Il 16 marzo 2018, nel quadro delle celebrazioni della città di Palermo nominata in quell’anno capitale della cultura, è tornato in mostra ed esposto a Villa Zito, il celebre dipinto di Giovanni Boldini “Ritratto di Donna Franca Florio”, la bellissima aristocratica, icona e simbolo della Belle Époque siciliana. All’inaugurazione dell’evento erano presente tra gli altri il sindaco Leoluca Orlando, il critico d’arte Vittorio Sgarbi ed i marchesi Marida ed Annibale Berlingieri, recenti proprietari del quadro. Il dipinto era stato esposto nel 2017 in una mostra monografica al Vittoriano e poi a Venaria Reale. La storia pittorica di questo grande olio su tela, alto 221 cm e largo 119,4 cm, è stata chiarita grazie ad accurate analisi scientifiche da parte dello staff della casa d’aste Bonino di Roma, che ha venduto l’opera all’incanto nel 2017 per 1.133.000 euro. Gli esperti hanno dimostrato come le altre due presunte versioni dell’opera, considerate disperse, sono in realtà presenti sotto la vernice della versione attuale. Sono stati rivelati diversi strati di ridipintura nella parte centrale ed inferiore del dipinto probabilmente eseguiti intorno al 1915 e poi completati nel 1924 anche se questa data, che figura accanto alla firma di Boldini, si riferisce probabilmente all’anno di vendita. Lo studio ha permesso di correggere una bibliografia quasi centenaria che riteneva l’opera una seconda versione di quella iniziata a Palermo nel 1901 ed esposta alla biennale di Venezia del 1903. Giovanni Boldini aveva conosciuto i Florio a St. Moritz nel 1898 e, sensibile come era al fascino femminile e forte del successo che aveva con le donne malgrado il suo aspetto fisico non certo attraente, tozzo ed alto poco più di un metro e mezzo, era rimasto stregato dalla beltà e dalla classe di donna Franca. Nell’aprile del 1901 si era recato da Parigi, dove aveva lo studio, a Palermo, ospite dei Florio, per farle il ritratto, ma al marito, il geloso e ricchissimo imprenditore Ignazio Florio, che aveva commissionato l’opera anche per il prestigio sociale che ne derivava dall’affidare al ritrattista più famoso dell’alta società europea l’immagine della stupenda consorte, il quadro non piacque perché donna Franca appariva troppo sensuale, con una scollatura pronunciata, la gonna attillata che ne magnificava le forme ed arrivava appena sotto il ginocchio mettendo in risalto le splendide gambe. Boldini allora si fece spedire il quadro a Parigi e vi apportò le modifiche richieste allungando l’abito fin quasi ai piedi ma lasciando inalterato il viso, lo sguardo sognante nella sua seducente femminilità, e la splendida collana di 365 perle di Cartier, più lunga di quella posseduta dalla Regina Elena di Savoia, uno dei tanti gioielli regalatole dal marito per farsi perdonare le sue frequenti infedeltà, in questo caso un breve flirt con Bice Lampedusa, madre dell’autore del “Gattopardo”. Su un taccuino Boldini aveva tracciato un disegno di donna Franca datato all’epoca del ritratto, con le gambe inguainate in calze nere e giarrettiere in bella evidenza ed aveva scritto a margine “Giornata memorabile”. Renato Guttuso, in un articolo sull’Unità dell’11 marzo 1986, commentando quel disegno parla di “un Boldini al pieno della sua abilità, sciolto e veloce d’occhio e di mano, e, credo, emozionato, come raramente gli deve essere accaduto nella sua carriera di pittore di belle donne” ed aggiunge: ”Non è il caso di fare congetture. Il disegno è indizio solo del rapporto particolare che si era generato tra il pittore ed il suo modello /…./ una donna conscia della sua bellezza e che vuole mostrare come tale bellezza si riveli anche in una parte del corpo solitamente privata e segreta”. Un rapporto fondato sulla bellezza, conclude Guttuso, cioè dalla voglia di donna Franca, moglie e madre esemplare, “di rendere partecipe il famoso pittore di una parte non conosciuta, né conoscibile, della sua bellezza”.
