Uno dei più arcani testi letterari potrebbe essere il prodotto di un abile falsario, anche se molti sono convinti che sia autentico. Nessuno, fino ad oggi, è riuscito a decifrare il linguaggio in cui è scritto.
Il manoscritto di Voynich deve il nome a un antiquario americano appassionato di testi antichi, Wilfrid Woynich appunto, che sembra lo abbia scoperto in uno scantinato di una polverosa biblioteca di un convento gesuita, Villa Mondragone di Frascati, vicino Roma, nel 1912, grazie all’assistenza del priore, padre Strickland. Si tratta di un formato di 22×16 cm, in tutto 102 fogli per 204 facciate scritte e illustrate a mano, e con 24 pagine mancanti (si deduce dalla rilegatura), perse nel corso di molti anni. Vi sono anche cinque fogli ripiegati a metà, tre fogli ripiegati tre volte, un foglio piegato quattro volte e un foglio con sei ripiegature. In totale, 250.000 caratteri per poco più di quattromila parole. Di queste 1.284 sono presenti più di una volta; 308 minimo otto volte; 184 quindici volte; 23 sono presenti cento volte. La lingua è sconosciuta ancora oggi, così come il significato delle illustrazioni (piante, figure femminili immerse in acqua o altro liquido sconosciuto, sfere celesti).
Un libretto misterioso anche per i computer più tecnologici, anche a quelli dei servizi segreti americani che per diversi anni si sono impegnati a renderlo chiaro. A prima vista potrebbe sembrare un trattato medievale di qualche alchimista, forse vissuto fra il 1450 e il 1500, deduzione suggerita da una lettera del XVII secolo inclusa nel manoscritto, che ne attesta il possesso, nel 1586, da parte di Rodolfo II, imperatore del Sacro Romano Impero, il quale pare lo abbia dato in consegna a due esperti linguisti. Da qui se ne perdono le tracce per 250 anni, fino al ritrovamento da parte di Voynich, che lo affida ai migliori crittografi del tempo, ma con nessun risultato concreto.
Diversi analisti ed esperti hanno affermato che, in realtà, non vi sia nulla da decifrare, perché non esisterebbe nessun codice. Insomma, nulla più che un elaborato falso. Appare tuttavia strano che in un falso siano contenute una serie di regolarità strutturali per tutte le pagine del libro, e una sorprendente esattezza e precisione nella distribuzione delle parole della lingua, che ormai è nota come “Voynichese”.
Recentemente Gordon Rugg, esperto di lingue antiche, ha scoperto che è possibile duplicare molte delle principali figure del “Voynichese”, utilizzando un semplice strumento già in uso nel XVI secolo. Il testo generato da questa tecnica condurrebbe però a semplici scarabocchi, espressioni senza senso o messaggi nascosti. Questa scoperta non prova però che il manoscritto sia un falso, ma sostiene la teoria secondo cui un avventuriero inglese, di nome Edward Kelley, possa aver concepito il documento per defraudare l’imperatore, che infatti pagò una somma di 600 ducati (circa 100.000 dollari attuali) per il manoscritto.
Dopo il ritrovamento, il primo tentativo scientifico di interpretare il manoscritto è del 1921 da parte di William Newbold, professore di filosofia alla Pennsylvania University. Secondo l’ipotesi elaborata, ogni carattere contiene piccoli segni, visibili solo a notevole ingrandimento, che formerebbero una sorta di vocabolario stenografico in greco antico. Secondo Newbold, il manoscritto risalirebbe al XII secolo e l’autore sarebbe lo scienziato e filosofo Roger Bacon, autore per altro di celebri descrizioni del microscopio. Leonell Strong, genetista della Yale University, attribuisce l’opera ad Anthony Ascham, astrologo inglese del Cinquecento.
