Ad oltre 80 anni dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, il Protocollo Segreto fra Germania e Unione Sovietica è al centro di una polemica scatenata da una Risoluzione del Parlamento Europeo, e dall’apertura degli archivi dell’ex KGB.
Nel periodo precedente l’invasione nazista della Polonia, è noto che la politica tedesca avesse l’obiettivo di guadagnare tempo, per mettere a punto quella macchina bellica che erano Wehrmacht e Luftwaffe, scatenare il conflitto e attuare il programma espansionistico che comprendeva lo “Spazio Vitale” a est, a scapito dell’Unione Sovietica. A tale scopo, il Reich riuscì a portare al tavolo delle trattative i vertici del Cremlino, con cui si pianificò la spartizione della Polonia. Tuttavia a Berlino erano ben chiari gli obiettivi dei protocolli segreti, che comprendevano sostanzialmente l’importazione di materie prime dall’URSS e l’esportazione di tecnologia dalla Germania.
La questione ha fatto discutere gli storici per diversi anni, ma oggi il patto segreto fra i ministri degli Esteri, Vjaceslav Molotov (1890-1986) e Joachim von Ribbentrop (1893-1945) è nuovamente motivo di contesa, a causa della recente apertura degli archivi della ex Unione Sovietica, e di una Risoluzione del Parlamento Europeo che vuole evidenziare l’importanza della memoria condivisa, per il futuro dell’Europa. Al centro della polemica alcune affermazioni. Due in particolare, la prima dice che “l’accordo Molotov-Ribbentrop avrebbe spianato la strada alla seconda guerra mondiale”; la seconda si riferisce ai protocolli segreti, in base ai quali “i due regimi dittatoriali che avevano lo scopo di conquistare il mondo, si sono spartiti l’Europa in zone di influenza”, fatto che, storicamente, si è sempre fatto risalire alla Conferenza di Yalta.
Storici, intellettuali, ricercatori e studiosi sono quindi scesi in campo e hanno nuovamente rispolverato i fatti e le conseguenze degli accordi dell’agosto 1939 (con una oculata scelta dei tempi).
Lo scenario politico
Il panorama europeo, a quell’epoca, era decisamente sottosopra, le democrazie occidentali erano profondamente impegnate nel cercare soluzioni a gravi problemi interni, rimasti insoluti dalla fine della Grande Guerra, senza dimenticare le conseguenze della crisi economica del ’29.
L’Inghilterra del primo ministro Neville Chamberlain (1869-1940) era pronta a tutto per evitare un nuovo conflitto su scala internazionale, ed era orientata verso la creazione di una sorta di “cordone di isolamento” della Germania, soprattutto dopo la dimostrazione di impotenza offerta alla Conferenza di Monaco, nel marzo 1939, dove Hitler (1889-1945) aveva ottenuto la Cecoslovacchia senza sparare un colpo. A tale scopo, Londra conclude accordi con Polonia, Grecia e Romania, offrendosi come garante per la loro indipendenza e per cercare di isolare la Germania.
La Francia di Eduard Deladier (1884-1970) primo ministro di centro-destra, che aveva ottenuto il potere ribaltando gli equilibri interni e scalzando comunisti e socialisti, aveva evidenziato l’inefficacia dell’azione britannica, manifestando estrema diffidenza verso l’Inghilterra, ritenuta non affidabile, e si era volta oltreoceano, cercando l’aiuto americano, concludendo con Washington un contratto per la fornitura di 170 aerei da guerra al mese.
Il governo americano, e Franklin Roosevelt (1882-1945), pur cerando di “tenere il piede in due scarpe” per non causare scompensi irrimediabili con le uniche due democrazie europee rimaste, cominciò a fornire gli aerei richiesti ma non prese altre iniziative.
Da parte sua, Stalin (che come Hitler non era estraneo a manifestazioni di paranoia e manie di persecuzione) manifestò profondi dubbi circa le intenzioni di Inghilterra e Francia, che comunque considerava espressione dell’odiato capitalismo e, per tutelarsi, accettò di firmare il Patto Molotov-Ribbentrop, causando un vero e proprio terremoto politico e sorprendendo anche l’Italia, in particolare riguardo ai protocolli segreti, i quali stabilivano appunto la spartizione di Polonia, Paesi Baltici e Finlandia.