Quando la fortuna dei Florio, dopo la Grande Guerra, inizia precipitosamente a crollare, il pagamento del ritratto di donna Franca, che nel 1924 è ancora nello studio parigino di Boldini, non è ancora saldato ed il pittore lo vende nel 1927-28 al barone Maurizio Rothschild. L’opera riappare nel 1933 nella Galleria Wildenstein di New York in una retrospettiva dedicata a Boldini; è confiscata nella seconda guerra mondiale durante l’occupazione di Parigi dai nazisti che la portano in Germania, ritorna poi ai Rothschild che ne affidano la vendita a Christie’s nel 1995; riappare in asta da Sotheby nel 2005 dove è comprata dalla Società Acqua Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone e destinata al Grand Hotel di Villa Igiea a Palermo appartenente alla società, ed infine, come già detto, esitata nel 2017 da Bonino in seguito al fallimento della società di Caltagirone, ed acquistata dai marchesi Berlingieri per Palazzo Mazzarino, edificio di loro proprietà sito nella centralissima via Maqueda a Palermo.
Franca Jácona è figlia del barone Jácona della Motta di San Giuliano e di Costanza Notarbartolo di Villarosa, appartenenti ad antica nobiltà siciliana con ascendenze da importanti viceré spagnoli, ma, come gran parte dei nobili isolani, poveri. Franca è una donna di bellezza incomparabile, con un viso dall’ovale perfetto, i capelli corvini ed una pelle ambrata su cui risaltano gli occhi verde-grigio, possiede una figura slanciata ed armonica con una statura di un metro e 73 centimetri, veramente notevole per l’epoca se si pensa che, prendendo ad esempio i dati del 1914, in quell’anno l’altezza media delle donne italiane è di 154 cm e quella degli uomini di 165 cm. Lo stesso Mussolini non arriva a 169 cm, per non parlare di re Vittorio Emanuele III, alto 153 cm e soprannominato irrispettosamente “sciaboletta” in quanto era stata forgiata per lui una sciabola di dimensioni ridotte altrimenti quella normale rischiava di strisciare per terra e farlo inciampare. Dopo un fidanzamento durato due anni e contrastato in quanto la famiglia Jácona non vedeva di buon occhio il ricchissimo don Ignazio Florio, già molto chiacchierato per la sua fama di donnaiolo, Franca, nel 1893, a 19 anni, lo sposa ed entra immediatamente, grazie alla sua classe, simpatia e charme nel mondo dell’élite cittadina dove i Florio erano diventati un punto di riferimento per ogni manifestazione mondana e culturale. L’ingente patrimonio che avevano accumulato diversificando le loro varie attività nei settori produttivi più trainanti, aveva permesso a questa famiglia di modeste origini, di accedere non solo all’aristocrazia isolana più esclusiva, ma in seguito anche alla più titolata aristocrazia europea.
I fondatori della dinastia, i fratelli Paolo ed Ignazio nascono a Bagnara Calabra negli anni settanta del 1700 e si trasferiscono giovanissimi, probabilmente in seguito alla forte crisi economica avvenuta in Calabria dopo il terremoto del 1783, a Palermo dove proseguono la loro attività di “aromatari”, come erano definiti i mercanti che trattavano spezie, coloniali, balsami, impiastri ed unguenti, acquistando un negozio nel centro commerciale della città. Alla loro fortuna contribuisce l’esclusiva di vendita del chinino, che era l’unico farmaco valido per combattere la malaria allora molto diffusa. Gli affari vanno bene ed i Florio allargano i loro interessi grazie all’intraprendenza di Vincenzo I (1799-1868) e l’attivismo industriale del figlio Ignazio; insieme avviano oltre ad attività finanziarie, con la creazione del Banco Florio, una miriade di altre imprese: la produzione di vini marsala fino ad allora dominio esclusivo di grandi imprenditori britannici come gli Ingham, la nascita della Società dei Battelli a Vapore che diverrà poi nel 1891 la Società di Navigazione Italiana, NGI, fondendosi con la Compagnia degli armatori genovesi Rubattino che porterà a disporre di una flotta di cento navi, la cantieristica navale, l’apertura di una moderna fonderia presso la foce del fiume Oreto per produrre in proprio caldaie, motori e parti meccaniche per la flotta e dove verranno realizzati quei complessi decori in ghisa che saranno una cifra distintiva del liberty siciliano, la fondazione della Ceramica Florio grazie ad un accordo con la Richard Ginori per produrre mattonelle e maioliche artistiche, lo sfruttamento delle tonnare di Favignana e la produzione, usando antiche ricette, di