L’ultimo intervento coloniale di una grande potenza europea nel continente americano.
Ci ha sempre affascinato ed interessato la vicenda storica dell’arciduca austriaco Massimiliano e dell’impero messicano. Anche perché i libri di scuola (e non quelli di storia) l’hanno sempre considerata, riduttivamente, più dettata da sogni romantici piuttosto che da considerazioni realistiche. Vediamola, dunque, in dettaglio. La creazione dell’impero avvenne in un contesto interno caratterizzato dal fallimento della riforma, la Ley Lerdo (dal ministro delle Finanze Miguel Lerdo de Tejada) promulgata il 12 giugno del 1859, con la cui erano stati espropriati, in vista d’una successiva vendita, i beni appartenenti alla Chiesa. Oltre a chiudere maggior parte dei monasteri e dei conventi (Lerdo, come Juaréz, apparteneva alla Massoneria). Il risultato fu che si ingrandirono i latifondi. Perciò, questa riforma non diffuse la piccola proprietà e non aumentò la produzione agricola. Perciò, la repubblica messicana, presieduta da Benito Juaréz, (il quale era un uomo politico liberale, indio dell’etnia degli zapotechi), dovette indebitarsi per acquistare prodotti agricoli per la sopravvivenza delle masse popolari. Mentre i grandi latifondi agricoli producevano merci soprattutto per l’esportazione, i cui ricavi venivano usati più per beni di lusso che per investimenti agricoli o industriali. In questo quadro, il duca di Morny, fratellastro dell’imperatore dei francesi Napoleone III (nato il 20 aprile 1808 come principe Luigi Napoleone Bonaparte, figlio di Luigi Bonaparte, allora re d’Olanda, e di Ortensia Beauharnais, rispettivamente fratello e figliastra di Napoleone I), partecipava in veste di socio alle operazioni finanziarie del banchiere svizzero Jean-Baptiste Jecker. Costui chiedeva al presidente Juaréz 75 milioni di franchi di debiti (dei quali oltre sette costituivano un credito concesso al predecessore di Juaréz, Miramòn). Il quale rifiutò di pagarli. E, a questo punto, Jecker promise a Morny il 30 per cento dei propri crediti se fosse riuscito a riscuoterli. Ai crediti di Jecker e di Morny si aggiunsero 60 milioni di altri creditori francesi. Per cui i debiti messicani ammontavano a 135 milioni. I creditori britannici pretendevano la restituzione di 85 milioni, quelli spagnoli di 40milioni. Si era nell’anno 1861 ed alla incerta situazione politica (mi riferisco allo zelo laicista della presidenza del liberale Ignacio Comonfort, dopo il rovesciamento, nel 1855, ad opera dei liberali medesimi, del governo del presidente Antonio Lopéz de Santa Anna, che provocò il colpo di stato del 16 dicembre 1857 ed una guerra civile della durata di tre anni, detta “Guerra della Riforma”), economica e finanziaria messicana veniva ad aggiungersi l’inizio della guerra di secessione negli Stati Uniti d’America e lo svilupparsi della nuova opera di colonizzazione (dopo quelle del XVI e del XVIII secolo) da parte della Francia e dell’Inghilterra. Infatti, quattro mesi dopo l’elezione del candidato repubblicano , nordista, Abraham Lincoln a presidente (si insediò il 4 marzo del 1861) degli Stati Uniti (a questo proposito dobbiamo rilevare che all’epoca i repubblicani rappresentavano le istanze liberali del Nord mentre i democratici rappresentavano quelle conservatrici del Sud, mentre, successivamente, nel corso della prima metà del XX secolo questo rapporto quasi s’invertì) sette stati del profondo Sud se ne erano già staccati: South Carolina (il quale fu il primo, il 20 dicembre del 1860), Mississippi, Florida, Alabama, Georgia, Louisiana e Texas. Nei primi giorni del febbraio nel 1861, dai rappresentanti dei sei stati secessionisti riuniti a Montgomery (nell’Alabama) nacquero gli Stati Confederati d’America, presieduti da Jefferson Davis. E, il 12 aprile del 1861, le artiglierie sudiste aprirono il fuoco contro la guarnigione federale (e, perciò, dipendente dal governo centrale di Washington) di Forte Sumter, nel porto di Charleston. E, l’imperatore dei francesi, Napoleone III, si dichiarò a favore degli Stati Confederati. Però, gli Stati del Sud offrirono alla Francia 22.000 tonnellate di cotone e l’importazione esente da dazio di merci francesi soltanto qualora essa fosse riuscita, con la sua flotta, a far breccia