La polemica attuale, si incentra in particolare sull’espressione “entrambi i regimi dittatoriali volevano spartirsi il mondo”, ritenuta alquanto imprecisa. Storici contro storici, quindi, con accuse reciproche e affermazioni secondo le quali non esiste alcuna certezza sul fatto che Germania e URSS avessero tale obiettivo. Stalin amministrava già un vero e proprio impero di dimensioni sterminate, nel quale la priorità era la creazione del “socialismo in un solo Paese”, ma finalizzato al completo controllo entro i confini nazionali, tant’è vero che l’Holodomor, la carestia programmata che serviva a piegare la resistenza dei contadini ucraini alla collettivizzazione, e le Grandi Purghe che colpiscono partito ed esercito avvengono in periodo di pace. Per quanto riguarda i programmi di Hitler, espressi in “Mein Kampf”, essi precisavano la necessità di impossessarsi soprattutto dell’Ucraina, per le ricchezze del territorio, costringendo i sovietici oltre gli Urali.
Risoluzione UE: difetti, pregi e ipocrisie dimenticate
A questo punto, una domanda soprattutto: perché rispolverare un dibattito di questo tipo, su avvenimenti di quasi un secolo fa, quando l’Europa di oggi ha ben altri problemi da risolvere? Probabilmente è rimasta insoluta la questione di base, ovvero la non conciliabilità, e quindi la irrealizzabilità di una memoria collettiva, proprio perché può essere condivisa, ma fino a un certo limite.
Se in Francia, Spagna o Italia, i partiti comunisti, o comunque la sinistra politica, erano elementi integrati a pieno titolo nel puzzle delle democrazie del tempo, e in alcuni casi vero e proprio ago della bilancia governativa, oltre quella che Winston Churchill (1874-1965) definì “cortina di ferro” la visione era radicalmente differente, poiché queste realtà politiche erano artefici di un radicale smantellamento del concetto di Stato di diritto, e successiva instaurazione del totalitarismo.
In molti Paesi dell’Est Europa, infatti, furono imposti governi fantoccio filo-sovietici, dove il gigantesco apparato spionistico della Lubyanka dettava legge. Un chiaro esempio delle conseguenze può essere l’Ungheria post-1956, o il fatto che un severo militare ed “Eroe dell’Unione Sovietica” come il maresciallo Konstantin Rokossowkij (1896-1968) diventa ministro della Difesa nel governo polacco del 1949.
Ma c’è altro: diversi storici affermano che a Yalta, nella conferenza che si tenne da 4 all’11 febbraio 1945 (in verità tenuta a Livadija, poco lontano), Churchill, Stalin e Roosevelt non stabilirono alcun principio di spartizione, o quanto meno, non venne affrontato l’argomento di instaurare regimi comunisti in Europa orientale. Pare infatti che tale opinione abbia avuto origine da una forzatura voluta dal dittatore georgiano.
La Risoluzione del Parlamento Europeo del settembre 2019, quindi, non fa riferimenti ai partiti comunisti in attività nelle democrazie occidentali, ma evidenzia solo la politica stalinista nell’Europa orientale, sbagliando oltretutto a contestualizzare tale ideologia, soprattutto dopo la radicale destalinizzazione voluta da Nikita Krushev (1894-1971) e il XX° Congresso del PCUS nel 1956.
In sostanza, la risoluzione del Parlamento Europeo si riduce a un intricato pasticcio storico-ideologico-concettuale che non fa menzione di elementi determinanti negli sviluppi della situazione dell’epoca, né del sostegno che, consciamente o meno, Mosca ha dato al regime nazista. Parimenti non sono evidenziati abbastanza gli aspetti base degli sviluppi del Patto Tedesco-Sovietico: gli accordi commerciali del febbraio 1940 e del gennaio ’41, in base ai quali le divisioni Panzer penetrarono a fondo in territorio sovietico in buona parte grazie alle forniture di carburanti dalla stessa Unione Sovietica.
A parte questo, l’eredità del comunismo non è sintetizzabile in un solo documento con troppi punti di vista contrastanti, che rendono difficile intendere la specificità dei crimini dei due regimi: il Terzo Reich scatenando una guerra mondiale, l’URSS sfruttando più abilmente la copertura dei molti silenzi verso i mondo esterno, in tempo di pace. Tralasciando qui il capitolo sulla Guerra Fredda, che è un’altra storia.