tonno inscatolato conservato sott’olio anziché in barili sotto sale e quindi molto più commerciabile, l’acquisto delle isole Egadi, connesso alle tonnare, dove promuove insediamenti abitativi, l’estrazione dello zolfo, le saline, oltre ad attività che riguardano il tessile (il cotonificio Arenella) e l’industria vetraria. Ignazio, all’arrivo di Garibaldi, sceglie con lucido intuito di giurare fedeltà ai Savoia ottenendo in seguito la nomina a senatore del regno. La ricchezza dei Florio è sconfinata, sono noti all’estero, a Parigi come a Londra, anche se le malelingue li definiscono “i nipoti del droghiere”. Comunque, grazie a loro, Palermo assurge ad un’importanza e notorietà a livello italiano ed europeo, che non raggiungerà mai più negli anni successivi al tramonto della dinastia Florio. Ignazio muore improvvisamente, a 53 anni, nel 1890 ed il primogenito Ignazio jr., a 21 anni, si trova a dovere gestire gli affari e la conduzione di un impero commerciale ed industriale tra i maggiori d’Italia. Il giovane, noto fino ad allora solo per le sue avventure amorose, si mostra, almeno agli inizi, all’altezza della situazione. Grazie al successo dell’Esposizione Nazionale del 1891 a Palermo, inaugurata dal re Umberto I e dalla regina Margherita, dovuto all’iniziativa di Ignazio senior e portata avanti dal figlio, questi ottiene nel 1893 l’appalto con la sua NGI per il servizio postale ed i collegamenti navali Sicilia-Continente per 15 anni. La cifra corrispondente che entra nelle casse dei Florio è elevatissima e scatena le proteste degli altri concorrenti, ma Ignazio può contare sull’appoggio dei parlamentari siciliani Francesco Crispi e il marchese Antonio Starabba di Rudinì, che sperano in tal modo di aiutare la traballante economia dell’isola.
In questa girandola di lucrose attività si inserisce perfettamente donna Franca che, grazie alla sua beltà, la sua intelligenza, la simpatia e la capacità di intessere rapporti ed amicizie importanti anche internazionali grazie alla conoscenza di tre lingue, contribuisce in modo fondamentale alla gestione dell’impero della famiglia. Come nota Alfio Caruso “Ignazio e Franca vengono considerati i massimi esponenti del glamour europeo: giovani, bellissimi, dai mille interessi, di una prodigalità all’apparenza senza confini”(1). Il fascino di Franca conquista stuoli di ammiratori, i giornali la includono tra le cinque donne più belle del mondo, D’Annunzio, che la incontra a Venezia, la definisce “l’unica” e così la descrive sul suo taccuino “ …alta, snella, flessuosa, ondeggiante /…./ Ella è bruna, dorata, aquilina e indolente. Un’essenza voluttuosa, volatile e penetrante, emana dal suo corpo regale. Ella è svogliata e ardente, con uno sguardo che promette e delude”. Ma deluso resta il Vate, come i tanti artisti, imprenditori, politici e banchieri che frequentano casa Florio e finiscono immancabilmente per invaghirsi di donna Franca, il cui comportamento rimane però sempre irreprensibile. Il suo fascino colpisce il Kaiser Guglielmo II che la chiama “La stella d’Italia”; l’anziano sovrano del regno austro-ungarico Francesco Giuseppe le regala una tromba eguale a quella della sua auto, che le consente di godere, quando si trova a girare in macchina per le strade di Vienna, del rispetto e degli stessi privilegi riservati alla vettura dell’imperatore. Altra nobiltà e teste coronate sono ospiti dei Florio nell’imponente villa della vasta tenuta dell’Olivuzza, tra questi i sovrani della Gran Bretagna Edoardo VII con la moglie Alessandra, Francesco Ferdinando arciduca ereditario d’Austria e lo zar Nicola II ospite a villa Florio all’Arenella. Banchieri come i Morgan, i Vanderbilt, i Rothschild scendono a Palermo per affari ma anche per godere della munifica ospitalità e della sfolgorante bellezza di donna Franca, e così molti artisti come Pietro Canonica, che ne esegue una scultura-ritratto del busto a grandezza naturale, i pittori Giovanni Boldini e Francesco Paolo Michetti, letterati come Guy de Maupassant, Oscar Wilde, Robert de Montesquieu che le dedica un’ode, D’Annunzio e Matilde Serao che la definisce “divina immagine muliebre”, musicisti da Leoncavallo a Mascagni, Puccini e Wagner, ed il tenore Enrico Caruso. Si racconta che alla Scala di Milano, durante un applauso, il maestro Arturo Toscanini si era girato verso la platea per omaggiare con un inchino il palco dove era entrata l’incantevole donna Franca.