nel blocco navale dell’Unione del Nord. Una tale azione, da parte della Francia, avrebbe significato la guerra contro l’Unione nordista. E, né la Francia, né l’Inghilterra vollero giungere a questo, nonostante la loro dipendenza (più francese che inglese dato che a placare le necessità di cotone grezzo dell’industria manifatturiera tessile britannica furono le forniture alternative dall’Egitto e dall’India) dalle forniture di cotone sudista. A meno che la Confederazione non fosse stata sul punto di vincere. Per cui, se l’offensiva del comandante dell’esercito confederato, Robert E. Lee, nel Maryland, nell’autunno del 1862 avesse avuto successo sia l’Inghilterra che la Francia avrebbero riconosciuto ufficialmente la Confederazione. Ma, quando Lee venne respinto il progetto venne sospeso e, dopo la sconfitta di Gettysburg (1-3 luglio del 1863), fu abbandonato. Per cui, Napoleone III si limitò a proporsi (peraltro infruttuosamente, visto che le sue proposte di armistizio e di trattative in campo neutro vennero rigettate) come mediatore tra le due parti contendenti. Tuttavia, l’esistenza della Confederazione e l’impossibilità dell’Unione ad opporsi ad una penetrazione francese nel Messico, rendevano inoperante la dottrina di Monroe. Ossia, la diffida, del 1823, del quinto presidente degli Stati Uniti d’America, James Monroe, verso qualunque ingerenza delle potenze europee nel continente americano. Nondimeno, in un arco di tempo tra l’8 dicembre del 1861 e l’8 gennaio del 1862, giunsero a Veracruz le forze navali ed un contingente di 10.000 uomini inviati dalle tre potenze, Francia, Inghilterra e Spagna. Le quali, il 31 ottobre del 1861, avevano sottoscritto la Convenzione di Londra in reazione alla sospensione del pagamento degli interessi sui debiti esteri decisa dal Congresso messicano. La Francia aveva mandato 2500 uomini al comando del contrammiraglio Jurien de la Gravière, la Spagna aveva fornito 7000 soldati al comando del generale Prim e l’Inghilterra aveva inviato 700 fanti di marina al comando del commodoro Dunlop. Però, nelle intenzioni dei governi britannico e spagnolo si trattava di un atto dimostrativo allo scopo di ottenere soddisfazione dal Messico per le loro istanze finanziarie. Mentre, da parte francese, c’era un vero e proprio intervento. Per cui, si arrivò ad un incontro tra il generale Doblado, ministro degli Esteri di Juaréz, da una parte e, Sir Charles Wyke, ministro britannico, e Dunlop (tra altro, riguardo all’atteggiamento britannico si deve scrivere che, durante la “Guerra della Riforma”, se un Lord Malmesbury preferì il generale Miguel Miramòn, della’ala cattolica e conservatrice, un Lord John Russell , whig ed anticattolico, sostenne Juaréz ed appoggiò le misure liberali contro la Chiesa), dall’altra. S’incontrarono a Puebla e, il 20 aprile del 1861, ed, almeno inizialmente, giunsero ad un compromesso secondo cui il governo messicano avrebbe pagato i debiti a rate. Però, il governo britannico ripudiò questa convenzione quando seppe che il Messico avrebbe appianato i debiti grazie ad un prestito degli Stati Uniti. Un quanto un simile accordo avrebbe legato il Messico agli Stati Uniti. Di conseguenza, tanto l’Inghilterra quanto la Spagna richiamarono le proprie truppe da Veracruz. Questo avvenne perché la Francia (la quale dopo che Jecker da cittadino svizzero divenne suddito francese, grazie alla sua naturalizzazione, deteneva la maggioranza dei crediti verso il Messico) voleva fondare nel Messico uno stato monarchico e cattolico. Questa soluzione era stata sostenuta presso Napoleone III da esuli messicani conservatori quali José Marìa Gutierréz de Estrada ed il generale Almonte . Costoro dopo la detronizzazione da imperatore del generale Agustìin de Iturbide e la fine della presidenza di Santa Anna erano alla ricerca di un principe europeo che accettasse la corona messicana. E, la loro ricerca si saldò a quella, analoga, francese. La quale si diresse sull’arciduca Ferdinando Massimiliano, fratello dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe. Perciò, l’arciduca Massimiliano, discendente dell’imperatore Carlo V, conservatore e cattolico, divenne agli occhi sia di Napoleone III che dei conservatori messicani, l’uomo ideale per essere il sovrano