Un difetto poi già presente in embrione, è il fatto che il documento del Parlamento Europeo, nel quale sono affrontate motivazioni fondamentali come le cause che fecero scoppiare la seconda guerra mondiale, sia redatto da gruppi politici, quando sarebbe stato meglio affidarne la stesura, o almeno la preparazione, a gruppi di storici esperti materia.
Innegabile punto a favore, invece, è l’istituzione della Giornata Mondiale degli Eroi nella Lotta contro il Totalitarismo, intitolata a Witold Pilecki (1901-1948) figura leggendaria, non ancora conosciuta come si dovrebbe. Forse perché costituirebbe anche un atto di accusa nei confronti degli alleati occidentali.
Pileki era un agente segreto polacco che, nel settembre ’40, fu protagonista di una missione particolare e visse per oltre mille giorni nell’inferno di Auschwitz dopo essersi fatti arrestare dalla Gestapo e internare. Sotto il falso nome di Tomasz Sarefinski, doveva raccogliere e trasmettere informazioni dettagliate, allestire una rete clandestina e infine una rivolta interna. L’organizzazione che formò si chiamava Zwiazek Wojskowych, ed era composta da piccoli gruppi autonomi, che non si conoscevano fra loro. Le prime informazioni furono fatte uscire già nel marzo ’41 e giunsero allo stato maggiore polacco in esilio, che ne mise al corrente i vertici britannici, i quali giudicarono il dossier “esageratamente gonfiato”. Nel giugno ’42, una seconda spedizione di informazioni, portate da quattro internati che riuscirono a evadere, poi fu la volta dello stesso Pilecki, che scappò nell’aprile ’43, con il suo terzo rapporto, che confermava oltre ogni ragionevole dubbio ciò che stava succedendo dietro i reticolati, ma anche questa volta il governo britannico non si mosse. Nel ‘44 Pilecki partecipò alla Rivolta di Varsavia poi raggiunse il generale Władysław Anders che comandava il 2° Corpo nella guerra in Italia.
Witold Pilecki visse la Polonia della sovietizzazione, e fu testimone di una inenarrabile serie di violazioni dei diritti umani, soprattutto contro i membri della Armia Krajowa. Si offrì volontario per tornare in patria ed evitare il definitivo crollo della Resistenza che, dopo avere combattuto i tedeschi invasori, ora combattevano gli invasori sovietici. Pilecki si infiltrò nei servizi segreti di Mosca e riuscì a fare pervenire diverse informazioni al proprio governo legittimo, finché venne scoperto. Gli venne ordinato di rientrare in Italia, ma ottenne di restare a Varsavia con la moglie e due figli. Il KGB arrivò a lui, e lo arrestò non molto tempo dopo. Fu sottoposto a un processo confezionato a dovere, terminato con la sentenza di morte, che fu eseguita con un colpo alla testa il 25 maggio 1948. Il suo corpo fu sepolto in un luogo ignoto, e alla famiglia fu imposto di non commemorare il morto. Fino al crollo dell’Unione Sovietica, ogni informazione relativa a Witold Pilecki fu rigidamente censurata, poi la riabilitazione ufficiale del 1990.
Gli archivi di Mosca
Con l’apertura degli archivi dell’ex KGB, o almeno di una parte (piccola) di essi, fra i vari documenti è stata resa consultabile la versione sovietica del Protocollo Segreto del Patto Molotov-Ribbentrop, quello alla base della Risoluzione del Parlamento Europeo.
Posto che il Patto fu per Mosca un passo necessario, a causa della immobilità di Francia e Inghilterra nei negoziati per creare una coalizione antihitleriana, l’Unione Sovietica ebbe di fatto due anni di tempo per prepararsi all’inevitabile aggressione nazista, l’operazione Barbarossa, il 22 giugno 1941.
Sull’apertura degli archivi della Lubyanka, l’ex ministro della Difesa (ed ex ufficiale del KGB), Sergey Ivanov, propone una lettura lucida e pragmatica dei negoziati fra Terzo Reich e URSS.
La chiave di volta di cui parla Ivanov è il momento in cui i rapporti fra Germania e URSS, dopo essersi praticamente interrotti con la presa del potere di Hitler, ripresero pur con reciproca cautela, fino alla firma del trattato.