Parallelamente i coniugi Florio si dedicano ad attività filantropiche, creando una scuola per le giovani lavoratrici analfabete della società tessile, un fondo per gli operai bisognosi, l’Istituto dei Ciechi a Villa del Pigno, il primo del genere ad essere aperto in Italia, gli asili nido all’interno delle aziende, e ad attività culturali come, grazie ad un grosso impegno finanziario, il completamento del Teatro Massimo, progettato dall’architetto Giovan Battista Basile e concluso dal figlio Ernesto dopo oltre venti anni di problemi d’ogni genere, che darà a Palermo il più grande teatro lirico italiano e terzo in Europa, dopo l’Opéra di Parigi e lo Staatsoper di Vienna. Nel 1900 Ignazio fonda il quotidiano “L’Ora”, diretto in un secondo tempo dal napoletano Edoardo Scarfoglio, che accoglie scritti di D’Annunzio e di grandi giornalisti e scrittori dell’epoca, ma serve anche ad Ignazio per difendere i propri interessi imprenditoriali e fronteggiare critiche ed attacchi da parte di concorrenti, amministrazioni locali e politici. Per merito dei coniugi Florio, negli anni a cavallo del 900, Palermo si va sprovincializzando e tenta di affiancarsi alle più importanti città europee. In quegli anni i Florio, scrive Federico Guastella “rappresentano, in chiave antigattopardesca, gli uomini simbolo delle capacità imprenditoriali meridionali // e di una Sicilia produttrice di lavoro e ricchezza, sottratta all’immobilismo tradizionale della rendita parassitaria” (2). Alla fine dell’800, su incarico di Ignazio, l’architetto Ernesto Basile, notissimo esponente del Liberty, realizza da un complesso residenziale preesistente alle falde del monte Pellegrino affacciato sul porto dell’Acquasanta acquistato dai Florio, il grandioso albergo Villa Igiea i cui arredamenti sono seguiti da donna Franca in un tripudio di lusso e di eleganza ed al cui interno i Florio si riservano un grande appartamento. All’inaugurazione, il 19 dicembre 1900, accorrono i giornalisti delle più importanti testate italiane ed internazionali, come il Corriere della Sera, Le Figaro, il Daily Mail ed il New York Times. Come nota Nello Ajello, “Franca Florio viveva fra cronaca e leggenda. Leggenda erano le sue toilettes, la sua servitù, le sue villeggiature, da Saint-Moritz a Beaulieu-sur-mer, i teatri che frequentava e che finanziava, gli yachts su cui navigava, le case che abitava, dalla villa dell’Olivuzza all’appartamento in Villa Igiea alla dimora di Favignana”(3).
Sono gli anni di massimo splendore, della sfavillante Belle Époque, vissuti senza minimamente badare a contenere le enormi spese per i gioielli e l’abbigliamento (donna Franca indossa abiti tagliati esclusivamente per lei dal grande couturier parigino di origine britannica Charles F. Worth), e quelle di rappresentanza che riguardano le ville, la servitù, la manutenzione di sei panfili, tra cui il lussuosissimo yacht “Sultana”, i costosissimi ricevimenti e gli innumerevoli viaggi.
