta rispetto all’Isis.
Ci si chiede se il ritiro degli Stati Uniti e il ritorno al potere dei Talebani in Afghanistan possano rafforzare Al-Qaeda, considerando che Al-Zawahiri aveva prestato giuramento di fedeltà a Hibatullah Akhundzada, leader supremo dei Talebani.
Alla luce del vergognoso accordo USA-Talebani, è pensabile che questi ultimi, impegnati nella ricerca di una legittimità internazionale, facciano pressioni su Al-Qaeda perché mantenga un basso profilo, per non ostacolare i progetti dell’Emirato Islamico. Da parte sua, l’Isis potrebbe trarre beneficio dalla destabilizzazione in Afghanistan, propagandando i Talebani come rinnegati della Jihad, per l’accordo concluso con Washington e sottraendo, a proprio vantaggio, risorse materiali, combattenti e finanziamenti.
Bibliografia
“Foreign Military Studies Office, Whither the Taliban?” – Ali A. Jalali/Lester W. Grau;
“Globalized Islam” – Roy Olivier, 2004;
“Al Qaeda – La vera storia” – Jason Burke, 2004;
“Al-Qaeda, Terrorist Selection and Recruitment” – Sara Daly/Scott Gerwehr, 2005;
“The Search for al-Qaeda. Its Leadership, Ideology, and Future” – Bruce Riedel, 2008;
“Islamic State builds on al-Qaeda lands” – BBC News, 2015;
“This Is the Promise of Allah” (Dichiarazione dello Stato Islamico), 29 giugno 2014.
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