La tesi di Newbold non resse per molto: un attento esame al microscopio a scansione, rivelò che i piccoli segni sono solo micro-spaccature nell’inchiostro secco, dovute all’età della carta. A questo seguì una serie di fallimenti, come quello di Leonell Strong e Joseph Feely, due esperti di decrittazione che usarono un cifrario basato sulla sostituzione delle lettere originali con caratteri romani, giungendo ad una traduzione dal senso poco chiaro. Ma non è tutto: c’è chi sostiene di avere prove che il manoscritto sia stato redatto addirittura da Leonardo Da Vinci nel 1460. Altri invece vedono nell’opera la leggendaria “Clavicola di Salomone”, un testo magico del terzo re di Israele che conterrebbe evocazioni per dominare gli spiriti e istruzioni per costruire potenti amuleti.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, il manoscritto fu affidato agli esperti militari americani che avevano violato il codice Magic della marina imperiale giapponese, ma anche questi non arrivarono a nulla di definitivo. Nel 1978 John Stojko, filologo, dopo un’analisi del testo, sostenne che la lingua poteva essere una antica forma di ucraino senza le vocali. In base a questo criterio si arrivò a una traduzione con frasi come “Il Vuoto è ciò per cui l’Occhio del Dio Bambino combatte accanitamente”, che non ha nulla a che fare con le illustrazioni o con la storia ucraina.
Nel 1987 un medico di nome Leo Levitov sostenne che il documento fosse stato prodotto dalla setta eretica dei Catari, in Francia meridionale, scritto in una commistione di parole di varie lingue. La traduzione, ad ogni modo, anche in questo caso non aveva senso compiuto o collegamento con la teologia Catara. Altro sbaglio, poi, la traduzione della stessa parola con un termine in una parte del manoscritto, e con un altro termine in un’altra parte, in base al principio delle diverse soluzioni di uno stesso anagramma.
Molti studiosi hanno avanzato l’ipotesi che se il manoscritto di Voynich non fosse scritto in alcun codice, ma fosse un linguaggio ancora sconosciuto, per il fatto che presenta le già citate regolarità tipiche di una lingua.
Una parola, ad esempio, è ripetuta più volte nel corso di una stessa frase o riga. Si è provato quindi ad applicare il metodo EVA, cioè l’alfabeto europeo di Voynich (European Voynich Alphabet), cioè una convenzione elaborata per tradurre i caratteri del manoscritto in caratteri romani. La soluzione proposta, però, si discosta troppo dalle caratteristiche di tutte le lingue conosciute, antiche o moderne che siano, ed è decisamente troppo complessa, paradossalmente anche se riferita a frasi espresse da persone affette da disturbi psicologici o patologie per danni cerebrali, come si è avuta occasione di osservare. Dopo i numerosi tentativi, si ritornò quindi all’ipotesi di un codice, decisamente insolito ed estremamente difficile, anche nell’ipotesi di un abile falso storico.
Con tale criterio, Gordon Rugg è tornato a studiare il manoscritto insieme alla collega Joanne Hyde, rivalutando cioè le tecniche del ragionamento fin’ora utilizzate, con il principio che la struttura linguistica del manoscritto debba essere analizzata dal punto di vista deduttivo del linguista puro. Partendo da questo, si è ripresentata l’ipotesi del falso storico, ma anche in questo caso la ricerca si è arenata in assenza di elementi di riferimento.
Una nuova ipotesi è stata proposta da Jorge Stolfi, ricercatore dell’Università di Campinas, in Brasile: può essere possibile che il manoscritto sia stato composto usando accoppiamento di lettere o sillabe in modo casuale e senza alcun criterio logico? Potrebbe…ma come porsi in tal caso davanti alla rigida regolarità del testo, e ad altre caratteristiche come l’individuazione di caratteri comuni e le combinazioni sillabiche? Tutto questo non può essere il risultato di una scelta casuale, anche se la casualità, d’altra parte, potrebbe essere una delle chiavi di lettura.