Donna Franca viene nominata Dama di Corte della Regina Margherita, ma intanto il matrimonio comincia a incrinarsi, Ignazio non rinuncia ad inseguire le belle donne e Franca, che ne è al corrente, ne soffre profondamente. Il marito cerca invano di consolarla e farsi perdonare con promesse di fedeltà mai mantenute e regali di stupendi gioielli costosissimi, opere uniche dei più famosi artigiani europei, da Cartier a Lalique. Franca non lascia trapelare la sua pena, e mantiene con grande dignità il suo ruolo nella vita mondana e nell’ambito familiare. In una occasione però seppe reagire, e fu quando il marito, invaghitosi della cantante Lina Cavalieri, allora considerata la donna più bella del mondo, si impegnò per farla scritturare alla Scala di Milano e poi al Teatro Massimo di Palermo dove si sarebbe esibita nella Bohème di Puccini. Qui fu sommersa dai fischi orchestrati da donna Franca che aveva organizzato, sia in platea che tra i loggionisti, una claque ostile molto agguerrita. La Cavalieri scappò piangendo da Palermo per rifugiarsi in una villa presso Firenze che Ignazio le aveva regalato. Poco dopo, quando l’imprenditore siciliano andò a trovarla nella villa toscana, la governante balbettò che la signora Lina si era trasferita in una villa vicina, La Capponcina, ospite di Gabriele D’Annunzio, ed Ignazio dovette tornarsene furibondo in Sicilia. Forse la sua conquista più chiacchierata fu quella della ballerina, cantante e cortigiana di origine spagnola Augustina Carolina Otero Iglesias, in arte Carolina Otero, soprannominata, per la sua smagliante avvenenza “La bella Otero”, che contava tra i suoi amanti il re Edoardo VII del Regno Unito, lo zar Nicola II, i reali di Serbia e Spagna, il magnate Vandebilt e l’immancabile D’Annunzio. Per farla capitolare, Ignazio ordinò a Cartier un incredibile gilet di smeraldi, col quale, appoggiandoglielo sul seno nudo, riuscì a piegare la debole resistenza della vedette. Tornato a Palermo, agli amici impazienti di avere notizie su quel mitico seno, rispose con noncuranza “Dui pipittuna!” (due grossi cedri) per descriverne palpabilmente le dimensioni e la soda compattezza!
Ma altri e gravi dolori colpiranno donna Franca segnandone irrevocabilmente la vita. Muore, a nove anni, la prima figlia Giovanna di meningite o forse di tisi, Ignazio, l’unico figlio maschio sul quale il papà aveva riposto tutte le sue aspettative e speranze per il futuro della dinastia, viene a mancare l’anno seguente, nel 1903, per cause ignote, e Giacobina, nata nove mesi dopo, muore dopo il parto. Restano Igiea e Giulia, ma l’impatto di questa tragica serie di lutti sui coniugi Florio è terribile. Donna Franca riesce, con grande forza d’animo, a riprendere faticosamente la vita mondana come imponeva la sua posizione di “regina” di Palermo. Viaggia moltissimo, frequenta i tavoli da gioco e l’amata roulette; quando nel 1906 il fratello del marito, Vincenzo Florio, imprenditore sportivo, organizza nel circuito delle Madonie la gara automobilistica che diventerà la famosa “Targa Florio”, è Franca a premiarne i vincitori con una targa in bassorilievo disegnata da René Lalique.