A Mosca, l’indirizzo era di creare una coalizione anglo-sovietico-francese che isolasse la Germania. Stalin ben sapeva che la politica estera del Terzo Reich era strettamente legata alla teoria del Lebensraum, e quindi all’espansione verso Est.
I vertici dell’Armata Rossa erano decapitati, le agitazioni intestine sconvolgevano i delicati equilibri sociali, e quindi era necessario guadagnare tempo, ma come, specialmente dopo il fallimento dei negoziati con inglesi e francesi, e alla vigilia dell’invasione tedesca della Polonia? E perché i colloqui con francesi e inglesi fallirono?
Ivanov ha dichiarato che sbaglia chi vede un piano preordinato da Mosca per portare al fallimento i negoziati con Londra e Parigi, per portare la Germania verso la politica sovietica, per evidenti motivi ideologici, comunemente avversi al concetto di democrazia.
Secondo Ivanov, nel marzo ‘39 il governo britannico chiese all’Unione Sovietica e ad altri Paesi quali fossero le loro posizioni, nel caso in cui la Germania avesse attaccato la Romania. Mosca propose una conferenza internazionale con i Paesi dell’Europa orientale, poiché manifestò contrarietà nel coinvolgere l’Inghilterra in una questione che riguardava un’area geografica particolare, e i destini di Romania e Polonia. Da Londra giunse quindi la proposta di una dichiarazione congiunta, ma questa volta fu la Polonia che, inaspettatamente, oppose un rifiuto. Ma firmare una dichiarazione internazionale in difesa della Polonia, senza la Polonia non avrebbe avuto senso, e nessuno poteva sapere, in quel momento, se la Polonia avrebbe ceduto e accettato le richieste della Germania senza opporsi militarmente, diventando uno Stato-vassallo. A quel punto si poteva anche pensare a un successivo attacco all’URS con gli eserciti polacco e tedesco insieme.
L’intelligence sovietica seguiva dettagliatamente queste trattative, ma non questa è la cosa più importante: il 31 marzo ‘39 l’Inghilterra propose alla Polonia garanzie unilaterali di indipendenza, ma ancora una volta senza avvertire Mosca che, da parte sua, propose a Londra e Parigi un accordo, ma gli ostacoli rimasero le posizioni del governo polacco e dei Paesi baltici.
L’URSS non aveva confini comuni con la Germania, quindi come poteva entrare in guerra con Hitler se, sia la Polonia sia i Baltici, dichiararono che non avrebbero permesso ad alcun soldato sovietico di entrare nei loro territori, se Mosca si fosse rifiutata di discutere di eventuali garanzie circa la loro indipendenza e integrità territoriale.
Secondo la versione sovietica, le posizioni molto poco incoraggianti di questi governi, e l’irrazionale antisovietismo dell’élite polacca, resero inefficaci i vari tentativi per la creazione di un’alleanza su modello di quella della prima guerra mondiale.
Mosca avrebbe tentato fino all’ultimo, invitando le delegazioni francese e britannica in URSS, ma si giunse solo a una “dichiarazione di intenti” e, a quel punto Stalin, in accordo con i suoi più stretti collaboratori (Molotov, Zdanov, Malenkov, Voroshilov e pochi altri) scelse di rivolgersi alla Germania, firmando l’accordo commerciale il 19 agosto e il 23 successivo il Patto di Non-Aggressione e il Protocollo Segreto, per altro già condannato dal Congresso dei Deputati del Popolo nel 1989.
L’opinione di Ivanov comunque punta il dito sul fatto che il principale motivo del fallimento sia stata l’arroganza e la fissazione della dirigenza polacca che, in sostanza, respinse l’iniziativa sovietica di un asse anti-tedesco, e dal disinteresse della Francia. Perché quindi il governo polacco, già il 9 settembre ’39, chiese asilo a Parigi?
Di certo, se non fosse stato per il Patto Molotov-Ribbentrop del ‘39, nemmeno la Wehrmacht avrebbe potuto invadere l’Unione Sovietica nel ’41, e attraversare centinaia di chilometri in Bielorussia e Ucraina, arrivando alle porte di Mosca, Leningrado e Staingrado.
La questione è nuovamente aperta e, a quanto pare, ancora lontana dal vedere un accordo unanime e una soluzione storica che non lasci ombre e dubbi, almeno finché anche la memoria condivisa dovrà essere oggetto di trattative politiche.
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