del Messico. Ci furono, però, da parte dell’arciduca delle difficoltà. In quanto, alla fine del gennaio 1864, Francesco Giuseppe pretese da suo fratello la rinuncia ad un’eventuale successione (nel caso che Rodolfo, il figlio dell’imperatore e dell’imperatrice Elisabetta, morisse) al trono austriaco. Perché (come Metternich, allora dominatore della politica estera austriaca, che si era opposto, nel 1820, all’accettazione, allora, della corona messicana da parte dell’arciduca Carlo Luigi) egli temeva un possibile coinvolgimento dell’impero austriaco negli affari messicani. Nel tempo intercorso tra il ritiro dal Messico dell’Inghilterra e della Spagna e la decisione dell’arciduca Massimiliano di partire per il Messico, Napoleone III impegnò sempre di più l’impero francese in Messico. Nel marzo del 1862, il generale Lorencez aveva 7300 soldati al proprio comando e, tenendo conto sia degli ammalati che di quelli che sarebbero rimasti di guardia a Veracruz, si preparava a marciare su Città del Messico con 6000 uomini. Nel contempo, il contrammiraglio Jurien e il ministro di Francia nel Messico, Pierre Alphonse Dubois de Saligny lanciarono un proclama in cui si affermava che, da un lato, desideravano pacificare le dispute interne messicane e, dall’altro, che la bandiera francese issata a Veracruz non sarebbe stata ammainata. Insomma, la formula è quella che verrà portata avanti in Marocco, all’inizio del XX secolo: la Francia come potenza protettrice di un paese stabile ne avrebbe potuto sfruttare le fonti di materie prime. Però, tra il 4 marzo ed l’8 maggio del 1862, l’avanzata dei francesi al comando del generale Lorencez venne respinta presso Puebla. La conseguenza fu che, ne giugno del 1862, Napoleone III decise di inviare 20000 uomini in Messico. Mentre, Lorencez venne sostituito dal generale Elie Frédéric Forey, il quale gli subentrò in settembre. E, dopo aver passato l’autunno e l’inverno in stato d’allerta, l’esercito francese, nel febbraio del 1863, era pronto ad iniziare la campagna. Il generale Forey aveva ai suoi ordini 18000 uomini di fanteria, 1400 di cavalleria, 2150 artiglieri, 450 genieri, un corpo d’amministrazione di 2300 elementi più i 2000 soldati messicani del generale Leonardo Màrquez. Disponeva di 96 cannoni e di circa 2400000 colpi. E, visto che i messicani usavano la guerriglia contro i francesi, erano stati formati dei reparti speciali chiamati contre-guérilla per combattere, appunto, i guerriglieri. Nell’antiguerriglia non c’erano soldati ma degli specialisti duri, temerari, spietati. Si trattava di marinai, mercati di schiavi, cacciatori di bisonti, piantatori e, perfino, ex diplomatici come il conte Emile de Kératry. E, nelle fila della contre-guérilla militavano messicani, inglesi, francesi, spagnoli, greci, olandesi, svizzeri, privenienti dall’India, dagli Stati Uniti e dall’America Meridionale. La contre-guérilla fu messa sotto il comando del colonnello svizzero de Steklin. Ed, aveva la collaborazione di due cannoniere che incrociavano al largo della costa a nord e a sud di Veracruz e aprivano il fuoco su ogni banda di guerriglieri che veniva individuata dai reparti. Nonostante il suo attivismo, documentato da quanto scrisse de Kératry, Steklin venne sostituito, il 14 febbraio del 1863, dal colonnello Du Pin. Il quale era stato protagonista del saccheggio del Palazzo d’Estate di Pechino, quando questo era stato incendiato dai francesi e dai britannici per ritorsione contro l’imperatore cinese a causa delle torture inflitte agli europei imprigionati nell’edificio. I reparti antiguerriglia, comandati da Du Pin, ricorsero alle impiccagioni dei guerriglieri, alla cattura degli abitanti dei villaggi come ostaggi, alle incursioni notturne nelle fattorie, all’incendio delle fattorie stesse. Parallelamente all’azione antiguerriglia, il generale Forey, il 16 marzo del 1863, cominciò l’assedio di Puebla. Questo si concluse il 12 maggio con lo sfondamento delle difese messicane e la resa da parte del generale Ortega. Di conseguenza, Juaréz dovette, il 31 maggio, abbandonare, insieme al suo esercito, Città del Messico e partire verso il nord. Mentre, la mattina dell’8 giugno, l’avanguardia francese, guidata dal generale Achille Bazaine entrò nella capitale. Quest’ultimo