Intanto, soprattutto dopo gli anni venti, gli affari connessi alla gestione delle varie imprese peggiorano vistosamente. Cominciano ad emergere le incompetenze finanziarie e manageriali di Ignazio e la sua inadeguatezza a proseguire l’opera del padre e del nonno per la sua incapacità di rinnovare, al passo coi tempi, le strategie industriali; continua a spendere senza criterio somme enormi con un decisionismo spesso impulsivo ed irrazionale per attività che presto si dimostrano fallimentari. Inoltre il lusso sfrenato e costosissimo in cui si ostina a vivere la famiglia rischia di divenire insostenibile. Lo Stato Italiano decide di tagliare le convenzioni con la NGI, la Società di Navigazione Florio, assegnando le ricche sovvenzioni e le linee marittime ad altri concorrenti. Ignazio cerca, indebitandosi, di riammodernare i cantieri navali di Palermo divenuti vecchi ed obsoleti come la sua flotta, ma oramai non può più contare su appoggi politici. Crispi e di Rudinì sono morti e Giolitti è contrario alla monopolizzazione privata dei servizi pubblici. Nel 1908 la NGI passa di mano, ed intanto i passivi nei conti dei Florio aumentano a dismisura; con la Comit, la Banca Commerciale Italiana, il debito diventa pesantissimo. Malgrado il tracollo finanziario, proprio nel 1908, donna Franca e il marito partono da Palermo con lo yacht “Sultana”, stracarico di abiti, cibo e medicine, per portare aiuto ai terremotati di Messina. Si iniziano a vendere le varie attività, come la Fonderia Oretea con 1600 operai che finiscono sul lastrico, poi le tonnare, le ceramiche, l’azienda vinicola di Marsala che era stata ipotecata dalla Comit già agli inizi del 900, e via via tutta la moltitudine delle altre imprese. Per evitare il fallimento vanno all’asta le proprietà terriere, le ville e i palazzi. Ignazio tenta disperatamente di salvare qualcosa dell’immenso patrimonio, ma non trova nessun aiuto e protezione dai tanti importanti e blasonati personaggi che pure avevano largamente beneficiato della sua munificenza. Inoltre, con l’avvento del fascismo, la Sicilia, che dimostra poco entusiasmo per il regime, rimane sempre più isolata e la sua economia, già precaria, continua ad indebolirsi per lo scarso interesse del governo a fare investimenti significativi nell’isola. Di fatto il tramonto dei Florio, senza eredi maschi in quanto il fratello di Ignazio, Vincenzo, non ha figli, finisce per identificarsi col tramonto di Palermo e della Sicilia che aveva vissuto, grazie a loro, un momento unico di magico splendore industriale e culturale. Donna Franca ed Ignazio si trasferiscono a Roma, e lì nel 1935 la Comit reclama la restituzione del credito. Tutto il portafoglio industriale passa sotto il controllo dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), l’ente pubblico istituito dal fascismo nel 1933 per il salvataggio delle banche e delle aziende a loro connesse. E’ la fine del potere di una dinastia e di un modello di sviluppo imprenditoriale unico per le sue molteplici attività durato 150 anni. I famosi gioielli, compresa la celebre collana di perle dipinta da Boldini, vengono messi all’incanto insieme agli ultimi beni rimasti. I Florio non falliscono, riescono a pagare tutto, riducendosi in miseria.
Donna Franca affronta con grande dignità quest’ultima tragica fase della sua vita, vivendo poveramente senza rimpianti, senza lamentarsi, recriminare o incolpare nessuno. Dimenticata da Palermo e dai tanti amici degli anni d’oro, compresa la regina Elena, si appoggia agli affetti familiari, alle figlie che l’assisteranno fino alla fine, avvenuta nel 1950 a Migliarino Pisano nella villa della figlia Igiea. Ignazio, divenuto sordo e sempre più solo e deluso, scosso dalla morte di Franca, si rifiuta di vederne la salma, resta a Roma per ritornare, ormai ottantenne, nella sua Palermo dove muore nel 1957 in casa di un nipote acquisito. Il giorno del suo funerale “la città gli tributa una manifestazione d’affetto degna dell’irripetibile personaggio che era stato” (1).
La vicenda umana di donna Franca, che aveva vissuto gli anni felici e quelli difficili sempre con la stessa grazie e dignità, è stata, come ha scritto Leonardo Sciascia, “una storia proustiana, di splendida decadenza, di dolcezza del vivere, di affabile ed ineffabile fatalità”.
Note:
1. Alfio Caruso: “I siciliani”. Neri Pozza editore, 2012
2. Federico Guastella: “Fra terra e cielo. Miscellanea di saggi brevi con Gesualdo Bufalino”. Bonanno editore, 2016
2. Nello Ajello: “Profumieri e imperatori”. La Repubblica, 8/04/1986
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