Per i ricercatori del nostro tempo è un concetto normalmente accettato, ma non era così ai tempi in cui si data la stesura del manoscritto. Gordon Rugg ha così iniziato a domandarsi se alcune delle strutture del manoscritto potessero essere state prodotte da uno strumento ormai considerato obsoleto. Sembrava proprio che l’ipotesi dello scherzo meritasse maggiori indagini. Il passo successivo era tentare di produrre un documento falso per vedere quali effetti si sarebbero potuti ottenere. La prima domanda era: che tecnica usare? L’approccio doveva essere “storicizzato”, ovvero, guardato con gli occhi di un uomo del tempo, e così Rugg ha deciso di utilizzare la celebre “griglia di Cardano”, sistema elaborato dal matematico italiano Girolamo Cardano nel 1550, basato su cartelle con “sportelli” apribili da sovrapporre a un testo. Senza addentrarsi nel particolare e complicato sistema della griglia a tre aperture, si trattava di tradurre il testo, utilizzando permutazioni dei prefissi dei vocaboli. Il risultato ottenuto portava a un quesito basilare senza risposta: il manoscritto conteneva solo scarabocchi senza senso, o un messaggio codificato?
Se la griglia di Cardano fosse stata usata, in effetti, per creare il manoscritto Voynich, l’autore probabilmente non intendeva elaborare un testo, quanto riprodurre un esempio di metodo articolato. Rugg non ha trovato evidenza alcuna che il manoscritto celasse un messaggio codificato, ma ciò non esclude la possibilità che il manoscritto sia autentico. E se anche fosse un falso, resterebbe di notevole pregio in quanto, per arrivare ad un elaborato del genere, l’autore deve essere stato dotato di indubbio acume ed esperienza…come ad esempio John Dee o Edward Kelley (abile falsificatore nonché alchimista avvezzo all’uso delle griglie di Cardano) che visitarono la corte di Rodolfo II nel 1580. Non a caso, per diverso tempo Kelley fu creduto l’autore del manoscritto.
Nel 1976 William Bennet, ingegnere informatico, esaminò il manoscritto dal punto di vista dell’applicazione del linguaggio metodologico del computer, giungendo a un risultato decisamente interessante: la determinazione dell’entropia del linguaggio voynechese, molto minore rispetto a una qualunque lingua europea antica o attuale.
Com’è noto, l’entropia stabilisce il grado di disordine all’interno di un sistema (la legge della termodinamica, in fisica, stabilisce che qualunque sistema tende all’entropia sempre crescente). Nella comunicazione linguistica, l’entropia indica il grado di relativa assenza di informazione, in pratica, l’incertezza data da un determinato messaggio, frase o testo. In un discorso dove, per esempio, si trova la sequenza “chf-chf-chf-chf-ch” vi è un certo grado di sicurezza che la successiva sequenza inizi con la lettera “f”, quindi una bassa entropia. Ma se ci si trova davanti a sequenza tipo “hjlksurhgkdsfvbkrrpmnv” non si può esser sufficientemente sicuri di identificare con quale lettera inizi la successiva frase, e si ha una entropia decisamente alta. Bennet riuscì a stabilire che il manoscritto aveva una bassa entropia, ma l’unica lingua che poteva costituire un termine di paragone, era l’hawaiano…
Il ricercatore dell’università di Birmingham, Gabriel Landini, ha invece analizzato il testo impiegando l’analisi spettrale, tecnica usata per studiare la struttura e i caratteri apparentemente casuali del DNA, ma anche se ha identificato alcune parole di senso compiuto, non è riuscito a costruire un testo che abbia un senso generale nel suo complesso.
L’unica cosa chiara è, fin’ora, che il manoscritto è diviso in cinque parti. La prima è definita “Botanica” contiene 113 illustrazioni di piante sconosciute; la seconda è la “Astronomica”, con 25 diagrammi riferiti a temi astrali non meglio definiti, eccetto Sole, Luna e alcune costellazioni della Via Lattea; altre ancora sembrano riprodurre la Galassia di Andromeda. La terza parte è detta “Biologica”, con 227 illustrazioni di nudi femminili, molte raffigurate in evidente stato di gravidanza e immerse in vasche collegate fra loro da strane tubazioni simili a tube di Fallopio. La quarta parte è la “Farmacologica”, con disegni di radici sconosciute, piccole piante e contenitori tipici usati per spezie e droghe. La quinta e ultima pare essere una sorta di indice generale. L’unica certezza è che, dopo anni di ricerche e tentativi, il manoscritto di Voynich, oggi conservato alla Beinecke Book & Manuscript Library di Yale, continua ad essere uno dei testi più misteriosi della storia.
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