nominò il generale messicano conservatore Mariano Salas quale capo dell’amministrazione provvisoria. E, il generale Forey aveva ricevuto da Napoleone III istruzioni ed incarichi precisi: nominare un governo provvisorio di messicani conservatori; reprimere i liberali radicali ed i sostenitori di Juaréz ma tentare di conquistare i liberali moderati; proteggere la religione e riconoscere quella cattolica come religione ufficiale, accettando, però, il principio della tolleranza religiosa; riconoscere il diritto di coloro che avevano acquistato beni della chiesa; consentire la libertà di stampa subordinata al sistema delle ammonizioni esistente in Francia, per cui dopo tre ammonizioni era possibile sopprimere un giornale. Nel contempo le reazioni straniere, da quella prussiana a quella britannica erano lusinghiere nei confronti dell’intervento francese. Anche se, profilandosi la vittoria dell’Unione nordista sulla Confederazione, dopo la battaglia di Gettysburg, si aprivano spazi al’azione del diplomatico messicano Matiàs Romero, fedele a Juaréz, per convincere Lincoln a sostenere la continuazione della lotta contro i francesi. in questa delicata fase di consolidamento del successo francese, procedeva sia l’azione del colonnello Bazaine contro l’opposizione che quella di Du Pin e dei suoi reparti contro i guerriglieri. Senza, però, riuscire, ad onta della durezza e dell’energia profusi, a sconfiggere né l’una, né gli altri. E, l’11 giugno del 1864, l’arciduca Massimiliano (dopo che, il 3 ottobre del 1863, Gutierréz, come portavoce dell’Assemblea dei notabili messicani, gli ebbe offerto la corona), giunse a Città del Messico, insieme alla moglie Carlotta, una principessa belga, figlia del re Leopoldo I di Sassonia – Coburgo. Sorvolando sugli eventi succedutisi fino alla fucilazione di Massimiliano, da parte dei soldati di Juaréz, avvenuta il 19 giugno del 1867 alla periferia di Querétaro, il quesito che mi pongo è questo: perché l’impresa messicana fallì, mentre, invece altre imprese di penetrazione coloniale similari, quali quella francese in Tunisia, nel 1881, o quella britannica in Egitto, nel 1883 (date, chiaramente le specificità di questi paesi rispetto al Messico, particolarmente, la presenza in quest’ultimo d’una forte idea indipendentista), ebbero successo? Innanzitutto, perché, nonostante alcuni tatticismi da parte di Lincoln e del segretario di Stato William H. Seward (almeno finché l’esito della guerra contro la Confederazione non fu sicuro), l’Unione nordista protesse Juaréz e la causa indipendentista messicana. Mentre, sul piano interno (oltre, logicamente, alla determinante, decisiva, mancata sconfitta militare degli avversari che, invece, riuscì sia ai francesi medesimi che agli inglesi negli esempi sopra riportati), all’imperatore Massimiliano mancò sempre un’ampia e salda base monarchica sulla quale fondarsi. Così come non riuscì a dividere il fronte liberale ed a cooptarne gli elementi moderati in un forte blocco conservatore, come fecero invece, Francesco Giuseppe nell’impero austro – ungarico, (dopo la creazione della Costituzione, nel 1867, e ,soprattutto, grazie all’azione del primo ministro Taafe, dal 1879 al 1893 ed i cui metodi governativi furono presi ad esempio da primi ministri che si succedettero a Vienna) e l’imperatore Guglielmo II, in Germania, dopo le dimissioni del cancelliere Otto von Bismarck, nel 1890. Fu questo il fallimento principale che condannò l’impresa messicana a dipendere, dapprima, dalla presenza dissuasiva e repressiva dell’esercito francese e, dopo la decisione di Napoleone III del 15 gennaio del 1866 di ritirare le truppe, a segnarne la fine.
Bibliografia
Il Messico tra rivoluzione ed oppressione, Gianfranco Dellacasa, Marzorati, Milano, 1976.
Massimiliano e il sogno del Messixo, Jasper Ridley, Rizzoli, Milano, 1993.
Napoleone III, Franz Herre, Mondadori, Milano, 1992.
L’imperatrice degli addii, Michele di Grecia, Mondadori, Milano, 2000.
La monarchia asburgia, A.J.P. Taylor, Mondadori, Milano, 1985.
Metternich, Franz Herre, Bompiani, Milano, 1993.
Storia degli Stati Uniti, Maldwyn A. Jones, Bompiani, Milano, 1992.
La gaia apocalisse, Alfredo Pieroni, Rizzoli, Milano, 1983.
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